§ Centenari

Ignazio di Loyola e la compagnia di Gesł




Giuseppe De Rosa S. J.



E' cosa buona - e può essere anche interessante e utile - ricordare uomini e vicende del passato. Ma un motivo che giustifichi perché si parli di una data persona o di un certo avvenimento ci vuole. Oggi un motivo sufficiente e valido è costituito dai "centenari". in verità, non si capisce perché ci sia motivo per parlare di una persona solo perché sono passati cento, duecento, seicento anni dalla sua nascita o dalla sua morte; ma 'uso è ormai questo e io mi ci atterrò. Parlerò dunque di S. Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, perché nel 1991 ricorre il quinto centenario della sua nascita, e parlerà della Compagnia di Gesù, perché nel 1990 ricorre il 450° anno della sua fondazione. A dire il vero, però, i due centenari sono solo un pretesto. il motivo vero che m'induce a parlare di S. Ignazio e della Compagnia di Gesù è che si tratta di un santo e di un'opera che sono significativi per il nostro tempo, sono - come oggi si dice - "attuali". C'è, poi, il fatto che S. Ignazio è sconosciuto alla maggior parte delle persone e i gesuiti sono conosciuti, ma nel peggiore dei modi: vale perciò la pena dire qualcosa di S. Ignazio e cercare di correggere, se è possibile, almeno qualche tratto dell'immagine che comunemente ci si fa dei gesuiti.

L'avventura spirituale di S. Ignazio di Loyola
E' curioso che S. Ignazio sia così poco conosciuto; eppure, è uno degli uomini che più hanno influito sulla storia del loro tempo e il cui influsso dura ancora oggi a 500 anni dalla sua nascita. Probabilmente, l'importanza che storicamente ha assunto la sua opera - la Compagnia di Gesù - ha messo in secondo piano la sua figura. Tuttavia, "dietro" la Compagnia c'è S. Ignazio, ed essa sarebbe incomprensibile nel suo spirito e nella sua attività se non si conoscessero la vita, l'esperienza spirituale e mistica di S. Ignazio e l'ideale e il metodo apostolico che egli volle dare alla Compagnia di Gesù.
S. Ignazio nacque nel 1491 nel castello della nobile famiglia del Loyola, vicino alla città di Azpeitia, nella provincia bosco di Guipúzcoa (Spagna) e fu battezzato col nome di Iñigo Lòpez de Loyola. Iñigo era il nome di un santo abate benedettino di Burgos; più tardi, Ignazio lo cambiò nel nome che gli fu poi abituale, forse per devozione a S. Ignazio di Antiochia, martirizzato a Roma sotto Traiano. Ebbe una buona educazione cristiana, anche se nei primi anni giovanili non mancarono colpe morali più o meno gravi. La Spagna di quegli anni viveva due grandi momenti storici: era da poco finita la guerra di "riconquista" della Spagna dai mori con la caduta di Granada (2 giugno 1492) che Colombo scopriva l'America (12 ottobre 1492). Un'epoca, dunque, favorevole alle avventure più audaci per coloro che volevano "fare cose grandi". Tra questi c'era il giovane Ignazio, il quale, essendo l'ultimo di tredici figli, non poteva sperare nell'eredità paterna, ma doveva contare solo sulle proprie forze e sul proprio coraggio. la sua aspirazione, infatti, era quella di divenire un perfetto e valoroso cavaliere e porsi al servizio di qualche signore. Così, dopo aver passato alcuni anni ad Arévalo, per imparare le arti cavalleresche, nel 1516 si pose a servizio del viceré di Navarra.
Questa regione era contesa, per la sua posizione geografica strategica, tra la Spagna e la Francia. Così, nel 1521 i francesi entrarono nella Navarra e posero l'assedio alla capitale, Pamplona, che presto cadde nelle loro mani. Solo la fortezza resisteva: vi era un nucleo di cavalieri e soldati che non intendevano arrendersi; tra di essi, tra i più decisi a non cedere, c'era Ignazio di Loyola. Ma, quando i francesi ripresero il cannoneggiamento della fortezza e i cavalieri spagnoli in essa rinchiusi si disponevano a respingere con le armi in pugno gli assalitori, un colpo di cannone colpì Ignazio, frantumandogli una gamba e ferendogli l'altra. La fortezza si arrese subito.
