§ Asterischi comiani

Lettere inedite di G. Caproni a G. Comi




Gino Pisaṇ



a) Caproni e il Salento: il contributo alle riviste salentine
Quando Giorgio Caproni conobbe Comi e istituì con lui il rapporto d'amicizia documentato dall'inedito epistolario (1) che qui si pubblica (a un anno dalla morte di Caproni, a cento dalla nascita di Comi), la sua consuetudine, per così dire, letteraria col Salento, aveva già una storia.
Se, infatti, gli anni Cinquanta furono quelli in cui il contributo del poeta livornese alle riviste salentine fu più sensibile, la sua prima adesione alla vita culturale di Terra d'Otranto risale agli anni in cui su "Libera Voce" (1943-1947) egli pubblicò una prosa, Le ginocchia (2), e un gruppetto di liriche iscrivibili nell'area di un rigurgito ermetico il cui senso più profondo non riposa in un mero tentativo di rivitalizzare un'esperienza storicamente già conclusa, sibbene nell'intento di un "nucleo di amici letterati [ ... ] di ritrovarsi come dopo un lungo spaventoso viaggio frettolosi di portare la testimonianza della propria esperienza umana e letteraria" (3) Su un foglio che ricomponesse, dopo la diaspora prodotta dalla guerra, antiche consonanze di vita e di pensiero.
Non è questa la sede per chiarire le ragioni del ricomporsi (sia pure su, altre basi e su altra coscienza) della centuria ermetica che, nel Salento, aveva militato su "Vedetta mediterranea" (1941-1943), ma è opportuna qualche considerazione. Al riguardo, così scrive Donato Valli: "Un terreno propizio [al ritorno ermetico] fu sicuramente rappresentato, oltre che dall'assenza [nel Salento] della guerra guerreggiata e dalla resistenza cruenta, da quella dissociazione che s'è rilevata tra pensiero e azione [ ... ] per cui ogni passione, ogni spinta, ogni sentimento cadevano in una sorta di vuoto artificiale [ ... ] senza speranza che potessero influire o modificare una situazione da secoli inerte e sorda" (4).
Ma né solo il sentimento lirico-elegiaco di una terra isola, il Salento, (che l'impegno liberalsocialista di "Libera Voce" impegnata nella ricostruzione spirituale ed economica dell'Italia e della Provincia salentina esorcizzava (5) né la pur viva, amara e non più inerte coscienza delle secolari delusioni storiche furono le ragioni esclusive dell'apparente attardarsi della esperienza letteraria salentina su moduli anacronistici rispetto alle urgenti istanze neorealistiche e civili, così come nemmeno "il gusto della bella forma e dell'ambiguità esistenziale" (6), così radicato e presente nell'anima collettiva di quelle generazioni poetiche, basta a chiarire le cause di tale fenomeno. Furono anche, mi sembra, più concrete e reali ragioni storico-biografiche: amicizie, legami, affinità elettive, trame già precedentemente imbastite (e gli epistolari ne rivelano i tracciati) o consolidate sul finire degli anni Trenta fra salentini (primo fra tutti quel "caporione" dell'ermetismo - così lo chiamava Quasimodo - che fu Oreste Macrì e poi Bodini, Comi, Pagano, Cesare Massa che Macrì ritiene la pietra angolare (7) del rapporto letteratura-vita negli anni di "Libera Voce"), fiorentini, romani e parmensi ad influire sulla connotazione della rivista e a convogliare sulle sue pagine i contributi rapsodici e superstiti di un fenomeno, l'ermetismo, tardo a morire e, forse, mai morto come categoria del Novecento (8).
In questo quadro e in parallelo con le presenze di Luzi, Macrì, Bigongiari, Bo, Rebora, Ungaretti, Sinisgalli su "Libera voce" va letta la collaborazione di Caproni alla stessa rivista.
Le sue prime liriche apparvero nel febbraio 1947 (9). Di queste (ma anche delle altre di cui si dirà più innanzi) mi sembra opportuno riproporre il testo ormai raro o malnoto (le liriche apparse su "Libera Voce" non sono confluite nelle successive edizioni delle poesie di Caproni, neppure nell'ultima, quella garzantiana del 1989 "in cui sono riunite tutte le poesie scritte da Caproni dal 1932 al 1986", ibidem, p. 7) per offrire al lettore la possibilità di documentarsi sulla loro natura:

Corda viva

L'oscurità dov'è argento la pioggia
sul tuo tenero viso in fuoco, Rina
ah come umanamente ora s'accorda
al buio ch' arde i selci - come inclina
alle note tue fragili! A una loggia
fresca di fiato e di spazio è vicina
nelle luci in frantumi la tua soglia
pulita - tu sei intatta alla mia prima
ansia presso i carboni dove scotta
la mia fronte rialzata. Oppure avviva
la tenebra sfiorandoti la bocca
i cumuli di brace mentre vibra
come un'arpa la pioggia - mentre tocca
l'unghia nel sangue la corda più viva?

Si tratta di 14 endecasillabi (un sonetto) variamente legati da assonanze e da rime. Numerosi enjambements.
Stesso schema ritmico per il sonetto successivo: rime alternate nei primi versi e poi liberamente risolte in assonanze:

Annunciazione

Sul tuo giovane petto con che schianto,
con che strepito irrompe la carriera,
o cara, che arroventa l'etra accanto
alla mia guancia e a te reca la fiera
notizia cui ti spezzi! Un pari slancio
d'amore, mai proruppe sulla spera
del tuo limpido giorno - mai fu infranto
con tal sasso il tuo riso. E ora alla sera
insorta, ora alle mie strenue parole
di fede, al fine volgiti - la mano
tu porgimi col suo dolce sudore.
E credimi mentr'io dico che t'amo
e non ho più che sale agli occhi - e al sole
le mie roventi lacrime sul grano.

