§ Europa / Prospettive del settore bancario

Concorrenza e integrazione




Donato Carbone



Nel maggio 1989, l'Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa ha promosso, in collaborazione con l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed alcune Banche associate, tra le quali la Banca Popolare Sud Puglia, la costituzione di un gruppo di ricerca che, sotto la guida del professor Cesarini (docente di Tecnica bancaria presso quell'Ateneo e Presidente della Banca Agricola Milanese) e del professor Conti (capo dell'ufficio studi della COMIT), ha esaminato luci ed ombre della concorrenza bancaria nell'Europa del '92, con particolare riguardo ai sistemi creditizi di Francia, Germania e Regno Unito.
La ricerca è stata condotta distintamente per ognuno dei tre Paesi ed ha comportato principalmente uno studio, sia pure sintetico, dei seguenti aspetti:
- caratteri della struttura finanziaria ed esame del peso relativo delle diverse categorie di intermediari;
- orientamenti di politica monetaria e di politica di vigilanza;
- principali interventi di tiforma del sistema finanziario;
- posizione concorrenziale delle aziende di credito (esame condotto a livello di sistema);
- caratteri delle politiche di gestione.. attività di raccolta, politica degli impieghi ed attività di intermediazione in titoli.
La ricerca, condotta anche attraverso interviste in loco ad esponenti di banche estere (selezionate secondo la rispettiva diversa categoria di appartenenza in maniera da assicurare al campione prescelto una rappresentatività dell'intero sistema bancario di volta in volta esaminato), si è conclusa recentemente (novembre '90).
Non si può in questa sede, per ovvie ragioni di spazio, tracciare un quadro completo dei risultati ottenuti. Tuttavia è possibile (oltre che sicuramente interessante) riassumere le "impressioni" di massima emerse nell'ambito delle ultime riunioni (quando i dati a disposizione erano ormai pressoché completi) sui rispettivi punti di forza e di debolezza dei tre sistemi finanziari considerati e che sono in definitiva quelli che più direttamente entreranno in concorrenza con il nostro in seguito alla "caduta dei muri normativi" in Europa. Tali impressioni hanno costituito il tema di fondo della relazione letta dal Prof. Cesarini al Convegno ASSAB di Roma del 16 novembre 1990.
I tre sistemi finanziari oggetto della ricerca hanno in comune alcuni aspetti tecnico-istituzionali che fanno emergere indirettamente la distanza (non sempre - fortunatamente - il ritardo) che intercorre tra lo stadio di evoluzione raggiunto dal nostro sistema e quello degli altri Paesi con i quali saremo chiamati a confrontarci.
Quale primo aspetto istituzionale rilevante, comune ai tre Paesi, va subito detto che tutti hanno negli ultimi anni modificato in profondità la propria legislazione bancaria e soprattutto hanno mostrato la volontà di sottoporla periodicamente a revisione per adattarla all'evoluzione dell'ordinamento bancario comunitario.
Il Regno Unito, ad esempio, che ancora nel 1979 era l'ultimo tra i Paesi industriali avanzati a darsi una legge bancaria organica, ha provveduto a modificarla estesamente nel 1987, ponendo mano nel frattempo ad una vasta opera di regolamentazione dei mercati mobiliari e degli intermediari finanziari, quali le building societies. La Francia, a sua volta, si è data una nuova e moderna legge bancaria nel 1984, mentre in Germania è ormai prassi che il Kreditwesengesetz (KWG) del lo luglio 1961 venga sottoposto regolarmente a revisione: importanti emendamenti sono stati approvati nel 1976 e nel 1984, essenzialmente allo scopo di introdurre affinamenti della regolamentazione sulla vigilanza laddove esperienze di crisi bancarie ne avevano messo in evidenza carenze; attualmente è in corso di preparazione un disegno di legge volto all'adattamento della normativa alle più recenti direttive comunitarie.
Altro aspetto comune alle legislazioni dei tre Paesi considerati è che tutte si riferiscono di norma ad una nozione estesa di intermediazione finanziaria e promuovono perciò condizioni di sostanziale parità normativa tra tutti gli intermediari - banche e non banche - che operano a contatto con il pubblico per la raccolta e l'impiego di fondi.
