Tramonta lo stato assistenziala




Jhon Naisbitt
Sociologo e futurologo americano



Oggi stiamo assistendo alla fine dello Stato assistenziale non solo negli Stati Uniti, ma anche in molti Paesi avanzati e sviluppati. Lo si vede morire in Inghilterra, in Francia, in Canada, nella Germania, in Italia e anche in Scandinavia, in quella Svezia che lo aveva portato fino ai massimi splendori.
Tutto cominciò circa un secolo fa in Germania, con un programma che mirava ad aiutare i cittadini veramente bisognosi. Oggi, tutti questi Paesi stanno seguendo un processo di rielaborazione e riconcettualizzazione, per reinventare una società e la sua responsabilità nei confronti dei cittadini veramente indigenti. Questo processo, teso a sostituire lo Stato assistenziale e a creare l'epoca del post-Stato assistenziale, durerà almeno per tutti gli anni che ci separano dalla fine del secolo-millennio.
Una tendenza molto importante di questa trasformazione è senza dubbio quella verso la privatizzazione, fenomeno che si sta verificando a livello mondiale. Più di ottanta Paesi, oggi, in varie parti del pianeta, stanno trasferendo al settore privato i servizi finora offerti dalle strutture pubbliche. Dal Messico alla Malaysia, dal Brasile all'India, dalla Turchia all'Italia e persino in Ungheria, un Paese del Centro-Est europeo. Ma al primo posto in questa generale privatizzazione figura il Regno Unito. Un terzo della sua forza lavoro nazionalizzata è già stato trasferito al settore privato. Un aspetto molto importante del fenomeno è stato il tentativo di portare quanti più cittadini possibile ad avere proprietà e interessi nelle aziende in cui lavorano. Da un paio di anni, per la prima volta nella storia della Gran Bretagna, vi sono più cittadini che sono proprietari o azionisti di queste società di quanti non siano i membri iscritti a un sindacato. Questo chiaramente significa un traguardo molto interessante. Poi in Gran Bretagna si è proceduto alla privatizzazione del sistema di previdenza sociale, e sarà proprio questo il primo Paese al mondo che renderà interamente privato il proprio sistema postale. Anche la Spagna sta privatizzando le aziende nazionali di proprietà statale, facendole diventare ora campionesse di capitalismo. In Francia si parla sempre meno di socialismo e sempre più di impresa: il primo ministro si autodefinisce "un socialista del libero mercato". Anche in Italia si parla sempre più spesso di privatizzazioni. De Michelis mi ha detto: "Non è più la sinistra contro la destra, ma è il vecchio contro il nuovo, e noi siamo tutti a favore della privatizzazione".
Tutti sappiamo quello che sta accadendo nella Cina Popolare con le sperimentazioni del libero mercato attualmente in corso. Mercato non regolato, mercato libero: in Cina oggi questa realtà rappresenta il trenta per cento dell'economia del Paese.
Insomma, tutte le economie centralizzate del mondo stanno cercando di attuare riforme e realizzano esperimenti con i meccanismi di mercato. Le vicende dell'Europa centrale e orientale ne sono esempi eclatanti.
L'Unione Sovietica è divenuta senza dubbio il Paese più interessante del mondo sotto questo punto di vista, per la portata del cambiamento reale e profondo che sta realizzando. Negli ultimi due anni sono stato diverse volte a Mosca, ho incontrato decine di rappresentanti e di funzionari di partito o di esponenti dell'intellighenzia. Sono stato colpito e affascinato dai cambiamenti che propongono per il loro Paese. Tutti ne sentiamo parlare, tutti leggiamo di mutamenti e trasformazioni; ma toccarli con mano e percepirli, incontrarsi con coloro che stanno cercando di negoziare questi cambiamenti straordinari, significa davvero partecipare a qualcosa di grande drammaticità, di grandissima importanza. Come lo stesso Gorbaciov ha riconosciuto, oggi in Urss è in atto la seconda rivoluzione, dopo quella dell'ottobre 1917. Oggi a Mosca ci si rende conto che il socialismo reale sovietico non ha funzionato; e che è stato un vero e proprio disastro, soprattutto a partire dal 1970. Gli stessi organizzatori di questa gigantesca ristrutturazione sono arrivati a dire che nella storia dell'umanità nessuno ha inventato qualcosa di più grande e che funzioni meglio del mercato. Un'affermazione straordinaria, che va però inquadrata nel contesto della fine dello Stato assistenziale e, sicuramente, se non della morte, per lo meno della radicale trasformazione del socialismo reale. Perché quando verso il 2010-2020 guarderemo indietro cercando di inquadrare la situazione di oggi, vedremo chiaramente che la dittatura del proletariato si è estinta alle soglie del ventunesimo secolo.

