§ Inchiesta / L'arte della moneta

Il mestiere sciupato




M.C. Milo, A. Foresi, F. Albini



"Il mestiere della moneta, oggi, è un po' sciupato": sul Corriere della Sera del 1° febbraio 1922 Luigi Einaudi, per descrivere la perdita di potere d'acquisto della moneta, attribuiva ad essa quasi il carattere di persona. Così scrive Mario Monti, a proposito della raccolta in volume di tre articoli apparsi su La Stampa e di trentanove sul Corriere, riguardanti il "difficile mestiere della moneta". Risalgono ad un lungo arco di tempo: dal 1900 al 1947. E riguardano il compito della moneta nell'economia e il compito di chi governa la moneta. Il pensiero dello statista ha come riferimento la teoria quantitativa della moneta; di essa fa uso pragmatico e non estremo, per spiegare sia i prezzi sia i cambi: "In che rapporto preciso coll'aumentar della quantità della moneta circolante abbiano ad aumentare i prezzi, e se questo rapporto sia quello della ragione diretta pura e semplice, non si sa e non par probabile che si riesca a saper mai, tanti sono i fattori che influiscono a determinare i prezzi in un mercato in cui varia la quantità di moneta. Ma si può affermare con sicurezza che, crescendo o diminuendo la quantità della moneta, crescono o diminuiscono nello stesso senso - quantunque non si conoscano le dimensioni precise dell'aumento o della diminuzione - i prezzi delle merci" (1910).
Afasamenti temporali, tesaurizzazione e variazioni della velocità di circolazione della moneta in uno schema il meno meccanicistico possibile: "Poiché dal momento in cui l'oro esce dalla miniera a quello in cui entra nella circolazione passa tempo, e poiché ancor più tempo è necessario [ ... ] affinché gli stocks monetari si raddoppino o triplichino, così è giuocoforza concludere che non si sia ancora sentita tutta l'influenza degli ultimi aumenti nella produzione dell'oro. I prezzi tendono ancora a crescere e più cresceranno se negli anni venturi le miniere aurifere saranno feconde come per il passato".
Secondo Einaudi, scrive Monti, la politica monetaria deve essere tutta rivolta all'obiettivo della lotta all'inflazione. E' un obiettivo sottolineato in quasi tutti gli scritti, una convinzione rafforzata dall'esperienza del primo dopoguerra: "Quel che accade nel dopoguerra: l'inquietudine rivoluzionaria dal '19 al '22, l'avvento del fascismo, la inquieta aspirazione al nuovo, al mutamento, al millennio seguito alla guerra liberatrice, alla rotta di Caporetto e alla tenace dura rivincita vittoriosa non si spiegano senza tener conto del veleno introdotto nella società italiana dalla svalutazione monetaria. Effetto di cause antiche, la svalutazione monetaria si palesò ben presto cagione di profondo sommovimento sociale. Da oggetto di studio per le storie tecniche delle variazioni monetarie, il torchio dei biglietti divenne fattore di storia politica e sociale".
Il male dell'inflazione è insito in particolare nelle variazioni dei prezzi relativi che si accompagnano all'aumento del livello generale dei prezzi: "Se tutti i prezzi variassero contemporaneamente, il rinvilio della cartamoneta produrrebbe piccoli inconvenienti [ ... ]. Disgraziatamente, gli affari di questo mondo non vanno così lisci. Vi sono prezzi, i quali aumentano subito, al di là persino del necessario, in conseguenza del rinvilio della moneta; altri aumentano più lentamente e altri infine non aumentano affatto. Di qui una serie di scompigli e di danni gravissimi" (1915).
Evitare l'inflazione significa contenere l'offerta di moneta: per Einaudi, bisogna "rompere il torchio dei biglietti". Un contenimento perseguito con fermezza, e in una prospettiva non di breve periodo: "I fatti importanti non sono [ ... ] i fatti momentanei del mese, del trimestre o dell'anno: sono i fatti che durano da molto tempo [ ... ]. A ragionare di mesi e di trimestri è come pretendere che gli orologi da cinque lire non facciano mai per anni uno scarto nemmeno di un secondo" (1913).