Ancora sul piano delle istituzioni e dei mercati, un terzo aspetto largamente comune ai tre Paesi considerati è lo sforzo compiuto per accrescere la dimensione e migliorare il funzionamento dei mercati azionari, considerati tassello essenziale per migliorare globalmente la portata,
l'efficienza e l'affidabilità dei canali di finanziamento e degli strumenti finanziari. Significativo in proposito il caso tedesco, il cui sistema finanziario, tradizionalmente orientato agli intermediari, è caratterizzato dalla centralità del sistema bancario, la cui quota sul totale dell'intermediazione finanziaria era a fine '89 pari al 72% per la raccolta ed a circa l'88% per gli impieghi.
Speculare al marcato orientamento agli intermediari è in Germania la scarsa rilevanza dei mercati mobiliari e di quello azionario in particolare (i crediti delle banche nei confronti delle imprese di piccole e medie dimensioni erano pari a fine '89 a poco più del '60% delle loro passività finanziarie, una percentuale quasi doppia rispetto a quella tipica delle imprese italiane). Tali problematiche sono state recentemente oggetto di approfondito dibattito da parte delle autorità tedesche, che con interventi sia legislativi che amministrativi hanno cercato (maggio '87 e gennaio '90) di attenuarne gli effetti negativi sull'economia, sia pure, almeno finora, senza troppo successo.
Con riferimento al sistema bancario in senso stretto dei tre Paesi considerati ed alle tendenze evolutive che esso manifesta, dalla ricerca è emersa, inoltre, una comune nozione assai ampia di attività bancaria, che copre per intero la lista di attività di cui all'allegato della Seconda Direttiva di Coordinamento della CEE del 15 dicembre 1989. Almeno per quanto concerne gli istituti più importanti, ci si è orientati, infatti, verso un modello di banca polivalente, nel quale tendono ad avere un certo peso sia l'attività consulenziale, sia l'offerta di servizi e prodotti d'intermediazione mobiliare e di carattere previdenziale-assicurativo: il termine Allfinanz, ancorché non debba essere preso alla lettera per ogni tipo di situazione e di cliente, illustra abbastanza bene la direzione di marcia delle banche: e non solo di quelle tedesche, che tendono a realizzare quella che viene ormai definita "globalizzazione dei rapporti di clientela", ovvero il rafforzamento ed il consolidamento della relazione attraverso il soddisfacimento del complesso delle esigenze di carattere finanziario della clientela stessa attraverso l'offerta di financial packages complessi, che affiancano al prodotto pivot una serie di altri prodotti e servizi.
Quanto alle modalità di pratica attuazione di tale modello, viene largamente utilizzata la struttura di gruppo, in base alla quale singole attività specializzate sono svolte in forme decentrate da organismi controllati ad hoc. il mix di operazioni di finanziamento svolte dall'azienda bancaria in senso stretto comprende operazioni sia a breve sia a medio-lungo termine, secondo dosaggi peraltro molto diversi, in funzione del rischio di trasformazione delle scadenze che ciascuna azienda ritiene di poter assumere nel rispetto di eventuali coefficienti di liquidità imposti con finalità di vigilanza prudenziale. Il modello tedesco si è insomma generalizzato alla Francia ed al Regno Unito.
Ancora in tema di contenuto dell'attività bancaria, il modello tedesco, che vede l'azienda di credito partecipare a pieno titolo alle transazioni di borsa in titoli azionari, ha fatto scuola negli altri due Paesi, seppure con l'attenuazione riconducibile al fatto che l'intermediazione in borsa deve essere svolta in via indiretta per il tramite di organismi ad hoc partecipati dalle banche stesse. La partecipazione diretta al capitale di imprese industriali e, commerciali - l'autentico tratto originario caratterizzante della banca universale, termine oggi spesso erroneamente utilizzato come sinonimo di banca polifunzionale -rimane invece prassi confinata alle grandi banche tedesche. Sul piano strutturale, gli aspetti presenti nei tre Paesi sui quali è stata richiamata l'attenzione sono i seguenti:
1) l'elevato grado di concentrazione, che discende sia dal fatto che in ciascuno di essi opera un piccolo numero di banche di grandissime dimensioni, sia dalla circostanza che le numerose piccole aziende appartenenti al settore mutualistico e delle casse di risparmio sono legate da rapporti di collaborazione reciproca e con i rispettivi istituti centrali e regionali, al punto di agire in modo coordinato ed omogeneo nel quadro di una politica unitaria di quello che potrebbe essere definito un gruppo a carattere informale;
2) il livello di bancarizzazione, inteso sia come copertura territoriale degli sportelli sia come intensità di utilizzo degli strumenti bancari di pagamento e di credito da parte della popolazione, è comparativamente piuttosto elevato. Pertanto le istituzioni creditizie di ciascun Paese appaiono in grado di servire in modo soddisfacente la domanda interna di servizi finanziari e, correlativamente, sottolinea come essi offrano, a pari qualità e tipologia dei servizi stessi, spazi abbastanza esigui all'ingresso di altri competitori.
