Per quali ragioni
negli ultimi otto anni il tasso di disoccupazione in Europa è
sceso così poco rispetto a quello degli Stati Uniti? E quali
i motivi per cui la crescita reale in Europa è stata tanto
più lenta? I dati attuali invertono i raffronti dei decenni
precedenti, soprattutto per quanto riguarda gli anni Sessanta e Cinquanta.
Laddove, rispetto all'acuta recessione mondiale seguita al secondo
shock petrolifero del 1979-80, così come alla recessione della
metà degli anni Settanta, dovuta al primo shock petrolifero,
gli Stati Uniti hanno registrato una ripresa, non si può dire
la stessa cosa per l'Europa. Qui, infatti, la crescita registrata
negli anni '80 non è stata abbastanza rapida da annullare i
ritardi economici conseguenti alle recessioni suddette. E' vero che
la produttività è aumentata più rapidamente in
Europa che non negli Stati Uniti, ma questi sono riusciti ad utilizzare
le risorse inattive.
Quali i motivi di questa differenza? Per gli economisti, il persistere
della disoccupazione in Europa rappresenta un difficile problema,
oggetto di un acceso dibattito. Le due tesi principali, che si contendono
una spiegazione del fenomeno, chiamano in causa i sindacati, considerati
forti in Europa e deboli negli Stati Uniti, e le strategie macroeconomiche,
attive nello stimolare la domanda negli Stati Uniti ma deliberatamente
inattive in Europa. La tesi ortodossa, per quanto riguarda l'Europa,
è che i sindacati, dominati da "addetti ai lavori"
con sicurezza del posto di lavoro, mantengono i salari reali così
elevati da rendere impossibile ai datori di lavoro il ricorso ad un
alto numero di "esterni". Come conseguenza, la disoccupazione
"naturale", vale a dire il tasso al di sotto del quale i
prezzi registrerebbero un'accelerazione pericolosa, è molto
più alta rispetto a quella precedente il 1979 e ancora più
alta in rapporto ai dati anteriori al 1973. Quanto alle misure di
espansione monetaria e fiscale, i responsabili politici delle Banche
Centrali e dei ministeri finanziari europei ritengono che la lezione
degli anni Settanta insegni come gli incentivi alla domanda abbiano
sempre effetti inflazionistici, a prescindere dal livello di depressione
dell'economia interessata. Tesi, questa, che trova concordi numerosi
economisti sulle due sponde dell'Atlantico.
L'altra tesi sostiene, viceversa, che la domanda aggregata di beni
e servizi e di manodopera è cronicamente insufficiente in Europa,
e che le strategie di espansione fiscale e/o monetaria non sortirebbero
effetti inflazionisti gravi all'interno di economie stagnanti. Il
dibattito in corso riporta all'opposizione scatenata negli anni Trenta
dalle teorie keynesiane. Allora, come si ricorderà, economisti
e funzionari eccessivamente ortodossi attribuivano l'alto tasso di
disoccupazione a salari reali rigidamente elevati, mentre Keynes e
i suoi sostenitori ne attribuivano la causa alla domanda insufficiente
e indicavano nell'aumento della spesa pubblica e nelle facilitazioni
del credito lo strumento atto a creare posti di lavoro. Oggi si può
affermare che Keynes era nel giusto.
Accade, a volte, che un'attenta analisi empirica e statistica possa
favorire la scelta tra diverse ipotesi. In un articolo all'alba del
1990 del New England Economic Review, pubblicato dalla Federal Reserve
Bank di Boston con il titolo "In che misura può essere
considerato naturale il tasso naturale di disoccupazione in Europa?",
Geoffrey Tootell contesta la spiegazione ortodossa per quanto riguarda
l'Europa degli anni Ottanta. L'autore non esclude che un "divario
salariale" - cioè un salario reale troppo elevato, tale
da scoraggiare una politica di maggiore occupazione - sia stato un
fattore non trascurabile in relazione ai modesti aumenti del tasso
di disoccupazione registrati alla fine degli anni Settanta. Egli,
tuttavia, tiene a sottolineare come, da allora, il fattore in questione
sia scomparso.

Per quanto riguarda la ripresa degli Stati Uniti nel periodo 1983-90,
il merito principale va alla efficiente gestione della domanda da
parte della Federal Reserve. Mentre la responsabilità prima
della mancata partecipazione dell'Europa alla ripresa stessa ricade
sulla indisponibilità delle Banche Centrali e dei governi ad
espandere la domanda.
Nessuno esclude l'esistenza di problemi strutturali, ma è pur
vero che i governi hanno avuto a disposizione dieci anni per affrontarli
e risolverli.