§ Asterischi comiani

Lettere inedite di Ungaretti e Montale




Gino Pisaṇ



* Ungaretti a Lecce. Le lettere a Comi e a Pagano.

"Questo il poeta che ricorderemo sempre, che ci pare, d'altronde, di aver sempre conosciuto: il poeta che ha scritto sull'album di una ragazza, in piedi sul piazzale della stazione [di Lecce] pochi attimi prima di ripartirsene: A x y, nella sua giovinezza l'antico Ungaretti".
Così Vittorio Pagano concludeva un suo articolo (apparso su "Libera Voce" (1) e firmato con lo pseudonimo YORG (2)) nel quale tracciava il consuntivo del soggiorno leccese di Giuseppe Ungaretti che nel maggio del 1947, giunto da Taranto dove aveva presieduto la giuria del premio "Taranto", tenne una conferenza su Giacomo Leopardi presso il Circolo Cittadino del nostro capoluogo, invitato dall'allora presidente Giuseppe Zaccaria. Oltre a Giacinto Spagnoletti, verosimilmente (3) fu Girolamo Comi colui che aveva fatto da tramite fra gli amici leccesi e il massimo poeta italiano del Novecento che Pagano "vegliò" (4), con religioso trasporto, nelle ore notturne, in casa di Antonio D'Andrea ove era stato ospitato. Comi aveva conosciuto Ungaretti, da poco tornato in Italia da San Paolo del Brasile, a Roma, sul fare degli anni Quaranta, allorché il poeta della carsica Allegria intraprese nel 1943, proprio con una prolusione su Leopardi, il suo magistero universitario insegnando nel romano ateneo de "La Sapienza" letteratura italiana moderna e contemporanea. Comi, che abitava a Roma in via di villa Emiliani, aveva avviato già da tempo (precisamente dal 1920) (5), e poi consolidato, rapporti di frequentazione e di amicizia con esponenti della cultura italiana residenti nella Capitale (Onofri, Moscardelli, Buonaiuti, Papi, Evola, André de Bauvier, Aleramo (6) per citarne solo alcuni) fra i quali un posto di rilievo occupava Enrico Falqui, infaticabile critico letterario (7) e operatore culturale di grande momento, pel tramite del quale si era accostato a Ungaretti. Falqui fu poi tra i dodici dell'"Accademia" comiana, collaborò attivamente ai periodici salentini degli anni Quaranta e Cinquanta (da "Antico e Nuovo" (8) e "Libera Voce" a "L'Albero"), pubblicò a Lucugnano, per le "Edizioni dell'Albero", l'Antologia della rivista "900", antologizzò (9) un nostro poeta guest (10), Carmelo Mele, magliese, oggi rimosso da ogni memoria per via della sua oscura vicenda biografica che ne fece un desaparecido nelle lontane Americhe (11).
Nel 1947 Ungaretti aveva ancor vive nell'animo le stimmate impresse dal funebre acerbo del figlio Antonietto morto nel 1939 e pubblicava, presso Mondadori, Il dolore in cui quell'evento prendeva forma poetica (anche se alcune trances della raccolta mondadoriana erano apparse in Vie d'un homme (12)).
Ungaretti era alle soglie della sua "ultima" stagione, quella del ventennio '49-'70 di cui Il dolore, insieme con La terra promessa (1949, ma l'edizione definitiva sarà quella del 1954), si fa avamposto e preludio. E' il tempo in cui l'esperienza, sempre più sofferta e catartica, della sofferenza individuale e storica lo farà sentire antico (come egli stesso volle definirsi (13)) non nel senso baconiano ma in quello, tragico eppure sereno, del carico esistenziale che si sconta... vivendo. Erano gli anni in cui albeggiava nel poeta la coscienza di una nuova stagione "luminosa e senescente", come scrive Valli, per quel "senso della decadenza sia psichica che cosmica, sia personale che universale" (14) sottesa alla "fatale corruttibilità del tutto" (15) e che poi avrebbe dato esito a Il taccuino del vecchio (1960).
Lecce, dunque, accolse Ungaretti con fervida e collettiva emozione. Di questa accoglienza v'è l'eco in Ungaretti tra noi (16) di Yorg (Pagano):

"Ci consoliamo di vivere, quando vediamo che una cittadina come la nostra, di appena 50.000 anime, è capace di dare a un poeta un uditorio che s'accosta al migliaio [ ... ]. Un poeta, nell'occasione, che per oltre due ore parla di Leopardi per giustificare se stesso, ci dà una lezione d'infinito contro un Dio teologicamente scaduto e fatto parte viva dell'umana sofferenza".

Testimonianza, direi sinottica, ci viene anche da Luciano De Rosa che alcuni anni più tardi rievocava in un elzeviro (17) dal carattere memoriale quell'aura fabulosa che, negli anni Trenta e Quaranta del Novecento, avvolgeva i poeti da lui idoleggiati e visti da vicino. Fra questi anche Ungaretti:

"Quando m'accadde di pescare, in una libreria fiorentina, un'edizioncina dell'Allegria, mi parve d'essere Angelo Mai [ ... ]. Poeti e narratori, allora, non avevano una iconografia, ma proprio per questo erano personaggi misteriosi e quasi favolosi come autori di messaggi nelle bottiglie [ ... ]. Con la fine della guerra, ogni cosa scese dal piedistallo, così che scrittori e poeti si mescolarono alla gente, cominciarono a girare per l'Italia. Fra i primi a venire quaggiù fu proprio Ungaretti, e la sua voce ci tenne per due ore fermi sulla sedia [ ... ], parlava di Leopardi, e alla fine andammo a stringergli la mano: si riposava seduto in una stanza della casa dei mutilati e sorrideva" (18).

