§ Condottieri mercenari pirati

Il mestiere della guerra




A. Provanzano, F. Coroneo, E. Stukovitz



"Innanzi al 1494 erano le guerre lunghe, le giornate non sanguinose, e modi dello espugnare terre lenti e difficili; e se bene erano già in uso le artiglierie, si maneggiavano con sì poca attitudine che non offendevano molto: in modo che, chi aveva uno Stato, era quasi impossibile lo perdesse. Vennono Francesi e introdossono nelle guerre tanta vivezza ... ". Così Guicciardini, nei suoi Ricordi, con giudizio unanimemente condiviso dai contemporanei, attribuiva un significato epocale alla calata di Carlo VIII, prodromo della crisi che avrebbe poi trasformato l'Italia nel teatro delle contese armate tra le monarchie europee. E che quella crisi fosse premessa principalmente dell'arretratezza del sistema bellico italiano, basato sull'assoldamento di truppe mercenarie, divenne l'opinione conclamata degli umanisti, a cominciare da Machiavelli; un'opinione che si è trascinata fino ad oggi, per essere di recente contestata dallo storico inglese Michael Mallet nel suo lavoro di ricerca Signori e mercenari, edito dal Mulino.
Con estremo rigore documentario, Mallet fornisce un quadro senza dubbio esauriente della guerra rinascimentale italiana, partendo dal Duecento per giungere agli anni critici dell'invasione straniera. All'argomento capitale della polemica umanistica circa la congenita infedeltà delle truppe mercenarie, egli oppone la constatazione che gli ammutinamenti molto spesso furono dovuti ad inadempienze contrattuali (come si direbbe ai nostri giorni) da parte degli Stati, e in buona sostanza ai ritardi nel pagamento del soldo; e alquanto infondata gli appare l'accusa riguardo ai pretesi arcaici modi di combattere delle compagnie di ventura, che avrebbero continuato a privilegiare la cavalleria pesante, quando invece, al di là delle Alpi, si perseguivano la complementarità e l'impiego simultaneo delle varie armi: cavalleria, fanteria e artiglieria. In realtà, dice Mallet, se ci fu divario, esso fu minimo, e anzi nel Quattrocento l'esercito francese venne riordinato con un occhio rivolto alle esperienze degli Stati italiani.
La ricerca di Mallet non ha soltanto il merito di confutare o di ridimensionare idee consolidate della storiografia rinascimentale; essa è soprattutto una miniera di informazioni sul mestiere delle armi (molto redditizio, rispetto ad altre attività contemporanee); sull'evoluzione delle tattiche militari (esemplificate dallo svolgimento di celebri battaglie); sulle principali compagnie di ventura e sui loro condottieri; sull'amministrazione militare dei più importanti Stati italiani e sulle loro differenze ideologiche nei confronti dei mercenari (Firenze, ad esempio, nutrì sempre una fortissima diffidenza di stampo umanistico verso i condottieri, tardando così nell'adottare le innovazioni belliche); sugli acquartieramenti e sul vettovagliamento degli eserciti; sul codice cavalleresco e sulla "mala guerra" ("La guerra in Italia durante l'età rinascimentale non fu affatto una guerra incruenta, ma di rado fu gratuitamente brutale"); sul raffinato mecenatismo dei principi-condottieri ("La dovizia e lo splendore culturale di città come Ferrara, Mantova, Urbino e Rimini dovettero molto ai profitti conseguiti con il mestiere delle armi"); sull'incidenza della guerra nella vita quotidiana dell'epoca.
Proprio su questo punto si deve notare che, a causa della conflittualità permanente tra gli Stati o tra le fazioni di una città, la guerra "era un assillo continuo", sebbene le operazioni belliche si svolgessero soltanto durante periodi determinati: era infatti una "guerra stagionale", che cessava all'arrivo del freddo, riprendeva in primavera, e contemplava anche una pausa estiva, quando il clima ardente rendeva incomodo combattere ai "cappelletti", i classici cavalieri bardati di pesanti armature. Ma anche lo scopo di distruggere i raccolti nel territorio nemico contribuiva a fare dei mesi primaverili e di quelli autunnali i prescelti per ingaggiare la campagna militare; e gli eserciti, nel corso del Quattrocento, si dotarono di reparti "guastatori", che avevano il compito specifico di devastare i campi.