Sud e impresa pubblica

Lo Stato in fuga

Un esercito che negli ultimi dieci anni è stato praticamente dimezzato. Ha perduto avamposti di rilievo. Ha costruito, ristrutturato e poi buttato via interi fortini. Una vera e propria caduta a vite su tutti i fronti, dalla siderurgia all'agro-alimentare. Lo Stato imprenditore, dopo aver guidato, negli anni Sessanta, la prima grande industrializzazione del Mezzogiorno, ha invertito la rotta. Fra il 1982 e la fine del decennio, Iri, Eni ed Efim hanno chiuso una cinquantina di stabilimenti: qualcosa come il 15 per cento degli impianti presenti. Ben più pesante, ovviamente, la perdita di posti di lavoro: circa 67 mila, che sfiorano il 43 per cento del totale. Nello stesso periodo anche i privati del Centro-Nord, con rare eccezioni (come la Fiat), hanno lasciato il Sud, sbaraccando almeno un centinaio di impianti ( -10 per cento) e mandando a casa circa 17 mila lavoratori ( -11 per cento).
In controtendenza, almeno per quanto riguarda gli stabilimenti, le grandi aziende straniere e gli industriali meridionali che, fra l'82 e il '90, hanno aumentato il numero delle fabbriche (rispettivamente di 25 e 60 unità). Ma anche in questo caso c'è stato una forte emorragia di posti di lavoro 133 mila).
Che cosa succederà nei prossimi anni? Anche gli Enti a Partecipazione Statale seguiranno la lezione della Fiat che ha deciso di realizzare i due impianti in Irpinia e in Basilicata? Analizziamo le relazioni programmatiche - per il quadriennio 1990-'93 - dei tre enti. Dalle cifre emerge soprattutto un dato: lo Stato imprenditore, più che creare nuovi capannoni, intende lanciarsi nel campo delle infrastrutture e dei servizi. Vediamo quali risorse saranno dirottate nel Sud dalle aziende pubbliche.

IRI - Il Sud assorbirà il 35 per cento degli investimenti programmati: 17.300 miliardi, che dovrebbero far sorgere qualche nuovo impianto e migliorare il livello delle infrastrutture nel Sud. Più in dettaglio, nei compartimento manifatturiero si metteranno in campo 3.200 miliardi indirizzati verso i settori a tecnologia avanzata (aerospaziale, energia, elettronica, sistemi di trasporto su rotaia). Il capitolo dei servizi, invece, prevede una spesa di 13 mila miliardi, che saranno assorbiti in gran parte dalla Sip, impegnata in un complesso piano di sviluppo della telefonia. Infine, nel settore delle infrastrutture e delle costruzioni gli investimenti si attestano a quota 1.100 miliardi, che serviranno ad adeguare la rete autostradale (in particolare la Salerno-Reggio Calabria).
Per quanto riguarda l'occupazione, dopo le forti contrazioni registrate fra l'84 e l'88, l'Iri torna ad assumere: entro il '93, infatti, è previsto un incrementa di 4.500 unità, interamente determinato, del resto, dal programma di reindustrializzazione messo a punto dall'Iri per far fronte ci tagli nella siderurgia. Se si sommano i 6.300 posti che dovrebbero essere creati ex novo sempre nell'ambito dello stesso piano, si arriva ad un incremento occupazionale "attivato direttamente" dal gruppo di oltre 10 mila addetti. La quota prevista nel Sud, però, è intorno alle 3.500 unità.
Per quanto riguarda le linee strategiche dell'Istituto, "l'azione del gruppo nelle aree meridionali, superata la logica dei grandi blocchi di investimento, è rivolta essenzialmente allo sviluppo dei servizi di base e dei settori manifatturieri avanzati". In sostanza, un'azione indirizzata soprattutto verso le infrastrutture, senza che siano trascurate la ricerca e la formazione, che assorbiranno i residui 1.560 miliardi previsti dall'accordo di programma giù siglato col ministero del Mezzogiorno.

