§ Sistema creditizio italiano e cooperazione europea

Verso una banca universale?




Gennaro Pistolese



Un radicale mutamento dello scenario strutturale ed operativo del sistema bancario italiano, oggi sollecitato dalle scadenze del '92, ma prima ancora sospinto dall'evoluzione dell'intero contesto civile, sociale, economico, del Paese, si sta rivelando giorno per giorno nei fatti ed anche in una dialettica che cerca di predisporli.
Le norme legislative sono a mano a mano varate, molte con estrema difficoltà e con impetuosi ritorni di fiamma; molte scelte di fondo sono sul tappeto, soprattutto per quanto concerne rapporti fra sfera pubblica e privata, concentrazioni e dismissioni; la tendenza all'autodisciplina cerca di coprire aree e soddisfare modalità più vaste ed aperte di quelle fin qui conseguite; la ricerca della strada della maggiore produttività, competitività ed efficienza dei servizi si fa più approfondita, cominciando a dare una fisionomia più avanzata al sistema. Tutti questi obiettivi vengono riassunti, con l'emblematicità terminologica tanto usuale oggi, nella flessibilità e trasparenza, che costituiscono i modi di essere o per lo meno finalistici dei sistemi creditizi con i quali dobbiamo confrontarci non solo fuori i confini, ma anche al nostro interno.

Tendenze e sbocchi
Lo scandaglio occidentale e più particolarmente comunitario cui ha dato luogo il semestre di presidenza italiana della Cee, e al di là di esso il traguardo del '93 (con il pieno inserimento o il pericolo di emarginazione o trasferimento alla seconda velocità per chi non avrà saputo prontamente adeguarsi), hanno messo in evidenza la più o meno generale tendenza dei sistemi creditizi verso una banca universale, secondo cui ogni ente creditizio potrà essere autorizzato a compiere qualsiasi tipo di attività finanziaria. Siffatta tendenza si integra con quella della persistenza e dello sviluppo di altri enti a dimensione e grado di operatività più circoscritti. Come, del resto, già largamente si verifica ovunque e da tempo, tuttavia con una sostanziale differenza rispetto al passato. In esso, modalità e accelerazioni erano meno marcate, riflettevano esigenze di mercato meno soggette ad interpretazioni intermediarie, mentre oggi la competitività si muove molto più in fretta e lo spazio assunto dalle normative tende sempre più ad allargarsi in un quadro dialettico, non sempre esente da ipoteche ideologiche o strumentali.
I temi che comportano adeguamenti e armonizzazioni nell'ambito Cee, ed alcuni di essi anche in Italia, hanno fatto o stanno facendo la loro strada (istituzioni di intermediazione finanziaria, antitrust, banche spa, concentrazioni, ecc.), concernono:
- una deregulation, che, lasciando fermi i capisaldi di controlli e di interventi irrinunciabili, si muova con un'elasticità che sia liberatrice di quei lacci e lacciuoli aridamente vincolistici e pregiudizievoli di sviluppo e di allocazioni positive ambientalmente e settorialmente. E' quanto è stato fatto e si sta facendo con l'ampliamento della rete degli sportelli, con l'accelerazione di concentrazioni e fusioni nella ricerca di assetti ottimali, per il rapporto fra banche e imprese non finanziarie, ecc.
- una tutela dei depositi, che vada oltre il già garantito elevato grado di rimborso, ma più radicalmente investa quella trasparenza e chiarezza di rapporti con le utenze, che indubbiamente sta andando avanti, ha trovato fondamenta nell'autodisciplina, ma che nella stessa e oltre di essa, quando necessario, deve e può compiere altri passi innanzi. Le nuove tecnologie ne forniscono i mezzi, la concorrenzialità ne indica i possibili modelli, la maturità professionale dei quadri ne consente la maggiore pratica e le stesse attitudini delle utenze ne favoriscono e richiedono più estese applicazioni. Paradossalmente, si osserva da qualcuno che, mentre il servizio postale, che sconta un'antica arretratezza, cerca di riscattarla con il cosiddetto bancomat, molti sportelli bancari minacciano di essere gestiti con criteri e modi di essere che li allontanano dalla necessaria correntezza, per condurli sul piano di una burocratizzazione certamente fuori posto ed inspiegabile in questa sede.
