§ Effetto 1993 / Progetti sociali

Una cultura per il XXI secolo




Carlo De Benedetti



L'Atto unico europeo ha dato il segnale della fine del processo di "eurosclerosi", rendendo possibile la percezione di nuove frontiere e di nuovi obiettivi per l'Europa. Ma il successo dell'Atto unico è stato possibile perché si era preparato il terreno per accoglierlo: tra gli uomini politici illuminati, gli intellettuali, gli imprenditori, tra i giovani e i tecnici, e tra gli uomini della strada.
So quanto fosse diverso l'atteggiamento degli imprenditori all'epoca della firma del Trattato di Roma: di indifferenza, se non addirittura di franca ostilità. Oggi numerosi sono gli imprenditori che si battono affinché la macchina messa in moto dall'Atto unico non si fermi, non si limiti agli obiettivi proposti per la fine del 1992, ma vada ben oltre. Ovvero, verso un'effettiva integrazione economica che non può che significare l'unificazione politica dell'Europa.
La vera sfida non è la realizzazione di un'integrazione ambigua che lasci immutati i comportamenti dei diversi Paesi. La vera sfida è la spinta in direzione del rinnovamento e della rivitalizzazione del sistema socio-economico europeo e della costruzione di un nuovo progetto di modello europeo di società per il XXI secolo. Una società incentrata sulla ricerca di condizioni ottimali per la qualità della vita, la libertà dei cittadini, la giustizia civile e sociale e l'apertura culturale.
La realizzazione di questo modello di società deve essere perseguita nel rispetto di una democrazia pluralista e nella protezione dei patrimoni culturali nazionali e regionali. La diversità delle culture rappresenta per l'Europa non già una debolezza, bensì uno straordinario "atout" da difendere e grazie al quale si potranno costruire complementarietà positive e una dialettica basata sulla creatività e sull'innovazione permanente. In questo senso attribuisco un grande valore al riferimento costante che si fa nel processo di integrazione in nome della sussidiarità.
Quest'ultimo postula che un'azione non può essere svolta a livello comunitario se non è svolta in modo più efficace sul piano nazionale, regionale, locale o settoriale. Il rispetto del ruolo delle diversità, la decentralizzazione e la democrazia pluralista sono le fondamenta della costruzione di un modello innovativo di Europa integrata. Sarebbe profondamente errato pensare all'Europa in termini di un modello centralizzato o in termini di fortezza isolata rispetto al mondo esterno.
Condivido l'opinione di Ralf Dahrendorf quando propone l'obiettivo e la speranza di un'Europa capace di vivere nella diversità, mettendo così in moto un processo che oltrepassa rapidamente e di gran lunga le sue frontiere. L'Europa deve diventare un esempio di come si possano rendere vantaggiose per tutti le diversità, un modello di accoglimento sinergico delle diversità e di gestione delle complessità. Non bisogna tuttavia dissimulare le forti spinte, provenienti da alcuni settori, verso modelli diversi che raccomandano l'omogeneità culturale, anzi un'Europa "fortezza". In campo economico-industriale c'è infatti chi vorrebbe fare dell'Europa un grande territorio protetto, una fortezza ripiegata su se stessa, all'interno delle cui mura verrebbe riprodotta su scala europea la logica dei "campioni nazionali". Altri pensano che l'Atto unico non sia che un'occasione per un rimescolamento delle regole del gioco e delle posizioni di potere. Il protezionismo si pone in. senso contrario alla storia, dal momento che l'orizzonte economico non è più quello della frammentazione dei mercati nazionali. Oggi nessuna nazione al mondo può considerarsi autosufficiente in materia di tecnologia, o di risorse umane e finanziarie. Un fatto perfettamente compreso da chi, in qualità di imprenditore, si è impegnato a costruire e a gestire la propria azienda, senza fissare limiti di frontiere, anzi sviluppandola secondo una logica di mercato globale.
L'integrazione alla quale dobbiamo aspirare è quella che si fonda sulla logica della libertà delle culture, della libertà del mercato, e sulla partecipazione innovatrice al grande processo di globalizzazione mondiale. La realizzazione di una proposta innovatrice per l'Europa può costituire un ragguardevole coefficiente moltiplicatore di nuovi investimenti, di nuova occupazione, di nuova professionalità e di nuovi modelli d'impresa. Un processo di integrazione e di rinnovamento dell'Europa efficace e continuo può essere ottenuto solo partendo da un impegno congiunto delle istituzioni politiche e degli operatori economici.