Poiché la guerra si combatteva in determinati periodi dell'anno, i mercenari venivano assoldati con contratti "a termine", stagionali, generalmente di tre mesi in tre mesi. Questo almeno fino al Quattrocento: una delle tesi di Mallet concerne l'avvenuto passaggio, nel corso del XV secolo, dall'arruolamento limitato nel tempo alla creazione di un esercito in servizio permanente, formato proprio da soldati mercenari.
A questo punto è necessario accennare almeno alle origini, in età comunale, del mestiere delle armi e al significato della "condotta". Questo termine designava il contratto stipulato tra uno Stato e un condottiero, un uomo d'armi liberamente eletto dagli altri mercenari per guidare la compagnia. Lo storico inglese insiste in modo particolare proprio sull'"indubbio carattere corporativo delle prime compagnie", sorte tra la fine del Duecento e l'inizio del secolo successivo. I soldati di ventura erano sempre dei cavalieri: la fanteria era invece costituita dalla "milizia patria", formata dalle truppe cittadine o dalle truppe feudali fornite ad una città da alcuni vassalli del contado. In quell'epoca, i mercenari aderivano ad una compagnia, ma senza vincolarsi ad essa se non per il rispetto della scadenza contrattuale. Al termine della "condotta", la compagnia smobilitava e gruppi consistenti di mercenari si davano al brigantaggio: ma proprio in questo modo le compagnie di ventura incominciarono a diventare formazioni stabili.
D'altra parte, la prosperità economica dell'età comunale acuiva "l'aggressività politica" dei singoli Stati italiani, facendo crescere il bisogno di truppe esperte. Fu il Trecento l'età delle grandi compagnie di ventura, composte essenzialmente da mercenari inglesi, tedeschi, bretoni, catalani, in non pochi casi reduci dalle crociate. Dalle guerre in Terrasanta venne una novità destinata a mutare l'arte della guerra: l'introduzione della balestra e dell'arco lungo, in uso presso i saraceni. Soprattutto la balestra divenne l'arma caratteristica delle guerre italiane; e Genovesi e Pisani si meritarono sul campo la fama di essere i migliori balestrieri d'Europa.
La fiducia nell'efficacia di quest'arma fu tale, che compagnie di balestrieri continuarono a formare il nerbo della fanteria, e talvolta della cavalleria leggera, anche nel tardo Quattrocento, quando già erano stati introdotti reparti di schioppettari (lo schioppetto, prima arma individuale di fuoco, era a miccia) e di archibugieri (arma a grilletto). Anche l'armatura dei combattenti si modificò significativamente in conseguenza delle armi da lancio: la maglia di ferro venne abbandonata, e si adottò la "barbuta", un'armatura a piastre molto pesante (le più perfezionate non pesavano meno di venticinque chilogrammi).
Un'altra rivoluzione nella tecnica guerresca si ebbe, a metà del Trecento, con l'assimilazione dei metodi inglesi di Combattimento, dovuta all'arrivo in Italia di veterani della guerra franco-inglese dei Cento Anni. Il più celebre di costoro fu John Hawkwood, meglio conosciuto come Giovanni Acuto, il cui ritratto equestre eseguito da Paolo Uccello si trova nel Duomo di Firenze.