Nel maggio dello stesso anno Caproni pubblica il racconto, Le ginocchia (10), che compare accanto a - una prosa odeporico-memoriale di Giuseppe Ungaretti, Elea o la Primavera (11), rifluita poi in Scritti di viaggio, e datata Salerno, aprile 1932. Ma nel mese successivo il poeta livornese fa seguire ai primi sonetti altri due che costituiscono la seconda e la terza sezione di Annunciazione. Sopra il titolo, Ultima epigrafe (12), un asterisco rinvia ad un post scriptum di Caproni. Egli avverte il lettore che "questi sonetti formano un tutto con quello già pubblicato su questa pagina il 7 febbraio 1947 col titolo di Annunciazione, il quale qui ora dovrebbe figurare come primo. Sono versi composti nel 1943, al momento di "Cronistoria" e se non apparvero nel volume, come altri di quell'epoca che insieme a questi non troveranno mai più la loro sede, èperché "Cronistoria" era appena uscita dalla tipografia" (13). Ecco il testo:

II

Il giorno chi lo sosterrà se manchi
d'improvviso - se già t'abbandoni
e pieghi, e dalla sella ardente i fianchi
tronchi al cavallo spaccando gli sproni
sul suo lucido cuore? A questi bianchi
spalti d'agosto, a quest'ossa, ai balconi
già corrosi di lacrime, ah tu stampi
per l'eterno il mio lutto - tu componi
eterno il suono che accende i selciati
sotto l'unghie roventi. E sarà fuoco
e sangue, e sarà ai sassi penetrati
di pianto ultima epigrafe anche il giuoco
tetro dei passi scanditi negli atrii
dove irrompi spezzandoti nel vuoto.

III

Il suono dei cavalli sulla pietra
deserta, ah se decanta ancora il lume
bianco d'ossario del sole nell'etra
del tuo silenzio inveterato! Allume
di rocca, ogni mia lacrima una tetra
arsione di memoria stringe. E il fiume,
il fiume chi ravviva più se impietra
al fragore dell'unghie - se le schiume
ferme neppure l'urlo d'un amore
irrefrenato scioglierà?... Rimosse
dalle strade dei padri, il mio dolore
ha venato le silici - alle scosse
braci sulle criniere ha acceso il sole
le lastre che per sempre tu hai percosse.

Entrambi i sonetti hanno identico lo schema: ABAB - ABAB - CDC - DCD. Due assonanze, nel primo bianchi - stampi, nel secondo dolore - sole.
Molto significativa risulta, pertanto, la data di composizione delle liriche in parola: nel 1943 Caproni è poco più che trentenne e solo da pochi anni ha varcato la soglia dell'esordio poetico (Come un'allegoria, 1936) sicché il suo linguaggio è compreso ancora nell'alveo di quei timbri classico-simbolico-ermetici che connotano la sua prima produzione e che via via, da Stanze della funicolare (1952) a Il franco cacciatore (1982), saranno alleggeriti e dissolti fino agli shrinks di una parola scarnificata, dimessa, dalle movenze neocrepuscolari, recuperata dalle macerie del quotidiano, in bilico fra canto e prosa, fra reale e surreale, impastata di quella ludica ironia (ne sono il segno i "vili" settenari, direbbe Carducci, preferiti all'endecasillabo, le rime baciate, le ariette cantabili, le sincopi ritmiche, la brevitas svolazzante arcadica dei versicoli del controcaproni) che scherma l'intrigo di solitudine, morte e mistero. Nelle liriche apparse su "Libera Voce" invece straripa, sotto il velame dei simboli e delle sinestesie, una vena sensuale di carnalità inesausta ed ardente di matrice estetizzante e dannunziana: la pioggia argentea sul tenero viso di fuoco, i selci ardenti, la loggia "fresca di fiato", la soglia, "i cumuli di brace mentre vibra / come un'arpa la pioggia", fino a quell'"unghia nel sangue" che tocca "la corda più viva", le lacrime "roventi" sul grano, il, "dolce sudore", la sera. E ancora fuoco e sangue, ossa e lacrime, arsioni di memoria, materico dolore.
Eppure "Libera Voce" si attestava su posizioni di impegno civile, prodotto dalla coscienza che solo l'azione può legittimare e nobilitare il pensiero (14), oltreché dall'esperienza della guerra che aveva inesorabilmente marcato il confine fra prima e dopo, sicché Vittorio Bodini proclamava: "non possiamo nascondere il nostro fastidio se ci avviene di leggere uno scritto di un nome su cui contavamo [ ... ] da cui non trapeli il più minuto indizio che qualcosa è accaduto, che qualcosa non è più come prima" (15). Come conciliare allora i contributi di Caproni, in cui nulla sembra "accaduto", con la vocazione della rivista? Si ha l'impressione che si volesse salvare sia la capra della scrittura aulica sia i cavoli di una renovatio rerum che doveva passare pel tramite di un utopico liberalsocialismo. Ci pare di poter cautamente sostenere che i rapporti amicali e la ancora inconsunta fiaccola ermetica giocarono un ruolo determinante, per gli intellettuali salentini, in un periodo in cui la storia aveva appena partorito, col forcipe della guerra, la libertà e il neorealismo era ancora un tenerissimo germoglio.
Nel Salento il neorealismo non fiorì motu proprio come nelle regioni italiane teatro della guerra e della Resistenza, attecchì, trapiantato, più tardi, nell'area de "Il Campo" di Lala, Bernardini, Carducci, nel cuore degli anni Cinquanta, sulla base di una nuova e più aperta coscienza della letteratura.
Intanto, fra il gennaio e il marzo del 1949 iniziava a vivere "L'Albero", rivista comiana, emittente dell'"Accademia salentina" che, fondata il 3 gennaio 1948, si estinse, esitando nella editrice "Casa dell'Albero", il 25 aprile 1953, come è dato rilevare dal verbale scritto su quel brogliaccio che èl'Album (16) dallo stesso Comi. Eloquente una lettera (17) di Comi a Macrì (gennaio 1954) circa la storia dell'Accademia: "Caro Oreste, molto mi duole che vi siate doluti [ ... ]. Una trasformazione (18) non è scioglimento; né io ho inteso sciogliere nulla di quel che fu - spiritualmente - legato il giorno della nostra Fondazione: [...] la funzione è quella di una società letteraria ispirata ai più alti valori della tradizione, dell'intelligenza e del cuore [ ... ] sotto il segno e l'insegna di una Civiltà letteraria ricca di ambizioni luminose e illuminanti, di propositi attivi e di realizzazioni armoniose". E quei propositi erano stati conclamati all'atto della fondazione, allorché, nell'intento di sprovincializzare la provincia salentina, veniva rivolto un appello "ai migliori uomini di Puglia [ ... ] nello spirito di amicizia e di affratellamento cristiano" (19) (dei "pugliesi" parteciparono all'Accademia o collaborarono a "L'Albero" fra il '48 e il '53, oltre allo stesso Comi, Oreste Macrì, Mario Marti, Michele Pierri, (napoletano-tarentino), Vincenzo Ciardo, Maria Corti, milanese ma, in quegli anni, salentina d'adozione, Luigi Corvaglia, Luciano De Rosa, Vittorio Pagano, Nicola De Donno) e anche agli "amici di altre terre, da qualunque terra, nella quale dimorino uomini disposti a un patto di assoluta chiarezza reciproca" (20). Fra questi uomini è Giorgio Caproni con Luciano Anceschi, Ferruccio Ferrazzi, Rosario Assunto, Arturo Onofri, Carlo Betocchi, Raffaello Prati, Elio Filippo Accrocca, Ferruccio Ulivi, Giorgio Vigolo, Luigi Fallacara, Gianna Manzini, Diego Valeri, Mario Luzi (21).
Caproni è ora nell'area aristocratica dello spiritualismo (22), e dà man forte a quella schiera di salentini "che svolge la sua lotta per un Salento svegliato e produttivo [ ... ] nell'unica maniera valida" (23): portando fuori dal Salento quello che ha dentro e portando dentro "quello che gli altri hanno, in un colloquio onesto e dignitoso, per una SOCIETA' degli spiriti che non sia la SOCIETA'-MONDANITA' delle pose e delle vane esibizioni" (24). Nel dicembre del '53 Caproni pubblica su "L'Albero" la lirica Versi ripresi (a memoria da una poesia perduta) (25):

