§ Banca - Industria

Equivoci da sgombrare




Mario Talamona



Come diceva anche Disraeli, non esistono "soluzioni facili per problemi difficili". Ma il dibattito sulla "separatezza" fra banca e industria - privata e pubblica, Iri compreso - rischia di reggersi su alcuni equivoci, di fatto e di principio.
Un equivoco sarebbe di considerare ideologico un problema tipicamente politico - nel senso sottolineato da Guido Carli - che tocca a fondo le regole del gioco. Gli argomenti a favore di una sostanziale "separatezza" (funzionale) non possono essere interpretati in chiave "anticapitalistica". Correttamente intesi, il significato è opposto.
In secondo luogo, il principio in questione, riferito al mondo reale, non è un "dogma". Desunto dall'esperienza, corrisponde alla logica di un'economia sospinta dall'iniziativa imprenditoriale. La salvaguardia di un criterio che precluda il controllo della banca sull'industria e viceversa (ma non l'investimento in quote minoritarie delle rispettive basi di capitale) è stata rivendicata dal Governatore della Banca d'Italia, Ciampi, fin dal novembre 1986.
Non si tratta di difendere una barriera vetusta, bensì di chiudere un "varco": quello che consente di acquisire il controllo di banche senza sottostare ad alcuna procedura. In concreto, il principio della separatezza, che ispira la legge bancaria del 1936, è oggi asimmetrico.
Recisi a quell'epoca i legami che consentivano il controllo della banca sull'industria, circostanze drammatiche sono state tuttavia sfiorate nella seconda metà degli anni Settanta, con imprese sull'orlo del dissesto, debiti fino al 60-80 per cento del totale delle attività, patrimoni aziendali sovvertiti. Il ciclo della "banca mista" nel promuovere e dirigere il decollo industriale italiano, fino alla "mostruosa fratellanza siamese", di cui parlava Raffaele Mattioli, è storia dell'altro ieri. Nondimeno, potrebbe ripetersi.
Invece, nulla impedisce una commistione in senso opposto, tra attività finanziarie ed altre attività produttive. E' convinzione delle autorità monetarie che urga un intervento legislativo ad hoc su questo versante, senza pregiudizio per la normativa "antitrust". Si richiedono autorizzazioni preventive per i passaggi di pacchetti azionari di istituti di credito, consentendo la partecipazione alla proprietà delle banche di capitale legato ad attività non finanziarie: purché non implichi un controllo delle aziende che raccolgono risparmio e concedono credito.
La situazione attuale è senza precedenti. Non, infatti, le industrie private, ma le banche italiane hanno oggi vitale bisogno di capitali, capacità manageriali e stimoli imprenditoriali. Una forte base patrimoniale e adeguate risorse manageriali costituiscono le condizioni fondamentali per competere con successo e sopravvivere. Il 1992 rappresenta una nuova frontiera per le banche europee. Ma per quelle italiane le decisioni da affrontare sono ancora più gravi, e le conseguenze più ampie. Una certa evoluzione della struttura dell'intermediazione bancaria è stata avviata. Ma, se non è tardi, il processo è soltanto agli inizi.
Ricapitalizzazione, managerialità e iniziativa imprenditoriale pongono problemi che non soltanto consentono, ma richiedono apporti sostanziali dall'industria più efficiente e innovativa. Uno strumento decisivo per la ristrutturazione bancaria è costituito dal disegno di legge del ministro del Tesoro, che prevede l'assunzione della forma di società per azioni da parte delle banche pubbliche. La strada di una vasta e penetrante privatizzazione dovrebbe essere compiuta al più presto.
Le imprese industriali private dispongono oggi di un'ampia liquidità. Potrebbero fornire, oltre a stimoli competitivi, una parte cospicua dei fondi necessari per la ricapitalizzazione del settore creditizio. Se non si vuole allargare una presenza pubblica che si deve, invece, restringere, bisogna puntare sia sulle imprese sia sul mercato finanziario. Essenziale è il nodo del controllo delle aziende bancarie.
Si può discutere degli strumenti di regolamentazione; della graduazione dei controlli prudenziali anche per tipologie (come il leasing e il factoring) assimilabili ai prestiti bancari; di quale sia il presidio più efficace della "separatezza" fra assetto proprietario e gestione.
Per un'efficiente allocazione delle risorse e per la stabilità del sistema, non si può dubitare della validità del principio dell'autonomia dell'attività bancaria (principale canale di trasmissione della politica monetaria) rispetto all'industria sia privata che pubblica.
Più che mai i gruppi bancari-finanziari dovrebbero essere agenti indipendenti dalla politica e dallo Stato, dagli imprenditori e dal pubblico (nel senso di Luigi Einaudi e, ancor più, di Schumpeter). Ad essi, per il funzionamento della "macchina capitalistica", compete un autonomo ruolo valutativo del merito di credito, di controllo (e ammonimento) sulle capacità di reddito delle altre imprese, i cui progetti devono poter accettare o rifiutare.

