Terribile
e pesante, per la Puglia, l'eredità del primo degli anni Novanta.
E non tanto per gli effetti riflessi - ma egualmente disastrosi, a lungo
termine - che sull'economia regionale potrebbe dispiegare la crisi del
Golfo (con la prevedibile penalizzazione delle aree più depresse
della Comunità economica europea e di quelle che, a sviluppo
decelerato, sono ai minimi storici nella Formazione dei redditi e del
capitale), quanto per le emergenze locali che si vanno profilando all'orizzonte,
all'ombra e al riparo della più ampia e critica congiuntura internazionale.
Intanto, non è più la Puglia del miracolo industriale
e delle "insospettabili risorse alternative", fin troppo arbitrariamente
delineata nelle indagini socio-economiche degli anni Ottanta, quando
l'ottimismo per una crescita illimitata del Mezzogiorno era cifra e
misura univoche dei rilevamenti e delle statistiche ufficiali. Dorsale
adriatica e pelle di leopardo si sono dimostrati termini ambigui e generalizzazioni
mistificatorie, che hanno dato della Puglia un'immagine distorta e così
artefatta da non reggere l'urto con l'evidenza delle cifre e con l'urgenza,
ormai perenne, dei fatti e delle circostanze. Con il risultato di non
aver visto nascere e maturare, alla fine, una sesta Puglia, sibaritica
e sovraregionale, in buona parte indefinibile e impenetrabile, senza
rodici e senza propositi, sempre più distratto nel futuro e,
nell'immediato, sempre meno Europa.
Per benessere economico, qualità dei servizi' e tranquillità
sociale, la sesta Puglia è, rispettivamente, la più povera,
la più inefficiente e la più inquieta delle regioni italiane.
A stabilirlo, un check-up in tre tappe de "Il Sole-24 Ore",
nell'ottobre scorso, con classifica generale e graduatorie settoriali
del 95 capoluoghi della Penisola. E i rapporti, fino a poco tempo fa
riservati, della Corte dei Conti europea e della Commissione bicamerale
d'inchiesta sulla mafia e sulla criminalità organizzata.
Il quadro che se ne ricava è a dir poco desolante e contraddittorio,
con ricchezze e povertà contigue, spesso impermeabili, ma quasi
sempre associate a forme nuove e inedite di violenza e di emarginazione,
e con paurose zone d'ombra dove l'uomo, direbbe Viktor Frankl, "non
può esistere nemmeno nella prospettiva del futuro". Ben
lontani, dunque, da quell'umanesimo economico che nella terra e nelle
fibre muscolari sembrava aver trovato una storia e un destino. E una
propria, originalissima, proiezione nel Duemila.
Benessere economico
Sono pugliesi, e in parte siciliani e calabresi, gli ultimi posti
nella graduatoria nazionale. Come dieci anni fa, ma questa volta il
coinvolgimento della pianura e delle serre pugliesi nel South Downs
appenninico è più completo e perentorio: Lecce, Bari,
Brindisi, Taranto e Foggia (nell'ordine, sotto il profilo della ricchezza)
sono oggi più vicine a Messina, Catanzaro e Palermo, di quanto
non lo fossero, cinque anni la, a Pescara, Ascoli Piceno e Terni,
in quell'ideale rettilineo dello sviluppo che saldava il Centro e
il Mezzogiorno lungo la costa dell'Adriatico. A Taranto, addirittura,
il ripiegamento è verticale. Pur avendo il reddito pro-capite
più alto della regione (13,3 milioni di lire annue, contro
i 10,6 di Lecce, gli 11,5 di Brindisi e i 12,9 di Bari) e sostanzialmente
identico a quello di altre città industriali monoproduttive,
Taranto detiene il record italiano di iscritti nelle liste di collocamento
in percentuale sulla popolazione attiva (32,29%, contro una media
nazionale del 10, 35%, e il 16,33% di Brindisi e il 18,64% di Lecce,
che non dispongono però di un'analoga capacitò propulsiva
di risorse e di impianti), quello dei fallimenti delle imprese (4
su mille, nel 1988, ancora al di sopra della media nazionale) e quello
dei protesti bancari (18.015, più di quelli di due città
come Milano e Torino messi insieme, ma in linea con quelli di Brindisi,
di Lecce e di Bari, capitali del credito a rischio).
