Un
radicale mutamento dello scenario strutturale ed operativo del sistema
bancario italiano, oggi sollecitato dalle scadenze del '92, ma prima
ancora sospinto dall'evoluzione dell'intero contesto civile, sociale,
economico, del Paese, si sta rivelando giorno per giorno nei fatti ed
anche in una dialettica che cerca di predisporli.
Le norme legislative sono a mano a mano varate, molte con estrema difficoltà
e con impetuosi ritorni di fiamma; molte scelte di fondo sono sul tappeto,
soprattutto per quanto concerne rapporti fra sfera pubblica e privata,
concentrazioni e dismissioni; la tendenza all'autodisciplina cerca di
coprire aree e soddisfare modalità più vaste ed aperte
di quelle fin qui conseguite; la ricerca della strada della maggiore
produttività, competitività ed efficienza dei servizi
si fa più approfondita, cominciando a dare una fisionomia più
avanzata al sistema. Tutti questi obiettivi vengono riassunti, con l'emblematicità
terminologica tanto usuale oggi, nella flessibilità e trasparenza,
che costituiscono i modi di essere o per lo meno finalistici dei sistemi
creditizi con i quali dobbiamo confrontarci non solo fuori i confini,
ma anche al nostro interno.
Tendenze e
sbocchi
Lo scandaglio occidentale e più particolarmente comunitario
cui ha dato luogo il semestre di presidenza italiana della Cee, e
al di là di esso il traguardo del '93 (con il pieno inserimento
o il pericolo di emarginazione o trasferimento alla seconda velocità
per chi non avrà saputo prontamente adeguarsi), hanno messo
in evidenza la più o meno generale tendenza dei sistemi creditizi
verso una banca universale, secondo cui ogni ente creditizio potrà
essere autorizzato a compiere qualsiasi tipo di attività finanziaria.
Siffatta tendenza si integra con quella della persistenza e dello
sviluppo di altri enti a dimensione e grado di operatività
più circoscritti. Come, del resto, già largamente si
verifica ovunque e da tempo, tuttavia con una sostanziale differenza
rispetto al passato. In esso, modalità e accelerazioni erano
meno marcate, riflettevano esigenze di mercato meno soggette ad interpretazioni
intermediarie, mentre oggi la competitività si muove molto
più in fretta e lo spazio assunto dalle normative tende sempre
più ad allargarsi in un quadro dialettico, non sempre esente
da ipoteche ideologiche o strumentali.
I temi che comportano adeguamenti e armonizzazioni nell'ambito Cee,
ed alcuni di essi anche in Italia, hanno fatto o stanno facendo la
loro strada (istituzioni di intermediazione finanziaria, antitrust,
banche spa, concentrazioni, ecc.), concernono:
- una deregulation, che, lasciando fermi i capisaldi di controlli
e di interventi irrinunciabili, si muova con un'elasticità
che sia liberatrice di quei lacci e lacciuoli aridamente vincolistici
e pregiudizievoli di sviluppo e di allocazioni positive ambientalmente
e settorialmente. E' quanto è stato fatto e si sta facendo
con l'ampliamento della rete degli sportelli, con l'accelerazione
di concentrazioni e fusioni nella ricerca di assetti ottimali, per
il rapporto fra banche e imprese non finanziarie, ecc.
- una tutela dei depositi, che vada oltre il già garantito
elevato grado di rimborso, ma più radicalmente investa quella
trasparenza e chiarezza di rapporti con le utenze, che indubbiamente
sta andando avanti, ha trovato fondamenta nell'autodisciplina, ma
che nella stessa e oltre di essa, quando necessario, deve e può
compiere altri passi innanzi. Le nuove tecnologie ne forniscono i
mezzi, la concorrenzialità ne indica i possibili modelli, la
maturità professionale dei quadri ne consente la maggiore pratica
e le stesse attitudini delle utenze ne favoriscono e richiedono più
estese applicazioni. Paradossalmente, si osserva da qualcuno che,
mentre il servizio postale, che sconta un'antica arretratezza, cerca
di riscattarla con il cosiddetto bancomat, molti sportelli bancari
minacciano di essere gestiti con criteri e modi di essere che li allontanano
dalla necessaria correntezza, per condurli sul piano di una burocratizzazione
certamente fuori posto ed inspiegabile in questa sede.
