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tutti ripetevano quello che lui aveva raccontato, ognuno ci metteva
la sua parte di memoria e le storie crescevano diventavano vive
Ma che distanza
tra la vita e l'apparenza che le fa specchio si distende, Arionne?
Orizzonte spento o baratro o forse somma di sommità vertiginose,
magma di parole oscure, morte ad anni ragione, ad ogni tempo che verrà.
Per altri. Per altri, sempre, Arionne.
E' vuota, sai?, guardaci dentro, è vuota. Per che ragione perdi
il sonno ancora. Spegni il lume. Ormai la notte è alta.
Lascia questo scrittoio, guarda il cielo. Respira piano, piano.
E' un velo di seta il cielo questa notte.
Arrotola adesso; che sia a questo o a un altro rigo non fa differenza.
Lei non ha fiato, sai, non vede, è solo un'immagine, una lettera.
Che cosa cerchi, dunque, cosa insegui, quale anima o quale sentimento
speri di trovare. E dietro quale desiderio muori, Arionne, o che malia
improvvisa ti dissenna e ti fa mendico a questa età?
Guardalo il cielo, Arionne, è lì la vita, è solo
dentro il cielo la scrittura. L'altra è niente, èfigura
silenziosa, rovina sontuosa, ma rovina.
Copia, non leggere più adesso, copia.
Nessuno di questi segni ti appartiene. Non aspettarti nulla, non sognare
sopra questa scrittura, non sognarla, sogna un sogno diverso, Arionne;
fuggi dalle parole, non tornare nei luoghi attraversati, non sognarli,
non è il tuo viaggio questo viaggio.
Volevo scrivere e invece fui copista. Ombra nascosta dietro l'ombra
d'altri, custode di vite mai esistite.
Quanto hai vissuto, Arionne, e quando, e dove ritroveresti ora, se
volessi, la cenere di un fuoco dentro il petto, una meraviglia, la
tenerezza, l'ansia di un amore che sia davvero tuo?
Le storie degli altri, le loro voglie, i sogni, le stagioni, la voce,
gli dei. Ogni cosa fu sempre cosa d'altri.
Copia, Arionne, copia, non pensarci. Una lettera dopo l'altra, una
riga dopo l'altra. Così la vita sprofonda ad ogni riga.
Da bambino mi dissero farai l'acquaiolo, perché sapevo gridare,
o il venditore di spezie o farai l'anforaio.
Mia madre tesseva inchiodata al telaio e intrecciava pensieri ai fili
di lino, e ogni tanto un sospiro screziava il silenzio o un tonfo
di secchio nel pozzo, una voce nel mattino deserto, un grido al cammello.
Di mio padre non ricordo più nulla, se non le sue spalle che
si allontanavano con le carovane. Finirai con le carovane, diceva
mia madre.
Un sospiro di nuovo le usciva dagli occhi, affannoso.
Su quel sospiro peso la mia vita, quella di cui ho memoria, finché
resta. Perché il tempo smemora, raggela, secca i rami, vela
i volti, i gesti, copre le tracce, sradica i pensieri, e i pendii
si fanno sempre più scoscesi. E brucia, il tempo, crepitando,
le albe, lascia ruggine e indugi, dubbi, croci, silenzi interminabili,
le voci stanche, il delirio chiuso tra i muri che alzi intorno a te
ogni giorno.
Ogni giorno si alzava il vento in certi mesi.
Ogni giorno la tenda si accasciava. Qualcosa restava sepolto nella
sabbia, per sempre nella sabbia. Si perdeva.
Foglia di luna il vento viene, foglia di luna il vento viene, nascondi
il tuo cuore perché non o veda o foglia di luna se lo porterò.
Il cuore si è perduto dopo, dentro altro vento.
Acquaiolo sarai perché sai gridare, mi dicevano.
Il vecchio era muto. Forse anche mio padre era muto.
Non ricordo di aver mai sentito una sola parola da lui.
Ma il vecchio tracciava dei segni sui muri, sulla sabbia, sulle foglie
di palma.
Io copiavo quei segni. Scrivevo. E ogni segno mi sembrava che fosse
cento parole. Per questo, pensavo, il vecchio non parla.
Non so se mio padre conoscesse quei segni.
Se sei carovaniere segui carovane. Se sai scrivere con una carovana
che non ritorna devi andare. Vai.
Così disse mia madre. Tramontava. Quando mi baciò la
fronte tramontava.
Sei solo adesso, Arionne. Badio, Tieso, Uberto, Andreas. dormono.
Qui il silenzio a quest'ora è più silenzio: è
quasi morte.
Solo un brivido d'ansia mi consola.
Copia, non pensarci più, sciogli l'inchiostro. Fai correre
la mano, non fermarti. Non confondere la tua vita con i nomi, non
chiudere il tuo tempo dentro il loro, il tempo dei nomi è immobile.
O è infinito il tempo che hanno i nomi, Arionne?
Quanti anni da quel tramonto son passati tra i fantasmi di queste
pergamene? E io son stato re o servo o sono fantasma anch'io, un dio
impazzito, randagio tra i sepolcri di parole, che cerca una parola,
disperata che sia, ma una parola che non sia esangue, che non sia
soltanto l'abbaglio di un istante, la magia di un suono, di un richiamo.
Io volevo scrivere.
Chi ha sentito mai la storia di Yedia che se ne andò una notte
nella notte cercando un fiume nel deserto?
Quella storia io volevo scrivere, quella storia e poi cento storie
ancora, di città che non ho visto, di misteri, di giorni vani
di vanità e di gloria, del respiro dei morti che vola sulla
luna, dei segni del vecchio sepolti dalla sabbia, di tutti i volti
sepolti dalla sabbia, delle parole perdute nella sabbia.
Questo volevo scrivere.