3) il grado di patrimonializzazione, per contro, non appare particolarmente elevato ed anzi lascia a desiderare nel Regno Unito, per le difficoltà e le perdite notoriamente incontrate da alcune banche, ed in minor misura in Francia, dove le istituzioni creditizie hanno sinora tradizionalmente operato con coefficienti patrimoniali più bassi di quelli "europei".
Dato che i capital ratios costituiscono un vincolo piuttosto robusto alla crescita, interna ed esterna, se ne potrebbe arguire che i Paesi in questione difficilmente potranno sostenere una politica espansionistica particolarmente aggressiva nei prossimi anni, forse con la sola eccezione della Germania, soprattutto se le modalità di computo dei capital ratios applicate con la nuova legge consentissero l'emersione contabile di un consistente volume di riserve occulte.
Tra i Paesi della -comunità il Regno Unito è certamente quello che vanta in maggior misura la disponibilità di tecniche operative, qualificate e sperimentate, di mercati organizzati e di intermediari specializzati ed una tradizione di grande apertura ai capitali internazionali ed agli organismi finanziari di altri Paesi. Ciò nonostante esso non sembra in grado di diventare un concorrente temibile nel contesto del mercato bancario unico.
Le esternalità cui si è fatto cenno, infatti, sono concentrate a Londra e vanno a prevalente vantaggio dell'operatività di tale piazza come centro finanziario internazionale: operatività alla quale le grandi banche inglesi danno un apporto, tutto sommato, abbastanza modesto e tendenzialmente decrescente. Se si considera il sistema finanziario britannico prescindendo dall'operatività internazionale della City, la sua robustezza e la sua capacità di proiettarsi sugli altri mercati della Comunità risultano significativamente ridimensionate.
In primo luogo, infatti, il Big-Bang - del quale non vanno ovviamente sottovalutati i benefici per gli utilizzatori (emittenti ed investitori) in termini di competitività e costo delle transazioni - ha prodotto risultati economici e patrimoniali disastrosi per le grandi banche inglesi, aggravati dall'indebolimento patrimoniale subito da tali banche per effetto dell'esposizione verso Paesi troppo indebitati. Anche la strategia di espansione che esse hanno avviato nel mercato degli impieghi alle famiglie ed alle piccole e medie imprese viene da taluno considerata con una certa preoccupazione per gli effetti che ne potrebbero derivare in termini di aumento del rischio creditizio. Per converso, anche il mercato domestico britannico risulterà prevedibilmente difficile per le banche estere, che continueranno a preferirgli l'insediamento di filiali a Londra, magari come base operativa per le transazioni in titoli negoziati in ambito internazionale.
Con riguardo invece al sistema bancario tedesco, caratteristica preminente sembra essere la sua sostanziale impenetrabilità da parte di competitori di altri Paesi. L'affermazione è suffragata da elementi quali l'estrema capillarità di diffusione degli sportelli; la coesione interna dei networks delle cooperative di credito e delle casse di risparmio, nonché il modesto numero di banche private di dimensioni adeguate il cui pacchetto di controllo potrebbe in astratto formare oggetto di trasferimento all'estero.
Ma gli ostacoli più importanti all'ingresso in forze di banche estere sul mercato tedesco difficilmente possono essere quantificati oggettivamente, essendo legati, da un lato, ai fenomeni di collegamento, noti o meno noti, che si sono formati a livello proprietario - o semplicemente tramite rappresentanza reciproca nei consigli di amministrazione - tra imprese e banche e tra banche e compagnie di assicurazione e, dall'altro, alla solidità e continuità nel tempo della relazione di clientela che con la propria hausbank intrattiene ogni impresa tedesca, grande o piccola.