- l'intreccio organico e l'armonizzata definizione del grosso complesso dei problemi che, oltre a quelli fin qui ricordati, viene a riguardare il cosiddetto controllo globale o sorveglianza su base consolidata, la protezione minima ai destinatari dell'offerta (OPA), attraverso l'uguaglianza di trattamento, la disciplina delle Borse valori, l'insider trading, con una normativa tesa a garantire e vietare alle persone che hanno accesso ad informazioni riservate di acquistare o cedere valori quotati avvalendosi delle loro informazioni.
Sono tutte queste altrettante materie sulle quali il nostro Parlamento è intervenuto o sta intervenendo, con la necessità tuttavia di un'accelerazione di tempi richiesta sia dalle direttive Cee sia dalle scadenze del calendario relativo, che comincia già a registrare una più larga presenza di Paesi comunitari in Italia.

In un orizzonte aperto
Siamo, in questo campo, ed è vero, ancora ai primordi di un quadro che dovrà essere ampliato. Difatti, fino allo scorso anno, le banche estere ricoprivano una quota inferiore all'1,5% del mercato creditizio, quota che pone il nostro Paese all'ultimo posto in una classifica internazionale che vede a notevole distanza da noi Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati Uniti, Spagna.
Fra i fattori frenanti fin qui hanno agito carenze strutturali e vincoli penalizzanti, e cioè l'assenza di mercati di supporto alle transazioni, come un mercato dei futures, lo scarso sviluppo del mercato interbancario, che risente successivamente dell'effetto di spiazzamento provocato su tutto il mercato monetario dalle scelte dell'operatore pubblico e che si caratterizza per una prevalenza di operazioni a breve o incerta scadenza.
L'orizzonte però si viene allargando, e non a caso fra i fatti recenti sono da segnalare la nuova operazione di "asset-backed" della City Bank per il mercato italiano (una forma di securitation che consente come garanzia l'utilizzo del mutuo ipotecario), nonché il piano della Barclays per rilanciarsi in Italia. L'obiettivo di questo piano - ed è bene considerarlo come un possibile più o meno diffuso punto di riferimento per similari iniziative - è quello di servire le medie aziende e gli investitori privati. Tre strade al riguardo sono ritenute possibili, e cioè l'acquisizione di una banca già presente sul mercato, l'apertura di nuove attività partendo da zero con forti investimenti iniziali o l'avvio di un'alleanza con un importante partner italiano.
A spingere in tal senso sono oltre che le opportunità offerte dal '93 anche l'interesse che i valori italiani vengono esercitando negli investitori esteri. E' stato rilevato fra l'altro che nel 1989 quasi 43 mila miliardi di titoli di Stato erano nelle mani degli investitori esteri, contro poco meno di 12 mila nel 1986, e che gli investimenti esteri complessivi in titoli italiani (azioni, obbligazioni e titoli pubblici) sono passati da 23 mila a 67 mila miliardi.
Ma l'appetibilità - come viene definita - dei nostri mercati finanziari da parte dell'iniziativa estera è sottolineata anche da altri fattori, rilevati fra l'altro in quest'ottica da una ricerca promossa dall'Assibank.
Secondo detta ricerca, i nostri mercati al dettaglio, sono di una certa ampiezza, testimoniata anche dal fatto che la ricchezza delle famiglie ha superato il milione e mezzo di miliardi, ed offrono margini elevati che, pur essendo soggetti a riduzioni, lasciano soddisfacenti spazi operativi.