Tu volevi incantare, Arionne, incantarti, dare il tuo nome ad un istante
eterno, passare con la tua vita dentro mille vite, essere senza età.
Questo volevi. Ma non a chi scrive è concesso, Arionne, il
potere di un dio.
Scrivere, tu lo sai, è appena un gioco, un chiarore improvviso
che si accende all'oscuro di ogni sapienza. E' luce dipinta la scrittura,
è impudica mimesi, sagoma, carcassa di estasi, di anni, di
respiri; è il rovescio della vita.
Io volevo scrivere. Non così, però, non così,
come demone stanco, ragno imprigionato da ragnatele che non ha tessuto
di leggende e di rotte, di sirene, e mai una voce che riconoscessi
tra tante voci, mai.
Darei qualsiasi cosa questa notte, per ritrovare mia madre in un frammento.
Sei solo Arionne. Uberto, Andreas, Tieso, dormono ancora.
Adesso è ora. Nulla di diverso da quello che farai potresti
fare in questa vigilia d'alba.
Se vuoi scrivere non devi essere fedele a niente ed a nessuno: devi
tradire, ingannare chiunque, fino ai limiti di tutti i possibili inganni,
oltre ogni vergogna, senza alcun rispetto, ingannare te stesso fino
all'ebbrezza, fino allo spavento, al disprezzo di te, devi essere
ladro, frugare. devastare, rivoltare le frasi, tornare a frugare come
gatto o sonnambulo.
Perfido devi essere, Arionne, vorace, rapace, blasfemo e divino, maschera
orrenda, stupenda farfalla, serpe e gabbiano.
E' ora. Quando si accorgeranno tu non ci sarai. Vi chiedo perdono.
Chiedo perdono a voi che leggerete, a te che hai scritto, se hai mai
scritto, a te che dentro il nome cieco nascondi mille nomi. Saremo
ciechi tutti; saremo tutti un nome misterioso.
Adesso Arionne sei filo d'inchiostro. Spezza le parole, scrivi tra
le righe, annoda le memorie e i destini, cancella i nomi o mutali
e confondi la tua esistenza all'esistenza di tutte le sembianze che
ti si affollano negli occhi.
E se non hai esistenza chiedine un soffio a loro e vivi fino a quando
può durare questo sortilegio.
Tu sai come si fa, tu sai raggirare anche i ritmi più scaltri.
Nessuno quanto te sa attraversare i labirinti delle scritture. Sei
tarma Arionne. Corrodi come tarma.
Devi scrivere. Devo scrivere. Come potrebbero fermarti i segni morti
di queste pergamene, ora che sei giunto a questo buio o a questa luce
che sfiamma, che sfiora l'olimpo, che sfonda ogni tempo, ogni spazio
e scintilla come stella mai vista e accende visioni?
Devi scrivere.
Gli uomini non hanno memoria: ricordati questo: non hanno memoria.
Puoi stordirli con nulla. basta solo che canti canzoni di gesta, non
si chiederanno se quello che canti è davvero accaduto.
E allora tu canto, Arionne, che cosa t'importa, però mentre
canti fai scivolare un pensiero perché loro sappiano che tra
le parole c'è un pensiero ch'è tuo, tuo soltanto.
Racconta. Che non ti sfugga niente, non cedere al sonno, non ora,
non ora. Inventa quel che vuoi, soffia nell'eco delle parole che t'arrivano
da un'eco, scompiglia quelle altre che ti sembrano legate ad una verità
che non conosci.
La verità è solo la tua vita. Nient'altro Arionne, in
questa notte.
Racconta Arionne, e tutti penseranno che un dio concesse a te il dono
del racconto. Tu sai che non è vero.
Ché un delirio mi spinge a raccontare, un sogno ad occhi aperti,
uno stupore che non ho saputo vincere.
Ecco tua madre, eccola, ritorna, e tu ritorni a lei. Non Anticlea
si chiamava, ma i nomi che senso hanno mai se sono lontananze. lo
voglio che essi siano apparizioni.
Adesso scrivo, madre, adesso vivo. Per questo ti ho potuta ritrovare.
Per questo vivo e tu rivivi. E il tempo scorre tutto dentro la scrittura
che rubo perché sia per sempre mia.
Ma la tua vita non l'ho cancellata, Odisseo. Ho scritto la mia accanto
alla tua vita.
Cos'altro hai da raccontarmi ancora, che cosa ti posso raccontare
ora che siamo, io e te, una sola fantasia che turbina?
Slegami da questi nodi; io dai tuoi ti ho liberato.
Un fiume di memoria ci travolge, a una memoria forse approderemo,
e saremo un'altra volta immagine scolpita, eroi dei nulla persi nelle
storie che i secoli aggrovigliano.
Non hanno memoria gli uomini, Odisseo.
Hanno solo destini da salvare scavando tra i destini sconosciuti che
le pergamene svelano.
Così scrivono, e il gioco ricomincia e il racconto si prende
un'altra vita, ne fa una frase, un cumulo di segni, quel canto di
sirene che conosci, che mi avvinse a un rotolo.
Vi lascio il sacrilegio che ho compiuto.
Il mattino sta crescendo. C'è una carovana che parte a quest'ora.
C'è una carovana che parte nell'alba, una carovana nell'alba,
tu scrivi, segui carovane se scrivi, nell'alba, carovane che partono,
Arionne, se scrivi, dimentica Pergamo, le storie, il racconto, i suoi
giri intorno alla vita, il racconto che non hai cominciato ma che
adesso finisci nell'alba di Pergamo.
(Per Badio Tieso Uberto Andreas: c'è l'ora dei lunghi racconti
e c'è l'ora del sonno, ma se vuoi che ancora racconti io non
posso negartelo, Alcinoo. Riprendete da qui.)