- l'intreccio organico e l'armonizzata definizione del grosso complesso
dei problemi che, oltre a quelli fin qui ricordati, viene a riguardare
il cosiddetto controllo globale o sorveglianza su base consolidata,
la protezione minima ai destinatari dell'offerta (OPA), attraverso
l'uguaglianza di trattamento, la disciplina delle Borse valori, l'insider
trading, con una normativa tesa a garantire e vietare alle persone
che hanno accesso ad informazioni riservate di acquistare o cedere
valori quotati avvalendosi delle loro informazioni.
Sono tutte queste altrettante materie sulle quali il nostro Parlamento
è intervenuto o sta intervenendo, con la necessità tuttavia
di un'accelerazione di tempi richiesta sia dalle direttive Cee sia
dalle scadenze del calendario relativo, che comincia già a
registrare una più larga presenza di Paesi comunitari in Italia.
In un orizzonte
aperto
Siamo, in questo campo, ed è vero, ancora ai primordi di un
quadro che dovrà essere ampliato. Difatti, fino allo scorso
anno, le banche estere ricoprivano una quota inferiore all'1,5% del
mercato creditizio, quota che pone il nostro Paese all'ultimo posto
in una classifica internazionale che vede a notevole distanza da noi
Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati Uniti, Spagna.
Fra i fattori frenanti fin qui hanno agito carenze strutturali e vincoli
penalizzanti, e cioè l'assenza di mercati di supporto alle
transazioni, come un mercato dei futures, lo scarso sviluppo del mercato
interbancario, che risente successivamente dell'effetto di spiazzamento
provocato su tutto il mercato monetario dalle scelte dell'operatore
pubblico e che si caratterizza per una prevalenza di operazioni a
breve o incerta scadenza.
L'orizzonte però si viene allargando, e non a caso fra i fatti
recenti sono da segnalare la nuova operazione di "asset-backed"
della City Bank per il mercato italiano (una forma di securitation
che consente come garanzia l'utilizzo del mutuo ipotecario), nonché
il piano della Barclays per rilanciarsi in Italia. L'obiettivo di
questo piano - ed è bene considerarlo come un possibile più
o meno diffuso punto di riferimento per similari iniziative - è
quello di servire le medie aziende e gli investitori privati. Tre
strade al riguardo sono ritenute possibili, e cioè l'acquisizione
di una banca già presente sul mercato, l'apertura di nuove
attività partendo da zero con forti investimenti iniziali o
l'avvio di un'alleanza con un importante partner italiano.
A spingere in tal senso sono oltre che le opportunità offerte
dal '93 anche l'interesse che i valori italiani vengono esercitando
negli investitori esteri. E' stato rilevato fra l'altro che nel 1989
quasi 43 mila miliardi di titoli di Stato erano nelle mani degli investitori
esteri, contro poco meno di 12 mila nel 1986, e che gli investimenti
esteri complessivi in titoli italiani (azioni, obbligazioni e titoli
pubblici) sono passati da 23 mila a 67 mila miliardi.
Ma l'appetibilità - come viene definita - dei nostri mercati
finanziari da parte dell'iniziativa estera è sottolineata anche
da altri fattori, rilevati fra l'altro in quest'ottica da una ricerca
promossa dall'Assibank.
Secondo detta ricerca, i nostri mercati al dettaglio, sono di una
certa ampiezza, testimoniata anche dal fatto che la ricchezza delle
famiglie ha superato il milione e mezzo di miliardi, ed offrono margini
elevati che, pur essendo soggetti a riduzioni, lasciano soddisfacenti
spazi operativi.