A questo riguardo, i riscontri maggiori di sviluppo sono da ricercarsi nell'efficienza, rinnovata, e nella competitività, nell'avvento di servizi sempre più innovativi, anche nell'inventiva e nell'offerta di prodotti talvolta pure di avanguardia, e nelle applicazioni sempre più progredite della tecnologia. Per essa indubbiamente si pone il problema della maggiore professionalità dei quadri dell'offerta - e questa è materia che riguarda le aziende, però deve impegnare anche la strategia sindacale - ma anche quello della maggiore maturità e disponibilità dell'utenza, che certamente non è ancora del tutto in chiave con la prospettiva '93.
In questo impegno sono investiti i vari tipi di banca, a prescindere da caratteristiche e dimensioni. Conferma la ricerca che un mercato più concorrenziale ha bisogno di una gamma diversificata di banche, e la constatazione risolve anche in questo ambito il problema dei più o dei meno da attribuire al piccolo ed al grande. Il problema formalmente esiste, il che è fuori discussione, ma si traduce nell'impegno della ricerca e dell'attuazione di modi di essere, nei rispettivi comportamenti e nei relativi supporti, adeguati agli ambienti, ai segmenti di mercati, ai tipi di servizi che si vogliono soddisfare. Anche guardando al solo aspetto dei costi, la ricerca Assibank mette in evidenza che nella gamma piccola e media esistono aziende efficienti, con costi unitari di produzione anche inferiori a quelli delle grandi banche.
Naturalmente, il presupposto relativo è quello dell'adozione di strategie adeguate, che evidentemente devono essere sempre più aggiornate in relazione non solo alle tendenze, ma anche alle prospettive di mercato, e pertanto continuamente mirate, nella ripulsa di ogni staticità o di ogni tradizionalismo che avrebbero poco e male da dire. A queste banche, di dimensione media e minore, la ricerca rivolge due essenziali avvertimenti.
Il primo concerne la valorizzazione del modello della community bank, cioè di banca che si propone come infrastruttura finanziaria dell'economia locale con rapporti fiduciari stringenti e modalità di erogazione del servizio efficaci e flessibili. Il secondo avvertimento si riferisce alla necessità che, per i servizi più complessi e quindi più obiettivamente costosi, le banche devono superare i limiti tipici delle dimensioni minori, che non consentono volumi di risorse sufficienti allo sviluppo delle professionalità specialistiche.
Ne discende la necessità di forme di cooperazione, rilevabile del resto con tutte le modulazioni necessarie a tutti i livelli dimensionali, ma essenziale nel quadro delle dimensioni medie e minori.
In questa direzione, più prevalente che mai è il principio della flessibilità del sistema, raccomandata particolarmente dal nostro ministro del Tesoro, secondo la quale non è indispensabile solo una normativa corrispondente (e qua e là si leva qualche dubbio su quella recentemente intervenuta), ma è anche urgente una prassi fondata su interpretazioni compatibili e sollecitatrici di un'identità più avanzata del nostro sistema, nella varietà delle proprie componenti.

Esperienze e strategie degli altri
Ciò viene indicato come sbocco anche dalle altrui esperienze, fra cui quella francese e tedesca (per restare nell'ambito Cee), secondo le quali, dove si affermano banche universali di grandi dimensioni, si creano condizioni favorevoli alla specializzazione in particolari segmenti o in particolari mercati.