Abbondantemente sotto la media nazionale, infine, i depositi bancari
pro-capite (6 milioni di lire, contro i 12 di Bari e di Lecce), ma
non distanti da quelli di Caltanissetta, Ragusa, Enna, Messina, Siracusa,
città dove si' sono concentrati, negli ultimi anni, gli istituti
finanziari e le società intermediatrici di capitali (nonché
l'attenzione della Commissione antimafia). Le contraddizioni, su scala
regionale, non sono poche. Lecce, per esempio, è una delle
città italiane più povere di reddito (con Agrigento,
Reggio Calabria e Potenza), ma è una delle prime, nel Mezzogiorno,
in quanto a depositi bancari e consumi finali delle famiglie. Ha la
variazione percentuale del costo della vita più alta della
Penisola (7,7%, contro il 5,5% della media nazionale, nel periodo
antecedente l'invasione irachena del Kuwait) e uno degli indici più
elevati di disoccupazione giovanile, ma è quella che in Italia
spende di più in assoluto per le manifestazioni sportive (incontri
di calcio, nello specifico, con quasi 100. 000 lire pro-capite l'anno,
contro le 60.000 di Milano, le 28.000 di Bari e le 26.400 della media
nazionale), per il rinnovo del parco auto e per l'acquisto della seconda
casa.
Tre città pugliesi, poi, (Lecce, Taranto e Bari) compaiono
negli ultimissimi posti della graduatoria per quanto riguarda la dotazione
di infrastrutture: dal verde pubblico attrezzato (con i minimi assoluti
di Bari e di Lecce, 0,2%, di fronte al 27% di Mantova, al 5,0% di
Foggia, al 3,6% di Brindisi) al numero degli sportelli bancari (15
sportelli ogni 100.000 abitante per le cinque province, contro i quasi
80 di Trenta, i 40 di Mantova, i 30 di Teramo e i 26,8 della media
nazionale); dagli esercizi commerciali (con il minimo nazionale di
Taranto) ai grandi magazzini e supermercati; dal numero degli apparecchi
telefonici (la città meno "collegata" d'Italia è
Lecce, con 506 impianti, contro 12.000 di Aosta, i 900 di Nuoro, i
700 di Oristano, di Latina e di Campobasso) ai tempi medi d'attesa
per la liquidazione della pensione, per la consegna della posta, per
le visite specialistiche.
E ancora: la Puglia
detiene il record (poco invidiabile, se rapportato alla ristagnazione
degli investimenti), con Lombardia ed Emilia Romagna, delle ore di
lavoro perdute per conflitti di lavoro (più di due milioni
nel 1987) e, con la Campania, delle ore di Cassa integrazione guadagni
per gli operai delle industrie (venti milioni, sempre nel 1987); ha
il numero più alto di pensionati del Mezzogiorno (più
di un milione e mezzo) e di posti-letto negli istituti di cura pubblici
e privati, ma è anche la regione dove più accentuate
sono la mortalità infantile (10 morti nel primo anno di vita,
per mille nati vivi) e le interruzioni volontarie della gravidanza
(22.451 nel 1989), nonostante sia tra le prime per spese di previdenza
e di assistenza. Infine, ha protesti per 1.500 miliardi di lire annue
(due quarti delle cambiali ordinarie protestate nel Mezzogiorno sono
pugliesi) e una frequenza maggiore dei fallimenti nel terziario e
nelle assicurazioni. Di fronte a questo, è la regione che evade
di più il fisco, con Lombardia, Veneto e Calabria (164 miliardi
di lire, in base agli accertamenti dell'anagrafe tributaria nei primi
otto mesi di quest'anno) e che riesce ad ultimare più lavori
di quanti non ne risultino poi effettivamente realizzati. Un attivismo
sospetto, che si è più volte attirato di recente le
ire della Corte dei Conti europea, soprattutto per lo stato di attuazione
di tre opere pubbliche finanziate dalla Cee e mai completate: la diga
sul fiume Locone, ai piedi del Tavoliere, che "benché
ultimata nel 1986 non è ancora operativa e lo sarà solo
ad una data indeterminata, poiché mancano opere complementari
per l'adduzione dell'acqua"; gli impianti regionali per lo sfruttamento
della diga sul fiume Sinni, "che sono inutilizzati per i 213,
costringendo la diga ad erogare solo 9 metri cubi d'acqua al secondo,
invece dei 38 previsti, data l'assenza di attrezzature necessarie
perché essa funzioni regolarmente"; il porto di Taranto,
"dove è stato costruito un molo polivalente che, pur essendo
stato ultimato da diversi anni, viene utilizzato solo in caso di emergenza,
poiché mancano le attrezzature necessarie per consentirne l'impiego".