A questo riguardo, i riscontri maggiori di sviluppo sono da ricercarsi
nell'efficienza, rinnovata, e nella competitività, nell'avvento
di servizi sempre più innovativi, anche nell'inventiva e nell'offerta
di prodotti talvolta pure di avanguardia, e nelle applicazioni sempre
più progredite della tecnologia. Per essa indubbiamente si
pone il problema della maggiore professionalità dei quadri
dell'offerta - e questa è materia che riguarda le aziende,
però deve impegnare anche la strategia sindacale - ma anche
quello della maggiore maturità e disponibilità dell'utenza,
che certamente non è ancora del tutto in chiave con la prospettiva
'93.
In questo impegno sono investiti i vari tipi di banca, a prescindere
da caratteristiche e dimensioni. Conferma la ricerca che un mercato
più concorrenziale ha bisogno di una gamma diversificata di
banche, e la constatazione risolve anche in questo ambito il problema
dei più o dei meno da attribuire al piccolo ed al grande. Il
problema formalmente esiste, il che è fuori discussione, ma
si traduce nell'impegno della ricerca e dell'attuazione di modi di
essere, nei rispettivi comportamenti e nei relativi supporti, adeguati
agli ambienti, ai segmenti di mercati, ai tipi di servizi che si vogliono
soddisfare. Anche guardando al solo aspetto dei costi, la ricerca
Assibank mette in evidenza che nella gamma piccola e media esistono
aziende efficienti, con costi unitari di produzione anche inferiori
a quelli delle grandi banche.
Naturalmente, il presupposto relativo è quello dell'adozione
di strategie adeguate, che evidentemente devono essere sempre più
aggiornate in relazione non solo alle tendenze, ma anche alle prospettive
di mercato, e pertanto continuamente mirate, nella ripulsa di ogni
staticità o di ogni tradizionalismo che avrebbero poco e male
da dire. A queste banche, di dimensione media e minore, la ricerca
rivolge due essenziali avvertimenti.
Il primo concerne la valorizzazione del modello della community bank,
cioè di banca che si propone come infrastruttura finanziaria
dell'economia locale con rapporti fiduciari stringenti e modalità
di erogazione del servizio efficaci e flessibili. Il secondo avvertimento
si riferisce alla necessità che, per i servizi più complessi
e quindi più obiettivamente costosi, le banche devono superare
i limiti tipici delle dimensioni minori, che non consentono volumi
di risorse sufficienti allo sviluppo delle professionalità
specialistiche.
Ne discende la necessità di forme di cooperazione, rilevabile
del resto con tutte le modulazioni necessarie a tutti i livelli dimensionali,
ma essenziale nel quadro delle dimensioni medie e minori.
In questa direzione, più prevalente che mai è il principio
della flessibilità del sistema, raccomandata particolarmente
dal nostro ministro del Tesoro, secondo la quale non è indispensabile
solo una normativa corrispondente (e qua e là si leva qualche
dubbio su quella recentemente intervenuta), ma è anche urgente
una prassi fondata su interpretazioni compatibili e sollecitatrici
di un'identità più avanzata del nostro sistema, nella
varietà delle proprie componenti.
Esperienze
e strategie degli altri
Ciò viene indicato come sbocco anche dalle altrui esperienze,
fra cui quella francese e tedesca (per restare nell'ambito Cee), secondo
le quali, dove si affermano banche universali di grandi dimensioni,
si creano condizioni favorevoli alla specializzazione in particolari
segmenti o in particolari mercati.
La gravitazione di questi sistemi esterni sul nostro, in conseguenza
del '93, avrà pertanto a che fare con questa duplice caratterizzazione
dimensionale e di particolarità di specializzazione, con la
quale dovremo meglio confrontarci e rispetto alla quale certamente
dovremo prepararci molto meglio di quanto ora non avvenga. In questa
preparazione diamo doverosamente risalto all'instaurazione di presupposti
più consoni (fra cui quelli inerenti alla riduzione del deficit
pubblico, alle tensioni inflazionistiche, alla politica monetaria,
ecc.), ad un'armonizzazione comunitaria più pronta e completa
(il che invece purtroppo avviene ancora con qualche ritardo e talvolta
anche con qualche reticenza), ma dobbiamo fare spazio più largo
ad assetti strutturali maggiormente in linea con questi tempi che
vengono rapidamente cambiando, avendo a fronte crescite più
rapide, coinvolgimenti di mercati sempre più ampi (vicini,
lontani, nuovi: quelli dell'Est e del Terzo Mondo), spinte tecnologiche
sempre più marcate.
