E'
cosa buona - e può essere anche interessante e utile - ricordare
uomini e vicende del passato. Ma un motivo che giustifichi perché
si parli di una data persona o di un certo avvenimento ci vuole. Oggi
un motivo sufficiente e valido è costituito dai "centenari".
in verità, non si capisce perché ci sia motivo per parlare
di una persona solo perché sono passati cento, duecento, seicento
anni dalla sua nascita o dalla sua morte; ma 'uso è ormai questo
e io mi ci atterrò. Parlerò dunque di S. Ignazio di Loyola,
fondatore dei gesuiti, perché nel 1991 ricorre il quinto centenario
della sua nascita, e parlerà della Compagnia di Gesù,
perché nel 1990 ricorre il 450° anno della sua fondazione.
A dire il vero, però, i due centenari sono solo un pretesto.
il motivo vero che m'induce a parlare di S. Ignazio e della Compagnia
di Gesù è che si tratta di un santo e di un'opera che
sono significativi per il nostro tempo, sono - come oggi si dice - "attuali".
C'è, poi, il fatto che S. Ignazio è sconosciuto alla maggior
parte delle persone e i gesuiti sono conosciuti, ma nel peggiore dei
modi: vale perciò la pena dire qualcosa di S. Ignazio e cercare
di correggere, se è possibile, almeno qualche tratto dell'immagine
che comunemente ci si fa dei gesuiti.
L'avventura
spirituale di S. Ignazio di Loyola
E' curioso che S. Ignazio sia così poco conosciuto; eppure,
è uno degli uomini che più hanno influito sulla storia
del loro tempo e il cui influsso dura ancora oggi a 500 anni dalla
sua nascita. Probabilmente, l'importanza che storicamente ha assunto
la sua opera - la Compagnia di Gesù - ha messo in secondo piano
la sua figura. Tuttavia, "dietro" la Compagnia c'è
S. Ignazio, ed essa sarebbe incomprensibile nel suo spirito e nella
sua attività se non si conoscessero la vita, l'esperienza spirituale
e mistica di S. Ignazio e l'ideale e il metodo apostolico che egli
volle dare alla Compagnia di Gesù.
S. Ignazio nacque nel 1491 nel castello della nobile famiglia del
Loyola, vicino alla città di Azpeitia, nella provincia bosco
di Guipúzcoa (Spagna) e fu battezzato col nome di Iñigo
Lòpez de Loyola. Iñigo era il nome di un santo abate
benedettino di Burgos; più tardi, Ignazio lo cambiò
nel nome che gli fu poi abituale, forse per devozione a S. Ignazio
di Antiochia, martirizzato a Roma sotto Traiano. Ebbe una buona educazione
cristiana, anche se nei primi anni giovanili non mancarono colpe morali
più o meno gravi. La Spagna di quegli anni viveva due grandi
momenti storici: era da poco finita la guerra di "riconquista"
della Spagna dai mori con la caduta di Granada (2 giugno 1492) che
Colombo scopriva l'America (12 ottobre 1492). Un'epoca, dunque, favorevole
alle avventure più audaci per coloro che volevano "fare
cose grandi". Tra questi c'era il giovane Ignazio, il quale,
essendo l'ultimo di tredici figli, non poteva sperare nell'eredità
paterna, ma doveva contare solo sulle proprie forze e sul proprio
coraggio. la sua aspirazione, infatti, era quella di divenire un perfetto
e valoroso cavaliere e porsi al servizio di qualche signore. Così,
dopo aver passato alcuni anni ad Arévalo, per imparare le arti
cavalleresche, nel 1516 si pose a servizio del viceré di Navarra.
