§ Il corsivo

Pomeriggio di fuoco




Milla Pastorino



Sette signore perbene. Perbene, e tuttavia molto discusse in questi mesi. Vivono in Canada, e questa è forse la sola cosa che hanno in comune. A parte il pullman che le porta in gita nel Quebec, e che a un certo punto si guasta, costringendole a rifugiarsi in una fattoria disabitata.
Sette signore perbene, con una lunga esistenza alle spalle: nessuna di loro ha infatti meno di settant'anni. E allora, perché così discusse? Perché sono le protagoniste del film "In compagnia di sette signore perbene" della regista canadese Cinthya Scott; film interpretato da sole donne, che propongono allo spettatore i loro volti segnati, i loro corpi deformati, la loro sensibilità graffiata dal tempo. E la gente - in particolare le donne - guardandole sullo schermo si interrogano: "ma davvero siamo così?" si domandano le più anziane; "ma davvero saremo così?" si angosciano le giovani. Ecco come, con un film, viene portato alla superficie, dagli strati profondi della psiche, il conflitto fra giovani e anziani. Un conflitto che c'è sempre stato, ma in termini più netti: il passaggio dalla forza alla debolezza, dal potere al non potere, senza sfumature.
Oggi le cose stanno cambiando. La asettica realtà delle statistiche ha imposto il cambiamento. L'aumento della speranza di vita, abbinato al calo demografico, ha fatto della terza età una età centrale. Ricca di risorse, ricca anche di aggressività. Non c'è bisogno di parlare di memoria storica per ricordare il tempo in cui i vecchi erano invisibili. Senza forze e senza potere, fatte salve le eccezioni di alcuni "grandi vecchi" che imponevano se stessi sottraendosi alla legge della invisibilità.
Tralasciando l'ambiente della politica, dove domina non la terza, ma addirittura la quarta e forse la quinta età, pensiamo un momento a un mondo che ci è vicino, quello del giornalismo.
Enzo Biagi, Indro Montanelli, Ugo Stille, Sergio Zavoli, per citare alcune delle "star" dell'informazione sono, almeno dal punto di vista dell'anagrafe, persone anziane. E alcuni fra i grandi della scienza, dell'industria e dell'economia (Rita Levi Montalcini, Giovanni Agnelli, Guido Carli) sono più vicini alla quarta che alla terza età. Sono certo eccezioni, ma intorno a queste eccezioni il modo di intendere e di rappresentare la vecchiaia è vistosamente cambiato.
Ci fu un tempo in cui l'anziano, l'anziana, andavano in pensione, e di loro sapevano soltanto i familiari che ne dovevano sopportare gli umori. Adesso, sempre meno succede che il pensionato sia emarginato. C'è spesso un secondo lavoro, per lui. A tutti i livelli: l'operaio entra in una piccola cooperativa specializzata; il dirigente viene richiamato come consulente; al giornalista si propone di fare il free lance per lo stesso giornale in cui aveva lavorato per trent'anni, e spesso gli vengono offerte anche più lusinghiere. Insomma, quello che una volta era vero solo per i grandi manager, per i grandi politici, per gli intellettuali, sta diventando una realtà per molti altri. Perfino per gli sportivi -notoriamente primi a invecchiare - che passano a dirigere società, a fare gli allenatori, a sfruttare competenze nel campo pubblicitario.
Una donna di mezza età, uscendo dalla proiezione de "In compagnia di sette signore perbene" ha detto: se questo è un pomeriggio, è certo un pomeriggio di fuoco.
Come accade sempre, o molto spesso, i primi segni di questo pomeriggio di fuoco ci arrivano dalla pubblicità: spot televisivi e pagine di giornali. Con un passaggio significativo: le suocere saccenti e terrificanti, che non sbagliano candeggio, si trasformano in genti i signore anziane dagli apprezzati consigli. Dai pannolini per incontinenti si arriva all'anziano padre pescatore che, nonostante la dentiera, insegna al figlio adulto come tagliare con i denti il filo della lenza. In una serie di spot televisivi molto famosi di una altrettanto famosa pasta, al centro di molte situazioni familiari ecco una coppia di nonni dall'aspetto fiorente, e c'è perfino in qualche spot una coppia di anziani che non nasconde alla telecamera un tenerissimo bacio coniugale. E, ancora, l'indimenticabile Ingrid Thulin nel film di Marco Ferreri "La casa del sorriso", coprodotto da Rai 2, e ambientato in una casa di riposo per anziani.
Per allargare l'orizzonte televisivo, ed avere una conferma, non è certo un caso che le protagoniste e i protagonisti di serial famosi come Dallas, come Dinasty, come Beautiful, siano persone ricche di fascino ma anche di anni. E' la finzione che insegue la realtà, o è la realtà che insegue la finzione? Con questa domanda da Mezzanotte e dintorni" cerchiamo di ricordare alcuni film famosi che hanno come protagonisti attori di terza età. Quelli che fino a pochi anni or sono avrebbero dovuto accettare parti di caratteristi, o al massimo di antagonisti. Fra i più famosi "Sul lago dorato", storia di una coppia che vive bene la sua vecchiaia e che ha, lo ricordiamo tutti, i volti intensi di Henry Fonda e di Katherine Hepburn. E poi c'è "Cocoon": case di riposo, solitudine ma lieto fine per interpreti quasi tutti anziani. E, per restare ai grandi nomi, ecco Bette Davis e Vincent Price che ne "Le balene d'agosto" raccontano il piacere di vivere anche dopo gli