Ad Ignazio e ai suoi compagni fu concesso l'onore delle armi. Il ferito fu trasportato nel suo Castello di Loyola, dove si sottopose ad una "tremenda carnefina" (sono parole di S. Ignazio) per poter riprendere l'uso degli arti (ma restò sempre con una gamba zoppicante). Il suo desiderio era tornare a fare il cavaliere e l'uomo di corte. Perciò, per passare il tempo in attesa della guarigione, chiese di poter leggere libri che narravano imprese di cavalieri, allora molto in voga. Ma nel Castello non si trovarono libri del genere. Così, gli vennero portati due libri - una Vita di Cristo e una Legenda aurea (cioè una raccolta di vite di santi) - che non erano proprio del genere di quelli da lui richiesti, ma che non gli dispiacquero, anche perché pure in essi si parlava di cavalleria, sia pure di altro genere (a loro modo S. Francesco d'Assisi e S. Domenica di Guzmán erano anch'essi "cavalieri di Cristo").
Ignazio cominciò allora a riflettere se non avesse potuto fare anche lui quanto avevano fatto S. Francesco e S. Domenica. Così, illuminato e spinto dalla grazia di Dio, decise di cambiar vita: avrebbe, anzitutto, fatto un pellegrinaggio a Gerusalemme e poi si sarebbe dato ad una vita di aspre penitenze, magari in un monastero certosino. Diede subito inizio al suo progetto e volle cominciare la sua nuova vita con una "veglia d'armi", come solevano fare i cavalieri prima d'indossare l'armatura. Così, passò la notte tra il 24 e il 25 marzo 1522 dinanzi all'immagine della Madonna nel santuario di Montserrat. La prossima tappa doveva essere Barcellona, dove avrebbe dovuto imbarcarsi per l'Italia per andare a Roma a chiedere al Papa il permesso di pellegrinare in Terrasanta; ma dovette fermarsi per qualche giorno a Manresa, per non essere riconosciuto da qualche persona del seguito del nuovo papa Adriano VI che, eletto sommo pontefice in Spagna (9 gennaio 1522), stava andando a Roma.
I pochi giorni che avrebbe dovuto fermarsi a Manresa e che avrebbero dovuto essere spesi "nell'annotare alcune cose nel suo libro" si prolungarono fino all'inizio del 1523. Fu, quello. il periodo forse più importante nella vita di S. Ignazio: a Manresa, infatti, tra dure prove interiori e straordinarie illuminazioni divine -celebre quella ricevuta sulla sponda del fiume Cardoner - avvenne la trasformazione spirituale d'Ignazio e nacquero gli Esercizi Spirituali, un'opera che - frutto dell'esperienza spirituale dello stesso Ignazio - avrebbe costituito il nucleo essenziale della spiritualità della Compagnia di Gesù e avrebbe avuto un influsso enorme sulla vita e la spiritualità cristiana dei secoli futuri.
Nel 1523 Ignazio poté finalmente andare in pellegrinaggio a Gerusalemme, passando per Barcellona, Roma e Venezia, dove s'imbarcò per la Terrasanta. Non aveva soldi per pagarsi il viaggio e fu accolto sulla nave pellegrina solo per ordine del doge. Il suo sogno era di restare nella terra di Gesù; ma non gli fu permesso. Tornato a Venezia e a Barcellona, si chiese che cosa avrebbe fatto per l'avvenire.
Poiché desiderava "aiutare le anime", cioè darsi all'apostolato, si rese conto che doveva studiare. Dovette cominciare con i primi rudimenti del latino con qualche difficoltà, dato che aveva già 33 anni. Nel 1526 si recò ad Alcalá per studiare filosofia; ma fu inquisito come alumbrado (illuminato) per la foggia del suo vestito e perché dava Esercizi spirituali, e messo in carcere. Liberato, si recò a Salamanca; ma anche lì trovò giudici dell'inquisizione che gli proibirono di parlare di cose spirituali senza aver studiato teologia almeno per quattro anni. Fu così che si recò a Parigi a studiare teologia. Ma, poiché gli studi umanistici fatti a Barcellona, ad Alcalá e a Salamanca erano stati poco proficui, a Parigi, prima di affrontare gli studi di filosofia e teologia, frequentò con i ragazzi la scuola di latino. Poi, per tre anni studiò filosofia, conseguendo il. titolo di magister artium, e per due anni teologia: la tenacia e l'intelligenza gli permisero di superare gli ostacoli dell'età e della povertà, cosicché riuscì a conseguire una buona conoscenza della filosofia e della teologia dell'epoca.