Egli faceva parte (e in seguito la comandò) di una compagnia detta "bianca", in quanto l'armatura dei cavalieri - essendo liscia - riluceva, continuamente lustrata dagli scudieri. Gli inglesi introdussero una novità che, a pensarla adesso, sembrerebbeovvia; ma tale non era certamente a quei tempi: i cavalieri non si battevano soltanto stando in sella, ma scendevano da cavallo per gettarsi nel folto della mischia. La "lancia" era l'unità di combattimento formata da tre persone, due guerrieri e un paggio, e mentre quest'ultimo tratteneva i cavalli, i due combattenti affrontavano i nemici anche ponendosi "schiena contro schiena", per aiutarsi a vicenda. Nel secolo successivo, la "lancia", con il mutare delle tecniche d'assalto, divenne la "corazza", unità combattente formata da cinque persone. Ma decisamente più importante, nel Quattrocento, è l'assoluta preminenza sulla scena militare di condottieri italiani: e così divennero familiari i nomi di Braccio da Montone, Muzio Attendolo Sforza, Francesco Sforza, Niccolò Piccinino, il Carmagnola, il Gattamelata, Bartolomeo Colleoni, Federigo da Montefeltro, e i vari Orsini, Colonna, Malatesta, Gonzaga.
Nasceva la figura del Signore-combattente, il quale dai suoi stessi dominii traeva la gente d'arme per la propria compagnia che, naturalmente, in quest'epoca aveva ormai perduto il carattere democratico che la segnava all'inizio. Nello stesso tempo, gli Stati stabilivano contratti più duraturi con i condottieri, i quali si impegnavano ad intervenire allorché fossero stati chiamati, riscuotendo nel frattempo la "condotta".
Con le "lanze spezzate", infine, mercenari rimasti al di fuori della loro "lancia" per vari motivi, tra cui la morte del condottiero, e arruolati direttamente dagli uffici di reclutamento degli Stati, si ebbero le prime formazioni in servizio permanente, mentre le compagnie di ventura iniziavano la loro decadenza.
Interessante, oltre tutto, conoscere la provenienza geografica dei condottieri e dei "connestabili", ufficiali superiori di fanteria: in maggioranza, furono umbri, toscani e romagnoli. Dalla terra al mare. Dai mercenari ai pirati e alla guerra "da corsa", con i risvolti del brigantaggio e dell'uso strumentale da parte degli Stati.
Tra l'inverno del 1700 e la primavera del 1701, le navi che risalivano il Tamigi per attraccare al porto di Londra passavano attraverso uno spettacolo raccapricciante: tutte e due le rive erano disseminate di alberature, dalle quali pendevano molti corpi, testimonianze visibili che altri pirati erano caduti sotto il pugno dell'Alto Tribunale dell'Ammiragliato. Nessuno, a quella vista, poteva dubitare della risolutezza con cui il governo si impegnava a liberare dai predoni le vie del mare, affinché il commercio riprendesse il suo libero corso, portando ricchezze ai mercanti e proventi allo Stato. La maggior parte degli impiccati era francese, catturata dopo una lunga lotta al largo della costa americana della Virginia. Ma verso la fine di maggio, altri corpi vennero portati "a far cibo per gli uccelli": corpi di sconosciuti marinai; ma anche quello del celeberrimo Capitan Kidd. Un'epoca aveva fine per sempre.
Kidd, pirata non particolarmente feroce né avido, (per Einaudi è uscita di recente una biografia, Capitan Kidd e la guerra contro i pirati, di Robert C. Ritchie), fu scelto come capro espiatorio di un modo di intendere la vita non solo perché fu così sprovveduto da non accorgersi di vivere un'epoca di transizione, ma anche perché poco accorto nel gestire i rapporti con i suoi protettori politici.
I pirati avevano sempre infestato i mari. Nel 1498 Vasco de Gama, entrando nell'Oceano Indiano e trovandovi una rete di rotte commerciali controllata da comunità mercantili solidamente stabilite, per nulla intimidito, attaccò con uguale ferocia navi militari, mercantili e passeggeri. Nel 1543 i capitani portoghesi che entrarono in contatto con la Cina e col Giappone attaccarono le navi locali, conducendo nello stesso tempo trattative per ottenere concessioni commerciali.