Questa regione era contesa, per la sua posizione geografica strategica,
tra la Spagna e la Francia. Così, nel 1521 i francesi entrarono
nella Navarra e posero l'assedio alla capitale, Pamplona, che presto
cadde nelle loro mani. Solo la fortezza resisteva: vi era un nucleo
di cavalieri e soldati che non intendevano arrendersi; tra di essi,
tra i più decisi a non cedere, c'era Ignazio di Loyola. Ma,
quando i francesi ripresero il cannoneggiamento della fortezza e i
cavalieri spagnoli in essa rinchiusi si disponevano a respingere con
le armi in pugno gli assalitori, un colpo di cannone colpì
Ignazio, frantumandogli una gamba e ferendogli l'altra. La fortezza
si arrese subito.
Ad Ignazio e ai suoi compagni fu concesso l'onore delle armi. Il ferito
fu trasportato nel suo Castello di Loyola, dove si sottopose ad una
"tremenda carnefina" (sono parole di S. Ignazio) per poter
riprendere l'uso degli arti (ma restò sempre con una gamba
zoppicante). Il suo desiderio era tornare a fare il cavaliere e l'uomo
di corte. Perciò, per passare il tempo in attesa della guarigione,
chiese di poter leggere libri che narravano imprese di cavalieri,
allora molto in voga. Ma nel Castello non si trovarono libri del genere.
Così, gli vennero portati due libri - una Vita di Cristo e
una Legenda aurea (cioè una raccolta di vite di santi) - che
non erano proprio del genere di quelli da lui richiesti, ma che non
gli dispiacquero, anche perché pure in essi si parlava di cavalleria,
sia pure di altro genere (a loro modo S. Francesco d'Assisi e S. Domenica
di Guzmán erano anch'essi "cavalieri di Cristo").
Ignazio cominciò allora a riflettere se non avesse potuto fare
anche lui quanto avevano fatto S. Francesco e S. Domenica. Così,
illuminato e spinto dalla grazia di Dio, decise di cambiar vita: avrebbe,
anzitutto, fatto un pellegrinaggio a Gerusalemme e poi si sarebbe
dato ad una vita di aspre penitenze, magari in un monastero certosino.
Diede subito inizio al suo progetto e volle cominciare la sua nuova
vita con una "veglia d'armi", come solevano fare i cavalieri
prima d'indossare l'armatura. Così, passò la notte tra
il 24 e il 25 marzo 1522 dinanzi all'immagine della Madonna nel santuario
di Montserrat. La prossima tappa doveva essere Barcellona, dove avrebbe
dovuto imbarcarsi per l'Italia per andare a Roma a chiedere al Papa
il permesso di pellegrinare in Terrasanta; ma dovette fermarsi per
qualche giorno a Manresa, per non essere riconosciuto da qualche persona
del seguito del nuovo papa Adriano VI che, eletto sommo pontefice
in Spagna (9 gennaio 1522), stava andando a Roma.
I pochi giorni che avrebbe dovuto fermarsi a Manresa e che avrebbero
dovuto essere spesi "nell'annotare alcune cose nel suo libro"
si prolungarono fino all'inizio del 1523. Fu, quello. il periodo forse
più importante nella vita di S. Ignazio: a Manresa, infatti,
tra dure prove interiori e straordinarie illuminazioni divine -celebre
quella ricevuta sulla sponda del fiume Cardoner - avvenne la trasformazione
spirituale d'Ignazio e nacquero gli Esercizi Spirituali, un'opera
che - frutto dell'esperienza spirituale dello stesso Ignazio - avrebbe
costituito il nucleo essenziale della spiritualità della Compagnia
di Gesù e avrebbe avuto un influsso enorme sulla vita e la
spiritualità cristiana dei secoli futuri.
Nel 1523 Ignazio poté finalmente andare in pellegrinaggio a
Gerusalemme, passando per Barcellona, Roma e Venezia, dove s'imbarcò
per la Terrasanta. Non aveva soldi per pagarsi il viaggio e fu accolto
sulla nave pellegrina solo per ordine del doge. Il suo sogno era di
restare nella terra di Gesù; ma non gli fu permesso. Tornato
a Venezia e a Barcellona, si chiese che cosa avrebbe fatto per l'avvenire.