Era l'odore dell'aglio dai gigli
sul prato ove rosseggiano in sudore
i cavalli lievissimi, o fu un maglio
tenero coi suoi tonfi?... Io ad un amore
acre di timidezza, ahi quale sbaglio
dolcemente commisi mentre il sole
si velava di brezza - quale abbaglio
spento sorpresi sull'acqua al tremore
d'una debole mano!... (O cantò un gallo
più alto dell'abete - squillò al sole
gracile di dicembre anche l'ardore
d'arancio del tuo petto? ... ) Ora un cavallo
selvatico, sull'erba fugge come
sopra la terra è fuggito il tuo nome.

Anche qui 14 versi liberamente rimanti e assonanti, sapientemente trapunti di allitterazioni (aglio-gigli) rime interne (timidezzabrezza) ed enjambements. Ancora sensazioni olfattive (odore dell'aglio, acre di timidezza, ardore d'arancio) ci riconducono al Caproni sensitivo e impressionistico del 143, ma ormai si attenua il carattere estetizzante e si profilano malinconie neocrepuscolari, toni dimessi, umili presenze (l'aglio - il gallo più alto dell'abete - il sole gracile di dicembre, l'arancio, il cavallo selvatico).
Sulla stessa lunghezza d'onda, ma costellato di nebbiose movenze baudelairiane ("Oh lunghe campane dell'inverno") e vagamente pascoliane (il "tempo dei pruni incolore e bruciaticcio" che cade insieme col poeta "nell'anno che inclina" sembra echeggiare, sul piano tematico, il "pruno secco" e "le stecchite piante" del Novembre pascoliano), il sonetto Versi di fine d'anno (26) dedicato a Michele Pierri:

Oh le lunghe campane dell'inverno!
Campane d'acque e di nebbia e d'amore
ed èmpiti, che penetrano in cuore
tra disfatte filande in un eterno
alluminio di strade! Forse fermo
a questo tempo di pruni incolore
e bruciaticcio, vibra quel dolore
che nel petto dell'uomo ha nome inferno
e sgomenta le passere?... Io che via,
via sto cadendo nell'anno che inclina
già alla sua fine, in una conceria
nauseabonda perché trovo la mia
voce - trovo campane vuote, e in cima
a rami assiderati tanta brina?

