§ Briganti d'Italia

Ma chi erano?




G. M., G. C.



Lo svolgimento della storia è artificio antico e ricorrente. Solitamente, quando non è in buona fede, lascia Il tempo che trova; ma talvolta, sia pure con danni limitati, non è detto che non possa far breccia nelle coscienze deboli. Messori, che a Rimini ha demolito con squittii' da salotto il Risorgimento, altro non ha fatto che riprendere - con curioso ritardo rispetto al vetusto armamentario delle Leghe - ciò che dicevano e pensavano di Garibaldi e di Mazzini quelli che con voce lombarda venivano chiamati gli "oreggiat", i clericali, che come i vecchi principi italiani, timorosi di perdere trono e privilegi, tremavano all'idea di veder crollare il vecchio e rassicurante ordine sociale.
Riemerge, in quest'ultima occasione, più che l'intento denigratorio cosciente, la manichea e mai sopita ostilità clericale verso lo Stato laico e liberale, quale si manifestò all'indomani del '48 col voltafaccia di Pio IX, che dapprima aveva appoggiato la rivoluzione nazionale e poi l'aveva sconfessata, non appena comprese che essa non avrebbe accettato né l'egida della monarchia sabauda né l'imprimatur della Chiesa. Il '48 in Italia fu davvero l'anno della svolta, caddero anche molti equivoci. La rivoluzione toglieva autorità al papato, usurpava il suo magistero che doveva essere esclusivo e insindacabile. Una suddivisione dei poteri non era stata tollerata neanche al tempo di Federico II, il quale, anticipando Cavour, aveva Immaginato la separazione del ruoli tra Papato e Impero.
Dopo le illusioni di un'unità nazionale vagheggiata fin dal Medio Evo dal letterati e dal poeti, e attraverso la meditazione dei poeti civili fatta propria da "agitatori" come Mazzini e da soldati come Garibaldi, la Chiesa - che non avrebbe rifiutato di mettersi a capo della federazione guelfa teorizzata da Gioberti - s'oppose con tutte le forze al movimento nazionale democratico che voleva aprire all'Italia le vie dell'Europa. Compiacenti scrittori si misero all'opera per dimostrare l'"errore", i garibaldini vennero scomunicati, i liberali furono gratificati nei bollettini parrocchiali degli epiteti più infamanti. Il sacerdote Giacomo Margiotti scrisse un libello, Le vittorie di Pio Nono, per descrivere i "crimini" commessi dai garibaldini a Roma nel '49, dopo la fuga del papa a Gaeta. Ma fu un'arma che gli si ritorse contro, perché la temporanea caduta del Papato mise a nudo le vessazioni clericali che avevano riempito le prigioni e suscitato l'indignazione dell'Europa civile.
Garibaldi era un uomo semplice che la stampa cattolica dipingeva come "un babbeo e un bandito di strada" a capo di una masnada di malfattori e di stupratori. Cose lette e rilette mille volte. La propaganda politica non ha mai reso giustizia a nessuno. Importante è saper discernere la realtà dalla menzogna. In ogni società assolutistica la menzogna è un'arte, e la Roma papalina fino al '70 non era un esempio di democrazia progressista.
Garibaldi, Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele II: Messori mette tutti nel mazzo, ed è già questo un indizio di confusione di idee e di scarsa dottrina. Il più ardente desiderio di Cavour era di impiccare Mazzini nella pubblica piazza se mai la polizia fosse riuscita ad acciuffarlo. L'Italia di Mazzini e di Garibaldi non era l'Italia di Cavour e di Vittorio Emanuele. Mazzini non accettò mai lo Stato burocratico monarchico; il Papato, al contrario, finì col venirci a patti. I Savoia eressero monumenti a Mazzini, dopo averlo condannato a morte due volte. E anche il Papato l'avrebbe voluto morto per la semplice ragione che Mazzini voleva morto il Papato, "che è e sarà sempre la rovina d'Italia", come diceva senza perifrasi Giuseppe Ferrari, federalista sincero. Sono comprensibili le ragioni di tanto livore. Per Mazzini, il Risorgimento democratico era concepito in termini di rivoluzione anti-papale.
Fuggito il papa da Roma, i cattolici temettero che Mazzini volesse abolire il cattolicesimo, che non era ormai che un guscio vuoto, avendo perso ogni spinta propulsiva. "Il cattolicesimo scriveva Mazzini - s'è spento nel dispotismo. Il protestantesimo s'è perduto nell'anarchia. Guardatevi intorno: troverete superstiziosì o ipocriti; non credenti. L'intelletto cammina nel vuoto, i tristi adorano il calcolo, i beni materiali; i buoni invocano e sperano; nessuno crede ... ". Sembra il ritratto di una certa Italia furbacchiona e opportunista dei nostri giorni.
Ma neppure l'affermazione che il Risorgimento fu fatto da una minoranza contro tutti gli altri appare originale e degna di nota. A parte i cittadini di Parigi, e nemmeno tutti, quanti presero parte alla Rivoluzione francese? La risposta dello storico Jules Michelet è a questo riguardo deludente se messa in relazione con gli esiti di quell'evento grandioso.