E' questa l'occasione per gli imprenditori e i manager europei di ricoprire un ruolo determinante. L'integrazione giuridica dovrà procedere di pari passo con l'integrazione di fatto che gli operatori economici hanno già avviato e di cui cercano di accelerare il ritmo. In questa prospettiva, la necessità di un'integrazione crescente fra impresa e società diventa sempre più pressante, come, del resto, il rinnovamento delle strutture dell'impresa e del modello di società europea. E' sempre più vivo, da parte degli imprenditori europei, l'interesse nei confronti del grande dibattito che si è aperto sul tema dell'Europa sociale intesa come elemento fondamentale del successo dell'integrazione economica. Ma non mi piace parlare dell'Europa sociale, preferisco parlare dell'Europa dei cittadini. Avrei preferito che la Carta dei diritti sociali si fosse chiamata Carta dei diritti dei cittadini europei. Ho il timore che dall'etichetta di "Europa sociale" possano riaffiorare antiche spinte corporative. Questa etichetta potrebbe anche essere il pretesto per il rilancio di uno Statoprovvidenza che restringa lo spazio nel quale operano liberamente le forze del mercato, incoraggiando altresì la presenza nefasta di strutture pubbliche iperprotettive e clientelari.
In compenso, bisogna avere il coraggio di rinnovarsi e di porre i cittadini al centro dell'impegno della nuova Europa. Il presidente Delors ha riassunto molto bene il tema, affermando che "non c'è progresso sociale senza successo economico, ma non può esserci ricchezza economica senza coesione sociale".
Mi sono chiesto spesso che cosa desideri veramente il cittadino europeo. Desidera senz'altro dei miglioramenti sul piano economico; ma ciò che auspica sicuramente è anche una società nella quale si possa vivere bene, nella quale i diritti civili e sociali siano protetti; un ambiente che garantisca la qualità della vita e che non la penalizzi, che protegga i cittadini nella loro veste di consumatori; che riduca gli squilibri e le differenze sociali, etniche e regionali.
Ciò che desidera sono servizi sociali liberati dalla burocrazia, sensibili ai problemi umani. Ciò che si aspetta è una partecipazione concreta a una democrazia economica che garantisca ai lavoratori, ai risparmiatori, agli investitori e ai consumatori protezione e pluralità di scelte. In una parola, un'uguaglianza di base dalla quale partire per crescere e svilupparsi, in funzione delle proprie capacità e del proprio impegno personale. La costruzione dell'Europa sarà coronata dal successo solo se l'Europa riuscirà a offrire ai propri cittadini vantaggi supplementari e valore aggiunto rispetto a quanto offrono loro i singoli Stati nazionali. La Carta dei diritti sociali di Strasburgo è un risultato di compromesso fra i diversi interessi che oggi ancora dividono nazioni e classi sociali. Ma è anche una prima piattaforma sulla quale costruire un ambiente sociale innovatore.
Non si costruisce questo ambiente sociale attraverso il mantenimento dei privilegi, bensì abolendo le ineguaglianze sociali e i fattori di emarginazione di una parte della popolazione, proteggendo i più deboli (i giovani, gli anziani, gli handicappati), vivendo l'uguaglianza fra uomo e donna, favorendo la libera circolazione dei lavoratori e migliorando le condizioni di vita e di lavoro. Ho l'impressione che il dibattito sul dialogo sociale sia bloccato e che, di conseguenza, si sia limitato alla questione dello statuto della società europea e in particolare al problema della partecipazione dei lavoratori alla gestione a seconda dei diversi modelli, dalla Cogestione al Consiglio d'impresa. Se il dibattito deve limitarsi in futuro a quest'unico argomento, che provoca perplessità nelle imprese, si rischia di non andare verso quello che io considero un obiettivo estremamente importante, e cioè il modello europeo di un ambiente sociale innovatore.