Poiché desiderava "aiutare le anime", cioè
darsi all'apostolato, si rese conto che doveva studiare. Dovette cominciare
con i primi rudimenti del latino con qualche difficoltà, dato
che aveva già 33 anni. Nel 1526 si recò ad Alcalá
per studiare filosofia; ma fu inquisito come alumbrado (illuminato)
per la foggia del suo vestito e perché dava Esercizi spirituali,
e messo in carcere. Liberato, si recò a Salamanca; ma anche
lì trovò giudici dell'inquisizione che gli proibirono
di parlare di cose spirituali senza aver studiato teologia almeno
per quattro anni. Fu così che si recò a Parigi a studiare
teologia. Ma, poiché gli studi umanistici fatti a Barcellona,
ad Alcalá e a Salamanca erano stati poco proficui, a Parigi,
prima di affrontare gli studi di filosofia e teologia, frequentò
con i ragazzi la scuola di latino. Poi, per tre anni studiò
filosofia, conseguendo il. titolo di magister artium, e per due anni
teologia: la tenacia e l'intelligenza gli permisero di superare gli
ostacoli dell'età e della povertà, cosicché riuscì
a conseguire una buona conoscenza della filosofia e della teologia
dell'epoca.
Ma, mentre studiava a Parigi, Ignazio fece amicizia con alcuni compagni
di corso e diede loro gli Esercizi Spirituali, riuscendo in tal modo
ad associarli al suo progetto: dedicarsi al bene spirituale del prossimo
in perfetta povertà, ad imitazione di Cristo. Questi "amici
nel Signore" sarebbero stati il primo nucleo della Compagnia
di Gesù. Ma Ignazio e i suoi amici non pensavano ancora a fondare
un ordine religioso. Così, il 15 agosto 1534 fecero voto di
consacrarsi all'apostolato in povertà. Prima però i
sette amici sarebbero andati in pellegrinaggio a Gerusalemme. Se ciò
non fosse stato possibile, dopo un anno di attesa si sarebbero presentati
al papa, affinché li mandasse dove avesse creduto essere più
utile per il bene della Chiesa.
In realtà, così avvenne. A causa del pericolo di una
guerra tra Venezia e i Turchi, nessuna nave nel 1537 salpò
da Venezia per Gerusalemme. Così, passato l'anno di attesa,
Ignazio e i suoi compagni (nove in tutto, essendosi nel frattempo
aggregati al gruppo altri tre) si fecero ordinare sacerdoti e, divisi
in piccoli gruppi, presero la via di Roma. Si poneva un problema:
se fosse stato chiesto loro durante il viaggio chi erano, come dovevano
rispondere? Decisero di rispondere che facevano parte della Compagnia
di Gesù. Che senso aveva questa espressione? Compagnia non
aveva alcun senso militare, ma significava "associazione"
religiosa o culturale: così, esisteva a Roma la "Compagnia
del Divino Amore", che era un'associazione di persone decise
a vivere secondo i principi della riforma cattolica. Di Gesù
significava che il capo del gruppo, a cui esso desiderava servire,
era Gesù. Questo loro desiderio di servire "solo"
Gesù fu confermato da Dio stesso: mentre Ignazio con due compagni
era alle porte di Roma, stando a pregare in una cappella detta la
Storta, gli apparvero il Padre e Cristo che portava la croce. Il Padre
disse a Gesù indicando Ignazio: "Voglio che tu prenda
questi per tuo servo". Gesù, a sua volta, rivolgendosi
ad Ignazio, gli disse: "Voglio che tu ci serva".
Questo fenomeno mistico è probabilmente il fatto più
decisivo nella vita di S. Ignazio di Loyola, ed ha avuto la più
grande importanza non solo nella fondazione, ma nella vita e nell'apostolato
della Compagnia di Gesù: "Il Padre - scrive il P.C. de
Dalmasés - unisce strettamente Ignazio a Gesù carico
della croce, e gli esprime la sua volontà che si dedichi al
suo servizio. Ignazio è chiamato alla mistica dell'unione,
a essere "messo con Cristo", e alla mistica del servizio;
è invitato a consacrare la sua vita al servizio divino [ ...