Tutto questo, con il deserto che avanza, con i pozzi assediati dalla
salsedine, e con la sete storica, che brucia le gole e la terra.
Tranquillità
sociale
E' qui che la sesta Puglia emerge in tuffa la sua potenza e ferocia.
Ed è una grandezza di morte.
Taranto e Brindisi sono le città più violente d'Italia,
dopo Catania e Reggio Calabria, con 12 omicidi volontari ogni centomila
abitanti a testa (2 a Lecce, 3 a Bari, 10 a Foggia), ma sono anche,
e non a caso, le città dove si sono manifestati i primi segnali
della crisi della siderurgia e della chimica di base, con la nascita
di una nuova categoria di forza lavoro disoccupata, quella degli operai
specializzati. Lecce detiene il primato nazionale (con Napoli) delle
rapine in banca (20 ogni cento sportelli, l'anno scorso; 6 a Brindisi,
3 a Bari e Foggia, 2 a Taranto) e, con Bari e Foggia, quello del numero
di furti denunciati (quasi 1o.000, nel 1988, contro i duemila della
media nazionale). Taranto è prima per quoziente di mortalità
(6 morti ogni mille abitanti), seguita a ruota da Cagliari, da Napoli,
e da Bari, Latina, Brindisi e Lecce; Bari e Brindisi per le violenze
contro il patrimonio; Lecce per le estorsioni; Taranto e Brindisi,
con Napoli, per il contrabbando delle sigarette; Foggia per il riciclaggio
del denaro sporco (perché città di confine, o che altro?).
Non sorprende che proprio queste città, e soprattutto Taranto
e Brindisi, abbiano anche il record negativo delle nuove iscrizioni
anagrafiche per trasferimenti da altre province (su cento cancellazioni,
Taranto ha 76 nuove iscrizioni e Brindisi 80), prova inequivocabile
che questo Meridione non seduce più nessuno e che il canto
delle sirene è stato ignorato prima dagli operatori economici
stranieri (che preferiscono investire persino nella lontanissimo Irlanda,
che è pur sempre terra di aspri conflitti sociali) ed oggi
anche dai privati e dai cittadini comuni in cerca di prima occupazione.
E non sorprendono nemmeno le cifre, riguardanti la Puglia, contenute
nella relazione che nell'ottobre scorso il capo della polizia, Parisi,
ha presentato alla Commissione Affari costituzionali del Senato: 50.000
persone denunciate (49.000 in Sicilia, 22.000 in Calabria, 69.000
in Campania); 15 sodalizi mafiosi perseguiti (cioè identificati,
ma sono almeno altrettanti i gruppi di fuoco che sfuggono ad ogni
controllo); un aumento dei reati del 26,7% rispetto al primo quadrimestre
dell'anno scorso (solo la Sicilia è andata più in là,
con un 32,5%) e del 113% per quanto riguarda le estorsioni; la percentuale
più alta di furti di tutto il Mezzogiorno.