I versi sono legati secondo lo schema ABBA ABBA CDC CDC. In due casi le rime sono risolte in assonanze (fermo-inferno; cima-inclina). Il tono èpiù dimesso e il ritmo è ossessivamente franto da enjambements. Fa capolino un Caproni spleenetico e quotidiano (disfatte filande - alluminio di strade -conceria nauseabonda), colmo di solitudine, di mestizia, di spleen. A questo proposito è cara e gradita la testimonianza che mi ha reso, con squisita cortesia, la signora Marcella Romano Pagano che così ricorda il poeta (venuto a Lecce (27) sul finire dell'estate 1962): "lo conobbi in casa Santoro (28), Caproni era nero e cupo, impossibile nel comunicare, mentre Gatto era un ragazzaccio pronto allo scherzo ma con segrete malinconie. Ungaretti? un fanciullo malizioso".
In ordine a Versi di fine d'anno Caproni così scrisse a Comi: "voglio ringraziarti per i versi miei che hai voluto stampare su L'Albero. Se avessi saputo, ti avrei mandato qualcosa di più degno, perché questo numero è veramente bello, e io avrei voluto figurar meglio. Ma mea culpa" (lettera del 8.10.1954).
Contemporaneamente Caproni pubblicava su "L'Esperienza poetica" (1954-1956) di Vittorio Bodini e Luciano De Rosa una lunga lirica (29) divisa in tre sezioni, l'ultima delle quali, dedicata anch'essa a Michele Pierri, qui si riporta per cogliere l'evoluzione stilistica del poeta livornese e l'espansione tematica del tessuto lirico:

Quanti gabbiani chiari,
bianchi e neri, a Bari!

Sul mare che pullulava
di polpi teneri, urlava
(lungo la palizzata,
freddissima e soleggiata)
il cuore sbigottito
in un silenzio inaudito.

Mio padre era ferito
e solo (a letto) a Bari.
E s'io non muovo un dito
per lui, gli autobus (rari
sul lungomare) umani
avevano di quei gabbiani
gli squittii rotti - a Bari.

Assaporava molluschi
la guardia di finanza:
guardava con gli occhi lustri,
il collo d'una ragazza.

Ma io ero da me via,
e di passaggio, a Bari..
piangevo in quell'albania
di gabbiani - di ali.

Il metro è ora costituito da settenari e ottonari variamente distribuiti, legati in rima baciata nelle prime due strofe, alternata. e risolta in frequenti assonanze nelle seconde due, alternata nell'ultima strofa. Siamo di fronte a un Caproni cantabile, in transito, dall'apparente, ma in realtà profonda, tensione melico-prosastica, vicinissimo a Saba, dal verso breve, poeta del viaggio, dei luoghi urbani sonnecchianti nel pallore delle albe. Finalmente il Caproni odeporico che alla terra-madre di Alfonso Gatto giustappone la città-madre (archetipo) da cui lo separa il viaggio metafora della vita) in cui si compie un destino di biblica Trennung. Qui Bari, altrove Genova e Livorno: città portuali che Caproni sente sospese fra acqua e terra, ambigue come è l'esistenza dimidiata fra distacchi e ritorni in un fluire perenne di forme consuete della cui labilità si offre a segno, in questa lirica, l'aliare dei gabbiani in "quell'albania d'ali" o lo scorrere degli "autobus rari sul lungomare" e, con felice ipallage, "umani". Mistero e solitudine dietro quelle forme che defilano i segreti ultimi delle cose, le loro latenti simpatie, i nessi del divenire eracliteo, del multiforme e mucillaginoso fluire della vita.
E a Caproni dedicava, sulle pagine della stessa. rivista, un saggio "storico" Mario Boselli (30) il quale, prendendo l'abbrivio dai giudizi che sulla forma monotonica del poeta avevano espresso Macrì ("melodica memoria tassesca") e Pasolini ("Tasso dei sonetti"), svolgeva la tesi secondo cui "La parola [di Caproni] non contiene l'oggetto dello sgomento [ ... ] ma indica uno stato d'animo sorpreso tra il desiderio d'antiche forme e presenze oggettive, attuali" per "risalire [ ... ] correnti pre-ermetiche, nella ricerca del linguaggio adeguato, in quel confessare uno sforzo antiletterario istintivo, tradizionalmente vociano, confuso con l'altro [ ... ]che proviene dalla sensibilità immediata e dialettale" (31), Sospeso fra tensione memoriale e impressione attuale, perché "a cavallo di due epoche: [ ... ] una compiuta e l'altra nel suo farsi, con nostalgia della prima e istinto della seconda" (32).
Sulle pagine de "Il Critone" (1956-1966) (33) Caproni pubblica, nel '56, quella che forse è la più emblematica e struggente delle sue liriche "salentine": Fra l'antico e il moderno dedicata alla madre:

Anima mia leggera
va' a Livorno, ti prego.
E con la tua candela
timida, di nottetempo,
fa' un giro; e, se n'hai il tempo,
perlustra e scruta, e scrivi
se per caso Anna Picchi
è ancor viva tra i vivi.

Proprio quest'oggi torno,
deluso, da Livorno.
Ma tu, tanto più netta
di me, la camicetta
ricorderai, e il rubino,
di sangue, sul serpentino
d'oro che lei portava
sul petto, dove s'appannava.

Anima mia, sii brava
e va' in cerca di lei.
Tu sai cosa darei
se la incontrassi per strada.