]. Il fenomeno mistico vissuto da Ignazio ebbe una chiara ripercussione
nella fondazione della Compagnia di Gesù.
Ignazio si sentiva intimamente unito a Cristo, e volle che la compagnia
che stava nascendo fosse totalmente dedicata a Lui e ne portasse il
nome. Un nome che era tutto un programma: essere "compagni di
Gesù", arruolati sotto la bandiera della croce per dedicarsi
al servizio di Dio e al bene del prossimo" (Il Padre Maestro
Ignazio. La vita e l'opera di sant'Ignazio di Loyola, Jaka Book, Milano,
1984, 179-180).
Nasce la Compagnia
di Gesù
Nel 1538 Ignazio e i suoi nove compagni si presentarono al papa Paolo
III e si misero a sua disposizione. Il papa ne fu contento e mostrò
il desiderio che non pensassero più ad andare a Gerusalemme,
ma restassero a lavorare apostolicamente in Italia. Per il gruppo
si poneva un problema: che fare per il futuro? Già arrivavano
richieste al papa da varie parti, perché mandasse qualcuno
del gruppo. Perciò, prima di dividersi, dovevano decidere se
andare dove erano richiesti come persone individuali o come membri
di un organismo stabile. Dovevano decidere, insomma, se fondare o
no un nuovo ordine religioso. Dopo molte discussioni fu deciso all'unanimità
che il gruppo dovesse restare unito e che tutti dovessero fare voto
di ubbidienza a chi tra loro fosse stato scelto come superiore. Si
decise anche che, oltre ai tre voti di castità, povertà
e obbedienza, si doveva fare un voto speciale di obbedienza al papa,
col quale ci si obbligava ad andare in qualsiasi parte del mondo egli
li avesse voluti inviare.
Finite le consultazioni, il 24 giugno 1539, Ignazio redasse un progetto
in 5 punti, detto Formula lnstituti, che doveva costituire la Regola
(oggi noi diremmo: la Carta Costituzionale) della Compagnia di Gesù.
Il nuovo ordine religioso si sarebbe chiamato "Compagnia di Gesù"
(l'accento era posto non su "Compagnia", che significava
semplicemente "società, associazione", senza alcun
significato militare, ma su "di Gesù", per indicare
la totale dedizione all'amore e al servizio di Cristo); si sarebbe
posto con un voto speciale al servizio del Papa e della Chiesa; avrebbe
avuto come suo fine la difesa e la propagazione della fede, l'insegnamento
delle verità cristiane ai fanciulli e ai rozzi, il ministero
sacerdotale e le opere di carità: tutto questo, gratuitamente;
la recita dell'Ufficio divino sarebbe stata fatta in privato e non
in coro, e non ci sarebbero state penitenze imposte per regola, ma
sarebbero state lasciate alla devozione di ciascuno; il superiore
generale avrebbe dovuto essere eletto a vita; le case professe non
avrebbero dovuto avere rendite fisse, in modo da poter "predicare
il Vangelo in povertà".
Il papa Paolo III approvò questa prima bozza del nuovo istituto
il 3 settembre 1539 a viva voce e poi solennemente il 27 settembre
1540 con la bolla Regimini militantis Ecclesiae. Un nuovo Ordine religioso
- la Compagnia di Gesù - era nato nella Chiesa e veniva ad
aggiungersi al numero degli Ordini religiosi canonicamente eretti.
Ignazio fu eletto superiore generale il 5 aprile 1541. Da allora la
sua vita cambiò radicalmente. Fino alla sua venuta a Roma egli
era stato un "pellegrino" per le vie della Spagna, dell'Italia
e della Francia e si era spinto fino a Gerusalemme, nelle Fiandre
e a Londra. Dal 1541 al 1556, anno della sua morte, Ignazio non si
mosse da Roma. Qui egli si diede ad opere di apostolato e di carità,
interessandosi dei catecumeni provenienti dal giudaismo, delle prostitute
"convertite", delle giovani che versavano in grave pericolo,
dell'assistenza spirituale agli infermi, delle masse di bambini orfani.