La differenza tra espansione degli Stati, quali il Portogallo e la Spagna, e la pirateria - di ispirazione soprattutto inglese, francese e olandese - aveva valore solo per noi, perché per il resto del mondo tutti gli europei arrivavano al di là dei mari in veste di predoni e di razziatori. La pirateria si estese rapidamente dal Mediterraneo all'Atlantico, e da qui al Pacifico e all'Indiano, il territorio di caccia più ricco, nel quale convergevano anche i pirati e i bucanieri provenienti dal Capo di Buona Speranza. Nel multiforme mondo dei pirati esistevano due categorie ben distinte: quella dei pirati propriamente detti, predoni che, attratti solo dal bottino, attaccavano chiunque; e quella dei corsari, che potevano contare su una lettera di marca o su una lettera di rappresaglia. La prima autorizzava, in periodo di guerra, una nave da guerra, allestita da privati, ad attaccare obiettivi nemici; con la seconda si autorizzavano i mercanti a rifarsi, con atti di pirateria, delle perdite subìte a causa di altri pirati. Ovviamente, entrambe le lettere si prestavano ad ogni sorta di abuso.
Se i porti del Caribe, delle isole del Pacifico, del Madagascar erano spesso in mano di pirati "a riposo", è però altrettanto vero che ogni porto accoglieva volentieri i predoni del mare, che vendevano a basso prezzo le merci razziate e spendevano allegramente il ricavato. Per l'attracco nei porti europei, più attenti agli aspetti formali, l'incolumità dei pirati era direttamente proporzionale alla quantità di bottino che portavano. Vi fu più di un caso in cui i "fratelli della costa" tornavano così carichi d'oro da poter comperare la benevolenza e il silenzio di tutto il Parlamento britannico, monarca compreso.
Le comunità dei pirati di terraferma, così come gli equipaggi imbarcati, erano formate da ogni sorta di individui: numerosi erano naturalmente i criminali abituali, ma i resoconti parlano anche di piccoli commercianti e artigiani che, in occasione delle ricorrenti crisi economiche, si trovavano costretti a darsi alla pirateria per qualche tempo,- e spesso tornavano alla famiglia, mantenuta nel frattempo dal denaro che il "buon pirata" faceva giungere a casa.
L'organizzazione di queste comunità era estremamente democratica e tollerante. Il voto di ogni singolo marinaio valeva quanto quello del capitano, ma venivano rigorosamente rispettate l'anzianità e l'esperienza. Raramente i pirati si dimostravano spietati nei loro attacchi, anche perché non era quasi mai necessario. I marinai imbarcati sui mercantili non trovavano saggio morire per la misera paga che ricevevano, e spesso si univano ai predoni. Solo il capitano rischiava la tortura, se non rivelava dov'erano nascosti i forzieri con l'oro.
Gli abiti sgargianti e il comportamento pittoresco celebrati dal cinema erano una realtà. Cinema e narrativa popolare hanno però sempre taciuto sull'alta percentuale di omosessualità tra i pirati, molti dei quali abbandonarono le società di terraferma proprio per poter vivere al di fuori delle regole sociali e morali. La notissima isola della Tortuga fu la San Francisco del XVII secolo. Kidd, dunque, era un normale marinaio del suo tempo, che trovò più conveniente guadagnarsi da vivere come corsaro. I suoi inizi rimangono oscuri.
Solo nel 1689 emerse dall'anonimato, diventando il comandante di una nave corsara. Ottenuta la regolare lettera di autorizzazione, si distinse per il valore con cui attaccò e distrusse le navi francesi che insidiavano le colonie inglesi. Onorato e ricco, si ritirò a vivere da cittadino a New York, il più ospitale porto pirata dell'area; e, sebbene possedesse ancora una nave da corsa, della quale saltuariamente fece uso, venne accettato nella buona società e frequentò il governatore inglese e il suo seguito. Nel 1695, la vita di benestante uomo d'affari cominciò a pesare a Kidd, che sentì in modo irresistibile il richiamo del mare e dell'avventura. Partì allora con la sua nave per Londra, per ottenere direttamente dal governo una nuova patente di corsa. Contando sulle lettere di presentazione che si era procurato oltre Atlantico, riuscì a farsi ricevere dagli esponenti più in vista dei whigs (il vecchio partito liberale), allora al governo; e, dopo non poche vicissitudini, ottenne, in forma non proprio limpida, ciò che cercava.