Secondo gli imprenditori industriali italiani, per il nostro Paese
si tratta di porre mano all'acceleratore, in considerazione del fatto
che le banche e gli altri intermediari finanziari non avrebbero tenuto
il passo dello sviluppo avuto in questi ultimi anni dal settore industriale,
con la conseguenza che si tratta di affrontare un gap tutto nazionale,
che dovrà essere superato nel nostro ambito, anche perché
la sua mancata soluzione provocherebbe un grado di minore nostra competitività
(creditizia e produttiva) rispetto ai Paesi nostri concorrenti.
Tutto ciò comporta come prima implicazione il perseguimento
di una strada europea, la cui ricerca, già in parte praticata
da taluni, è oggetto tuttora di dibattiti, avendo come sbocco
il maggiore possibile grado di competitività, ricercato sulla
base, più che di schemi astratti, di un motivato pragmatismo.
E fra i fattori da tenere presenti a questo riguardo, gli esperti
più qualificati hanno ricordato la necessità di rimuovere
alcune peculiarità tutte nostrane (eccessi delle regolamentazioni,
normative improprie fra l'altro con una natura pubblica delle banche,
che si è tradotta in un'eccessiva responsabilizzazione degli
amministratori verso i referenti politici), la necessità ancora
di meglio coniugare essenza dei modelli e contesto normativo nei quali
questi si collocano. Le indicazioni che intanto ci giungono dall'estero
(a parte quelle riscontrabili e note per singoli Paesi, e principalmente
per il sistema anglosassone e tedesco) mettono in risalto i seguenti
principali punti di riferimento:
- L'ampliamento progressivo in Europa, ma anche con riscontri statunitensi
sempre nel nostro Continente, delle fusioni, con un'Italia che però
scivolerebbe in fondo alla lista. Quanto alle acquisizioni straniere
in Italia, gli ultimi dati mettono in evidenza che esse vengono a
riguardare, oltre che gli altri settori (alimentare, chimico, tessile
ed abbigliamento, cartario, engeneering), anche quelli bancario ed
assicurativo, con sette transazioni a testa. Le cose tutto sommato
procedono a rilento e ciò si è verificato anche in questi
ultimi mesi, per i quali invece si registra all'estero un'accelerazione
di fusioni ed acquisizioni. Ciò si verifica a causa tanto di
un nostro scarso dinamismo verso l'estero quanto di un interesse degli
investitori stranieri che al momento almeno non sarebbe vivace.
Ne discende la necessità di una nostra più pronta iniziativa,
che d'altra parte il nostro sistema creditizio, per quanto attiene
alle applicazioni interne, sta largamente esplicando. Ora si tratta
di spingere lo sguardo più oltre, avvalendosi anche di quei
supporti di collaborazione e di integrazione costituiti dalle strutture
rappresentative e collaborative sul piano internazionale per lo specifico
ambito creditizio.
- La ricerca e la pratica di punti d'incontro, fra cui, nello spirito
di cui prima si è detto, va compresa la recente firma della
Carta di Cooperazione europea fra le Casse di Risparmio di 16 Paesi
europei (i Dodici della Comunità più Austria, Norvegia,
Finlandia e Svezia). A fronte della despecializzazione e della deregulation
che stanno mutando il panorama bancario europeo, le Casse ritengono
di potersi imporre soltanto se cooperano, sposando la strategia dell'alleanza.