La gravitazione di questi sistemi esterni sul nostro, in conseguenza del '93, avrà pertanto a che fare con questa duplice caratterizzazione dimensionale e di particolarità di specializzazione, con la quale dovremo meglio confrontarci e rispetto alla quale certamente dovremo prepararci molto meglio di quanto ora non avvenga. In questa preparazione diamo doverosamente risalto all'instaurazione di presupposti più consoni (fra cui quelli inerenti alla riduzione del deficit pubblico, alle tensioni inflazionistiche, alla politica monetaria, ecc.), ad un'armonizzazione comunitaria più pronta e completa (il che invece purtroppo avviene ancora con qualche ritardo e talvolta anche con qualche reticenza), ma dobbiamo fare spazio più largo ad assetti strutturali maggiormente in linea con questi tempi che vengono rapidamente cambiando, avendo a fronte crescite più rapide, coinvolgimenti di mercati sempre più ampi (vicini, lontani, nuovi: quelli dell'Est e del Terzo Mondo), spinte tecnologiche sempre più marcate.
Secondo gli imprenditori industriali italiani, per il nostro Paese si tratta di porre mano all'acceleratore, in considerazione del fatto che le banche e gli altri intermediari finanziari non avrebbero tenuto il passo dello sviluppo avuto in questi ultimi anni dal settore industriale, con la conseguenza che si tratta di affrontare un gap tutto nazionale, che dovrà essere superato nel nostro ambito, anche perché la sua mancata soluzione provocherebbe un grado di minore nostra competitività (creditizia e produttiva) rispetto ai Paesi nostri concorrenti.
Tutto ciò comporta come prima implicazione il perseguimento di una strada europea, la cui ricerca, già in parte praticata da taluni, è oggetto tuttora di dibattiti, avendo come sbocco il maggiore possibile grado di competitività, ricercato sulla base, più che di schemi astratti, di un motivato pragmatismo.
E fra i fattori da tenere presenti a questo riguardo, gli esperti più qualificati hanno ricordato la necessità di rimuovere alcune peculiarità tutte nostrane (eccessi delle regolamentazioni, normative improprie fra l'altro con una natura pubblica delle banche, che si è tradotta in un'eccessiva responsabilizzazione degli amministratori verso i referenti politici), la necessità ancora di meglio coniugare essenza dei modelli e contesto normativo nei quali questi si collocano. Le indicazioni che intanto ci giungono dall'estero (a parte quelle riscontrabili e note per singoli Paesi, e principalmente per il sistema anglosassone e tedesco) mettono in risalto i seguenti principali punti di riferimento:
- L'ampliamento progressivo in Europa, ma anche con riscontri statunitensi sempre nel nostro Continente, delle fusioni, con un'Italia che però scivolerebbe in fondo alla lista. Quanto alle acquisizioni straniere in Italia, gli ultimi dati mettono in evidenza che esse vengono a riguardare, oltre che gli altri settori (alimentare, chimico, tessile ed abbigliamento, cartario, engeneering), anche quelli bancario ed assicurativo, con sette transazioni a testa. Le cose tutto sommato procedono a rilento e ciò si è verificato anche in questi ultimi mesi, per i quali invece si registra all'estero un'accelerazione di fusioni ed acquisizioni. Ciò si verifica a causa tanto di un nostro scarso dinamismo verso l'estero quanto di un interesse degli investitori stranieri che al momento almeno non sarebbe vivace.
Ne discende la necessità di una nostra più pronta iniziativa, che d'altra parte il nostro sistema creditizio, per quanto attiene alle applicazioni interne, sta largamente esplicando. Ora si tratta di spingere lo sguardo più oltre, avvalendosi anche di quei supporti di collaborazione e di integrazione costituiti dalle strutture rappresentative e collaborative sul piano internazionale per lo specifico ambito creditizio.