Questo secondo viaggio di Kidd fu molto sfortunato: dato che non riusciva a mettere le mani su alcun bottino consistente, tra i marinai - arruolati con la consueta clausola "niente preda, niente paga" - crebbe il malcontento. Spinto dalle loro pressioni, ma anche convinto che le sue azioni sarebbero passate inosservate o sarebbero state tollerate, attaccò bersagli non consentiti, soprattutto indiani. La sfortuna lo perseguitò anche in questa circostanza, perché non riuscì a raccogliere un vero bottino; e gli indiani, ormai esasperati da decenni di vessazioni, iniziarono azioni di rappresaglia contro le stazioni commerciali inglesi, e in particolare contro gli uomini e gli uffici della Compagnia delle Indie Orientali, universalmente considerata la vera protettrice dei pirati. Anche in patria la situazione era radicalmente mutata. Non solo il predominio dei whig era al tramonto, ma l'intero Paese, non più aggressore della ricca e potente Spagna, ma ormai massima potenza mondiale, non aveva più alcun bisogno della guerra da corsa, né sentiva alcun interesse a destabilizzare le rotte commerciali. Cominciò allora in tutto il mondo la caccia, e i porti favorevoli un giorno ai pirati diventarono sempre meno sicuri. Kidd, forte delle sue protezioni, cercò di giocare d'astuzia, e nel 1699 decise di rientrare a New York, dichiarandosi corsaro. Bellomont, il governatore della colonia, in pessime condizioni economiche, avrebbe potuto accettare la sua versione e incassare un decimo del suo bottino (40 mila sterline); oppure farlo arrestare come pirata e avere diritto a un terzo. Optò per questa seconda soluzione. Abbandonato l'ex amico, lo fece portare in catene in Inghilterra, dove lo attendevano i tories, ansiosi di uno scandalo pubblico utile a dare la spallata definitiva al vacillante governo whig.
Le accuse contro Kidd furono così numerose che gli vennero intentati tre processi, celebrati nel volgere di due giorni: Kidd, secondo la legge del tempo, si difese da solo. Già nel primo giudizio venne condannato a morte, ma continuò a battersi fino alla fine del terzo procedimento. La condanna fu sempre la stessa.
La mattina del 23 maggio 1701 fu impiccato; ma la corda si spezzò, e si rese necessaria una seconda esecuzione. Il suo tragico destino suggestionò gli inglesi. Infatti, vennero composte due ballate sulle gesta, giunte sino a noi.
Kidd deve la sua popolarità anche ai primi giornali che nascevano in quegli anni, composti essenzialmente dai "resoconti" delle esecuzioni più celebri. Quella di Kidd fu scritta da Paul Lorraine, l'iniziatore di queste cronache, che, come cappellano delle carceri, godette di una posizione di assoluto privilegio rispetto alla nascente concorrenza.

Arrembaggi nel Duemila

Il terrore continua

La pirateria di Kidd, di Barbanera, di Drake, di Morgan, praticamente scomparsa verso la metà del XVIII secolo, diventò memoria storica; i mari conobbero un lungo periodo di tranquillità. E tuttavia il fenomeno non è scomparso mai in modo definitivo. Gerhard Mueller, uno studioso contemporaneo, ha scritto infatti di recente: "La pirateria è un fenomeno che va e viene. Vi sono state dodici epoche principali di pirateria dai tempi degli antichi fenici. L'attuale è cominciato a metà degli anni Settanta, ha raggiunto il culmine nel 1980-87 ed è continuata sullo stesso livello". Il fenomeno è emerso in tutte le sue tragiche dimensioni in occasione degli attacchi al boat-people vietnamita, ma da allora la pirateria non ha accennato a diminuire.
