§ Il corsivo

Nonna che occhi grandi




Milla Pastorino



Cappuccetto rosso dice alla nonna "che occhi grandi hai", ma al posto della nonna c'è il lupo.
Questo accade nella fiaba, e tutti sappiamo quanti sono i diversi significati del rapporto bambina - madre - nonna - lupo protagonisti della storia. E se il lupo, oltreché rappresentare il sesso e la seduzione, rappresenta anche il grande mondo "fuori di casa", quanto grandi debbono essere gli occhi della nonna di un Cappuccetto rosso affidato alle sue cure! Per "vedere meglio", come dice la fiaba, le responsabilità che al suo essere nonna la vita di oggi propone e impone.
Un tempo, in quasi tutte le realtà (forse, ma forse, un discorso a parte può essere fatto per la realtà contadina del secolo passato) la nonna era merenda. La sua presenza, il suo intervento erano la gratificazione, la carezza, il "di più". Le donne invecchiavano presto, le loro forze erano, al momento di diventare nonne, molto logorate.
Poi è diventata pietanza: è la nonna che nell'emergenza sostituisce la mamma. Importante, ma non indispensabile.
Oggi la nonna è minestra: essenziale, perché sostituisce la madre.
Certo, le donne con figli piccoli lavoravano anche in passato: ma la famiglia era quasi sempre molto grande. C'erano le sorelle e le cognate nubili, c'erano le figlie già cresciute. Per cui la nonna non era essenziale, forse per questo nessuno aveva mai pensato a fabbricare scarpe anatomiche, tanto comode da consentire alla donna anziana il massimo possibile della mobilità. Quella che oggi è necessaria perseguire il complicato spostamento dei nipoti da casa a scuola, da scuola a casa, e poi via verso le palestre, le piscine, le scuole di pittura o di inglese o di danza. C'era anche, nei tempi passati, una maggiore disponibilità di domestiche: bambinaie, tuttofare, tate alle quali affidare i figli. oggi solo a livelli di reddito molto alti si può affiancare alla colf, filippina o nostrana, una governante, anche solo au-pair. Per cui le esigenze dei figli ricadono sempre più spesso sulla nonna, ed ecco la necessità degli "occhi grandi" per una donna già avanti negli anni che deve ricominciare a fare la madre. Non "mamma due volte", come teneramente si dice delle nonne, ma "mamma di nuovo". Ed ecco questa donna non più giovane (che ha cresciuto dei figli, che ha lavorato in casa e spesso anche fuori casa) nella necessità di rivivere tutti i problemi, rifare tutte le fatiche, ripercorrere quei non facili itinerari, anche emotivi, che si era lasciata alle spalle dopo l'adolescenza dei figli. Con una differenza non solo anagrafica: perché la difficoltà di sostituire la mamma oggi non nasce solo dalla stanchezza e dai ritmi della vita, ma soprattutto dai pericoli, dalle responsabilità che nuovi modelli di comportamento costringono ad affrontare.
E ancora, la nonna si trova a vivere una serie di conflitti, divisa fra due poli di energia: da una parte la figlia, con la sua mentalità di donna giovane e con le sue rigidità di giovane madre. Dall'altra i nipoti, portatori di valori che la nonna spesso non sa capire, e che la madre non vuole accettare.
Talvolta poi la nonna non è solo una madre invecchiata. Talvolta è anche una donna che ha ancora un'attività professionale. E' allora che si scatena un ennesimo conflitto: le sue attività e i suoi impegni vengono considerati dalla figlia di livello inferiore, subordinati quindi ai suoi, di giovane donna in carriera. E per carriera non si intende solo quella delle donne-manager o delle professioniste. Il bisogno e la necessità di farsi strada, di affermarsi, di difendere il proprio lavoro è anche di qualsiasi giovane lavoratrice.
Quindi, che la nonna trovi il modo di conciliare, se proprio non può ancora mettersi in pensione, il suo lavoro con l'esigenza dei nipoti. E se per caso ha un suo impegno sentimentale che non sia il rapporto consolidato (pacifico o rissoso, ma consolidato) con il marito (il nonno), peggio per lei.