- La ricerca e la pratica di punti d'incontro, fra cui, nello spirito di cui prima si è detto, va compresa la recente firma della Carta di Cooperazione europea fra le Casse di Risparmio di 16 Paesi europei (i Dodici della Comunità più Austria, Norvegia, Finlandia e Svezia). A fronte della despecializzazione e della deregulation che stanno mutando il panorama bancario europeo, le Casse ritengono di potersi imporre soltanto se cooperano, sposando la strategia dell'alleanza. In concreto, il contenuto della Carta di Cooperazione, che impegna 1.800 Casse di Risparmio, così si articola: preferenza fra le Casse europee a scapito degli altri tipi di istituti di credito, in particolare nelle attività di trasferimenti finanziari internazionali; una politica di reciprocità per qualità e quantità di servizi offerti, per lo meno nei limiti del possibile; messa in comune delle risorse a vantaggio della clientela; applicazione dei principii della Carta in modo graduale per permettere a tutti i partners di crescere insieme e senza scosse. In questa direzione già del resto si muovono alcune iniziative comuni, anche se non generalizzate e limitate ad un certo numero di Casse europee, in materia di fondi comuni denominati in Ecu, un servizio di pagamento elettronico per titolari di speciali Carte, ecc. E questi sono altrettanti campi che si dischiudono anche alle altre possibili iniziative di diversi tipi di istituti di credito, aperti alla nuova ispirazione europeista. C'è indubbiamente la scorciatoia delle combinazioni bilaterali, ma un contesto più generale ed incontri multilaterali hanno certo il loro ruolo da svolgere su di una base più ampia, a mano a mano che le rappresentanze specifiche internazionali diverranno più consistenti ed organiche.
- Le indicazioni che ci vengono dagli Usa, i quali devono superare gli effetti della grave crisi che ha coinvolto una larga fascia di istituti e sono alla ricerca di un nuovo assetto che cambi radicalmente lo sportello, assegnandogli, come è stato detto, una libertà d'azione a tutto campo.
Operano indubbiamente in questo nuovo modello fattori specifici, riferiti all'ambito territoriale, istituzionale ed economico, ma ne scaturiscono anche proposte e suggerimenti di principii e di finalismi che non possono essere tralasciati da singoli sistemi esterni, come il nostro, portati ad incontrarsi e confrontarsi.
Orbene, i principii di fondo del cambiamento dello sportello Usa sono i seguenti:
- creazione di un nuovo tipo di holding finanziaria che permetta alle banche di avere una rete di filiali su tutto il territorio nazionale e di gestire anche società di brokeraggio ed eventualmente assicurazioni ed attività industriali;
- introduzione delle barriere fra attività bancarie e non, per evitare che i depositi assicurati a livello federale vengano usati per finanziare le attività non bancarie;
- mantenimento di un'assicurazione di base di 100. 000 dollari per ogni deposito, limitando la copertura oltre questa cifra;
- autorità di controllo sulle banche in un unico ente dipendente dal Tesoro (Comptroller of the Currency), controllore della moneta. La Federal Reserve Board continuerà a controllare le 40 o 50 maggiori banche, quelle con le maggiori attività internazionali;
- mantenimento per la Securities and Exchange Commission dell'incarico di controllare le funzioni di intermediazione titoli svolte dai nuovi gruppi.
Ma le sollecitazioni vanno oltre questo modulo, dato che le istanze vengono a riguardare una più sostanziale rimodellazione dell'intera struttura dei mercati finanziari con una nuova regolamentazione, con la riduzione delle barriere che limitano l'attività delle banche commerciali e delle banche di investimento con la revisione del sistema di duplice regolamentazione (statale e federale) sui titoli finanziari, con il superamento delle difficoltà al ritorno di un sistema redditizio e competitivo.
Si tratta di altrettanti motivi che, tranne quelli inerenti ai rapporti statali e federali, trovano riscontro nella dialettica europea ed oggi nel modo e nelle strategie concernenti l'evoluzione creditizia in preparazione del '93 e del Duemila, ormai alle nostre porte.
Ma dietro questi indirizzi e queste misure, vi è una situazione specifica statunitense, sulle cui motivazioni ovviamente occorre sviluppare gli approfondimenti - molti dei quali spesso destinati a trasformarsi in ammonimenti anche per gli altri -, che si traduce fra l'altro in una serie di fallimenti di istituti di credito, a ritmo purtroppo crescente in questi ultimi anni. Ai 169 fallimenti del 1990 ne dovrebbero succedere, nell'anno in corso, 180: con la possibilità di un loro elevamento a 400 in conseguenza della guerra del Golfo.