Ma, mentre studiava a Parigi, Ignazio fece amicizia con alcuni compagni di corso e diede loro gli Esercizi Spirituali, riuscendo in tal modo ad associarli al suo progetto: dedicarsi al bene spirituale del prossimo in perfetta povertà, ad imitazione di Cristo. Questi "amici nel Signore" sarebbero stati il primo nucleo della Compagnia di Gesù. Ma Ignazio e i suoi amici non pensavano ancora a fondare un ordine religioso. Così, il 15 agosto 1534 fecero voto di consacrarsi all'apostolato in povertà. Prima però i sette amici sarebbero andati in pellegrinaggio a Gerusalemme. Se ciò non fosse stato possibile, dopo un anno di attesa si sarebbero presentati al papa, affinché li mandasse dove avesse creduto essere più utile per il bene della Chiesa.
In realtà, così avvenne. A causa del pericolo di una guerra tra Venezia e i Turchi, nessuna nave nel 1537 salpò da Venezia per Gerusalemme. Così, passato l'anno di attesa, Ignazio e i suoi compagni (nove in tutto, essendosi nel frattempo aggregati al gruppo altri tre) si fecero ordinare sacerdoti e, divisi in piccoli gruppi, presero la via di Roma. Si poneva un problema: se fosse stato chiesto loro durante il viaggio chi erano, come dovevano rispondere? Decisero di rispondere che facevano parte della Compagnia di Gesù. Che senso aveva questa espressione? Compagnia non aveva alcun senso militare, ma significava "associazione" religiosa o culturale: così, esisteva a Roma la "Compagnia del Divino Amore", che era un'associazione di persone decise a vivere secondo i principi della riforma cattolica. Di Gesù significava che il capo del gruppo, a cui esso desiderava servire, era Gesù. Questo loro desiderio di servire "solo" Gesù fu confermato da Dio stesso: mentre Ignazio con due compagni era alle porte di Roma, stando a pregare in una cappella detta la Storta, gli apparvero il Padre e Cristo che portava la croce. Il Padre disse a Gesù indicando Ignazio: "Voglio che tu prenda questi per tuo servo". Gesù, a sua volta, rivolgendosi ad Ignazio, gli disse: "Voglio che tu ci serva".
Questo fenomeno mistico è probabilmente il fatto più decisivo nella vita di S. Ignazio di Loyola, ed ha avuto la più grande importanza non solo nella fondazione, ma nella vita e nell'apostolato della Compagnia di Gesù: "Il Padre - scrive il P.C. de Dalmasés - unisce strettamente Ignazio a Gesù carico della croce, e gli esprime la sua volontà che si dedichi al suo servizio. Ignazio è chiamato alla mistica dell'unione, a essere "messo con Cristo", e alla mistica del servizio; è invitato a consacrare la sua vita al servizio divino [ ... ]. Il fenomeno mistico vissuto da Ignazio ebbe una chiara ripercussione nella fondazione della Compagnia di Gesù.
Ignazio si sentiva intimamente unito a Cristo, e volle che la compagnia che stava nascendo fosse totalmente dedicata a Lui e ne portasse il nome. Un nome che era tutto un programma: essere "compagni di Gesù", arruolati sotto la bandiera della croce per dedicarsi al servizio di Dio e al bene del prossimo" (Il Padre Maestro Ignazio. La vita e l'opera di sant'Ignazio di Loyola, Jaka Book, Milano, 1984, 179-180).

Nasce la Compagnia di Gesù
Nel 1538 Ignazio e i suoi nove compagni si presentarono al papa Paolo III e si misero a sua disposizione. Il papa ne fu contento e mostrò il desiderio che non pensassero più ad andare a Gerusalemme, ma restassero a lavorare apostolicamente in Italia. Per il gruppo si poneva un problema: che fare per il futuro? Già arrivavano richieste al papa da varie parti, perché mandasse qualcuno del gruppo. Perciò, prima di dividersi, dovevano decidere se andare dove erano richiesti come persone individuali o come membri di un organismo stabile. Dovevano decidere, insomma, se fondare o no un nuovo ordine religioso. Dopo molte discussioni fu deciso all'unanimità che il gruppo dovesse restare unito e che tutti dovessero fare voto di ubbidienza a chi tra loro fosse stato scelto come superiore. Si decise anche che, oltre ai tre voti di castità, povertà e obbedienza, si doveva fare un voto speciale di obbedienza al papa, col quale ci si obbligava ad andare in qualsiasi parte del mondo egli li avesse voluti inviare.
Finite le consultazioni, il 24 giugno 1539, Ignazio redasse un progetto in 5 punti, detto Formula lnstituti, che doveva costituire la Regola (oggi noi diremmo: la Carta Costituzionale) della Compagnia di Gesù.