E' una canzone di taglio duecentesco, echeggiante i moduli della ballatetta cavalcantiana Perch'io non spero di tornar giammai e di altre innumeri che costituiscono il repertorio della lirica romanza. E' formata da due ottave e da una quartina di settenari e ottonari, legati da assonanze e rime nella prima strofa, da rime baciate nella seconda, incrociate nella terza. Ipermetro il v.16.
Al tema del transito (Versi su cartolina) si sovrappone ora quello dell'esilio che si correda del canto della madre. Erlebnis già foscoliana ma autentica e reale: il destino di separazione in Caproni si è inesorabilmente compiuto.
La rima baciata bandisce ogni retorica indulgenza a toni dolciastri ed estenuati. Il canto è limpido e severo. L'esilio, Livorno, la madre ci restituiscono il Caproni più grande e maturo, non più sensuale e sedentario, appostato sul crinale ermetico, ma deraciné, come una festuca, dal vento del mistero.
Attraverso le liriche "salentine" è possibile cogliere la linea evolutiva dell'arte del poeta dal 143 al '56: dal settenario che sostituisce l'endecasillabo fino alle variazioni tematiche testé accennate. Da segnalare, ancora, fra gli scritti "critonici" di Caproni una prosa d'arte, La lepre (35), in cui egli stabilisce una analogia fra il destino di questo animale, sempre fuggiasco e braccato, e quello dell'uomo (" [ ... ] l'uomo persegue inconsciamente nella lepre, tapinante in perpetuo e in perpetuo fuggiasca, giacché innumerevoli sono gli animali che la cacciano, una palpabile immagine del proprio destino") (36).
Vi affiorano poi notazioni impressionistiche pastellate qua e là: fumicose stazioncine suburbane, la guazza dell'alba, i frigidi albumi della nebbia, la meridiana ora solare della cicala e dell'avvoltoio nero, fresco plenilunio, vetrificati inverni, formicolanti primavere, gementi autunni, chiaror della luna, anelanti bestie sulla radura, fresca rugiada. Nella lepre, che Betocchi cantò dimidiata "tra l'oscura voluttà della campagna e la paura del cacciatore", Caproni vede specchiarsi, con chiara allegoria, "la nostra anima cristiana, la quale, indifesa sì ma non rinunciataria né vigliacca ha pur essa bisogno, delle sue mille astuzie, dei suoi mille stratagemmi [ ... ] nello scopo che èquello di sottrarsi all'eterno segugio" (37).
La collaborazione di Caproni a "Il Critone" si arricchisce poi della traduzione di tre liriche di Henri Thomas (La notte sopraggiunta - Ieri e domani - Il villaggio, l'albero) (38) in cui ricorrono temi consueti al poeta livornese (madre, mistero, solitudine, morte) e si estingue con l'ultimo contributo, un lungo elzeviro ironico-giocoso, Lamento del recensore (39), che ha per tema questa attività del poeta, quella del recensire, fatta oggetto di imploranti suppliche salmodiate da questuanti, sedicenti poeti. Giova spigolare qualche passaggio: " [ ... ] Non ce la sentiamo di essere presi per Commendatori e di esser ritenuti degni di suppliche e di adulazioni che ci fanno arrossire, molto peggiori degli improperi. [ ... ] Non ce la facciamo più. Così abbiamo deciso di inchiodare alla porta un cartiglietto con su, in tutto maiuscolo e versandovi sopra tutto il latino di cui non conserviamo memoria, Miserere nobis, perché la gloria non passa di qui" (40). Un'eco di codesto suo fastidio di recensire è anche in una lettera a Comi (41) cui confida:

[...] son quasi deciso a non far più recensioni, giacché sono stanchissimo di quel genere che non è il mio.

b) Caproni e Comi
Le lettere a Comi (che in quei tempi di neorealismo (42) e di sperimentalismo non rinnegava, anzi accentuava i toni musicali del suo spiritualismo mistico-panico-cristiano (43) trovando in Dio risolti e fusi Spirito e Materia, io ed Universo, e moriva al mondo azzerandosi nell'excessus mentis dell'ultimo tempo) sono rivelatrici tanto dell'affettuosa attenzione di Caproni verso il salentino

ho trovato a Roma nel mio andirivieni, il tuo aspettatissimo Spirito d'armonia (44)

quanto delle valutazioni,

i fascini fortissimi e anche le repulsioni che provo leggendoti: come di chi vien fatto entrare in un palazzo d'oro, abituato al duralluminio delle case economiche (45)

in ordine al suo diverso modo di fare poesia. E verso Comi, aristocratico, dello spirito, metafisico e metastorico, Caproni è in debito di letture e di approfondimenti:

Sarà un debito che dovrò pagare per darmi ragione di ciò che sento. Ora sono ancora nell'albume delle prime impressioni tattili, e delle prevenzioni raccattate in lettere rade e di fortuna. Devo prima sgombrare il lido da queste alghe (46).

Nella seconda lettera, ottobre '54, Caproni accenna al premio "Chianciano" di fresco assegnato a Comi e lo ringrazia per aver pubblicato Versi di fine d'anno di cui si è detto innanzi:

nel congratularmi con te per il Premio che hai meritato. (ma la tua poesia non ne aveva davvero bisogno!) voglio ringraziarli per i versi miei che hai voluto stampare su "L'Albero" (47)

mentre nella terza (48) esprime il suo ringraziamento all'amico poeta di Lucugnano che gli aveva inviato, prima ancora di darlo alle stampe per l'edizione definitiva (49), il "dono bellissimo" di Canto per Eva.

Te ne ringrazio di cuore, per l'amore che portoverso la tua poesia, sempre così alta, così nobile (50).

Poi consente-dissente su un numero de "L'Albero" alla cui storia queste lettere possono giovare:

Mi piacque tutto, meno la nota su Pasolini (51), parsami inutilmente acerrima perché non fondata su reali ragioni intrinseche. Ma a parte questa mia impressione personale, ottimo numero senza dubbio (52).

