§ Che Sud fa / Cronache dal sottosuolo

Il business del cartello del crimine




Maria Rosaria Pascali



La società del crimine è ormai un business da migliaia di miliardi, i cui tentacoli abbracciano interi settori della nostra economia. Gli enormi introiti derivanti dai traffici di droga, di armi, dai sequestri di persona, dalle estorsioni e dalle tangenti, dai furti e dalle truffe solo in parte autoalimentano le imprese criminose, per il resto vengono riciclati ed investiti in attività "legali". Ed oggi siamo di fronte ad un vero e proprio "salto di qualità", ad un'organizzazione capillare che opera ai vertici della politica, della finanza e dell'economia e che rischia di diventare un governo-ombra non dissimile a quelli esistenti in Corea o nel Sud-Est asiatico o nel Sud America, aree in cui la mafia detiene il controllo del mercato e manovra i consensi di milioni di elettori.
I sistemi tradizionali di riciclaggio di black money, edilizia e contrabbando di sigarette, hanno ceduto il passo a sistemi altamente sofisticati, tra i quali ricordiamo le compensazioni internazionali a mezzo banche; le esportazioni simulate di merci, atte a mascherare i pagamenti transnazionali delle partite di droga; gli investimenti nell'atipico, al riparo da controlli di sorta, ma anche in titoli di Stato e in altri sistemi "alternativi", quali il leasing e i fondi comuni.
Anche i sistemi di approvvigionamento si sono ampliati. Alle attività consuete di sfruttamento dei minori (a Napoli si può ingaggiare un baby-killer per sole 500.000 lire), della prostituzione e delle estorsioni di vario tipo, si è aggiunto, al Sud, un controllo mafioso dei flussi di spesa pubblica e di sovvenzioni comunitarie, reso possibile dal carattere assistenzialista dell'economia meridionale e dalla debolezza di una classe politica bisognosa di voti, quindi facilmente corruttibile. Sicilia, Calabria, Campania restano le aree a più alta densità criminale. Ma non sono più le sole. Nel mirino delle tre piovre sono entrate altre regioni del Sud, come la Puglia, considerata ormai come la quarta "area a rischio mafioso", e le regioni del Nord ad alta concentrazione finanziaria, come la Lombardia, il Veneto, l'Emilia Romagna.
Mafia, camorra, 'ndrangheta sono diventate così un'emergenza per l'intera nazione. Prevedibile, del resto. Sono proliferate sulle deficienze e sugli errori del sistema, sulla miseria delle aree depresse, sulle politiche contingenti dello Stato assistenzialista. Oggi sono mostri della finanza e dell'imprenditoria. Gli uomini-chiave della criminalità organizzata sono latitanti e sono diciassette. 16.302, le persone sospettate di lavorare per la mafia. 817, le imprese o le società inserite nel giro mafioso. E' questo lo "zoccolo duro" di Cosa Nostra siciliana, cui fanno fronte 449 pentiti e informatori, che hanno consentito alla giustizia di ripercorrere le nuove tappe della criminalità, di acquisire numerosi elementi contro amministratori pubblici, di conoscere i vari canali del riciclaggio del denaro sporco e, conseguentemente, di individuare le attività preferenziali di destinazione dei capitali dalle aree ad alta densità mafiosa alle regioni centro-settentrionali (acquisti di gioiellerie, pelliccerie, alberghi e ristoranti, aziende agro-vinicole, appartamenti e terreni). A Milano, il processo di meridionalizzazione, come alcuni lo chiamano, si manifesta nel suo aspetto più deleterio. La città è diventata una "sede privilegiata" dell'organizzazione del crimine per operare il riciclaggio di black money. Uno dei campi preferiti, quello dell'edilizia. Notevole il caso della "Montimmobiliare" che Sergio Coraglia, narcotrafficante e tra i creatori della "Cosca Nord", aveva messo a capo di numerose società di costruzione che, da un lato, servivano come copertura per il riciclaggio delle narcolire, dall'altro, operando su terreni che autorità locali compiacenti facevano diventare edificatori, aumentavano a dismisura gli imperi immobiliari mafiosi. Attualmente, però, è tramite la Borsa che viene rimessa in circolazione la maggior parte dei proventi malavitosi, attraverso investimenti in titoli di Stato e in titoli atipici. Il fenomeno è tra i più difficili da controllare. Il ricorso sempre più frequente all'intermediazione finanziaria rende praticamente impossibile identificare la natura dei capitali investiti. Mentre in banca, operazioni di deposito di entità superiore ai venti milioni di lire fanno scattare l'obbligo dell'identificazione del soggetto che lo esegue, il parabancario è ancora un settore "sicuro" per chi voglia restare nell'anonimato. Società finanziarie, società fiduciarie, agenti di cambio o di vendita di fondi comuni sono tutti operatori non tradizionali che, anche inconsapevolmente, compiono operazioni per la mafia. In mancanza di una legislazione apposita, in questo settore si può solo prevenire. Anche qui, però, siamo ancora in alto mare. Milano non è solo un grande "lavatoio". Le tre piovre non hanno esitato ad estendervi i loro tradizionali sistemi di approvvigionamento: il "pizzo" è all'ordine del giorno e un commerciante su dieci paga la tangente e tace. Stessa sorte è toccata a Roma, considerata ormai la "business house" della mafia. Nella capitale, infatti, si concentrano le condizioni più idonee al proliferare degli interessi del crimine organizzato. L'aeroporto di Fiumicino e gli scali di Ostia e di Formia-Gaeta sono diventati punti cruciali per i traffici di coca e di eroina e per il contrabbando di tabacco. Ma è soprattutto per l'alto contenuto di politica e di pubblica amministrazione che Roma desta gli appetiti della mafia ed è purtroppo reale il pericolo di inquinamento anche dei vertici istituzionali.

La lotta al riciclaggio ha dato vita ad un accordo tra dodici Paesi del Consiglio d'Europa (compresa l'Italia), firmatari di una convenzione che attribuisce ampi poteri alla magistratura. L'impegno è di sopprimere il segreto bancario, consentendo alla magistratura di poter "ordinare la comunicazione o il sequestro di documenti bancari, finanziari e commerciali" e stabilendo che uno Stato firmatario non può "invocare il segreto bancario per rifiutarsi di dare effetto a questa disposizione".
Le legislazioni nazionali sono, tuttavia, ancora impreparate a fronteggiare il fenomeno nelle sue articolate dinamiche. Solo la Francia si è data una legge che ha realmente smantellato le barriere in tema di segreto bancario: Cob, fisco, magistratura possono ottenere dalle aziende di credito tutte le informazioni loro necessarie. Non solo. La legge contro il riciclaggio ha attribuito alle banche un potere-dovere di iniziativa: non più, quindi, soltanto soggetti passivi, obbligati a fornire dati su richiesta di soggetti autorizzati, ma soggetti attivi obbligati a denunciare alla Tracfin (organo di controllo facente capo al ministero delle Finanze) tutte quelle operazioni che suscitino sospetti sulla loro natura. Stesso obbligo è posto a carico di altri soggetti "a rischio": società di intermediazione mobiliare, agenti immobiliari. Un accorgimento: la Tracfin non può trasmettere al fisco le informazioni ricevute.


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