§ Effetto 1993 / Mercati finanziari

Emigrazione della Borsa




Franco Modigliani
Docente del MIT - Premio Nobel per l'Economia



Due condizioni sono essenziali per il successo dei mercati finanziari italiani:
- liberarli da eccessive interferenze governative;
- migliorare la struttura normativa entro la quale operano.
L'atteggiamento del governo italiano nei riguardi dei mercati finanziari denota il rifiuto di accettare l'evidenza. Si ha l'impressione di un'ostinata resistenza al cambiamento, che viene accettato solo quando gli avvenimenti lo rendono inevitabile e superato. Questa mentalità renderà il programma "Europa 1992" più pericoloso che vantaggioso per l'Italia. Forse vedremo presto la totale evaporazione dei nostri mercati finanziari.
In Italia si permette intenzionalmente alle leggi di essere poco chiare o incomplete, o più semplicemente si tralascia di applicarle. A nostro parere, l'intera struttura viene in molti casi mantenuta nell'attuale confusione per permettere ai partiti politici di continuare la loro indebita ingerenza. In particolare, alla classe politica è stato permesso di continuare ad avere un ruolo attivo nell'allocazione dei finanziamenti. Sia direttamente per mezzo di grossi trasferimenti all'industria, trattamenti di favore ad alcuni settori, e attraverso la vasta rete delle società a proprietà pubblica; sia indirettamente attraverso il controllo politico de facto di gran parte del settore bancario. In un mondo sempre più competitivo, segnato dal progressivo smantellamento delle barriere all'entrata e delle formalità burocratiche, questo sistema debole, costoso e non competitivo è tuttavia destinato a perdere, a favore di società e di mercati esteri, la gara per la fornitura di servizi finanziari più sofisticati (e redditizi) a società e a clienti. Le conseguenze dell'integrazione europea per il sistema finanziario italiano sono già assai visibili nella recente tendenza alla fuga dal mercato nazionale di investimenti, operazioni e finanziamenti. Uno dei campi nei quali l'inadeguatezza della struttura normativa si fa sentire di più è proprio il mercato azionario nazionale. I titoli azionari sono per loro natura particolarmente sensibili alla protezione accordata loro dalla legge.
La mancanza di una protezione adeguata ai piccoli investitori, soprattutto per quel che concerne la responsabilità fiduciaria e quella dei dirigenti delle società, si riflette in una distribuzione non equa di profitti tra grandi e piccoli azionisti. L'insufficiente protezione accordata dalla legge agli investitori li lascia alla mercé degli azionisti di controllo. Ne consegue la possibilità di ignorare i diritti degli investitori di minoranza, con trasferimenti di attività a prezzi arbitrari, compravendita di blocchi di controllo di azioni al di fuori della Borsa, e assenza di un vero obbligo di offrire uguali condizioni a tutti gli azionisti.
Il notevole sconto richiesto dal mercato sulle azioni senza diritto di voto rispetto alle azioni ordinarie, e su piccoli quantitativi di azioni ordinarie rispetto ai blocchi di controllo, è una chiara prova del fenomeno. Più in generale, questo costo è riflesso nella debolissima domanda di azioni da parte di investitori singoli, che hanno ben ragione di non aver fiducia negli investimenti sul mercato azionario. Ne consegue l'indebolimento della domanda di investimenti azionari, che finisce per provocare l'innalzamento dei rendimenti e di conseguenza la depressione dei prezzi. La scarsa liquidità che ne deriva, aggravata da un incontrollato insider trading, rende l'attività del mercato debole e speculativa.
Allo stesso modo, la legislazione in vigore ha penalizzato in Italia, fino all'estinzione, il mercato obbligazionario privato, gravemente svantaggiato dal lato fiscale nei confronti delle obbligazioni emesse dal governo e da istituti pubblici.
Con questa insufficiente struttura normativa, che non riesce neppure a imporre elementari regole di base per la trattazione sul mercato (la tanto attesa legislazione sulle Sim), i mercati non possono certo prosperare. Pertanto, le operazioni finanziarie italiane e la compravendita di titoli vengono effettuate sempre più frequentemente all'estero. L'incontro tra domanda e offerta di fondi per le società italiane avverrà con sempre maggior frequenza sui mercati esteri, e sotto la giurisdizione di Paesi esteri, con una perdita netta di valore aggiunto di intermediazione finanziaria. E' importante comprendere che questo stato di cose finisce per danneggiare tutte le società. Pur desiderando emettere delle azioni per finanziare i loro investimenti, esse non possono, con questo tipo di legislazione, essere credibili quando promettono di rispettare gli interessi di minoranza. Ne risultano un basso livello di prezzi e una generale mancanza di fiducia nel finanziamento per mezzo di azioni. Tuttavia, le società più importanti e note, oltre a valersi dei mercati finanziari internazionali, hanno tuttora la possibilità di piazzare azioni sul mercato nazionale grazie alla loro visibilità. Invece, le piccole e medie aziende devono affrontare non pochi problemi per avere accesso al mercato nazionale, essendo svantaggiate oltre che dall'insufficienza della legislazione anche dalla limitatezza delle informazioni e dalla visibilità tra investitori. Questo stato di cose danneggia soprattutto la crescita delle piccole aziende imprenditoriali, la cui espansione viene necessariamente finanziata con fondi interni, generalmente inadeguati alle opportunità di investimento disponibile, o con la costosa intermediazione delle banche. Lo svantaggio del credito bancario risiede in particolare nell'incapacità di supportare una rapida espansione basandosi su prospettive future invece che sul valore netto attuale. E' particolarmente inadatto nei settori emergenti, luogo di elezione della futura forza competitiva, in cui il capitale di rischio è essenziale per la redistribuzione dei considerevoli rischi di nuove imprese.