ENI - Dopo la ristrutturazione, sono tempi di sviluppo. Per il quadriennio ha messo a punto un progetto strategico per il Sud articolato in quattro linee d'intervento: un maggiore contenuto meridionalistico delle politiche in campo energetico, chimico e minerario; gestione e realizzazione, anche in concessione, di reti di servizio al territorio e alle imprese; promozione dell'imprenditorialità nel Sud; attivazione di centri di ricerca applicata nei settori dell'energia, della chimica e della metallurgia.
Con quali risorse saranno finanziati gli interventi? In primo luogo, dai programmi ordinari dell'Ente. L'Eni investirà nel Sud 8 mila miliardi (sui 24 mila previsti in tutta Italia). La quota maggiore (5.800 miliardi) sarà impegnata nel comparto minerario e servirà a finanziare una serie di iniziative dell'Agip nella ricerco e nella produzione di idrocarburi in Sicilia, nell'off shore adriatico e lungo le coste della Puglia. Di particolare rilievo anche i programmi nel settore del gas naturale, soprattutto in Sardegna, dove è in programma la costituzione di una società per la metanizzazione dell'isola. Meno ricco il capitolo del carbone, dove gli investimenti destinati al Sud ammontano a 483 miliardi. Alla metallurgia, infine, sono destinati 200 miliardi.
Un discorso a parte merita l'Enimont. Dopo il divorzio da Gardini, il colosso chimico italiano dovrebbe far partire un piano per il riassetto della struttura produttiva meridionale: il costo, nei prossimi tre anni, si aggirerà sui 1.700 miliardi. Infine, il contratto di programma. L'impegno di spesa sfiora i 1.600 miliardi e prevede una serie di interventi nelle attività di deep convertion nella metallurgia e nella ricerca scientifica.

EFIM - Il più piccolo dei tre Enti PP.SS., alle prese con un grave indebitamento, è quello che assegna al Sud il 48 per cento degli investimenti nel quadriennio: poco più di 1.000 miliardi. Nell'ambito del piano messo a punto dai vertici aziendali sono previste undici nuove iniziative, che impegneranno 222,5 miliardi: due in Abruzzo, tre in Calabria, una in Campania, cinque in Sardegna. Particolare attenzione è rivolta all'area della ricerca: i progetti prevedono una forte crescita dei centri già realizzati ad Alures (Sardegna), a Brindisi e ad Anagni. Per quanto riguarda l'occupazione, l'obiettivo è di raggiungere nel '93 i 13 mila addetti, un risultato che potrebbe essere migliorato di 500 unità, se venisse superato l'impasse nel settore delle Ferrovie, nel quale l'Efim opera con la Breda.


Ma come mai lo Stato ha abbandonato il Sud? Secondo Biagio Marzo, Presidente della Commissione Bilaterale Partecipazioni Statali, il progetto è chiaro: "Esiste un attacco generalizzato nei confronti del Mezzogiorno, e non solo da parte della grande stampa "nordista". C'è anche la Cee, c'è il governo che ha destinato solo 1.000 miliardi per l'intervento nel Sud, ci sono alcuni gruppi privati. Cioè, un insieme di forze bene organizzate che sanno quello che vogliono. Proprio così: il problema vero è che la Cee parte da un'equazione sbagliata: Partecipazioni Statali uguale ente pubblico. In realtà si tratta di due cose ben distinte, se non altro perché le aziende pubbliche devono stare sul mercato. Quindi, la Cee non si limita a criticare solo i fondi di dotazione, che fra l'altro devono essere utilizzati per nuovi investimenti e non per risanamenti. Gli attacchi hanno senza dubbio frenato i programmi delle PP.SS., e dirò di più: c'è un filo rosso neo-liberista che vuote fermare l'unico strumento di programmazione industriale del Paese. Le PP.SS. hanno avuto un grande ruolo nel Sud. La vera unità del Paese l'abbiamo realizzata negli anni Sessanta, con l'Autostrada del Sole, con l'industrializzazione, con I poli di sviluppo: il Quarto Centro Siderurgico di Taranto, la chimica in Sicilia e in Sardegna, la Eritalia a Napoli e a Foggia... senza l'industria pubblica, probabilmente non avremmo avuto nel Sud neanche la classe operaia. Dopo, c'è stata una specie di parabola discendente. Negli anni Settanta, le PP.SS. si sono trasformate in una sorta di grande Gepi per il salvataggio delle imprese private in crisi o, addirittura, decotte. Durante questa fase hanno dilatato in modo irrazionale la loro presenza, accumulando bilanci in rosso. Negli anni Ottanta, con l'era dei Professori, abbiamo avuto le privatizzazioni e il risanamento degli enti. Ma senza dubbio il rapporto fra Sud e PP.SS., nell'ultimo ventennio, si è incrinato e il bilancio complessivo è negativo. Oggi, le cose non sono cambiate".


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