Tuttavia, il suo lavoro più impegnativo fu quello di redigere
le Costituzioni della Compagnia di Gesù e quello di dirigere
la Compagnia e d'inviare gesuiti in ogni parte del mondo: in tutti
i Paesi europei, specialmente in Germania per arginare il luteranesimo;
in India, dove mandò S. Francesco Saverio; in Brasile; in Etiopia.
A Roma fondò il Collegio Romano e nel 1548 mandò gesuiti
a Messina a fondare il primo collegio della Compagnia di Gesù.
Soffriva da molti anni di calcolosi biliare e morì all'alba
del 21 luglio 1556, senza aver potuto ricevere né la benedizione
del papa né gli ultimi sacramenti, perché sia il medico
sia coloro che lo assistevano non si erano resi conto della gravità
del suo male. "Morì dopo aver compiuto la sua "missione"",
fu scritto di lui. In quel momento i gesuiti erano circa un migliaio
e per suo merito la Compagnia di Gesù aveva assunto tutti i
caratteri che avrebbe conservato fino ad oggi.
I gesuiti ieri
e oggi
Chi fu Ignazio di Loyola e chi sono stati per quattro secoli e mezzo
e sono oggi i gesuiti?
Ignazio di Loyola fu un uomo eccezionalmente dotato sotto il profilo
umano, era di animo grande, nobile e generoso, aveva orrore della
mediocrità e aspirava a fare cose grandi; aveva una strordinaria
finezza di tratto e sapeva adattarsi alle persone; assai attento e
misurato prima di prendere una decisione, era poi estremamente tenace
nel mantenerla, quali che fossero le difficoltà da superare.
Ma questa grande ricchezzza di doti umane era poca cosa rispetto all'eccezionalità
dei doni di grazia di cui Dio l'aveva favorito. In primo luogo, i
doni mistici: S. Ignazio di Loyola è stato, infatti, uno dei
più grandi mistici cristiani. Poi, il dono di un singolare
attaccamento personale a Gesù Cristo e alla Chiesa, al cui
amore e al cui servizio volle dedicare totalmente la sua vita. Infine,
il dono di essere un "contemplativo nell'azione", cioè
di cercare e trovare Dio e la sua maggior gloria in tutte le cose,
di unire insieme una profonda vita di preghiera ed un intenso lavoro
apostolico, il cui campo d'azione era tutto il mondo. Questo stile
di vita e questo spirito di ricerca nelle più svariate attività
della gloria di Dio "sempre più grande" e del bene
spirituale e temporale degli uomini "sempre più intenso"
S. Ignazio di Loyola è riuscito a trasmetterli alla Compagnia
di Gesù?
Se si guarda con l'occhio dello storico ai quattro secoli e mezzo
di vita di quest'ordine religioso, non si può non restare impressionati
da quello che i gesuiti hanno compiuto nel campo dell'attività
missionaria in ogni parte del mondo, nel campo dell'apostolato nei
Paesi cristiani dell'Europa e dell'America, nel campo dell'educazione
giovanile attraverso i collegi e le Congregazioni Mariane, nei campi
della teologia, della filosofia, della letteratura, della scienza,
delle arti, nel campo della civilizzazione - si ricordino le Riduzioni
del Paraguay - e delle opere sociali, nel campo delle scoperte scientifiche
e geografiche, nel campo della formazione del clero e del laicato
cattolico. In realtà, non c'è quasi mai nessun Paese
del mondo in cui i gesuiti non abbiano lavorato e non c'è nessuna
attività umana in cui non siano stati presenti, con l'intenzione
di far servire ogni cosa per l'annunzio del Vangelo.
