§ Sovranità limitate

La libertà del mari




Patrizia Mercurio



Non mancano nella cronaca episodi che in un modo o nell'altro riportano l'attenzione sulle leggi della territorialità e su quelle relative alle acque del mari, alla libertà degli stessi mari, all'accaparramento degli spazi oceanici o, per altro verso, allo sfruttamento dei fondi marini internazionali. Il discorso relativo alle responsabilità di ciò che avviene in prossimità delle coste è. talmente ampio che la materia, pur abbondantemente trattata, pone sempre nuovi e pressanti interrogativi.
Sappiamo bene che l'uomo non ha scoperto soltanto oggi il mare. Perché se è vero che il dominio degli spazi aerei è conquista del nostro secolo, è altrettanto vero e documentato che a solcare mari ed oceani sono stati uomini ardimentosi di epoche antichissime, audaci navigatori che hanno colpito la nostra fantasia negli anni della prima infanzia ed hanno arricchito la nostra conoscenza nell'età adolescenziale. Si ritiene infatti che, fin dalla notte dei tempi, l'uomo abbia trovato, per ovvie ragioni, una suo dimora stabile quasi sempre in prossimità di un corso d'acqua o sulle rive del mare; ciò testimonia, ove ve ne fosse bisogno, l'importanza della vita sul mare e, attraverso i mari, nelle successive epoche storiche.
Dalla navigazione egiziana alla tradizione omerica, dalle opere di Esiodo alle testimonianze di Strabone, Erodoto, Tucidide e Aristotele, le relazioni del popoli del Mediterraneo sono innegabili.
L'intensa attività del Micenei, eredi della grande esperienza "minoica" in fatto di marineria, conferma la salda tradizione della talassocrazia di Minos, un nome nel quale la storiografia greca compendiava memorie, nebulose ma non favolose, di un'età pienamente storica, quella che appunto, oggi si chiama "minoico-micenea". Il trapasso dall'età micenea al cosiddetto "medioevo ellenico" fu segnato da spostamenti dei popoli del mare tali da sconvolgere tutto il mondo mediterraneo. E, se i miti soverchiano le memorie propriamente storiche, sono tuttavia copiosi gli indizi dei contrasti fra le opposte rive del Mediterraneo.
L'odierna ricerca storica ed archeologica permette di scorgere, pur nella frammentarietà dei dati, i nessi fra i vari popoli del mare. Basti pensare all'enorme sviluppo delle colonie fenicie che punteggiavano lunghissimi tratti delle coste mediterranee e alla dislocazione delle colonie greche nel Mediterraneo; un'area commerciale tanto vasta non poteva reggersi se non con lo sviluppo di raffinati sistemi di comunicazione. Poi, quando Roma esce dal quadro di uno Stato territoriale-agricolo e a coronamento del propri sforzi costringe Cartagine a rinunciare al dominio sul mare e a frenare l'intemperanza e la marinaresca mobilità dello stato mercantile, diventa padrona del Mediterraneo ed intraprende una politica imperialistica, di conquista e di potenza. Scomparso l'impero d'Occidente, si ha l'ultima riviviscenza dell'Impero romano con Giustiniano, che riunifica il Mediterraneo. E mai, come in questo periodo, l'impero d'Oriente assume il ruolo di grande potenza mediterranea, non solo politica ma anche commerciale.
Sono note le vicende che hanno caratterizzato il predominio sui mari nel periodo successivo quando scorrerie, piraterie, soprusi hanno contrassegnato l'epoca storica dell'alto Medio Evo.
Successivamente, con le Crociate e con l'intenso traffico commerciale tra Oriente e Occidente. si è posta in evidenza l'opportunità della regolamentazione di un movimento rilevantissimo su tutti i mari. Ciò ha trovato poi una determinazione più ampia e via via di più vasta risonanza dal momento in cui, in seguito alla scoperta dell'America, l'interesse prevalente sui mari non era limitato al "Mare nostrum", ma esulava nella vastità di altri e nuovi traffici economici e commerciali. le grandi scoperte del XV e XVI secolo determinarono la necessità di stabilire un limite esatto alle rivendicazioni delle potenze iberiche rivali. Un tentativo per riportare l'ordine tra le due nazioni rivali fu fatto da papa Alessandro IV, il 4 maggio 1493, con la Bolla Inter Coetera.
E' del X secolo la prima rivendicazione di sovranità marittima degli Inglesi, da cui si prenderanno le mosse per la trattazione del discorso in esame. Prima, però, è opportuno trattare brevemente, e solo per sommi capi, gli aspetti relativi alla giurisdizione territoriale di uno Stato rispetto all'alto mare e alla definizione stessa di alto mare.