In concreto, il contenuto della Carta di Cooperazione, che impegna
1.800 Casse di Risparmio, così si articola: preferenza fra
le Casse europee a scapito degli altri tipi di istituti di credito,
in particolare nelle attività di trasferimenti finanziari internazionali;
una politica di reciprocità per qualità e quantità
di servizi offerti, per lo meno nei limiti del possibile; messa in
comune delle risorse a vantaggio della clientela; applicazione dei
principii della Carta in modo graduale per permettere a tutti i partners
di crescere insieme e senza scosse. In questa direzione già
del resto si muovono alcune iniziative comuni, anche se non generalizzate
e limitate ad un certo numero di Casse europee, in materia di fondi
comuni denominati in Ecu, un servizio di pagamento elettronico per
titolari di speciali Carte, ecc. E questi sono altrettanti campi che
si dischiudono anche alle altre possibili iniziative di diversi tipi
di istituti di credito, aperti alla nuova ispirazione europeista.
C'è indubbiamente la scorciatoia delle combinazioni bilaterali,
ma un contesto più generale ed incontri multilaterali hanno
certo il loro ruolo da svolgere su di una base più ampia, a
mano a mano che le rappresentanze specifiche internazionali diverranno
più consistenti ed organiche.
- Le indicazioni che ci vengono dagli Usa, i quali devono superare
gli effetti della grave crisi che ha coinvolto una larga fascia di
istituti e sono alla ricerca di un nuovo assetto che cambi radicalmente
lo sportello, assegnandogli, come è stato detto, una libertà
d'azione a tutto campo.
Operano indubbiamente in questo nuovo modello fattori specifici, riferiti
all'ambito territoriale, istituzionale ed economico, ma ne scaturiscono
anche proposte e suggerimenti di principii e di finalismi che non
possono essere tralasciati da singoli sistemi esterni, come il nostro,
portati ad incontrarsi e confrontarsi.
Orbene, i principii di fondo del cambiamento dello sportello Usa sono
i seguenti:
- creazione di un nuovo tipo di holding finanziaria che permetta alle
banche di avere una rete di filiali su tutto il territorio nazionale
e di gestire anche società di brokeraggio ed eventualmente
assicurazioni ed attività industriali;
- introduzione delle barriere fra attività bancarie e non,
per evitare che i depositi assicurati a livello federale vengano usati
per finanziare le attività non bancarie;
- mantenimento di un'assicurazione di base di 100. 000 dollari per
ogni deposito, limitando la copertura oltre questa cifra;
- autorità di controllo sulle banche in un unico ente dipendente
dal Tesoro (Comptroller of the Currency), controllore della moneta.
La Federal Reserve Board continuerà a controllare le 40 o 50
maggiori banche, quelle con le maggiori attività internazionali;
- mantenimento per la Securities and Exchange Commission dell'incarico
di controllare le funzioni di intermediazione titoli svolte dai nuovi
gruppi.
Ma le sollecitazioni vanno oltre questo modulo, dato che le istanze
vengono a riguardare una più sostanziale rimodellazione dell'intera
struttura dei mercati finanziari con una nuova regolamentazione, con
la riduzione delle barriere che limitano l'attività delle banche
commerciali e delle banche di investimento con la revisione del sistema
di duplice regolamentazione (statale e federale) sui titoli finanziari,
con il superamento delle difficoltà al ritorno di un sistema
redditizio e competitivo.
Si tratta di altrettanti motivi che, tranne quelli inerenti ai rapporti
statali e federali, trovano riscontro nella dialettica europea ed
oggi nel modo e nelle strategie concernenti l'evoluzione creditizia
in preparazione del '93 e del Duemila, ormai alle nostre porte.
Ma dietro questi indirizzi e queste misure, vi è una situazione
specifica statunitense, sulle cui motivazioni ovviamente occorre sviluppare
gli approfondimenti - molti dei quali spesso destinati a trasformarsi
in ammonimenti anche per gli altri -, che si traduce fra l'altro in
una serie di fallimenti di istituti di credito, a ritmo purtroppo
crescente in questi ultimi anni. Ai 169 fallimenti del 1990 ne dovrebbero
succedere, nell'anno in corso, 180: con la possibilità di un
loro elevamento a 400 in conseguenza della guerra del Golfo.