In una democrazia economica moderna, la partecipazione dei cittadini alla crescita economica e sociale non si riduce a un mero problema di partecipazione alla gestione delle imprese. In un modello innovatore di Europa sociale, la trasparenza dei comportamenti è un'esigenza primaria. Le scelte dell'impresa, la cui responsabilità ricade sul management, devono essere chiare ed essere oggetto di valutazione e di continua verifica da parte degli azionisti. Di più, se è vero che oggi le imprese sono tenute a rispondere dei loro risultati economici, ritengo che per il futuro dovremo disporre di un bilancio sociale specifico che evidenzi i risultati globali nel loro contesto socio-economico. Gli europei devono essere ben consci del fatto che oggi si trovano in una condizione privilegiata: quella che i sociologi chiamano "Stato nascente", ovvero la condizione di colui che si trova di fronte alla sfida della costruzione di nuove istituzioni, di un nuovo progetto di società. In una certa misura, è la condizione felice in cui vennero a trovarsi i Padri fondatori della nazione americana. A questa condizione bisogna aggiungere, beninteso, la stessa volontà e capacità di intraprendenza, la stessa creatività e lo stesso spirito innovativo. Molti imprenditori e manager avvertono profondamente la responsabilità della costruzione di un nuovo modello di società, di un'Europa attraversata da grandi reticoli transeuropei di intelligenze e di informazioni che permettono di creare nuove condizioni di vita.
La Commissione ha recentemente formulato proposte molto interessanti basate sullo sviluppo di un "sistema nervoso europeo" suscettibile di accelerare il processo di realizzazione dell'obiettivo 1992. Questo progetto potrebbe prima di tutto fare dell'Europa una società pronta ad affacciarsi sul XXI secolo, una società dell'informazione il cui nucleo portante sarebbe costituito dai valori di libertà, uguaglianza civile e sociale, qualità della vita, fioritura culturale.
Più di altre grandi società industriali, l'Europa ha la capacità di proporre un modello sociale innovatore: e questo perché essa trae la sua forza dalle proprie origini culturali. La dimensione culturale dell'Europa deve diventare un punto di riferimento costante nella costruzione della nuova Europa. Questa è in grado di produrre una cultura per il XXI secolo, una cultura che ha le proprie fondamenta nella libertà, nel pluralismo, nella forza della diversità, ma anche nell'utilizzo completo e intelligente delle tecnologie dell'informazione. Le imprese, che oggi sono le organizzazioni sociali più sensibili al futuro tecnologico e alle grandi trasformazioni sociali, hanno un ruolo e una responsabilità di primaria importanza nella promozione della crescita di questa nuova cultura. In qualità di imprenditore, sono sempre stato pienamente consapevole di questa esigenza e mi sono preoccupato di mantenere un legame costante fra la cultura che il progresso tecnologico sviluppa partendo dalle radici del passato e l'amore per l'arte e per la cultura classica. Questa esigenza è stata alla base dell'impegno che il gruppo che presiedo ha voluto assumersi nei confronti, per esempio, del restauro di grandi opere d'arte, quali l'Ultima Cena di Leonardo o il Crocefisso di Cimabue, o l'allestimento in tutto il mondo di grandi mostre destinate a far conoscere la grande eredità artistica che fa la ricchezza dell'Italia.
Sono convinto che l'imprenditore non possa costruire il futuro se la sua anima non ha costantemente presenti la difesa e la valorizzazione della cultura del passato. L'imprenditore, il manager, non è solo un costruttore di macchine, di beni materiali, ma è essenzialmente un coordinatore di risorse umane, un costruttore di nuovi valori culturali e sociali, un motore di innovazione sociale attraverso l'innovazione tecnologica ed economica. Il rapporto fra impresa e cultura, fra impresa e società, si fa quindi sempre più stretto e complesso.
Le strutture dell'impresa diventano anch'esse più complesse: le forme di organizzazione gerarchica verticali e autarchiche si riducono, mentre si affermano sempre più i modelli di integrazione a catena o a circuito, costituiti da centri di attività di varie dimensioni e spesso di appartenenze diverse. Alleanze, iniziative comuni, accordi di collaborazione rappresentano gli aspetti più caratterizzanti di questi circuiti complessi, nei quali il flusso dei beni, delle informazioni e delle conoscenze si riconferma in maniera dinamica e mutevole. Allo stesso modo in cui fra le diverse nazioni si accentuano le tendenze alla ricerca di nuove forme di integrazione, così fra le imprese si sviluppano intensi processi federativi. Questi orientamenti sono ancora più evidenti a livello imprenditoriale europeo che fra gli altri Paesi industrializzati del mondo. In effetti, questi nuovi modelli di organizzazione sembrano in grado di permettere all'industria europea di superare la frammentazione delle dimensioni e dei mercati, fattore grave di svantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti extra-europei.