Ogni Stato, nell'ambito del proprio territorio (che comprende la terra, l'acqua e lo spazio aereo sovrastante), esercita poteri sovrani e di controllo; esercita cioè sul proprio territorio la sua giurisdizione. Però, al di la di questa giurisdizione territoriale vi è il mare, aperto all'uso comune di tutti gli uomini, che è chiamato alto mare. L'alto mare non può essere soggetto a diritti di sovranità: il libero uso è un elemento indispensabile per il commercio internazionale e per la navigazione. Non è stato però molto facile, soprattutto per quelle potenze tradizionalmente legate al principio di sovranità marittima, l'adattamento a questi principi. Ed infatti, sin dal X secolo, gli Inglesi rivendicavano diritti di proprietà sui mari. Molti sono i documenti che ci presentano il re d'Inghilterra come "Sovrano del mare britannico" o come "Re del Mari".
Tuttavia, anche se l'Inghilterra ha sempre svolto il ruolo di "padrona dei mari", non sono mancate rivendicazioni continentali di sovranità marittima. E mentre nel Nord la Danimarca e la Svezia rivendicavano la sovranità del Baltico e, più tardi, le pretese danesi si estendevano a tutti i Mari del Nord tra la Norvegia, Islanda e Groenlandia, nel Mediterraneo Venezia si attribuiva la sovranità sull'Adriatico, mentre Genova e Pisa rivendicavano il Mare Ligure. Si è avuto, in tal modo, che tra l'XI e il XVI secolo è stata completamente perduta la libertà del mare Mediterraneo.
Le cause sicuramente non sono state solo la rivalità tra le repubbliche di Venezia, Genova e Pisa per il monopolio del commercio con l'Oriente, ma anche le Crociate, che hanno utilizzato fino al massimo le risorse delle tre repubbliche per i trasporti marittimi.
Anche la Spagna reclamava il diritto esclusivo di navigazione su una zona di mare. Nel 1494, con il Trattato di Tordesillas tra il re di Spagna e il re di Portogallo, furono fissati i rispettivi limiti, con una linea tracciata a 370 leghe ad Ovest del Capo delle Isole Verdi. In base a questo accordo, ad Est (con il Brasile ad Ovest) tutto rientrava nella zona del Portogallo; ad Ovest, nella zona della Spagna. Le due potenze avevano il monopolio entro le rispettive zone.
Chi ha opposto per prima resistenza alle pretese di Spagna e Portogallo. della Danimarca, di Genova e di Venezia è stata la regina Elisabetta di Inghilterra, la quale, in occasione della spedizione di Drake nella zona spagnola, rifiutò di riconoscere "che la Spagna avesse il diritto di escludere dal traffico oppure dal navigare liberamente il vasto mare, considerando che l'uso del mare e dell'aria è libero a tutti, né può alcun diritto di proprietà del mare appartenere ad alcun popolo o privata persona, in quanto né la natura, né un pubblico uso e consuetudine permette il possesso di esso". Elisabetta, dunque, èstata la prima a proclamare la libertà dei mari in senso moderno. Si senti presto la necessità per gli Inglesi di avere una potente flotta per la protezione del traffico britannico d'oltremare. Fu con atti amministrativi e legislativi che i re inglesi dettero inizio alla creazione di quel sistema mercantile che contribuì all'espansione del commercio e navigazione inglesi.
L'Inghilterra non fu lenta nel trarre profitto dallo sviluppo della sua flotta militare e mercantile. Al principio del XVI secolo essa rinnovò le sue precedenti rivendicazioni di diritto di possessione dei mari britannici, che ora interpretava col significato di diritto di reclamare il saluto alla bandiera inglese, come un riconoscimento ivi della sua sovranità; diritto di proibire ogni atto di ostilità o dimostrazione di forze navali di altri Stati e diritto di impedire agli stranieri di pescare nelle dette acque senza "avere regolarmente richiesto ed ottenuto un permesso dal Re". L'area dei "Mari britannici" non era definita. Si allargava o si contraeva con la possibilità dell'Inghilterra di mantenere le proprie rivendicazioni.
L'esigenza primordiale dell'Inghilterra riguardo il mare britannico fu, come si è detto, il saluto. Enorme importanza rivestivano nel XVI e XVII secolo le questioni del diritto al saluto per stabilire il rango e la precedenza dovute all'Inghilterra e il conseguente riconoscimento degli altri Stati del diritto del Re alla sovranità dei "mari britannici". Erano in uso o erano possibili diversi tipi di saluto: saluto al cannone, il saluto mediante l'ammainare delle vele alte, il saluto mediante l'ammainare della bandiera (questi due ultimi tipi implicavano una sorta di sottomissione).
Prima del XVII secolo, nella Manica nacque l'uso del saluto alla bandiera mediante l'ammainare delle vele. Sembra che ciò accadde quando le due rive di questa zona di mare appartenevano al re d'Inghilterra, ai tempi dei primi re della dinastia angioina. Quest'uso, almeno inizialmente, sembra essere stato in connessione col controllo sulle navi e con la tendenza ad assicurare l'effettività di questo controllo allo scopo di reprimere la pirateria. Il testo nel quale è incorporato tutto ciò per la prima volta è un'ordinanza del re Giovanni, nel 1201, anche se poi non si sa se tale ordinanza avesse un carattere nazionale o internazionale. Tuttavia fino al XVI secolo i documenti fanno difetto nel mostrare che il diritto alla bandiera, così come lo si chiamava, fu messo in esecuzione nella Manica.