Certamente, hanno commesso errori e in non poche occasioni sono stati
dalla parte sbagliata; ma molte volte hanno precorso i tempi e hanno
aperto vie nuove all'evangelizzazione tra enormi difficoltà
e spesso rischiando la vita: i gesuiti "martiri" sono innumerevoli.
La loro intraprendenza e la loro audacia non sempre sono state comprese
ed apprezzate. Così, hanno suscitato avversioni, antipatie
ed odii profondi, per cui hanno subìto persecuzioni, sono stati
banditi ed esiliati da molti Paesi, sono stati calunniati e diffamati
in ogni maniera e con tutti i mezzi, fino ad essere soppressi nel
1773 dal papa Clemente XIV sotto la pressione dei cristianissimi re
di Francia, di Spagna e di Portogallo. In quattro secoli è
nata sul loro conto tutta una libellistica che li ha fatti passare
per intriganti, politicanti, falsi, inaffidabili, ]assisti in campo
morale, tanto che la parola gesuita è ancora oggi usata per
ingiuriare una persona.
Tuttavia, se i gesuiti hanno avuto molti amici ed avversari, hanno
anche avuto molti amici, simpatizzanti ed ammiratori. Si deve, però,
notare che anche questi amici ed ammiratori non sempre hanno apprezzato
i gesuiti per quello che veramente meritava di essere apprezzato in
essi e che non era né la cultura, né il saper fare,
né la grandiosità e il successo delle opere, né
la loro capacità pedagogica, ma il desiderio di lavorare per
la maggior gloria di Dio, il desiderio di amare e servire Cristo e
la Chiesa, l'impegno nel lavoro apostolico, insomma i valori evangelici
della carità, della povertà, dell'umanità, del
dono di sé a Dio e ai fratelli: in poche parole, la santità
cristiana.
In realtà, è per i suoi santi, per i suoi martiri, per
i suoi missionari e per tutti quei gesuiti, noti e ignoti, che nel
silenzio e in condizioni di vita rischiose e tali da richiedere un
continuo eroismo, hanno lavorato e sofferto per il Regno di Dio, che
la Compagnia di Gesù merita di essere non esaltata e lodata
- perché la santità e il martirio sono doni di Dio e
Lui solo va esaltato e lodato nei suoi santi - ma valutata nel suo
giusto valore. Ora, il numero di gesuiti che la Chiesa ha riconosciuto
come santi, beati e martiri è molto elevato.
Quando perciò in occasione dei due centenari - di S. Ignazio
e della Compagnia di Gesù - si parlerà dei gesuiti in
termini piuttosto laudativi (come è d'uso fare nelle commemorazioni
centenarie!); quando, cioè, si ricorderà che oggi i
gesuiti sono un grande (e "potente", aggiungerò qualcuno)
Ordine religioso, contando circa 25.000 membri; quando si enumereranno
i centri di cultura e di ricerca, le riviste, le università
e i collegi che essi dirigono; quando si segnalerò la loro
presenza nei campi più diversi - dai mass media ai drogati
e ai rifugiati -, amici e simpatizzanti della Compagnia non si profondino
in lodi per i gesuiti e per le loro attività, ma piuttosto
ringrazino Dio che ancora concede alla Compagnia di Gesù di
poter servire Gesù Cristo e la Chiesa, e soprattutto lo ringrazino
che anche oggi la Compagnia di Gesù, al pari di altri Ordini
e Congregazioni religiose. dà alla Chiesa santi e martiri,
capaci di testimoniare fino al versamento del sangue la loro fedeltà
a Gesù Cristo e il loro amore ai poveri.
Per parte mia, vorrei che questi due centenari ispirassero in molti
giovani il desiderio di vivere il Vangelo e di porsi a servizio della
Chiesa e degli uomini, seguendo la via indicata da S. Ignazio di Loyola
con l'entrar a far parte della Compagnia di Gesù. Da vecchio
gesuita, posso dire loro che ne vale la pena.
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