Cronaca di una
rivoluzione annunciata. Così potrebbero anche chiamarsi i due
tomi diffusi dall'Istat con dati analitici sulle previsioni della
popolazione delle regioni italiane, che danno conto delle grandi trasformazioni
che si stanno Avendo nelle tendenze demografiche del Paese e che prendono
le mosse dallo straordinario calo della fecondità e dall'altrettanto
straordinario aumento della durata media della vita. Sono due volumi
che si affiancano a quelli, altrettanto recenti, che riportano le
proiezioni elaborate dall'Onu e quelle elaborate dall'Istituto di
Ricerche della Popolazione del Cnr su popolazione e famiglie.
Si tratta, in tutti e tre i casi, di "scenari" piuttosto
che di previsioni propriamente dette, perché davvero nessuno,
nelle istituzioni citate, sarebbe in grado di prevedere un futuro
tanto lontano. Sono perciò tutti scenari del tipo: "Che
cosa potrebbe accadere nella popolazione se si verificassero le ipotesi
che stanno alla base della proiezione", Bene perciò ha
fatto l'Istat a pubblicare l'insieme di sei diverse ipotesi, che coprono
quasi tutta la gamma dei possibili percorsi che potrà seguire
la popolazione italiana. Naturalmente, il grado di affidabilità
di queste ipotesi è del tutto diverso, a seconda dell'orizzonte
temporale di riferimento: alle proiezioni del breve periodo (5-10
anni) si può dare un elevato grado di fiducia, perché
si tratta di "invecchiare" la popolazione esistente e di
stimare le possibili nascite degli anni a noi più prossimi.
Alle proiezioni del medio-lungo periodo si può dare invece
un grado di fiducia diverso, a seconda che riguardino la popolazione
già esistente (i settantenni del 2038, una data che sembra
astralmente lontana, sono i ventenni di oggi) relativamente più
facile da prevedere o che riguardi invece la popolazione che nascerà
o che migrerà nei prossimi cinquant'anni.

Vediamo alcune delle previste trasformazioni. La popolazione totale,
nei prossimi vent'anni, dovrebbe subire mutamenti importanti, ma non
imponenti. Al l° gennaio del 2.008, infatti, l'Istat prevede una
popolazione che, rispetto ai 57,4 milioni attuali, varierebbe fra
i 55,7 e i 59,9 milioni, a seconda che la fecondità continui
a decrescere o invece riesca a risalire (e nell'ipotesi che non vi
sia immigrazione dall'estero). Con un'immigrazione netta di circa
30 mila persone all'anno, varierebbe fra 56,3 e 60,5 milioni. Fra
l'ipotesi più bassa e quella più alta vi è perciò
una differenza di circa 5 milioni, che non è certo una piccola
quantità.
Di assoluto rilievo sono invece la trasformazione della struttura
per età e le opzioni che si presentano per la società
italiana e che per esser meglio valutate devono essere osservate sull'orizzonte
temporale più alto, cioè al 2038. Al I' gennaio di quell'anno
dovrebbero esserci 14,5 milioni di persone con più di sessantacinque
anni (contro i 7,9 milioni attuali), il che dà la misura di
quanto intenso sarà l'invecchiamento della popolazione di cui
si è spesso parlato su questa rivista. Ma è importante
sottolineare che questi 14,5 milioni di anziani e vecchi potrebbero
trovarsi a convivere con 10,9 milioni di giovani al di sotto dei 15
anni se la fecondità dovesse risalire rispetto ai livelli attuali,
mentre i giovani sarebbero soltanto 3,6 milioni se, al contrario,
la fecondità dovesse continuare a declinare: nella prima ipotesi,
si avrebbero otto ragazzi per ogni dieci anziani e vecchi; nella seconda,
invece, avremmo solo tre ragazzi per ogni dieci anziani e vecchi.
Si pone perciò per la società italiana un'opzione di
assoluto rilievo per i prossimi anni, quella di assecondare le tendenze
in atto nella fecondità o di contrastarle almeno moderatamente,
a seconda che si voglia tentare di seguire l'una o l'altra strada.
E il problema legato a questa opzione è duplice: si tratta
di vedere non solo su chi potranno contare i 14,5 milioni di anziani
e vecchi (e in particolare i 6,7 milioni previsti di ultrasettantacinquenni),
ma anche il contesto demografico e sociale che potrebbe circondare
i 3,6 milioni di ragazzi (nell'ipotesi di fecondità decrescente).
Un aspetto legato al forte invecchiamento della popolazione è
la sua progressiva "femminilizazione", che deriva dalla
maggiore longevità delle donne. Fra i 6,7 milioni di ultrasettantacinquenni,
2,4 milioni dovrebbero essere gli uomini e circa il doppio le donne
(4,3 milioni): una legione di vedove che già adesso sono, rispetto
ai vedovi, in un rapporto di cinque a uno. E ancora, dall'invecchiamento
deriva un forte aumento delle famiglie, e in particolare di quelle
composte da una sola persona: le previsioni dell'Irp (l'Istat non
fa questo tipo di previsioni) sono significative: da qui al 2008 ci
si aspetta un fortissimo incremento delle famiglie, dai 20,3 milioni
attuali ai 24 milioni previsti, con una parallela diminuzione del
numero medio di componenti, che dovrebbero passare da 2,8 a 2,3.

Altri fondamentali
aspetti della popolazione e quindi della società italiana emergono
da tutti questi insiemi di previsioni, fra cui, di massima importanza,
quello che l'offerta di lavoro di origine demografica sarà
localizzata nei prossimi anni tutta nel Mezzogiorno, o quello delle
straordinarie "rigidità" del sistema popolazione.
A quest'ultimo riguardo, un esempio è illuminante: non considerando
le migrazioni, la popolazione della Liguria continuerebbe a diminuire
per almeno ulteriori quarant'anni, anche se "miracolosamente"
a partire da domani ogni coppia di genitori desse luogo a due nascite
(il che, ovviamente, nel lungo periodo assicura solo la crescita zero).
Il fatto è che, a causa della forte denatalità del passato,
saranno molto carenti nei prossimi decenni le leve dei genitori e
a poco servirebbe, nel breve periodo, un aumento della loro riproduttività.
Al sistema popolazione, nel quale va certo compresa la variabile migratoria,
e ai necessari aggiustamenti economici e sociali bisogna perciò
guardare sempre in anticipo e con lungimiranza.