Carlo Cattaneo non aveva fiducia nelle rivoluzioni, preferiva un progresso graduale: "Le rivoluzioni non si fanno, accadono". E così dicendo esprimeva una persistente fiducia nel concorso attivo delle masse (termine adottato in seguito dalla mitologia marx-leninista). Ogni processo innovativo è sempre stato suscitato e diretto dalle élites. Del resto, nessun rivoluzionario della storia viene dal popolo; e i tribuni innalzati dalla plebe sono sempre finiti male. Cola di Rienzo, Masaniello, Mussolini appartengono al medesimo filone anarcopopulista che travaglia e nutre da sempre l'anima Italiana.
Chi fece il Risorgimento? Una minoranza formata dai ceti più diversi, borghesi, popolani, intellettuali, possidenti (termine che andava di moda, a quei tempi), gente venuta dalle città e dalle campagne, disertori dell'esercito sabaudo, studenti scappati da scuola, preti riottosi ai richiami del vescovo. In poco tempo, la causa repubblicano vide affluire sotto le sue bandiere legioni di volontari. La Rivoluzione francese aveva generato anche quei movimento spontaneo, ignoto allo spirito italiano più incline al culto della famiglia e della bottega.
Prima d'allora, le guerre le avevano fatte gli stranieri; gli italiani s'erano messi con chi vinceva. Dopo il '48, anche gli Italiani - la solita minoranza di fessi generosi trovarono un motivo per combattere. Erano pochi? All'inizio c'è sempre qualcuno che va avanti. Mazzini esortava all'azione, al combattimento, e diceva: "Il Papato è cadavere come la monarchia"; e poi: "Seppellite i morti"; e ancora: "Né papa né re". L'Italia, per essere libera e indipendente, doveva distruggere due ostacoli potenti: il Papato e l'Austria. La predicazione mazziniana riuscì per qualche tempo ad abbattere entrambi. E gran parte del progressi successivi fu merito di quella minoranza che doveva trascinare tutto Il resto.
Anche Cattaneo individuava nell'Accademia e nella superstizione le cause dell'arretratezza culturale dell'Italia. I cattolici restarono estranei e ostili allo Stato liberale finché il "non expedit" papale che impediva ai credenti di partecipare alla vita politica del Paese non fu revocato. Negli anni della formazione unitaria, la gerarchia cattolica sobillò e sostenne tutti i potenziali nemici del Risorgimento. La campagna meridionale del 1860, sotto questo aspetto, fu esemplare. Masse di contadini, armate dal clero e dal Borbone, si sollevarono nelle province campane contro i garibaldini e li trucidarono al grido di "viva la Madonna". Del resto, non poteva sorprendere la reazione delle popolazioni del Sud, visto l'abisso di miseria e di ignoranza in cui le aveva precipitate la Chiesa.
La propaganda politica non sempre risultava efficace. Non erano tutti mangiapreti e atei, i garibaldini. Sotto Garibaldi militava il padre barnabita Ugo Bassi, bolognese, che durante la fuga da Roma nel '49 fu catturato dagli austriaci, fucilato e sepolto in terra sconsacrata, nel campo riservato ai malfattori.
Don Giovanni Verità, parroco di Modigliana, era iscritto al circolo repubblicano e salvò Garibaldi nella famosa trafila romagnola. Quando morì, nel 1885, il clero rifiutò ogni conforto religioso alla salma. Seguivano il feretro più di ottanta bandiere massoniche e repubblicane con i ritratti di Garibaldi e di Mazzini. C'erano cinquemila persone, ma nemmeno un prete, e meno che mai una croce. Le campane tacevano e le porte della chiesa erano chiuse.
Padre Pantaleo divenne cappellano di Garibaldi in Sicilia, fu lui ad arruolare I "picciotti" che temevano di dispiacere ai "signori" e ai principi della Chiesa che preferivano vedere come si mettevano le cose. Nel Risorgimento c'erano i preti e i mangiapreti; c'erano I massoni che col fascismo vennero perseguitati, mentre il Vaticano intrattenne buoni rapporti col regime; c'erano i buoni e i cattivi, come sempre e come dappertutto; ma questo che cosa vuoi dire? Anche nell'Olimpo cattolico c'è qualche santo d'i troppo.
Si può e si deve separare il reale dall'oleografico; ma i nostalgici di Jaseph De Maistre e del Papa-re non riusciranno mai a convincerci che il Risorgimento democratico di Mazzini e di Garibaldi non sia stato l'unico generoso tentativo di modernizzare il Paese, emancipandolo dai dogmi medioevali: esso diede agli italiani una coscienza civile contro la sopravvivenza di malgoverni, primo fra tutti quello della Chiesa, che Gladstone definì " il peggiore del mondo".
L'epilogo fu amaro. Il Risorgimento, dice Gobetti, segnò il trionfo del partiti moderati; vinse insomma l'Italia di sempre, quella del Gattopardo, contro la quale Mazzini e Garibaldi s'erano battuti.

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