Nella quarta (53) comunica a Comi che attende "con amicizia" e con "stima grande" un suo libro (Canto per Eva in edizione completa) (54) e manifesta l'intenzione di recensirlo, nonostante sia "stanchissimo di quel genere" (la recensione) che non è il suo.
Lecce, infine, è al centro della quinta (55) lettera: Caproni è polemico nei confronti di chi la paragona a Firenze

Non credo che ci sia questo bisogno, da quanto ho appreso sui libri. Perché, allora, non paragonano a Lecce Firenze?

e giura che ci tornerà e andrà a trovare l'amico poeta ormai povero e solo a Lucugnano. Ma ciò non accadrà. E ora che Caproni ha raggiunto e ritrovato Comi in den alten Frieden della terra pietosa, ci giova ricordarli insieme, suggellando questo piccolo epistolario con le parole che chiudono l'ultima lettera e ci lasciano un commosso e lapidario ritratto di Comi uomo e poeta:

Ti ringrazio d'avermi scritto. Ti ho sempre stimato moltissimo e come poeta e come uomo. Sei un vero signore dello Spirito e oggi di cavalieri dello Spirito ce n'è tanto bisogno (56).

c) Le lettere

I

Lettera manoscritta in busta indirizzata: a Girolamo Comi Lucugnano (Lecce) Roma, 15 luglio 1954

Caro Comi,
ho trovato a Roma, nel mio andirivieni, il tuo aspettatissimo Spirito d'armonia. E' proprio il caso di dire, coralmente: una buona volta!
Con un'opera cosiffatta le frasi generiche non servono, e io non mi perderò in complimenti frettolosi. Mi limito, per ora, a dirti grazie.
Tu hai fatto fino in fondo la tua parte di poeta, fino alla pubblicazione piena. E ora sta a noi far quella di lettori, e con degno impegno.
Spero di poterti dire un giorno, a stampa o alla meno peggio, i fascini fortissimi e anche le repulsioni che provo leggendoti: come di chi vien fatto entrare in un palazzo d'oro, abituato al duralluminio delle case economiche. Sarà un debito che dovrò pagare a me stesso, per darmi ragione di ciò che sento. Ora sono ancora nell'albume delle prime impressioni tattili, e delle prevenzioni raccattate in letture rade e di fortuna. Devo prima sgombrare il lido da queste alghe.
Affettuosi saluti
Giorgio Caproni


II

Cartolina postale manoscritta indirizzata: a Girolamo Comi Lucugnano (Lecce) Roma, 8/10/54

Carissimo Comi,
nel congratularmi con te per il Premio più che meritato (ma la tua poesia non ne aveva davvero bisogno!), voglio ringraziarti per i versi miei che hai voluto stampare su L'Albero. Se avessi saputo, ti avrei mandato qualcosa di più degno, perché questo numero è veramente bello, e io avrei voluto figurare meglio. Ma mea culpa. Ti saluto caramente tuo
tuo Giorgio Caproni


III

Lettera manoscritta (fuori busta) Roma, 14 gennaio 1956

Carissimo Comi,
son tornato dal Veneto, dove mi sono trattenuto più del necessario, e ho trovato qui - coi tuoi auguri che contraccambio di cuore - il dono, bellissimo del tuo Canto per Eva. Te ne ringrazio di cuore, per l'amore che porto verso la tua poesia, sempre così alta, così nobile.
Io di te godo come di un paesaggio nutrito d'aure di messi e dei succhi ... (57)
Ebbi anche l'ultimo numero dell'Albero, e mi piacque tutto, meno la nota su Pasolini, parsami inutilmente acerrima perché non fondata su reali ragioni intrinseche. Ma a parte questa mia impressione personale, ottimo numero senza dubbio. Perdonami se non mi sono fatto vivo da tanto tempo. Non sto bene, ho un tremendo esaurimento, e i giorni mi volano divorati dal lavoro obbligato. Con tutto l'affetto del tuo
Giorgio Caproni


IV

Lettera manoscritta in busta indirizzata: Illustre Girolamo Comi Lucugnano (Lecce) Roma, 30/9/58

Caro Comi,
attendo il tuo libro (58) con l'amicizia e la stima grande che sai. E stai certo che non lo censirò se il discorso non mi riuscirà all'altezza dell'opera. (Senza contare che son quasi deciso a non far più recensioni, giacché sono stanchissimo di quel genere che non è il mio). Se mi manderai l'Albero te ne sarò grato. Saluti cari
Tuo aff.
Giorgio Caproni


V

Lettera dattiloscritta su foglio a stampa che riproduce il frontespizio di una lirica di Caproni (Urlo di Giorgio Caproni, 27° libretto di "Mal'aria"). Si tratta del 27° libretto della rivista maremmana "MAL'ARIA" tirato in numero di cinquecento copie in carta pelure mista, ad opera della Stamperia Artigiani Grafici di Sampierdarena. Il foglio, in alto a sinistra, contiene stampata una lirica di 16 vv. di Caproni dal titolo (in alto a destra) Versi per Annina. Il testo della lettera è nel quarto inferiore sinistro sul cui margine si legge, manoscritto, Un saluto dal tuo Giorgio Caproni. Nel quarto inferiore è riprodotto il frontespizio arricchito da un disegno di Henri Boutet.
La lettera è contenuta in busta intestata: al Poeta Girolamo Comi Lucugnano (LECCE) [13.10.62]

Caro Comi,
no, non ho detto male di Lecce, pur non avendola vista. Anzi. Ho trovato stupido che la diminuiscano sentendo il bisogno di paragonarla a Firenze. Non credo che ci sia questo bisogno, da quanto ho appreso sui libri. Perché, allora, non paragonano a Lecce Firenze? Questo volevo dire nel mio foglietto di diario.
Lecce non l'ho vista perché mi ci sono arrabbiato sul serio.
Il perché è troppo lungo a spiegarsi. Ma ci tornerò, ti verrò a trovare. Nei prossimi non troppi anni dei mio futuro.
Ti ringrazio di avermi scritto. Ti ho sempre stimato moltissimo e come poeta e come uomo. Sei un vero signore dello spirito, e oggi di cavalieri dello spirito ce n'è tanto bisogno.
Un saluto dal tuo
Giorgio Caproni