Con gli Stuart la questione del saluto alla bandiera nei "Mari britannici" acquista un'importanza sempre crescente fino a quando, con Carlo I, passa in primo piano nelle rivendicazioni britanniche.
Gli Stuart previdero chiaramente che la potenza britannica doveva basarsi su una forte Flotta, allo scopo di restituire "al suo antico stile e lustro quel più bel fiore della Corona Imperiale, la sovranità inglese nei mari inglesi".
Per limitare ancora di più l'influenza dell'Olanda. la cui ricchezza largamente si fondava sul commercio marittimo, l'Atto di Navigazione di Cromwell fissò in una norma legislativa le rivendicazioni inglesi.
Ciò offrì un pretesto per la guerra del 1672, finché, due anni dopo, l'Olanda riconobbe, con il Trattato di Westminster, l'obbligo di concedere l'onore della bandiera a tutti i bastimenti inglesi nelle acque britanniche, che per dichiarazione si estendevano "da Capo Finisterrae fino a Capo Staten in Norvegia". Questo impero dei mari incontrò l'opposizione di altre potenze, e in particolare della Francia, che lo rifiutò energicamente.
Attualmente il diritto al saluto in alto mare non è considerato una rigida legge, ma puramente un atto di cortesia dovuto al reciproco riconoscimento degli Stati sovrani del grado e della posizione appartenenti a ciascuno. Usualmente il saluto viene effettuato abbassando la bandiera, oppure sparando un certo numero di colpi di cannone. Le stesse considerazioni in sostegno della libertà del mari portarono alla graduale abolizione del pedaggi imposti da alcuni Stati per il diritto di passaggio nei mari aperti, adiacenti ai loro territori, e per il diritto di pesca o per la concessione di licenze particolari a bastimenti che frequentavano quelle aree. Infatti si rese evidente, poco dopo il principio del XX secolo, che queste pretese difficilmente potevano essere conciliate con la nuova condizione della libertà dei mari.
L'affermazione della libertà dei mari, nell'interesse di tutti i popoli, è stata una linea politica costantemente perseguita dalla Gran Bretagna durante tutto il XVII secolo. Dopo la fine del XVII secolo il principio della libertà dei mari è rimasto un principio incontestato del diritto internazionale pubblico del tempo di pace.
Alla fine della prima guerra mondiale, uno dei progetti del Patto della Società delle Nazioni, quello preparato dall'Italia, conteneva una clausola formale sulla libertà dei mari ed era suscettibile di applicazione sia per i tempi di pace che di guerra.
In virtù dell'art. 23, lett. e, i Membri della Società "prenderanno le misure necessarie per assicurare la garanzia e il mantenimento della libertà, delle comunicazioni e del transito".
Ora, è possibile dare una spiegazione e una giustificazione del principio delle libertà dell'alto mare?
Libertà dei mari oggi significa, intanto, che il mare è aperto all'uso comune e ininterrotto di tutte la Nazioni. Se il mare aperto non è soggetto alla sovranità di alcuno Stato, qual'è la sua posizione giuridica? Ulpiano dichiarò che il mare è aperto a tutti per natura. Celso, invece, considerò il mare come l'aria, comune a tutti gli uomini. In tempi meno lontani dai nostri significativa è l'opera Mare Liberum che Grozio scrisse nel 1606 per sostenere i diritti olandesi di navigazione e commercio con le indie, in opposizione ai diritti portoghesi al monopolio. Dal tempo di Grazia si è avuto un enorme progresso nel concetto della libertà dei mari.
E' stato detto da un grande giurista francese che "il mare aperto non fa parte del territorio di alcuno Stato. Nessuno Stato può vantare su di esso diritto di proprietà, sovranità o giurisdizione. Nessuno può legalmente pretendere di dettare leggi per i mari aperti".
L'Istituto di Diritto Internazionale, dopo una discussione molto dotta che ebbe luogo durante la sessione di Losanna nel 1927, adottò una dichiarazione che riassume chiaramente la posizione legale moderna: "il principio della libertà del mari implica, in special modo, le seguenti conseguenze:
1 ) libertà di navigazione nei mari aperti, soggetti ad esclusivo controllo, in mancanza di una convenzione contraria, dello stato la cui bandiera è portata dalla nave;
2) libertà di pesca in alto mare soggetto allo stesso controllo;
3) libertà di posare cavi sottomarini in alto mare;
4) libertà di circolazione aerea sopra il mare aperto".
Peraltro, gli internazionalisti non sono di accordo sul concetto giuridico di libertà dei mari. L'alto mare è res nullius o res communis? E' cosa non appartenente a nessuno. per cui è assente il principio della sovranità o è cosa appartenente a tutti, essendo il mare pubblico perché è un mezzo necessario per la navigazione e il commercio internazionali?

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