Almeno in uno degli scritti raccolti, Einaudi ammette che un incremento della quantità di moneta potrebbe determinare non inflazione, ma "maggior produzione, minore disoccupazione". Ma in un unico caso: "E quell'unico caso fu illustrato dall'amico (Costantino) Bresciani (Turroni) nel libro classico su La caduta del marco tedesco ed in numerosi articoli. Ridotto in moneta spicciola, lo si può formulare così: esiste in un Paese un insieme di fattori produttivi disoccupati? Ci sono cioè in un Paese, non solo centinaia di migliaia o milioni di operai disoccupati, ma anche contemporaneamente ed in giusta proporzione fabbriche inerti, macchinari che non lavorano, scorte abbondanti che nessuno acquista, mucchi di carbone sui piazzali che vanno a male, milioni di KWh di energia elettrica producibile che nessuno domanda? Se così è, può darsi che una iniezione artificiale di moneta-biglietti o di moneta bancaria serva a mettere in moto la macchina arrugginita" (1947).
Einaudi, dunque, differisce non poco da John Maynard Keynes nelle radici teoriche e nella visione del sistema economico. Ciò proprio rende più interessanti le concordanze con lui: il tema di parità con l'oro (1922), e di determinazione dei cambi (1924), scritti che peraltro sono anteriori alla Teoria generale.
Ma chi governa la moneta ha il potere di contenere l'offerta? E se non lo fa, è responsabile di "rassegnazione al fato monetario?". Einaudi non risponde in modo univoco. Retrospettivamente (nel 1961), critica "la stortura mentale per la quale si reputava che il torchio dei biglietti lavorasse all'infuori di ogni responsabilità dei dirigenti, per le esigenze attribuite all'industria o al fato o alla storia o alla guerra".
Il disagio per condizioni operative della Banca centrale che impediscono di fatto l'esercizio di una piena autonomia monetaria affiora ancora nel 1947: "Se, ad esempio, lo Stato usa pagare ai suoi impiegati, operai, pensionati civili, militari e di guerra, assistiti, ecc., 20 miliardi di lire e a ciò bastano, per ipotesi benedetta, le sue entrate, ma ad un certo momento accade di dover pagare una tredicesima mensilità o di dover crescere stipendi, salari e pensioni di un decimo, i pagamenti si devono ugualmente e puntualmente fare, nonostante che dall'altra parte dei conto tenuto dalla Tesoreria Banca d'Italia le imposte o i buoni del Tesoro non gettino abbastanza. La Banca d'Italia paga i 20 miliardi della tredicesima mensilità con biglietti nuovi ed addebita il Tesoro di altrettanto". Obiettivo della stabilità monetaria, necessità del controllo dell'offerta di moneta, difficoltà - istituzionale o politica - di assicurare tale controllo in quanto "per virtù di premesse poste fuori dall'azione della Banca, questa non poteva non osservare obblighi ineluttabili". Impedita in questo modo di determinare con autonomia quella che oggi chiameremmo la creazione di base monetaria, l'Autorità monetaria italiana avrebbe sempre più sviluppato, nei decenni successivi, strumenti intesi a contenere la moltiplicazione in moneta della base monetaria creata (manovra della riserva obbligatoria, lungo la linea aperta proprio da Einaudi nell'estate '47) e a regolare con modalità non di mercato la composizione delle attività finanziarie del pubblico (restrizioni sui movimenti di capitali diretti all'estero) e destinazione del credito (vincoli sulla composizione dell'attivo delle istituzioni creditizie).
In questo contesto storico-economico si possono valutare i progressi in corso dall'inizio degli anni '80 col governatorato di Azeglio Ciampi: presa di coscienza degli inconvenienti di un sovraccarico di compiti sulla politica monetaria; affrancamento delle decisioni sulla creazione di base monetaria dalle "premesse poste fuori dall'azione della Banca" e in particolare dal fabbisogno del Tesoro; conduzione della politica monetaria attraverso strumenti di mercato; passi verso la definizione istituzionale della piena autonomia e della piena responsabilità della Banca centrale in materia di politica monetaria.
Concluso questo lungo e non facile cammino, la "rassegnazione al fato monetario" non avrà più fondamento: sarà soltanto memoria storica.

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