§ Parla l'ex Governatore della Banca d'Italia

Fauste nozze tra banca e impresa




Guido Carli



In diversi Paesi, fra i quali fanno spicco gli Stati Uniti, la legislazione vieta alle imprese non finanziarie (industriali, commerciali, ecc.) di possedere partecipazioni rilevanti nel capitale delle banche. Questo divieto non ha impedito alle banche americane di subire perdite ingenti e l'autorità è stata costretta a porvi riparo con il ricorso al denaro pubblico nell'ordine delle decine di miliardi di dollari. Sotto il profilo della stabilità, non pare che il sistema bancario americano possa essere assunto come modello.
Alcune legislazioni subordinano l'assunzione di partecipazioni nei capi: tali delle banche ad una notifica preventiva e in alcuni casi all'ottenimento di una autorizzazione. La proposta di direttiva della Comunità europea stabilisce i requisiti ai quali debbono soddisfare i soggetti che assumono partecipazioni nei capitali delle banche, non discrimina secondo la categoria economica di appartenenza e conferisce ampi poteri all'organo di vigilanza che giungono fino alla sospensione del diritto di voto quando insorgano conflitti di interessi pregiudizievoli per la tutela dei depositanti.
Economisti di grande reputazione hanno condannato il possesso di partecipazioni nei capitali delle banche da parte di industrie. Parte dei loro interventi risalgono agli anni Trenta e risentono l'emozione destata dalle crisi bancarie di quel tempo. I protagonisti del riassetto del sistema bancario italiano di allora - Beneduce, Menichella, Mattioli - hanno affermato senza esitazioni il principio della separatezza; la loro attenzione si è rivolta alla partecipazione delle banche nelle industrie piuttosto che viceversa.
L'attuale situazione del sistema bancario appare contraddistinta in Italia dal peso delle situazioni problematiche nella composizione degli attivi e dall'ampiezza della proprietà pubblica degli enti bancari. Una delle conseguenze è la nomina di Presidenti, Vice Presidenti e Direttori Generali da parte del potere pubblico; in linea di fatto, le nomine avvengono in seguito ad intese fra le segreterie dei partiti. Ciò produce due ordini di effetti:
- indipendentemente dalla qualità delle persone chiamate ad assumere gli incarichi, la quale si è rivelata in più di una circostanza eccellente, la smisurata quantità di potere che le segreterie dei partiti detengono nuoce al rispetto degli stessi partiti da patte dei cittadini, i quali sono indotti a scorgervi macchine per dispensare incarichi. Né l'aver costretto la Banca d'Italia ad immischiarvisi ha giovato;
- i conflitti latenti e palesi fra i partiti per la ripartizione degli incarichi secondo il peso che ciascuno ha nelle coalizioni di governo determinano ritardi e abusi del ricorso alla "prorogatio" degli amministratori; in alcuni casi priva gli enti degli organi deliberanti e ciò accade quando i partiti non riescono ad accordarsi sulla successione ad amministratori venuti a mancare per l'una o per l'altra ragione.
La conversione di istituti di credito di diritto pubblico e di Casse di risparmio in società per azioni ed il mantenimento della proprietà pubblica dei capitali azionari potrebbero rivelarsi strumento agevolante di comportamenti impropri da parte di amministratori di estrazione politica, i quali potrebbero trarre vantaggio dai margini di autonomia più ampia, che la società per azioni consente; il conferimento della forma societaria potrebbe essere strumento per allargare spazi per aspettative di impunità e per cedimenti a tentazioni.
L'insieme di queste considerazioni dovrebbe condurre alla conclusione della opportunità che il Parlamento prenda cognizione dell'intera questione e ridefinisca i limiti della proprietà pubblica e della proprietà privata delle imprese bancarie in conformità con l'art. 42 della Costituzione. Nel nostro Paese il confine fra pubblico e privato è stato determinato in diverse occasioni dal caso.
Un programma di privatizzazione del sistema bancario non diversamente da quanto è accaduto in altri Paesi (Francia) potrebbe concorrere al finanziamento del fabbisogno del settore pubblico senza il ricorso a strumenti di debito.
Sulla necessità, in vista della liberalizzazione dei servizi finanziari, di immettere nel sistema bancario capitali privati insieme con energie imprenditoriali vi è unanimità di consensi. Sulla possibilità di conciliare questo obiettivo con l'imposizione alle imprese industriali del divieto di assumere partecipazioni rilevanti nei capitali delle banche le opinioni divergono.
Nella situazione italiana quale essa è oggi, le argomentazioni contrarie alla imposizione del divieto appaiono più persuasive di quelle favorevoli. Occorre avvertire che non sempre le imprese industriali interessate sarebbero quelle appartenenti ai grandi gruppi.
L'imposizione di limiti all'assunzione della proprietà dei capitali delle imprese bancarie da parte di una categoria determinata di soggetti deve essere stabilita con legge. Si pone quindi il problema se debba essere compresa nella legge che disciplina il riassetto delle banche pubbliche, ovvero nella legge correntemente denominata "antitrust".
In entrambi i casi, sorge il problema della individuazione dell'autorità competente alla regolamentazione di queste materie. La legge "antitrust" attribuisce alla competenza della Banca d'Italia i casi nei quali intese fra banche, abusi di posizioni dominanti da parte di qualcuna di esse, concentrazioni fra banche, distorcano la concorrenza. In questi casi, la materia disciplinata concerne i comportamenti delle banche e i rapporti fra loro, e cioè concerne enti bancari e soltanto enti bancari, ossia enti assoggettati alla legge bancaria.
Nei casi di partecipazioni di imprese industriali in banche si costituiscono rapporti fra soggetti, alcuni dei quali sono sottoposti ed altri no alla legge bancaria. Conviene quindi chiedersi se sia opportuno estendere i poteri della Banca d'Italia fuori dei confini entro i quali svolgono la loro attività esclusivamente enti disciplinati dalla legge bancaria, mentre sarebbe tempo di prendere in considerazione l'accrescimento dei poteri concernenti la funzione monetaria.
Negli anni '80, la Banca d'Italia ha acquisito meriti non contestabili e non contestati nei confronti dei cittadini italiani per aver assicurato il finanziamento del fabbisogno statale senza suscitare impulsi inflazionistici, per aver promosso il rinnovamento del sistema finanziario, per aver assecondato il risanamento dell'industria italiana.
L'eccellenza dell'opera reclama che sia portata a compimento; il cammino che vi conduce è irto di ostacoli e il loro superamento risulterà meno arduo, se la Banca non sarà costretta ad immischiarsi in faccende che non rientrano direttamente nella sua missione.

Banca Popolare Pugliese
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