Gioca in questa situazione e nella relativa prospettiva una serie
di fattori, che sono da un lato congiunturali e dall'altro strutturali,
avendo questi ultimi a che fare con la validità o meno di specifiche
gestioni con le sfere normative prescelte, con le risposte che saranno
date ai principali problemi di fondo, fra cui anche negli Usa fa spicco
quanto concerne l'intermediazione e l'ingresso degli istituti nella
contrattazione titoli.
Ma a parte questo sfondo, un altro ne va rilevato e riguarda ritmo
e dimensione delle fusioni ed acquisizioni, sempre negli Usa, che
dagli 83 miliardi di dollari del 1983 sono salite nel 1989 a 250 miliardi
di dollari, con una crescita più accentuata negli ultimi quattro
anni.
Il nostro pragmatismo
Per quanto ci riguarda, le cose - le ultime cose, oltre la fondamentale
legge Amato - sono a questo punto:
- nel nostro mercato mobiliare, i tasselli normativi concernenti il
settore sono costituiti dalla disciplina istitutiva delle SIM, dalla
disciplina in materia di OPA, dalla regolamentazione dell'insider
trading, materie queste in discussione da parte del Parlamento;
- un tassello particolare della riforma è rappresentato dalla
normativa Amato, nel cui quadro si inserisce il principio del più
privato col modello SpA. Questa legge Amato permetterà alle
banche pubbliche di trasformarsi in società per azioni e di
ricapitalizzarsi con una robusta iniezione di denaro pubblico (1.800
miliardi). E' stato rilevato che bisogna rifarsi a molti anni fa per
ritrovare un intervento normativo di pari rilievo: si tratta infatti
dell'inserimento nella nostra legislazione del concetto di gruppo
bancario e dell'assenso all'ingresso, sia pure in forma di minoranza,
dei privati nel capitale degli istituti di credito che fanno capo
allo Stato;
- l'accelerazione dell'iter parlamentare per OPA ed insider. Per la
prima, il testo fin qui approvato, che in 38 articoli disciplina offerte
di vendita e di sottoscrizione, nonché di acquisto e scambio
di valori mobiliari quotati, è considerato troppo condizionato
da vincoli eccessivamente dettagliati, da norme anche eterogenee rispetto
alle offerte pubbliche, come quelle relative alle comunicazioni obbligatorie
alla Consob di scambi azionari. Più lineare appare, al contrario,
la proposta di direttiva comunitaria, secondo la quale le offerte
pubbliche riguardano sia le società quotate sia quelle non
quotate sotto forma di Spa o di Sas. Le norme si applicano altresì
alle obbligazioni convertibili, ai diritti di sottoscrizione, alle
opzioni ed ai warrant. In questo ambito sono previsti aggiustamenti
del testo già varato dal Senato rispetto agli indirizzi comunitari,
con riguardo fra l'altro alla norma relativa allo scatto della quota
di azioni di una società perché intervenga l'obbligo
di lanciare un'OPA su tutte le azioni della società. Secondo
lo schema Cee si tratta di portare lo scatto stesso ad un terzo delle
azioni.
Per l'insider trading sono in corso ulteriori approfondimenti, che
preludono anche emendamenti di norme varate in sedi preliminari;
- l'urgenza che all'emanazione della legge n. 218 del 30 luglio dell'anno
scorso facciano seguito l'emanazione dei relativi decreti delegati
e soprattutto una pronta operatività di un contesto nel quale
le singole parti del sistema creditizio dovranno esplicare i loro
servizi.
