La società
del crimine è ormai un business da migliaia di miliardi, i
cui tentacoli abbracciano interi settori della nostra economia. Gli
enormi introiti derivanti dai traffici di droga, di armi, dai sequestri
di persona, dalle estorsioni e dalle tangenti, dai furti e dalle truffe
solo in parte autoalimentano le imprese criminose, per il resto vengono
riciclati ed investiti in attività "legali". Ed oggi
siamo di fronte ad un vero e proprio "salto di qualità",
ad un'organizzazione capillare che opera ai vertici della politica,
della finanza e dell'economia e che rischia di diventare un governo-ombra
non dissimile a quelli esistenti in Corea o nel Sud-Est asiatico o
nel Sud America, aree in cui la mafia detiene il controllo del mercato
e manovra i consensi di milioni di elettori.
I sistemi tradizionali di riciclaggio di black money, edilizia e contrabbando
di sigarette, hanno ceduto il passo a sistemi altamente sofisticati,
tra i quali ricordiamo le compensazioni internazionali a mezzo banche;
le esportazioni simulate di merci, atte a mascherare i pagamenti transnazionali
delle partite di droga; gli investimenti nell'atipico, al riparo da
controlli di sorta, ma anche in titoli di Stato e in altri sistemi
"alternativi", quali il leasing e i fondi comuni.
Anche i sistemi di approvvigionamento si sono ampliati. Alle attività
consuete di sfruttamento dei minori (a Napoli si può ingaggiare
un baby-killer per sole 500.000 lire), della prostituzione e delle
estorsioni di vario tipo, si è aggiunto, al Sud, un controllo
mafioso dei flussi di spesa pubblica e di sovvenzioni comunitarie,
reso possibile dal carattere assistenzialista dell'economia meridionale
e dalla debolezza di una classe politica bisognosa di voti, quindi
facilmente corruttibile. Sicilia, Calabria, Campania restano le aree
a più alta densità criminale. Ma non sono più
le sole. Nel mirino delle tre piovre sono entrate altre regioni del
Sud, come la Puglia, considerata ormai come la quarta "area a
rischio mafioso", e le regioni del Nord ad alta concentrazione
finanziaria, come la Lombardia, il Veneto, l'Emilia Romagna.
Mafia, camorra, 'ndrangheta sono diventate così un'emergenza
per l'intera nazione. Prevedibile, del resto. Sono proliferate sulle
deficienze e sugli errori del sistema, sulla miseria delle aree depresse,
sulle politiche contingenti dello Stato assistenzialista. Oggi sono
mostri della finanza e dell'imprenditoria. Gli uomini-chiave della
criminalità organizzata sono latitanti e sono diciassette.
16.302, le persone sospettate di lavorare per la mafia. 817, le imprese
o le società inserite nel giro mafioso. E' questo lo "zoccolo
duro" di Cosa Nostra siciliana, cui fanno fronte 449 pentiti
e informatori, che hanno consentito alla giustizia di ripercorrere
le nuove tappe della criminalità, di acquisire numerosi elementi
contro amministratori pubblici, di conoscere i vari canali del riciclaggio
del denaro sporco e, conseguentemente, di individuare le attività
preferenziali di destinazione dei capitali dalle aree ad alta densità
mafiosa alle regioni centro-settentrionali (acquisti di gioiellerie,
pelliccerie, alberghi e ristoranti, aziende agro-vinicole, appartamenti
e terreni). A Milano, il processo di meridionalizzazione, come alcuni
lo chiamano, si manifesta nel suo aspetto più deleterio. La
città è diventata una "sede privilegiata"
dell'organizzazione del crimine per operare il riciclaggio di black
money. Uno dei campi preferiti, quello dell'edilizia. Notevole il
caso della "Montimmobiliare" che Sergio Coraglia, narcotrafficante
e tra i creatori della "Cosca Nord", aveva messo a capo
di numerose società di costruzione che, da un lato, servivano
come copertura per il riciclaggio delle narcolire, dall'altro, operando
su terreni che autorità locali compiacenti facevano diventare
edificatori, aumentavano a dismisura gli imperi immobiliari mafiosi.
Attualmente, però, è tramite la Borsa che viene rimessa
in circolazione la maggior parte dei proventi malavitosi, attraverso
investimenti in titoli di Stato e in titoli atipici. Il fenomeno è
tra i più difficili da controllare. Il ricorso sempre più
frequente all'intermediazione finanziaria rende praticamente impossibile
identificare la natura dei capitali investiti. Mentre in banca, operazioni
di deposito di entità superiore ai venti milioni di lire fanno
scattare l'obbligo dell'identificazione del soggetto che lo esegue,
il parabancario è ancora un settore "sicuro" per
chi voglia restare nell'anonimato. Società finanziarie, società
fiduciarie, agenti di cambio o di vendita di fondi comuni sono tutti
operatori non tradizionali che, anche inconsapevolmente, compiono
operazioni per la mafia. In mancanza di una legislazione apposita,
in questo settore si può solo prevenire. Anche qui, però,
siamo ancora in alto mare. Milano non è solo un grande "lavatoio".
Le tre piovre non hanno esitato ad estendervi i loro tradizionali
sistemi di approvvigionamento: il "pizzo" è all'ordine
del giorno e un commerciante su dieci paga la tangente e tace. Stessa
sorte è toccata a Roma, considerata ormai la "business
house" della mafia. Nella capitale, infatti, si concentrano le
condizioni più idonee al proliferare degli interessi del crimine
organizzato. L'aeroporto di Fiumicino e gli scali di Ostia e di Formia-Gaeta
sono diventati punti cruciali per i traffici di coca e di eroina e
per il contrabbando di tabacco. Ma è soprattutto per l'alto
contenuto di politica e di pubblica amministrazione che Roma desta
gli appetiti della mafia ed è purtroppo reale il pericolo di
inquinamento anche dei vertici istituzionali.

La lotta al riciclaggio
ha dato vita ad un accordo tra dodici Paesi del Consiglio d'Europa
(compresa l'Italia), firmatari di una convenzione che attribuisce
ampi poteri alla magistratura. L'impegno è di sopprimere il
segreto bancario, consentendo alla magistratura di poter "ordinare
la comunicazione o il sequestro di documenti bancari, finanziari e
commerciali" e stabilendo che uno Stato firmatario non può
"invocare il segreto bancario per rifiutarsi di dare effetto
a questa disposizione".
Le legislazioni nazionali sono, tuttavia, ancora impreparate a fronteggiare
il fenomeno nelle sue articolate dinamiche. Solo la Francia si è
data una legge che ha realmente smantellato le barriere in tema di
segreto bancario: Cob, fisco, magistratura possono ottenere dalle
aziende di credito tutte le informazioni loro necessarie. Non solo.
La legge contro il riciclaggio ha attribuito alle banche un potere-dovere
di iniziativa: non più, quindi, soltanto soggetti passivi,
obbligati a fornire dati su richiesta di soggetti autorizzati, ma
soggetti attivi obbligati a denunciare alla Tracfin (organo di controllo
facente capo al ministero delle Finanze) tutte quelle operazioni che
suscitino sospetti sulla loro natura. Stesso obbligo è posto
a carico di altri soggetti "a rischio": società di
intermediazione mobiliare, agenti immobiliari. Un accorgimento: la
Tracfin non può trasmettere al fisco le informazioni ricevute.