Il nuovo ordine religioso si sarebbe chiamato "Compagnia di Gesù" (l'accento era posto non su "Compagnia", che significava semplicemente "società, associazione", senza alcun significato militare, ma su "di Gesù", per indicare la totale dedizione all'amore e al servizio di Cristo); si sarebbe posto con un voto speciale al servizio del Papa e della Chiesa; avrebbe avuto come suo fine la difesa e la propagazione della fede, l'insegnamento delle verità cristiane ai fanciulli e ai rozzi, il ministero sacerdotale e le opere di carità: tutto questo, gratuitamente; la recita dell'Ufficio divino sarebbe stata fatta in privato e non in coro, e non ci sarebbero state penitenze imposte per regola, ma sarebbero state lasciate alla devozione di ciascuno; il superiore generale avrebbe dovuto essere eletto a vita; le case professe non avrebbero dovuto avere rendite fisse, in modo da poter "predicare il Vangelo in povertà".
Il papa Paolo III approvò questa prima bozza del nuovo istituto il 3 settembre 1539 a viva voce e poi solennemente il 27 settembre 1540 con la bolla Regimini militantis Ecclesiae. Un nuovo Ordine religioso - la Compagnia di Gesù - era nato nella Chiesa e veniva ad aggiungersi al numero degli Ordini religiosi canonicamente eretti. Ignazio fu eletto superiore generale il 5 aprile 1541. Da allora la sua vita cambiò radicalmente. Fino alla sua venuta a Roma egli era stato un "pellegrino" per le vie della Spagna, dell'Italia e della Francia e si era spinto fino a Gerusalemme, nelle Fiandre e a Londra. Dal 1541 al 1556, anno della sua morte, Ignazio non si mosse da Roma. Qui egli si diede ad opere di apostolato e di carità, interessandosi dei catecumeni provenienti dal giudaismo, delle prostitute "convertite", delle giovani che versavano in grave pericolo, dell'assistenza spirituale agli infermi, delle masse di bambini orfani. Tuttavia, il suo lavoro più impegnativo fu quello di redigere le Costituzioni della Compagnia di Gesù e quello di dirigere la Compagnia e d'inviare gesuiti in ogni parte del mondo: in tutti i Paesi europei, specialmente in Germania per arginare il luteranesimo; in India, dove mandò S. Francesco Saverio; in Brasile; in Etiopia. A Roma fondò il Collegio Romano e nel 1548 mandò gesuiti a Messina a fondare il primo collegio della Compagnia di Gesù. Soffriva da molti anni di calcolosi biliare e morì all'alba del 21 luglio 1556, senza aver potuto ricevere né la benedizione del papa né gli ultimi sacramenti, perché sia il medico sia coloro che lo assistevano non si erano resi conto della gravità del suo male. "Morì dopo aver compiuto la sua "missione"", fu scritto di lui. In quel momento i gesuiti erano circa un migliaio e per suo merito la Compagnia di Gesù aveva assunto tutti i caratteri che avrebbe conservato fino ad oggi.

I gesuiti ieri e oggi
Chi fu Ignazio di Loyola e chi sono stati per quattro secoli e mezzo e sono oggi i gesuiti?
Ignazio di Loyola fu un uomo eccezionalmente dotato sotto il profilo umano, era di animo grande, nobile e generoso, aveva orrore della mediocrità e aspirava a fare cose grandi; aveva una strordinaria finezza di tratto e sapeva adattarsi alle persone; assai attento e misurato prima di prendere una decisione, era poi estremamente tenace nel mantenerla, quali che fossero le difficoltà da superare. Ma questa grande ricchezzza di doti umane era poca cosa rispetto all'eccezionalità dei doni di grazia di cui Dio l'aveva favorito. In primo luogo, i doni mistici: S. Ignazio di Loyola è stato, infatti, uno dei più grandi mistici cristiani. Poi, il dono di un singolare attaccamento personale a Gesù Cristo e alla Chiesa, al cui amore e al cui servizio volle dedicare totalmente la sua vita. Infine, il dono di essere un "contemplativo nell'azione", cioè di cercare e trovare Dio e la sua maggior gloria in tutte le cose, di unire insieme una profonda vita di preghiera ed un intenso lavoro apostolico, il cui campo d'azione era tutto il mondo. Questo stile di vita e questo spirito di ricerca nelle più svariate attività della gloria di Dio "sempre più grande" e del bene spirituale e temporale degli uomini "sempre più intenso" S. Ignazio di Loyola è riuscito a trasmetterli alla Compagnia di Gesù?
