§ Scenari 2000

Anno 2038 deserto al Nord




Antonio Golini
Resp. Istituto Ricerche sulla popolazione del CNR



Cronaca di una rivoluzione annunciata. Così potrebbero anche chiamarsi i due tomi diffusi dall'Istat con dati analitici sulle previsioni della popolazione delle regioni italiane, che danno conto delle grandi trasformazioni che si stanno Avendo nelle tendenze demografiche del Paese e che prendono le mosse dallo straordinario calo della fecondità e dall'altrettanto straordinario aumento della durata media della vita. Sono due volumi che si affiancano a quelli, altrettanto recenti, che riportano le proiezioni elaborate dall'Onu e quelle elaborate dall'Istituto di Ricerche della Popolazione del Cnr su popolazione e famiglie.
Si tratta, in tutti e tre i casi, di "scenari" piuttosto che di previsioni propriamente dette, perché davvero nessuno, nelle istituzioni citate, sarebbe in grado di prevedere un futuro tanto lontano. Sono perciò tutti scenari del tipo: "Che cosa potrebbe accadere nella popolazione se si verificassero le ipotesi che stanno alla base della proiezione", Bene perciò ha fatto l'Istat a pubblicare l'insieme di sei diverse ipotesi, che coprono quasi tutta la gamma dei possibili percorsi che potrà seguire la popolazione italiana. Naturalmente, il grado di affidabilità di queste ipotesi è del tutto diverso, a seconda dell'orizzonte temporale di riferimento: alle proiezioni del breve periodo (5-10 anni) si può dare un elevato grado di fiducia, perché si tratta di "invecchiare" la popolazione esistente e di stimare le possibili nascite degli anni a noi più prossimi. Alle proiezioni del medio-lungo periodo si può dare invece un grado di fiducia diverso, a seconda che riguardino la popolazione già esistente (i settantenni del 2038, una data che sembra astralmente lontana, sono i ventenni di oggi) relativamente più facile da prevedere o che riguardi invece la popolazione che nascerà o che migrerà nei prossimi cinquant'anni.


Vediamo alcune delle previste trasformazioni. La popolazione totale, nei prossimi vent'anni, dovrebbe subire mutamenti importanti, ma non imponenti. Al l° gennaio del 2.008, infatti, l'Istat prevede una popolazione che, rispetto ai 57,4 milioni attuali, varierebbe fra i 55,7 e i 59,9 milioni, a seconda che la fecondità continui a decrescere o invece riesca a risalire (e nell'ipotesi che non vi sia immigrazione dall'estero). Con un'immigrazione netta di circa 30 mila persone all'anno, varierebbe fra 56,3 e 60,5 milioni. Fra l'ipotesi più bassa e quella più alta vi è perciò una differenza di circa 5 milioni, che non è certo una piccola quantità.
Di assoluto rilievo sono invece la trasformazione della struttura per età e le opzioni che si presentano per la società italiana e che per esser meglio valutate devono essere osservate sull'orizzonte temporale più alto, cioè al 2038. Al I' gennaio di quell'anno dovrebbero esserci 14,5 milioni di persone con più di sessantacinque anni (contro i 7,9 milioni attuali), il che dà la misura di quanto intenso sarà l'invecchiamento della popolazione di cui si è spesso parlato su questa rivista. Ma è importante sottolineare che questi 14,5 milioni di anziani e vecchi potrebbero trovarsi a convivere con 10,9 milioni di giovani al di sotto dei 15 anni se la fecondità dovesse risalire rispetto ai livelli attuali, mentre i giovani sarebbero soltanto 3,6 milioni se, al contrario, la fecondità dovesse continuare a declinare: nella prima ipotesi, si avrebbero otto ragazzi per ogni dieci anziani e vecchi; nella seconda, invece, avremmo solo tre ragazzi per ogni dieci anziani e vecchi. Si pone perciò per la società italiana un'opzione di assoluto rilievo per i prossimi anni, quella di assecondare le tendenze in atto nella fecondità o di contrastarle almeno moderatamente, a seconda che si voglia tentare di seguire l'una o l'altra strada. E il problema legato a questa opzione è duplice: si tratta di vedere non solo su chi potranno contare i 14,5 milioni di anziani e vecchi (e in particolare i 6,7 milioni previsti di ultrasettantacinquenni), ma anche il contesto demografico e sociale che potrebbe circondare i 3,6 milioni di ragazzi (nell'ipotesi di fecondità decrescente). Un aspetto legato al forte invecchiamento della popolazione è la sua progressiva "femminilizazione", che deriva dalla maggiore longevità delle donne. Fra i 6,7 milioni di ultrasettantacinquenni, 2,4 milioni dovrebbero essere gli uomini e circa il doppio le donne (4,3 milioni): una legione di vedove che già adesso sono, rispetto ai vedovi, in un rapporto di cinque a uno. E ancora, dall'invecchiamento deriva un forte aumento delle famiglie, e in particolare di quelle composte da una sola persona: le previsioni dell'Irp (l'Istat non fa questo tipo di previsioni) sono significative: da qui al 2008 ci si aspetta un fortissimo incremento delle famiglie, dai 20,3 milioni attuali ai 24 milioni previsti, con una parallela diminuzione del numero medio di componenti, che dovrebbero passare da 2,8 a 2,3.

Altri fondamentali aspetti della popolazione e quindi della società italiana emergono da tutti questi insiemi di previsioni, fra cui, di massima importanza, quello che l'offerta di lavoro di origine demografica sarà localizzata nei prossimi anni tutta nel Mezzogiorno, o quello delle straordinarie "rigidità" del sistema popolazione. A quest'ultimo riguardo, un esempio è illuminante: non considerando le migrazioni, la popolazione della Liguria continuerebbe a diminuire per almeno ulteriori quarant'anni, anche se "miracolosamente" a partire da domani ogni coppia di genitori desse luogo a due nascite (il che, ovviamente, nel lungo periodo assicura solo la crescita zero). Il fatto è che, a causa della forte denatalità del passato, saranno molto carenti nei prossimi decenni le leve dei genitori e a poco servirebbe, nel breve periodo, un aumento della loro riproduttività. Al sistema popolazione, nel quale va certo compresa la variabile migratoria, e ai necessari aggiustamenti economici e sociali bisogna perciò guardare sempre in anticipo e con lungimiranza.


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