ottanta. E il piacere di vivere da anziani era anche nel film che ebbe tanto successo qualche anno fa, quel "Una botta di vita,, con Alberto Sordi e Bernard Blier che conquistò il pubblico insegnando con qualche anticipo sui tempi che un anziano è prima di tutto una persona. Ma di film con protagonisti anziani, anche se non incentrati sul loro "pomeriggio di fuoco" potremmo ricordarne altri, visto che in questi anni hanno avuto un crescendo di produzione e di successo. Citiamo solo uno dei meno recenti, un classico ormai, ed è "Harold e Maud", nel quale una donna di ottanta anni insegna la felicità di vivere a un ragazzo di venti. Non in un impossibile rapporto amoroso, ma in un confronto nel quale Maud gli dimostra - e ci dimostra - che esistono sentimenti senza età. Anche se, di quello che abbiamo sentito definire "pomeriggio di fuoco", fa parte talvolta il rapporto d'amore che non si cura dell'anagrafe, anche quando l'anagrafe è a sfavore delle donne, sempre più spesso la vita e le cronache registrano questo comportamento che molti ancora considerano trasgressivo. Chissà se questa maggiore frequenza di comunicazione è dovuta al reale aumento dei rapporti fra uomini giovani e donne che giovani non sono più, o se invece è semplicemente dovuta al non voler più nascondere una realtà nei confronti della quale la sanzione sociale è sempre meno pesante.
Nel suo saggio "Amore e pregiudizio" la scrittrice Elena Gianini Belotti ricorda il famoso film girato da Andrea Cayatte nel 1970, ispirato a una storia vera, quella di Gabrielle Russier. una insegnante che a Parigi, nel 1968, ricambia l'amore di un suo studente, Christian. La storia finisce tragicamente, nella realtà e nel film "Morire d'amore", titolo che, in lingua francese, può suonare anche come "morire di maggio", con palese riferimento all'ormai mitico maggio francese. Gabrielle divorziata e con due figli avrà contro la famiglia, il corpo insegnante, la stampa, la pubblica opinione. Arrestata, vessata, con il timore di perdere la custodia dei figli, alla vigilia di un nuovo processo Gabrielle, 30 anni, si uccide.
E', questo citato da Elena Gianini - insieme con "Il diavolo in corpo" -forse il più celebre e tragico dei film sulla trasgressione "anagrafica". Ma su trentacinque film su questa trasgressione che la scrittrice cita nel suo libro solo cinque sono a lieto fine. "E' pur vero, dice Elena Gianini, che i registi di questi film sono tutti uomini, e che la società concede all'uomo due successive stagioni, ognuna dotata di potere di seduzione: il fascino della prestanza fisica nella giovinezza e quello del successo, o dell'esperienza, nell'età matura. Mentre la donna ha, o ha avuto, una sola breve stagione: quella della giovinezza e della fecondità. E, come se la fecondità fosse il solo valore nella vita, la donna, oltre una certa età, non è più disposta a mettersi in gioco. La scarsa stima di sé che le hanno insegnato ad avere crolla definitivamente davanti ai segni dell'età, quei segni di cui l'uomo non si preoccupa, o di cui non mostra preoccuparsi più di tanto.
In un racconto dello scrittore Milan Kundera i protagonisti sono due anziani, un uomo e una donna che si incontrano dopo molti anni di separazione. Si erano amati, una volta, e adesso potrebbero riamarsi. Ma la donna resiste perché non vuole mostrare all'uomo che l'ha conosciuta giovane il corpo segnato dal tempo. Resiste, infelicissima, fino a quando si rende conto che la sua resistenza nasce soltanto dall'orgoglio. In sostanza, lei vuole salvaguardare la donna giovane che è stata, il monumento alla sua giovinezza.
Ed eccoci ancora al pomeriggio di fuoco: al modo libero e felice di vivere la terza età che dovrebbe essere consentito a tutti, anche a coloro che invece vengono confinati ad aspettare la morte nell'agghiacciante solitudine delle cosiddette "case di riposo".
Le "sette signore perbene" del film di Cinthya Scott, guardate dalla regista non come vecchie, ma come persone, sono aggrovigliate nei guasti di vite difficili, gomitoli di irritazioni e di sofferenze. Da questo groviglio le libera l'amicizia; una grande amicizia che esplode fra loro, non soltanto nel film, ma (dice Cinthya Scott) anche nella realtà. E' attraverso l'amicizia che si placa la loro angoscia, che ritornano le donne che erano state, che possono vivere con allegria la loro vecchiaia.
Non è forse casuale che questo film, diretto da una donna, sia interpretato da sole donne. Forse la scelta nasce dalla comprensione profonda che la vecchiaia è per la donna più difficile che per l'uomo. Forse a poco a poco sarà meno vero. Forse un giorno non sarà più vero. Ma per adesso vale ancora l'abbinamento fra donna e bellezza, fra uomo e potere. Si sa che la bellezza passa. Talvolta anche il potere, ma meno inevitabilmente e, comunque, quasi sempre molto più lentamente.
La scrittrice Lalla Romano, le cui opere sono ristampate nella collana "I meridiani" dell'editrice Mondadori, in una intervista afferma che il suo modo di scrivere, attraverso gli anni (adesso ne ha ottantaquattro), è pochissimo cambiato. "Anche come persona - dice - mi sento sempre la stessa. Non mi sento affatto più saggia. Ma, adesso che sono vecchia, sono molto più allegra".

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