Della loro volontà di espandersi in altri Paesi le grandi banche tedesche - e, tra esse, in primis la Deutsche Bank - hanno già dato molteplici dimostrazioni. Ma la minaccia, per così dire, che esse costituiscono per gli altri Paesi della Comunità potrebbe ridursi di intensità o, forse meglio, spostarsi più avanti nel tempo per effetto del congiunto operare di un duplice ordine di circostanze.
Da un lato, con provvedimenti i cui tempi di attuazione le autorità tedesche hanno probabilmente in qualche misura subìto, la Commissione della CEE e la Banca dei Regolamenti Internazionali hanno posto mano con decisione all'applicazione di coefficienti patrimoniali minimi obbligatori, la cui incidenza tende ad essere più gravosa per le banche ad operatività internazionale o comunque caratterizzate da una dinamica di crescita particolarmente marcata. Dall'altro lato, i recenti imprevisti avvenimenti nell'Europa dell'Est hanno aperto alle banche tedesche nuovi mercati di grandi dimensioni, ma hanno nel contempo imposto ad esse consistenti cambiamenti nella strategia di crescita e la necessità di assumere impegni gravosi che presumibilmente non saranno compatibili, quanto meno nel breve periodo, con il piano di espansione sistematica negli altri mercati della CEE che esse andavano perseguendo e con le risorse organizzative e di capitale di cui attualmente dispongono. Si tratta, come è noto, dell'apertura, in condizioni di concorrenza reciproca piuttosto vivace, di una rete di filiali nei territori della ex Germania dell'Est e dell'assunzione di una posizione di leadership nelle operazioni finanziarie necessarie al consolidamento delle economie della Russia e di altri Paesi dell'Europa orientale. Tenuto conto di ciò, è assai probabile che almeno per qualche tempo i banchieri degli altri Paesi della Comunità possano dormire sonni più tranquilli.
In Francia, il sistema bancario si è considerevolmente irrobustito sia perché ha potuto in qualche misura controllare gli effetti della disintermediazione sia perché è riuscito a inserirsi opportunamente nei nuovi mercati e nelle nuove tipologie di intermediari che i pubblici poteri hanno man mano creato sulla base di un organico disegno di sviluppo del ruolo e dell'articolazione del sistema finanziario globalmente considerato. In questa fase, tuttavia, le banche francesi non sembrano ancora aver ribaltato la situazione di Sottocapitalizzazione che le ha sinora caratterizzate e che potrebbe perciò intralciarne l'espansione internazionale soprattutto quando avrà luogo la piena applicazione dei coefficienti CEE e BRI.
Nel valutare questa situazione, bisogna peraltro tener presente che essa potrebbe essere superata, nel caso di taluni organismi a forte vocazione internazionale, grazie a mezzi patrimoniali ottenuti con il supporto dei pubblici poteri oppure mediante le alleanze che in taluni casi si vanno stringendo con compagnie di assicurazione, esse pure interessate a sviluppare in Francia e all'estero la loro attività e la diffusione dei loro prodotti. In secondo luogo, le banche francesi, impossibilitate a competere ad armi pari con le banche tedesche nell'Europa dell'Est e prive come sono di un mercato interno in rapido sviluppo, potrebbero adottare una strategia in espansione più mirata al Sud Europa e decidere di concentrare le risorse di capitale e organizzative di cui dispongono su un piccolo numero di acquisizioni significative: in tale eventualità il mercato italiano figura certamente ai primi posti nella graduatoria delle loro scelte.
Quanto alle possibilità di insediamento di banche della CEE in Francia, sembrano in larga misura valide le considerazioni svolte con riferimento al mercato tedesco, con la variante che nello sforzo di scoraggiare l'ingresso di nuovi competitori esteri il sistema bancario francese potrebbe vedersi affiancato e supportato da quella parte della pubblica amministrazione con cui le grandi banche mantengono strette relazioni di interdipendenza e di collaborazione.

Banca Popolare Pugliese
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