Visto che a lei tocca la funzione di cuscinetto fra le esigenze di una lavoratrice (la figlia) continuamente frustrata da una società che sempre meno le concede quegli aiuti che in teoria (vedi servizi sociali) le aveva avaramente concesso. Quando ero piccola, mia nonna mi dava a merenda, qualche volta, una banana. Allora, la banana era un frutto "da ricchi". Quando penso alla nonna ricordo le banane, e il suo grande divano (lei diceva "sofà") dove correvo piangendo quando la mamma mi aveva sgridato. Su quel divano-sofà piangevo, e poi mi addormentavo. Che belli quei sonni dopo il gran pianto. Ma ancora prima ricordo la ninna-nanna che la nonna mi cantava. Ricordo? No, solo una lontanissima eco. Nonna mi cantava "Bandiera rossa", l'ho saputo tanti anni dopo. Però quell'aggettivo "rossa" è una delle prime parole che io ricordi. E ricordo anche "Nik e Bà", tutto quello che mi resta della ballata per l'uccisione di Sacco e Vanzetti, Nicola e Bartolomeo.
La nonna, arrivata a Genova dalla campagna carrarina, era un misto di socialista e di anarchico. Fragile e dolce come la Fatina di Pinocchio, dominava marito e figli con polso d'acciaio, senza mai alzare la voce. Anche a me parlava sempre dolcemente, con una cadenza toscana imbastardita dal dialetto ligure mai imparato del tutto. Mi chiamava "Nì", anzi "O Nì", un richiamo tenero e ansioso. Questa era mia nonna, la nonna materna. L'altra non l'ho conosciuta, appena appena l'ha conosciuta mio padre, perché morì a venti, forse ventidue anni. Di tubercolosi, come spesso allora morivano i poveri.
Nella mia storia familiare ci sono tre nonne. La mia. Mia madre, nonna dei miei figli. Io, nonna di Rosa, figlia di mia figlia. Mia nonna, anche lei si chiamava Rosa, era la nonna-merenda. Mia madre è stata per lunghi anni una formidabile nonna-pietanza. Viveva in un'altra lontana città, ma arrivava, con una piccola valigia per sé e una grande borsa per i regali, ogni volta che c'era una emergenza. Un mio lungo viaggio, una malattia dei nipoti.
E poi ci sono io; nonna anomala, o forse soltanto nonna di questo tempo. Una nonna che lavora, con i suoi problemi, i suoi impegni, le sue amicizie. E, tuttavia, nonna-minestra, con un ruolo sostitutivo di una madre (mia figlia) in corsa lungo una dura strada di affermazione professionale. Mia madre aveva smesso di lavorare appena sposata, ed era rimasta nella grande casa della nonna, dove si trovò facilmente il posto per la sua stanza da sposa, e poi quello per le quattro figlie nate, una dopo l'altra, in otto anni. Non so se mia madre abbia mai riflettuto su quello che significava avere alle spalle una casa già organizzata e una madre ancora attivissima. Forse no. Forse l'impazienza di giovane sposa e la gelosia di giovane madre non le permettevano di capire quanto una nonna possa facilitare la vita di una mamma, anche di una mamma casalinga. Certo, può accadere il contrario, quando il nodo familiare diventa davvero "nodo di vipere". Ma il contrailo è sempre possibile che accada, in tutte le situazioni che comportano un rapporto o più rapporti interpersonali. Tuttavia, quando una giovane donna che lavora confida alle colleghe, alle amiche che avrà un figlio, a Roma la prima domanda è "chi te lo regge?". Che, tradotto in universale, vuol dire: "chi avrà cura di lui mentre lavori" Non sono soltanto le donne in carriera ad avere bisogno, per lavorare bene, di una nonna alle spalle.
Ma, se per le donne che hanno un lavoro magari modesto ma praticamente immutabile, avviato sui binari degli scatti di anzianità, una nonna è preziosa, per quelle che stanno investendo nel loro lavoro i progetti di una carriera di successo una nonna è indispensabile. Beato chi può, nel momento in cui una riunione si protrae, una improvvisa partenza diventa inevitabile, una cena di lavoro irrinunciabile, beato chi può telefonare a casa: "farò tardi; preparami la 24 ore; non aspettarmi a cena; ecc." senza precipitarsi a fare angosciata caccia telefonica alla baby sitter, senza dover mettere in conto i musi della domestica, senza dover supplicare una soccorrevole vicina di casa. Chi può far questo, o ha una moglie, o ha una madre. Cioè una nonna.
Sempre con occhi attenti, che neppure i disturbi della vecchiaia riescono a debilitare. Come se loro, le nonne, avessero sguardi che non passano attraverso gli occhi, che dal pensiero arrivano direttamente a quello che una volta si definiva "sangue del mio sangue", sguardi che hanno oggi la splendida capacità di estendersi a tutti i figli delle variegate famiglie nate da matrimoni e divorzi.
Occhi attenti, occhi grandi. Come quelli della nonna di Cappuccetto rosso, che si lascia mangiare dal lupo per conquistare, trionfalmente e per sempre, l'immaginarlo di tutti i nipotini del mondo.

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