Al mese di settembre risale l'istituzione, a Bari, dell'Ufficio antimafia
("Nucleo per la prevenzione del crimine", per Gava), mentre
è di luglio il rapporto della Commissione antimafia che aveva
accertato tutti i sintomi dell'avvenuta penetrazione mafiosa in Puglia,
con strutture criminali disseminate nel territorio, anche se mancanti
di un riferimento gerarchico. E concludeva: "Non c'è in
Puglia alcuna tradizione di criminalità mafiosa o camorristica
e complessivamente i caratteri della pugliesità sono in antitesi
con i dati distintivi della cultura mafiosa in tutti gli aspetti della
vita sociale, compresi i partiti politici". Ma, a Bari, erano
stati individuati tre poli di criminalità organizzata, con
fibrillazioni siciliane e calabresi per il traffico degli stupefacenti,
e campane ("Nuova Famiglia") per il contrabbando delle sigarette,
con una forte propensione a gestire il commercio della droga direttamente
con i Paesi produttori (Colombia, Siria e Libano). A Foggia, erano
state scoperte truffe organizzate ai danni della Cee, soprattutto
in agricoltura, con un mercato dell'eroina ampiamente funzionante
(6.000 tossicodipendenti in città, una cifra agghiacciante
anche per il più bieco e cinico dei Sud del mondo). A Taranto,
si avevano già gli organigrammi di quattro gruppi mafiosi,
con "immissioni consistenti di elementi della camorra e della
'ndrangheta e della Sacra Corona Unita di origine brindisino-Ieccese",
specializzati nel racket del contrabbando della droga proveniente
dal Medio Oriente e destinata al mercato napoletano, nelle estorsioni
e nell'usura (176 finanziarie, che muovono - secondo Chiaromonte -
"una massa di denaro superiore all'economia e alla stessa ricchezza
legale della città e dell'intera provincia"). A Brindisi,
erano stati segnalati dall'autorità di polizia sette clan e
dodici organizzazioni impegnate nel contrabbando delle sigarette (gli
sbarchi ormai avvengono alla luce del sole e sotto gli occhi dei bagnanti,
per esempio, sulla spiaggia di Lendinuso) e nelle estorsioni, con
un massiccio reinvestimento di capitali nel traffico della cocaina.
Il Salento, poi. I suoi triangoli della morte, le sue quotidiane violenze,
i rapporti sempre più stretti con la 'ndrangheta, le bische,
le estorsioni, le ricchezze accumulate da un giorno all'altro, le
automobili blindate con radiotelefono intestate a netturbini o a contadini,
i suoi paesi e i suoi campanili ostaggi di "soggetti legati a
criminali o sotto il controllo dei malavitosi", come ha scritto
nell'ordinanza di rinvio a giudizio nel maxiprocesso contro la "Sacra
Corona Unita" il giudice Vincenzo Taurino. California dei crimine,
dopo le speranze di un'altra, ben diversa, Colifornia economica e
sociale. Una città che si avvelena e si prodiga nelle cure
con la stessa indifferenza e apatia di chi, per gioco, scommette con
la morte.
Li ho rivisti, questi orfani tristi del cacciatore, a Barcellona,
la vigilia di Natale. Ho pensato alla Puglia. E non saprei dire se
il ricordo che ne conservo oggi sia più marcato e netto a causa
del tramonto solenne, sospeso sulle brume dei Besós, o delle
ombre lunghe e piatte dei falsi platani sulla sabbia rossastra della
"Monta dei tori", o della vertigine danzante delle gambe
catalane; o piuttosto perché, al centro dello sterrato, gli
uomini vestivano tuniche splendenti, di un bianco iranico, e avevano
sandali alla schiavo, freddi, neri e immensi. O forse perché
custodivano un fiore nella mano. E in bocca, uno scorpione. E ho pensato
di nuovo a questa splendida terra, dal viso devastato da profonde
cicatrici tumide di violenza e di veleno, ai suoi boschi neri, vuoti
e immensi, alle sue gramaglie. E ai fiori d'ibiscus che le rimarginano
le ferite. Ma io scorgo sempre, tra i denti, la coda dello scorpione.
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