NOTE
1) Le lettere sono custodite presso l'archivio della Biblioteca di Comi in Lucugnano.
2) Cfr. "Libera Voce" (d'ora in poi LV) del 27 maggio 1947, anno V, n. 16, p. 3.
3) DONATO VALLI, Cento anni di vita letteraria nel Salento (1860 - 1960), Lecce, Milella, 1985, p. 94.
4) Ibidem.
5) Forte e rigoroso fu l'impegno antimonarchico e costituzionalista del periodico dal 1945 in poi.
6) DONATO VALLI, op. cit., ibidem.
7) Ringrazio l'illustre Maestro magliese-fiorentino della cortese testimonianza.
8) Il dibattito sull'ermetismo fu sempre acceso e di difficile composizione ai tempi de "L'Esperienza poetica" (d'ora in poi EP) di Vittorio Bodini. Fra tante voci che lo animarono giova segnalare il contributo a più mani di GIOVANNI GIUDICI (Soltanto accettando il passato, potremo mutarne il senso), MARIO BOSELLI (Il '45 è una data letteraria), MARIO AGRIMI (Non una parola che libera ecc.), Argomenti su "Quarta generazione", in EP, n. 3-4, Luglio-Dicembre 1954, pp. 51-68. In particolare, così si esprime GIOVANNI GIUDICI: "[…] Sembra dire il Macrì che lo svolgimento di almeno due "generazioni" prima della quarta (quella di Montale, Fallacara, Quasimodo ecc. e quella di Luzi, Caproni, Bertolucci, Sereni, De Libero ecc.) deve ritenersi tutt'altro che esaurito; e siamo senz'altro d'accordo nel pensare che da questi e dagli altri poeti "co-generati" si possono attendere ulteriori significative prove" (p. 55).
9) GIORGIO CAPRONI, Corda viva e Annunciazione, in LV del 27 febbraio 1947, anno V, n. 4, p. 3.
10) Cfr. nota 2.
11) Sarà questo il solo intervento ungarettiano su LV.
12) In LV del 14 giugno 1947, anno V, n. 18, p. 3.
13) Ibidem.
14) Cfr CESARE MASSA, Socialismo e lotta di classe, in LV del 13 dicembre 1943, anno I, n. 2, p. 1 ("La storia la facciamo noi, non anticipando arbitrariamente conclusioni e deduzioni, ma agendo").
15) VITTORIO BODINI, Mobili prospettive d'una letteratura, in LV del 16 novembre 1943. Cito da FRANCO MARTINA, Il Fascino di Medusa, per una storia degli intellettuali salentini tra cultura e politica (1848-1964), Fasano, Schena, 1987, p. 221. Il saggio del Martina fa piena luce sul nuovo rapporto fra politica e cultura inaugurato da "Libera Voce" in ordine al quale l'autore così si esprime: "la consapevolezza che il processo che si era aperto [col 1943] non si sarebbe esaurito nel breve volgere di una stagione, ma avrebbe richiesto i tempi lunghi delle grandi costruzioni, sono elementi che non rimasero né fatti puramente intellettuali, né puri moti dello Spirito, ma si concretarono in un lavoro quotidiano, tenace" ( ibidem, p. 220). Su LV e sulle riviste salentine del dopoguerra cfr. anche ENNIO BONEA, Subregione culturale - Il Salento, Lecce, Milella, 1978, e la citata opera di DONATO VALLI,
16) Sulla sua consistenza si veda il mio Inediti salentini di Alfonso Gatto a proposito di Girolamo Comi, in "Sudpuglia", 1990, anno XVI, n. 2, p. 108.
17) La lettera inedita e la minuta è stato da me ritrovata fra i fogli dell'Album.
18) Quella dell'Accademia in editrice "Casa dell'Albero". Le ragioni, circa la fine dell'Accademia, sono addotte nella stessa lettera: "Se l'Accademia non fu eretta ad Ente - come era nei miei propositi e nei miei voti - non è perché fosse mutato il mio orientamento, ma perché le mutatissime condizioni economiche [ ... ] non me lo hanno consentito [ ... ]. Ma l'importante, mi pare, caro Oreste, che l'Accademia, ora Casa dell'Albero, (e casa ospitale come prima e meglio di prima) viva oggi come ieri".
19) In Cronaca della Fondazione ("L'Albero", d'ora in poi AL, n. 1, p. 7) si legge: "si trattava, innanzitutto di cedere a un ente l'anima e il cuore di un uomo vivente che avesse creduto in talune certezze fondamentali circa la vita e la poesia, e ora rivolgesse un appello ai migliori uomini di Puglia […] nello spirito di amicizia e di affratellamento cristiano".
20) Ibidem.
21) Questi nomi sono presenti, con i loro contributi, su "L'Albero" fino al 1954 che è la data che ci interessa.
22) Cfr. GIROLAMO COMI, Stato di grazia poetico e stato di grazia spirituale, in AL, 1, 1949, pp. 10-20.
23) Cfr. l'articolo Celebrazioni e Colloqui, a firma di YORG, in AL, n. 17-18, dic. 1953, pp. 65-66.
24) Ibidem.
25) In AL, n. 17-18, dic. 1953, p. 51. Anche in Cronistoria, cfr. G. CAPRONI, Poesia 1932-1986, Milano, Garzanti, 1989, p. 112.
26) In AL, n. 19-22, dic. 1954, p. 13. Poi confluita ne Il passaggio di Enea, ed. cit., p. 130.