Ha detto a questo e ad altri titoli il Governatore della Banca d'Italia
che le nuove disposizioni fissano presupposti giuridici, strumenti
e procedure perché si ponga mano alla riorganizzazione delle
banche. E varie sono le sfaccettature da considerare o che vengono
già considerate ed in parte affrontate. Si va dalla determinazione
dei limiti della presenza pubblica nel credito al rapporto fra banca
universale o polifunzionale (e Carli ha ammonito dall'appagamento
di istanze solo puramente teoriche), dal problema della vigilanza
(con l'angolazione oggi particolarmente dibattuta di Bankitalia e
Consob) alle riforme degli istituti di credito fondiario o del credito
agevolato, e così via.
Dominante è in tutto questo ambito il ruolo della Banca d'Italia,
rispetto al quale il ministro del Tesoro ha dichiarato che l'autonomia
dell'Istituto Centrale è garantita dall'attuale ordinamento
in maniera adeguata: "Vi è uno spazio fissato dal legislatore,
riservato alle scelte discrezionali della Banca nel quale non è
dato neppure all'Autorità di Governo effettuare condizionamenti".
La vigilanza sul sistema creditizio e finanziario si esplica fra l'altro
con un esame diretto a valutare l'efficienza e capacità di
reddito dell'azienda, la liquidità, la qualità e rischiosità
delle operazioni, senza scendere alla convenienza aziendale della
singola operazione bancaria lasciata al libero apprezzamento degli
organi aziendali. Alla base c'è la pratica di una filosofia
che alla funzione di controllo non dà e non vuol dare il carattere
di una perturbatrice e dannosa supergestione delle aziende bancarie.
Efficienza, dunque, nel rispetto delle condizioni dinamiche che la
consentono e perciò con quella correntezza che deve evitare
ogni pericolo di sclerotizzazione (ed è il mancato adeguamento
al passo avanzato degli altri che ne è un segno) o peggio di
pietrificazione: la foresta pietrificata di cui parlava Amato anni
or sono presentando il suo disegno di legge.
Ha commentato sempre Amato che si è voluto risvegliare un sistema
che dormiva dal '36 e che si tratta, con la legge varata, del primo
e concreto passo che la legislazione compie da un sistema finanziario
a direzione amministrativa verso un sistema a direzione di mercato.
Il che, come si sa, è un obiettivo perseguito, ma non ancora
conseguito.
Ed i capitoli da tenere presenti e da affrontare, anche nella comparazione
comunitaria oltre che nell'ottica dell'efficienza e della competitività,
sono ancora tanti. Riguardano la sempre migliore definizione delle
varie sedi di interventi, indirizzi e controlli, determinando convergenze
ed opportune forme di collaborazione. Concernono una funzionalità
borsistica, nella quale, per quanto ci riguarda, predomina l'elemento
pubblico, mentre negli altri Paesi Cee predomina quello privato; si
riscontra, rispetto sempre ai Paesi Cee, una differenza di rilievo
sui requisiti per l'ammissione alle quotazioni e si devono rilevare
ancora insufficienze o inadeguatezze in materia di trasparenza e di
definizione dei rapporti con l'industria, ecc.
Ne è investita l'urgenza di un più avanzato assetto
del mercato mobiliare, senza il quale si rischia di passare ai margini
del quadro occidentale. indicazioni si ricavano per questi pericoli
dai rapporti dell'IRS di Milano, che fra l'altro sottolinea le interferenze
in atto rispetto all'obiettivo, pur irrinunciabile, del mercato arbitro
delle strategie d'impresa.
Servizi più
avanzati per lo sviluppo
Su questa strada, così articolata nelle sue ramificazioni (legge
Amato, Sim, rapporti banca-impresa, rapporti con l'estero, lottizzazioni,
ecc.), molte sono le strettoie e le remore da superare o per lo meno
cominciare a correggere. Il che si sta facendo, ma non ancora con
l'organicità necessaria all'avvento ed all'operatività
di una piena nuova disciplina del credito, mirata ovviamente anche
all'Europa o meglio ancora alla compatibilità e concorrenzialità
con i fattori esterni al nostro sistema.