Già da tempo si sente il bisogno di un'iniziativa che porti i legislatori a costituire un veicolo attraverso il quale le aziende minori possano emettere azioni da distribuire tra i piccoli investitori. Purtroppo le attuali proposte di legge in merito all'istituzione di fondi chiusi non sollevano le questioni di cui sopra. Non è possibile in questa sede trattare dettagliatamente questo aspetto del problema. Basti dire che, secondo noi, la migliore di quelle proposte non raggiunge lo scopo di definire chiaramente il fine economico dei fondi o il modo di crearli, col pericolo di dar vita ad una legislazione ibrida e inefficace. Lo scopo dei fondi è presumibilmente quello di assicurare il finanziamento a lungo termine di quelle imprese piccole e medie che non hanno attualmente accesso al mercato azionario; scopo che dovrebbe essere inoltre raggiunto con la raccolta di risorse presso i singoli investitori privati, inclusi alcuni che non investono al momento in azioni. Molte delle disposizioni dei disegni di legge non sono però adatte al raggiungimento di questi obiettivi.
Prima di tutto, la capacità di attrarre investitori privati dipende essenzialmente da una struttura istituzionale capace di proteggere i piccoli investitori. Il successo di questa intermediazione richiede pertanto che venga attribuita ai responsabili dei fondi un'ampia responsabilità fiduciaria in materia di conflitto d'interesse, che venga costituito un organo di controllo con ampi poteri e che vengano creati canali legali attraverso cui sia possibile proteggere i diritti degli investitori (per esempio, il ricorso alle "azioni di gruppo"). La legge prende invece in considerazione, per proibirlo, un unico e particolarissimo caso di conflitto d'interessi, l'investimento in società possedute o gestite da responsabili dei fondi. In secondo luogo, per attrarre gli azionisti, la legge dovrebbe incoraggiare la competitività tra i fondi per migliorarne la performance e diminuire i costi degli investitori. La legge impone invece ai gestori dei fondi un capitale minimo molto alto, favorendo così le grandi istituzioni e scoraggiando i concorrenti meno importanti ma potenzialmente più innovativi.
Ma la parte di gran lunga più opinabile della legge consiste nell'obbligo di rimborsare ai fondi ogni erogazione di capitale in un periodo che va dai cinque ai dieci anni. Questa norma, qualunque ne sia lo scopo, non è coerente con lo spirito della legge e potrebbe risultare controproducente. E' incompatibile con la destinazione dei fondi chiusi al finanziamento di investimenti a lungo termine, che sono caratterizzati da un orizzonte di rimborso indefinito. Richiederne la liquidazione in un periodo di cinque-dieci anni significherebbe dover trovare un compratore per le attività del fondo entro la data di scadenza. Questo risulterebbe probabilmente costoso per il fondo, almeno in assenza di mercati secondari su cui le sue partecipazioni nelle varie società possano essere liquidate. La fissazione della scadenza del rimborso scoraggerebbe pertanto il fondo dall'approfittare di opportunità d'investimento sorte più tardi nel tempo o con ritorni attesi nel più lungo termine.
Quanto agli investitori, essi non devono chiaramente dipendere dal rimborso del fondo quando vogliano ritirare il loro investimento, potendo sempre vendere sul mercato la loro quota del fondo. In effetti, il modo migliore per migliorare la liquidità delle loro partecipazioni consiste nello sviluppare un mercato per le quote individuali, sotto la supervisione dell'organo di controllo. Questo potrebbe essere inoltre utile per valutare a ogni momento la performance del fondo. La costituzione di un mercato over the counter di questo tipo è inoltre indispensabile nel caso che i fondi debbano gradualmente liquidare i loro investimenti.
Le riserve precauzionali minime obbligatorie per i titoli quotati o senza rischi sono del tutto assurde. Gli investitori possono scegliere tra impiegare i loro risparmi in un fondo a rischio o in strumenti rapidamente negoziabili; perché i fondi chiusi dovrebbero mantenere delle riserve di liquidità se non esiste necessità di un rimborso anticipato?
La proposta di legge prevede infine un fondo d'investimento "passivo", dato che gli vieta di acquisire il controllo di una società. E' una cosa senza senso. Un fondo chiuso costituisce lo strumento d'elezione per il venture capital. attrae i migliori specialisti a partecipare attivamente alla gestione di una società dotata di potenziale di crescita. Perché ostacolare la partecipazione attiva del fondo alla vita delle società in cui investe? Quali vantaggi porta agli investitori il fatto di non poter avere voce in capitolo sui loro investimenti, mentre dovrebbero dover obbligatoriamente liquidare una posizione di minoranza in una società che rifiuta di lasciarsi quotare in Borsa?
Concludiamo con la proposta di aggiungere alla legge una norma che potrebbe risultare molto utile per indirizzare i finanziamenti verso nuove società dotate di imprenditorialità. Questa norma consisterebbe nell'obbligo per i fondi di investire una parte del loro capitale in nuove intraprese, anche come pre-requisito per ottenere condizioni di favore fiscale.

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000