Statistiche dell'Ufficio marittimo internazionale thailandese denunciano che tra il 1982 e il 1985 i pescatori del mitico Siam - un vero flagello per i vietnamiti in fuga - hanno ucciso 388 persone, ne
hanno rapite 587 e violentato 734 donne. I dispersi dello stesso periodo sono stati 967. Successivamente, la media è stata di una sessantina di assalti all'anno, ma la maggior parte non è stata denunciata, tanto che non è azzardato parlare di un atto di pirateria al giorno. La tecnica è sempre la stessa: i predoni arrivano all'improvviso a bordo di veloci motoscafi, solitamente di notte. Gettano dei rampini a poppa, si arrampicano sulle corde a braccia, tengono l'equipaggio sotto la minaccia delle armi svuotano la cassaforte e si impadroniscono dei valori personali. Poi spariscono. Gli obiettivi sono quasi esclusivamente le navi commerciali.
I luoghi degli arrembaggi sono quelli tradizionali: nei passaggi obbligati, dove le numerose isole consentono facili nascondigli, e lungo le coste dei Paesi più deboli. Le zone ad alto rischio, dove si montano veri e propri turni di guardia "antipirati", sono il Mar dei Caraibi, la costa brasiliana, quella africano occidentale, quella libanese, ma soprattutto il Golfo di Thailandia e lo Stretto di Malacca, dove gli atti di pirateria sono in costante aumento. Nel 7 982 la Nigeria ha affrontato con fermezza il fenomeno, e gli attacchi sono diminuiti nettamente; ma a danno dei Paesi vicini, come la Liberia, la Sierra Leone, la Guinea, la Costa d'Avorio, che non son riusciti a mettere a punto uno strategia efficace. I pirati contemporanei hanno però escogitato anche altre tecniche, assai più redditizie: si impossessano della nave, una petroliera, ad esempio, e la dirottano verso uno scalo illegale della costa sudamericana o del Mediterraneo orientale. Una volta scaricato il petrolio, la nove può essere ridipinta e, con opportuni documenti falsi, può riprendere a solcare gli oceani oppure può essere riportato in mare aperto e affondata per incassare il denaro dell'assicurazione.
Nei Caraibi, invece, non è raro che l'obiettivo dei predoni sia la nave e non il suo carico: i "pirati della droga" catturano imbarcazioni da diporto e le trasformano in battelli per il contrabbando degli stupefacenti.
Allo stesso modo, sono sempre esistiti i mercenari, Quando, negli anni Sessanta, la decolonizzazione avviò all'indipendenza la maggior parte dei Paesi africani, sulla scia della guerriglia indipendentista algerina (dove agivano gli uomini della leggendaria Legione Straniera francese, mercenari - appunto - in servizio permanente effettivo), l'ex Congo belga fu al centro di spaventosi scontri interni, fomentati da Paesi europei che non avevano intenzione di rinunciare al controllo delle immense ricchezze minerarie, anche di carattere strategico (l'uranio), presenti in quest'area africana. Raccolti indiscriminatamente al Cairo, a Parigi, a Roma, armati dai trafficanti di armi che espongono i prodotti liberamente alle spalle della Grande Place di Bruxelles, i mercenari ebbero un ruolo Fondamentale nella lunga guerra che portò il Congo alla secessione. E ruoli altrettanto notevoli hanno ricoperto i soldati di ventura contemporanei in Sudan, in Costa d'Avorio, in Mozambico, in Zimbabwe (ex Alto Volta), in Liberia, nella vecchia Rhodesia, e in genere In tutto il Sudafrica, Ma anche in Libano, come in Birmania; e nelle formazioni terroristiche sudamericane, dal Perù (con Sendero Luminoso) alla Bolivia (con la Brigata America e con l'M- 19).
Oggi, nel clima di distensione che caratterizza il pianeta, i soldati di ventura sembrano in disarmo, e le aree di destabilizzazione non sono più quelle scelte dai "Signori della politica", ma quelle dei "Signori della guerra locale": Medio Oriente, per la questione palestinese; Afghanistan, per la lungo guerriglia che vede di fronte residui di truppe sovietiche, marxisti afghani e fondamentalisti-nazionalisti islamici; Birmania, per la secessione di fatto delle province di Nord-Est, in pugno ai trafficanti di oppio; Eritrea, per il movimento indipendentista; e via dicendo. Scoppiata la pace, i mercenari sono andati in pensione. Fino a quando?


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