Se si guarda con l'occhio dello storico ai quattro secoli e mezzo di vita di quest'ordine religioso, non si può non restare impressionati da quello che i gesuiti hanno compiuto nel campo dell'attività missionaria in ogni parte del mondo, nel campo dell'apostolato nei Paesi cristiani dell'Europa e dell'America, nel campo dell'educazione giovanile attraverso i collegi e le Congregazioni Mariane, nei campi della teologia, della filosofia, della letteratura, della scienza, delle arti, nel campo della civilizzazione - si ricordino le Riduzioni del Paraguay - e delle opere sociali, nel campo delle scoperte scientifiche e geografiche, nel campo della formazione del clero e del laicato cattolico. In realtà, non c'è quasi mai nessun Paese del mondo in cui i gesuiti non abbiano lavorato e non c'è nessuna attività umana in cui non siano stati presenti, con l'intenzione di far servire ogni cosa per l'annunzio del Vangelo.
Certamente, hanno commesso errori e in non poche occasioni sono stati dalla parte sbagliata; ma molte volte hanno precorso i tempi e hanno aperto vie nuove all'evangelizzazione tra enormi difficoltà e spesso rischiando la vita: i gesuiti "martiri" sono innumerevoli.
La loro intraprendenza e la loro audacia non sempre sono state comprese ed apprezzate. Così, hanno suscitato avversioni, antipatie ed odii profondi, per cui hanno subìto persecuzioni, sono stati banditi ed esiliati da molti Paesi, sono stati calunniati e diffamati in ogni maniera e con tutti i mezzi, fino ad essere soppressi nel 1773 dal papa Clemente XIV sotto la pressione dei cristianissimi re di Francia, di Spagna e di Portogallo. In quattro secoli è nata sul loro conto tutta una libellistica che li ha fatti passare per intriganti, politicanti, falsi, inaffidabili, ]assisti in campo morale, tanto che la parola gesuita è ancora oggi usata per ingiuriare una persona.
Tuttavia, se i gesuiti hanno avuto molti amici ed avversari, hanno anche avuto molti amici, simpatizzanti ed ammiratori. Si deve, però, notare che anche questi amici ed ammiratori non sempre hanno apprezzato i gesuiti per quello che veramente meritava di essere apprezzato in essi e che non era né la cultura, né il saper fare, né la grandiosità e il successo delle opere, né la loro capacità pedagogica, ma il desiderio di lavorare per la maggior gloria di Dio, il desiderio di amare e servire Cristo e la Chiesa, l'impegno nel lavoro apostolico, insomma i valori evangelici della carità, della povertà, dell'umanità, del dono di sé a Dio e ai fratelli: in poche parole, la santità cristiana.
In realtà, è per i suoi santi, per i suoi martiri, per i suoi missionari e per tutti quei gesuiti, noti e ignoti, che nel silenzio e in condizioni di vita rischiose e tali da richiedere un continuo eroismo, hanno lavorato e sofferto per il Regno di Dio, che la Compagnia di Gesù merita di essere non esaltata e lodata - perché la santità e il martirio sono doni di Dio e Lui solo va esaltato e lodato nei suoi santi - ma valutata nel suo giusto valore. Ora, il numero di gesuiti che la Chiesa ha riconosciuto come santi, beati e martiri è molto elevato.
Quando perciò in occasione dei due centenari - di S. Ignazio e della Compagnia di Gesù - si parlerà dei gesuiti in termini piuttosto laudativi (come è d'uso fare nelle commemorazioni centenarie!); quando, cioè, si ricorderà che oggi i gesuiti sono un grande (e "potente", aggiungerò qualcuno) Ordine religioso, contando circa 25.000 membri; quando si enumereranno i centri di cultura e di ricerca, le riviste, le università e i collegi che essi dirigono; quando si segnalerò la loro presenza nei campi più diversi - dai mass media ai drogati e ai rifugiati -, amici e simpatizzanti della Compagnia non si profondino in lodi per i gesuiti e per le loro attività, ma piuttosto ringrazino Dio che ancora concede alla Compagnia di Gesù di poter servire Gesù Cristo e la Chiesa, e soprattutto lo ringrazino che anche oggi la Compagnia di Gesù, al pari di altri Ordini e Congregazioni religiose. dà alla Chiesa santi e martiri, capaci di testimoniare fino al versamento del sangue la loro fedeltà a Gesù Cristo e il loro amore ai poveri.
Per parte mia, vorrei che questi due centenari ispirassero in molti giovani il desiderio di vivere il Vangelo e di porsi a servizio della Chiesa e degli uomini, seguendo la via indicata da S. Ignazio di Loyola con l'entrar a far parte della Compagnia di Gesù. Da vecchio gesuita, posso dire loro che ne vale la pena.


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