Gioca in questa situazione e nella relativa prospettiva una serie di fattori, che sono da un lato congiunturali e dall'altro strutturali, avendo questi ultimi a che fare con la validità o meno di specifiche gestioni con le sfere normative prescelte, con le risposte che saranno date ai principali problemi di fondo, fra cui anche negli Usa fa spicco quanto concerne l'intermediazione e l'ingresso degli istituti nella contrattazione titoli.
Ma a parte questo sfondo, un altro ne va rilevato e riguarda ritmo e dimensione delle fusioni ed acquisizioni, sempre negli Usa, che dagli 83 miliardi di dollari del 1983 sono salite nel 1989 a 250 miliardi di dollari, con una crescita più accentuata negli ultimi quattro anni.

Il nostro pragmatismo
Per quanto ci riguarda, le cose - le ultime cose, oltre la fondamentale legge Amato - sono a questo punto:
- nel nostro mercato mobiliare, i tasselli normativi concernenti il settore sono costituiti dalla disciplina istitutiva delle SIM, dalla disciplina in materia di OPA, dalla regolamentazione dell'insider trading, materie queste in discussione da parte del Parlamento;
- un tassello particolare della riforma è rappresentato dalla normativa Amato, nel cui quadro si inserisce il principio del più privato col modello SpA. Questa legge Amato permetterà alle banche pubbliche di trasformarsi in società per azioni e di ricapitalizzarsi con una robusta iniezione di denaro pubblico (1.800 miliardi). E' stato rilevato che bisogna rifarsi a molti anni fa per ritrovare un intervento normativo di pari rilievo: si tratta infatti dell'inserimento nella nostra legislazione del concetto di gruppo bancario e dell'assenso all'ingresso, sia pure in forma di minoranza, dei privati nel capitale degli istituti di credito che fanno capo allo Stato;
- l'accelerazione dell'iter parlamentare per OPA ed insider. Per la prima, il testo fin qui approvato, che in 38 articoli disciplina offerte di vendita e di sottoscrizione, nonché di acquisto e scambio di valori mobiliari quotati, è considerato troppo condizionato da vincoli eccessivamente dettagliati, da norme anche eterogenee rispetto alle offerte pubbliche, come quelle relative alle comunicazioni obbligatorie alla Consob di scambi azionari. Più lineare appare, al contrario, la proposta di direttiva comunitaria, secondo la quale le offerte pubbliche riguardano sia le società quotate sia quelle non quotate sotto forma di Spa o di Sas. Le norme si applicano altresì alle obbligazioni convertibili, ai diritti di sottoscrizione, alle opzioni ed ai warrant. In questo ambito sono previsti aggiustamenti del testo già varato dal Senato rispetto agli indirizzi comunitari, con riguardo fra l'altro alla norma relativa allo scatto della quota di azioni di una società perché intervenga l'obbligo di lanciare un'OPA su tutte le azioni della società. Secondo lo schema Cee si tratta di portare lo scatto stesso ad un terzo delle azioni.
Per l'insider trading sono in corso ulteriori approfondimenti, che preludono anche emendamenti di norme varate in sedi preliminari;
- l'urgenza che all'emanazione della legge n. 218 del 30 luglio dell'anno scorso facciano seguito l'emanazione dei relativi decreti delegati e soprattutto una pronta operatività di un contesto nel quale le singole parti del sistema creditizio dovranno esplicare i loro servizi.