Il processo di raggruppamento e di associazione tendente alla creazione di imprese a dimensione europea deve prepararsi ad affrontare i rudi ostacoli opposti dalle resistenze di interessi puramente nazionali. Ma l'obiettivo che punta sulla scommessa della costruzione di grandi holding industriali dall'innovatrice base europea è una scelta corretta, in quanto quella europea è la dimensione minimale per raccogliere la sfida della concorrenza globale. Oggi si chiede al management europeo di affrontare una duplice sfida: restare competitivi nella grande trasformazione dello scenario mondiale, nonostante la concorrenza delle altre nazioni del mondo, e insieme partecipare* alla costruzione della nuova Europa delle imprese e dei cittadini, nonostante gli ostacoli che vi si frappongono al suo interno.
Qual è dunque il tipo di individuo di cui hanno bisogno le imprese europee? E' un manager in grado di gestire l'impresa con estremo rigore e grande capacità innovativa in una prospettiva realmente sovranazionale. Ma è necessario che questo manager sappia guardare al di là della propria impresa, dedicando una grande attenzione al rapporto fra impresa e società, e che contribuisca anche alla realizzazione di una nuova società. I manager ai quali mi riferisco hanno sicuramente capito che l'obiettivo dell'impresa non è la massimizzazione del profitto come fine ultimo, ma la produzione di ricchezza in vista del progresso dell'uomo, nel più grande rispetto del singolo e della società intera.
Abbiamo bisogno di uomini in grado di passare con successo dalla gestione delle imprese alla gestione delle istituzioni pubbliche, in un processo di mobilità delle competenze e delle professioni. A questo proposito, gli operatori economici e i responsabili delle istituzioni pubbliche e governative avvertono oggi una forte esigenza per la creazione di una cultura e di valori professionali comuni. La grande sfida è quella di acquisire la capacità di preparare e di sviluppare manager a livello europeo secondo il modello del Collegio d'Europa, che sarà utile moltiplicare per mille.
Vengo alle conclusioni, concentrando l'attenzione sui punti più importanti:
a) stiamo vivendo una fase di straordinaria accelerazione della storia.. in questo contesto, l'Europa deve assumersi un ruolo e una responsabilità che la pongono sotto gli sguardi attenti del mondo intero;
b) bisogna superare le posizioni di conservatorismo retrogrado e di interessi a breve termine per imparare a guardare lontano;
c) la strada che porta all'integrazione europea è già stata indicata dalla visione creatrice di uomini come Altiero Spinelli. Questa strada non ha alternative. Ci auguriamo che venga confermata la Conferenza intergovernativa per la revisione del Trattato in vista dei nuovi obiettivi dell'Unione monetaria e della prospettiva di integrazione politica;
d) la sfida della costruzione dell'Europa è strettamente connessa alla nostra capacità di rinnovare il modello di società nel quale saranno chiamati a vivere i cittadini dell'Europa. Questa deve essere in grado di offrire un effettivo valore aggiunto in termini di qualità della vita in rapporto a quanto offrono i singoli Stati nazionali;
e) la nuova Europa può e deve svolgere un ruolo aperto sullo scenario globale e in vista della promozione della crescita economica e sociale di quanti, all'Est come al Sud, ambiscono a partecipare a un progetto comune di sviluppo sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo. La sfida lanciata dal processo in cono nei Paesi dell'Est implica il passaggio da un terreno puramente ideologico a una intensa collaborazione che possa contribuire alla costruzione di un vero sistema di mercato in questi Paesi;
f) gli imprenditori e il management europei sono e intendono restare sulla linea del fronte della costruzione di questa nuova Europa, e ciò non solo sul piano economico, ma anche sul piano sociale e culturale. Il management europeo esige un'accelerazione reale e decisiva del processo di Integrazione in, una visione di ampio respiro;
g) nella costruzione dell'Europa è necessario che procedano allo stesso ritmo le istituzioni governative, le imprese e gli operatori economici, nello sforzo comune di accelerare i tempi e di sviluppare reciproche sinergie;
h) molto sentita è l'esigenza di formare e sviluppare nuovi imprenditori e manager in grado di raccogliere queste difficili sfide e di svolgere compiti così complessi. La formazione e l'informazione sono le chiavi per costruire il futuro.
Vorrei concludere ricordando quanto ha affermato il presidente francese Mitterrand, a Strasburgo, davanti al Parlamento europeo: "Allora, inventiamo! L'anno Duemila non è poi così lontano. E' giunto il momento. L'anno Mille annunciava catastrofi, disastri e morte. Perché l'anno Duemila non dovrebbe essere il segno della speranza?".

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