Si tratta - e recentemente ha avuto occasione di sottolinearlo anche
il Direttore Generale della Banca d'Italia - di:
- recuperare i ritardi soprattutto nella capacità di fornire
servizi di qualità per una clientela diventata più esigente;
- adeguarsi con le ristrutturazioni e la migliore predisposizione
dell'offerta alle rapide mutazioni del mercato dovute, oltre che alla
maggiore maturazione dell'utenza di cui si è detto (e che,
bisogna aggiungere, ha margini di sviluppo e di novità negli
stessi modi di essere superiori a quelli fin qui rilevati e computati),
ad un quadro nuovo, dove liberalizzazione valutaria, travaglio per
il nuovo Sistema monetario europeo, manovra per la combinazione di
politica dei tassi d'interesse e del cambio e per la graduale rimozione
delle restrizioni amministrative, rinnovate prestazioni dei servizi
finanziari, vengono sempre più allargando il loro spazio, stimolando
oltre che indirizzando le varie strategie. Queste, è vero,
sono alla base del mercato unico, comportano in questa ottica posizioni
e soluzioni comuni a tutti i Paesi, ma anche indipendentemente da
esse comportano un rinnovamento ed una migliore messa a punto del
nostro sistema, sotto spinte evolutive non certo contenibili. Sviluppo
del mercato dei capitali privati, disciplina degli intermediari, moduli
organizzativi del gruppo funzionale, modo di operare la vigilanza,
revisione delle procedure tecniche ed organizzative dei mercati e
dei sistemi di pagamento, ecc. sono gli altrettanti tasselli di un
mosaico, in gran parte definito nel suo disegno, ma non ancora definibile
nella gradualità delle relative soluzioni.
La Banca d'Italia rileva a questo riguardo che l'impegno per questo
nuovo assetto normativo è in atto e segue e può seguire
nei singoli Paesi indirizzi diversi di approcci globali - evidentemente
più convincenti - o di sezionamento di problemi e soluzioni.
Ma indipendentemente da tutto ciò, essenziale è certo
la convergenza del nostro sistema e dei vari sistemi aperti alla collaborazione
ed integrazione comunitaria in un disegno fondato sul recepimento
di una logica di apertura e di armonizzazioni internazionali, sull'ampliamento
delle componenti di mercato nell'attività finanziaria, sull'irrobustimento
delle regole di comportamento e delle infrastrutture che rendono i
mercati efficienti. Pluralismo di intermediari e di loro forme di
specializzazione in un quadro regolamentare bilanciato, una separazione
fra le banche e le imprese non finanziarie diretta ad evitare intrecci
pericolosi (ed il dibattito al riguardo è particolarmente vivo
nel nostro Paese, dove il tema è notevolmente politicizzato
al limite di condizionamenti pure ideologici), l'adozione per tutti
gli enti creditizi di un modello giuridico ed adatto all'attività
d'impresa, che permetta anche la trasferibilità del capitale
e l'apertura ai privati, flessibilità dell'attività
di intermediazione in un controllo garante di imprenditorialità
e concorrenzialità degli operatori compatibili con un'efficace
limitazione dei rischi di instabilità sono altrettanti corollari
di una problematica che vuol spogliarsi di quanto non è essenziale
per trasformarsi in misure ed indirizzi urgenti.
Il problema di fondo, pertanto, è quello di conseguire il completo
adattamento del sistema finanziario alle esigenze dell'economia, lungo
i solchi tracciati dalle direttrici Cee, dalla esperienza esterna,
dalle nostre esigenze e caratteristiche interne, le quali ultime sono
tante e pressanti: dal debito pubblico alle tensioni inflazionistiche,
dai livelli di disoccupazione al divario fra Nord e Sud, per non parlare
delle sopravvenienze esterne congiunturali (di raffreddamento) e politiche
(di effetti anche nel tempo della guerra del Golfo). Il sistema creditizio
è la cassa di risonanza di tutto ciò: con quello che
è stato fatto - e ne abbiamo ricordati alcuni tratti -, con
quello che si sta ulteriormente facendo e con quanto dovrà
essere ulteriormente impostato e realizzato.
Oggetti, questi, di un ulteriore nostro discorso.