Ha detto a questo e ad altri titoli il Governatore della Banca d'Italia che le nuove disposizioni fissano presupposti giuridici, strumenti e procedure perché si ponga mano alla riorganizzazione delle banche. E varie sono le sfaccettature da considerare o che vengono già considerate ed in parte affrontate. Si va dalla determinazione dei limiti della presenza pubblica nel credito al rapporto fra banca universale o polifunzionale (e Carli ha ammonito dall'appagamento di istanze solo puramente teoriche), dal problema della vigilanza (con l'angolazione oggi particolarmente dibattuta di Bankitalia e Consob) alle riforme degli istituti di credito fondiario o del credito agevolato, e così via.
Dominante è in tutto questo ambito il ruolo della Banca d'Italia, rispetto al quale il ministro del Tesoro ha dichiarato che l'autonomia dell'Istituto Centrale è garantita dall'attuale ordinamento in maniera adeguata: "Vi è uno spazio fissato dal legislatore, riservato alle scelte discrezionali della Banca nel quale non è dato neppure all'Autorità di Governo effettuare condizionamenti".
La vigilanza sul sistema creditizio e finanziario si esplica fra l'altro con un esame diretto a valutare l'efficienza e capacità di reddito dell'azienda, la liquidità, la qualità e rischiosità delle operazioni, senza scendere alla convenienza aziendale della singola operazione bancaria lasciata al libero apprezzamento degli organi aziendali. Alla base c'è la pratica di una filosofia che alla funzione di controllo non dà e non vuol dare il carattere di una perturbatrice e dannosa supergestione delle aziende bancarie.
Efficienza, dunque, nel rispetto delle condizioni dinamiche che la consentono e perciò con quella correntezza che deve evitare ogni pericolo di sclerotizzazione (ed è il mancato adeguamento al passo avanzato degli altri che ne è un segno) o peggio di pietrificazione: la foresta pietrificata di cui parlava Amato anni or sono presentando il suo disegno di legge.
Ha commentato sempre Amato che si è voluto risvegliare un sistema che dormiva dal '36 e che si tratta, con la legge varata, del primo e concreto passo che la legislazione compie da un sistema finanziario a direzione amministrativa verso un sistema a direzione di mercato. Il che, come si sa, è un obiettivo perseguito, ma non ancora conseguito.
Ed i capitoli da tenere presenti e da affrontare, anche nella comparazione comunitaria oltre che nell'ottica dell'efficienza e della competitività, sono ancora tanti. Riguardano la sempre migliore definizione delle varie sedi di interventi, indirizzi e controlli, determinando convergenze ed opportune forme di collaborazione. Concernono una funzionalità borsistica, nella quale, per quanto ci riguarda, predomina l'elemento pubblico, mentre negli altri Paesi Cee predomina quello privato; si riscontra, rispetto sempre ai Paesi Cee, una differenza di rilievo sui requisiti per l'ammissione alle quotazioni e si devono rilevare ancora insufficienze o inadeguatezze in materia di trasparenza e di definizione dei rapporti con l'industria, ecc.
Ne è investita l'urgenza di un più avanzato assetto del mercato mobiliare, senza il quale si rischia di passare ai margini del quadro occidentale. indicazioni si ricavano per questi pericoli dai rapporti dell'IRS di Milano, che fra l'altro sottolinea le interferenze in atto rispetto all'obiettivo, pur irrinunciabile, del mercato arbitro delle strategie d'impresa.

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Su questa strada, così articolata nelle sue ramificazioni (legge Amato, Sim, rapporti banca-impresa, rapporti con l'estero, lottizzazioni, ecc.), molte sono le strettoie e le remore da superare o per lo meno cominciare a correggere. Il che si sta facendo, ma non ancora con l'organicità necessaria all'avvento ed all'operatività di una piena nuova disciplina del credito, mirata ovviamente anche all'Europa o meglio ancora alla compatibilità e concorrenzialità con i fattori esterni al nostro sistema.