Banche - Industrie

I vincoli Paese per Paese

Stati Uniti
Con il Bank holding company act del 1956 (emendato nel 1970) viene definita bank holding company (bhc) ogni società che direttamente o indirettamente esercita il controllo su una banca. Ovvero possiede il 25% o più delle azioni con diritto di voto, elegge la maggioranza dei consiglieri di amministrazione, esercita un'influenza dominante sulla conduzione aziendale secondo quanto accertato dalla Federal Reserve. Le bhc sono assoggettate agli stessi controlli delle banche da parte della Federal Reserve e non possono assumere partecipazioni che non siano strettamente connesse con l'attività bancaria. Il Glass-Steagall act del 1933 prevede inoltre la separazione tra commercial banking e investment banking. Le banche commerciali non possono sottoscrivere, negoziare e distribuire titoli azionari e obbligazionari emessi dalle imprese: questi servizi sono riservati alle investment bank. I rapporti partecipativi tra i due tipi di istituzioni sono vietati.

Gran Bretagna
La Bank of England verifica i requisiti di onorabilità e di competenza degli azionisti di controllo (15 per cento del capitale della banca). Nella prassi capita che la Bank of England concordi informalmente o con un atto di impegno il limite massimo delle operazioni effettuabili con aziende del gruppo, l'obbligo di praticare condizioni di mercato anche alle società collegate, i modi per garantire l'indipendenza del management.

Francia
Il Comité de la régléméntation bancaire fissa le condizioni per l'acquisizione di partecipazioni al capitale di aziende di credito. Chi oltrepassa il 20%, deve fornire all'autorità di vigilanza dettagliate informazioni sulla propria attività, situazione patrimoniale e competenza. La vigilanza si estende alle società collegate. Per le imprese non finanziarie, il Comité ha fissato una serie di massimali riferiti al patrimonio della banca interessata: 5% per ogni singola partecipazione non di controllo, 15% per partecipazioni di controllo in società di capitali, 15% per l'insieme delle partecipazioni in società che comportano una responsabilità illimitata, 50% per l'insieme delle partecipazioni.

Germania
Quella tedesca è la disciplina più permissiva. Non esiste alcuna norma che limiti o condizioni l'acquisizione di quote del capitale delle aziende di credito. Anche le banche possono investire liberamente in imprese industriali, segnalando l'acquisto di quote superiori al 10%. L'erogazione dei prestiti a società collegate è tuttavia soggetta ad approvazione all'unanimità da parte del consiglio di amministrazione.

Paesi Bassi
I soci che possiedono più del 5% del capitale delle banche non possono esercitare il diritto di voto se non ottengono uno specifico nulla-osta rilasciato dal ministro delle Finanze. Il nulla-osta può essere revocato o rifiutato qualora le autorità ritengano che possa essere messa a repentaglio la "corretta gestione bancaria", oppure che possa seguirne "un'evoluzione indesiderata del sistema creditizio",

Belgio
I principali azionisti e i dirigenti di ciascuna banca sottoscrivono un "protocollo sull'autonomia della funzione bancaria" con il quale essi si impegnano a garantire una gestione indipendente e corretta dell'azienda controllata e diretta. La Commission bancaire valuta annualmente le quote possedute dagli azionisti significativi: variazioni rilevanti sono soggette a consultazioni con la Commission. In caso di inosservanza del protocollo, le autorità possono richiedere l'eliminazione delle situazioni non in linea con l'impegno assunto ed eventualmente comunicare formalmente all'assemblea degli azionisti le inadempienze. I prestiti accordati da una banca al gruppo cui appartiene non devono eccedere complessivamente i suoi fondi patrimoniali.


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