27) Cfr. lettera a Comi del 13 ottobre 1962.
28) Il riferimento è all'avv. Tommaso Santoro, letterato, fondatore e direttore de "Il Critone" (d'ora in poi CR), grande amico di Pagano e di Comi.
29) GIORGIO CAPRONI, Versi su cartolina, in EP, aprile-giugno 1954, n. 2, pp. 6-8. Sul periodico bodiniano cfr. ARMIDA MARASCO, "L'Esperienza poetica", introduzione pp. IX-XLIX, Galatina, Congedo, 1980. Sulla nuova funzione che Bodini assegnava "alla letteratura in un clima storico profondamente mutato" cfr. ANTONIO LUCIO GIANNONE, Bodini prima della "Luna", Lecce, Milella, 1982; ivi, p. 56, il passo virgolettato. Poi in appendice a Il passaggio ecc., ed. cit., p. 168.
30) MARIO BOSELLI, Giorgio Caproni, in EP, n. 5-6, gennaio-giugno 1955, pp. 32-40.
31) Ibidem, p. 33.
32) Ibidem, p. 40.
33) Al carattere di questo periodico, come a quello dell'"Esperienza poetica" ho fatto cenno, sulle pagine di questa stessa rivista, nel mio Inediti salentini ecc., cit.. Tuttavia il lettore potrà ulteriormente documentarsi consultando le citt. opp. di BONEA, VALLI e MARTINA.
34) Cfr. CR, anno I, n. 5-6, agosto-settembre 1956. Poi ne Il seme del piangere, ed. cit., p. 201. Sullo stesso numero, nel supplemento letterario, contributi di Luigi Fallacara, Giacinto Spagnoletti, Mario Luzi (traduzione da Henry Michaux), Alessandro Parronchi, Carlo Betocchi.
35) In CR, anno I, n. 7-8, ottobre-novembre 1956. Sullo stesso numero contributi di Oreste Macrì, Alessandro Parronchi, Vittorio Pagano, Rosario Assunto.
36) Ibidem.
37) Ibidem.
38) In CR, anno II, n. 5-6, maggio-giugno 1957. Sullo stesso numero contributi di Alfonso Gatto, Mario Marti, Piero Bigongiari, Alessandro Parronchi.
39) In CR, anno III, n. 1-2, gennaio-febbraio 1958. Sullo stesso numero contributi di Luigi Fallacara, Piero Bigongiari, Oreste Macrì, Vittorio Pagano.
40) Ibidem. Mi pare opportuno segnalare in questa sede che le prose giornalistiche salentine di Caproni, testè esaminate, non compaiono nel saggio specifico di ALESSANDRA DE BIASE, L'opera giornalistica di Giorgio Caproni, "La Rassegna della letteratura italiana", a. 93, VIII, gennaio-agosto 1989, n. 1-2, pp. 155-172 in cui si riporta I'eIenco degli articoli di Caproni e dei periodici cui collaborò.
41) Lettera del 30-9-1958.
42) A questo proposito giova ricordare la polemica con NICOLA CARDUCCI che su "II campo", 10, Maggio-Luglio 1957, alle pp. 22-25, pubblicava l'art. Foglie secche.
43) A riconoscerne il valore, pur nella temperie suddetta, venne l'assegnazione del Premio "Chianciano" (1954). La motivazione può leggersi in GIROLAMO COMI, Opera poetica, a cura di D. VALLI, Ravenna, Longo, 1977, p. 355.
44) Lettera del 15-7-1954. E' Spirito d'armonia, ed. dell'Albero, Lucugnano 1954, l'opera con cui Comi si aggiudico il Premio "Chianciano".
45) Ibidem.
46) Ibidem.
47) Lettera del 8-10-1954.
48) Lettera del 14-1-1956.
49) La plaquette uscirà in edizione definitiva nel 1958, articolata in quattro sezioni, ma le prime due, Piccolo idillio per piccola orchestra (24 esemplari fuori commercio) e Canto per Eva (432 esemplari) erano apparse autonomamente nelle "Edizioni dell'Albero" rispettivamente nel 1954 e nel 1955.
50) Lett. cit. nota 48.
51) Si tratta di una polemica recensione a firma di YORG (pseudonimo di Vittorio Pagano) a I campi del Friuli di P. P. PASOLINI. Vi si legge, fra l'altro, "[ ... ] non si sa se prevale [nello stile di Pasolini] Alfonso Gatto o Giorgio Caproni, o se meglio Gatto e Caproni si trasfondano, si mescolino, per togliersi reciprocamente vigore, non certo per darsene […]". In AL, n. 23-25, luglio-settembre 1955, pp. 128-131.
52) E' il numero di cui si è detto alla nota precedente. Vi compaiono contributi di Giuseppe Ungaretti, Diego Valeri, Vittorio Pagano, Oreste Macrì, Mario Luzi, Renato Mucci, Girolamo Comi, Alessandro Parronchi, Maria Corti, Raffaello Prati, Vittorio Gui, Vittorio Bodini, Vincenzo Ciardo, Ferruccio Ulivi, Donato Valli.
53) Lett. del 30-9-1958.
54) Cfr. nota 49.
55) Lett. del 13-10-1962.
56) Ibidem.
57) Da Canto per Eva, sonetto n. 7, w. 1-2; cfr. COMI, op. cit., p. 101.
58) Canto per Eva, cit.
Avvertenza. Solo quando ormai questo lavoro veniva chiuso in tipografia, mi è stato possibile rintracciare un ultimo contributo di Caproni apparso su "L'Albero". Si tratta di un breve intervento critico che riguarda Gian Carlo Conti. Cfr. GIORGIO CAPRONI, Gian Carlo Conti, in AL, n. 17-18, dicembre 1953, pp. 69-70.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000