Si tratta - e recentemente ha avuto occasione di sottolinearlo anche il Direttore Generale della Banca d'Italia - di:
- recuperare i ritardi soprattutto nella capacità di fornire servizi di qualità per una clientela diventata più esigente;
- adeguarsi con le ristrutturazioni e la migliore predisposizione dell'offerta alle rapide mutazioni del mercato dovute, oltre che alla maggiore maturazione dell'utenza di cui si è detto (e che, bisogna aggiungere, ha margini di sviluppo e di novità negli stessi modi di essere superiori a quelli fin qui rilevati e computati), ad un quadro nuovo, dove liberalizzazione valutaria, travaglio per il nuovo Sistema monetario europeo, manovra per la combinazione di politica dei tassi d'interesse e del cambio e per la graduale rimozione delle restrizioni amministrative, rinnovate prestazioni dei servizi finanziari, vengono sempre più allargando il loro spazio, stimolando oltre che indirizzando le varie strategie. Queste, è vero, sono alla base del mercato unico, comportano in questa ottica posizioni e soluzioni comuni a tutti i Paesi, ma anche indipendentemente da esse comportano un rinnovamento ed una migliore messa a punto del nostro sistema, sotto spinte evolutive non certo contenibili. Sviluppo del mercato dei capitali privati, disciplina degli intermediari, moduli organizzativi del gruppo funzionale, modo di operare la vigilanza, revisione delle procedure tecniche ed organizzative dei mercati e dei sistemi di pagamento, ecc. sono gli altrettanti tasselli di un mosaico, in gran parte definito nel suo disegno, ma non ancora definibile nella gradualità delle relative soluzioni.
La Banca d'Italia rileva a questo riguardo che l'impegno per questo nuovo assetto normativo è in atto e segue e può seguire nei singoli Paesi indirizzi diversi di approcci globali - evidentemente più convincenti - o di sezionamento di problemi e soluzioni.
Ma indipendentemente da tutto ciò, essenziale è certo la convergenza del nostro sistema e dei vari sistemi aperti alla collaborazione ed integrazione comunitaria in un disegno fondato sul recepimento di una logica di apertura e di armonizzazioni internazionali, sull'ampliamento delle componenti di mercato nell'attività finanziaria, sull'irrobustimento delle regole di comportamento e delle infrastrutture che rendono i mercati efficienti. Pluralismo di intermediari e di loro forme di specializzazione in un quadro regolamentare bilanciato, una separazione fra le banche e le imprese non finanziarie diretta ad evitare intrecci pericolosi (ed il dibattito al riguardo è particolarmente vivo nel nostro Paese, dove il tema è notevolmente politicizzato al limite di condizionamenti pure ideologici), l'adozione per tutti gli enti creditizi di un modello giuridico ed adatto all'attività d'impresa, che permetta anche la trasferibilità del capitale e l'apertura ai privati, flessibilità dell'attività di intermediazione in un controllo garante di imprenditorialità e concorrenzialità degli operatori compatibili con un'efficace limitazione dei rischi di instabilità sono altrettanti corollari di una problematica che vuol spogliarsi di quanto non è essenziale per trasformarsi in misure ed indirizzi urgenti.
Il problema di fondo, pertanto, è quello di conseguire il completo adattamento del sistema finanziario alle esigenze dell'economia, lungo i solchi tracciati dalle direttrici Cee, dalla esperienza esterna, dalle nostre esigenze e caratteristiche interne, le quali ultime sono tante e pressanti: dal debito pubblico alle tensioni inflazionistiche, dai livelli di disoccupazione al divario fra Nord e Sud, per non parlare delle sopravvenienze esterne congiunturali (di raffreddamento) e politiche (di effetti anche nel tempo della guerra del Golfo). Il sistema creditizio è la cassa di risonanza di tutto ciò: con quello che è stato fatto - e ne abbiamo ricordati alcuni tratti -, con quello che si sta ulteriormente facendo e con quanto dovrà essere ulteriormente impostato e realizzato.
Oggetti, questi, di un ulteriore nostro discorso.


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