Ungaretti fu ospite di Antonio D'Andrea (1906-1955) il grande scultore (19) leccese, la cui officina, come scrive Elio Filippo Accrocca, "lievitava di poesia, di letteratura" (20) sicché "amava circondarsi soprattutto di scrittori e con essi parlava, li ascoltava, ne capiva i chiaroscuri" (21). Fu D'Andrea, insieme con Pagano, il più vicino di tutti a Ungaretti che "stimò molto la levigata dolcezza" (22) delle sue sculture in ferro. E la casa dello scultore si trasformò in notturno cenacolo allorché, dopo la conferenza, il poeta consentì a Cesare Massa, a Giacinto Spagnoletti, allo stesso D'Andrea e a Vittorio Pagano "di trascorrere insieme la notte" (23), uno di loro "nel suo letto addirittura, l'altro su dei cuscini per terra" (24). E non riuscivano "a prendere sonno [ ... ] per udirlo parlare delle cose più futili come delle più elevate; o ridere per un nonnulla, per il cognome curioso di un poeta, per la forma di un mobile, per una parola qualsiasi" (25) o ascoltarlo mentre leggeva "alcuni suoi versi [ ... ] con voce di silenzio, partorendo le parole nell'assoluto" (26). Fra i giudizi che espresse Ungaretti risaltano quelli relativi a Leopardi ("Leopardi è un uomo per cui i morti sono morti, e i vivi son quelli che portano sulle spalle il peso dei secoli che i morti non hanno vissuto" (27): ecco chiarito il senso esistenziale e, in questo caso, anche baconiano del concetto-categoria antico (28)), al barocco leccese ("Ma questo barocco è un vestito, un magnifico vestito. Capitemi. Il barocco invece è le membra, le membra slogate. Eppure qui esiste come un vestito, non è che un vestito" (29), sotto il quale egli coglieva, sopita ma non morta, un'anima magnogreca, poi romana, poi normanna) a Manzoni ("E' un decadente, anzi è uno dei maledetti, un perverso complicato e torbido, che riesce a descrivere la peste e a tratteggiare i personaggi più odiosi e crudeli. Frate Cristoforo, questa banale e stupida figura, infatti è un fallimento. Così il Borromeo" (30); il lettore tragga le conclusioni che più gli aggradano da questo giudizio così eterodosso e provocatorio) ai lecci del giardino pubblico leccese ("più belli d'una cattedrale") (31), a Santa Croce i cui bianchi capitelli dell'interno definì "vivi, umani... osceni" (32).
Agli amici leccesi che si riunivano intorno a "Libera Voce", Ungaretti volle consegnare per la rivista liberalsocialista una sua prosa, Elea o la Primavera, mentre a Taranto aveva affidato alle stampe, a ricordo del suo breve soggiorno, Ragioni di una poesia (33). Elea è una prosa odeporica, datata Salerno, aprile 1932, un perfetto esemplare di travel literature se non di sentimental Journey in cui vibrano trapunte risonanze goethiano-leopardiane prodotte dal compianto della trascorsa grandezza di Elea, reso ancor più acuto dai primaverili effluvi di ginestre e d'asfodeli ("Arrivato giù, m'accorgo che sul pendio ci sono in fiore anche le ginestre e gli asfodeli (34). Potevano mancare, fra rovine?") e dalla rievocazione commossa di classiche memorie.
Così gli appare la città di Senofane e di Parmenide:

"[ ... ] S'alza il sipario, ci viene incontro la Valle dell'Alento. Appare Elea. E' dunque questa, Elea, città fondata da fuggiaschi, è dunque questa, Velia, verso cui Cicerone fuggiva quando fu ucciso? [ ... ]. O tu, Senofane rapsodo, che qui approdavi dalla lonia invasa [ ... ]. Ma quanto eri amaro, uomo che a lungo eri stato sul mare, scoprendo che solo il pensiero è immortale [ ... ] e per primo nel mondo occidentale, in questa terra d'Italia, toglievi, o poeta crudele, alle immagini la divinità [ ... ]. Con te il tuo discepolo Parmenide. Guarderà, come me, da questa altura, e vedrà [ ... ] il cielo senza orizzonte confondersi col mare nello stesso grigio infinito, e avrà nuova prova che l'infinito è un'illusione. [ ... ] E di te, città disperata, e di voi [ ... ] o Eleati, non è rimasto forse se non un po' di polvere [ ... ] ma la vostra voce io sento in questo silenzio".

E allo stesso numero di "Libera Voce", Mario Marti affidava, da Roma, un suo contributo "ungarettiano": un articolo in cui con tocchi icastici e vibranti tracciava a tuttotondo il ritratto fisico, speculare all'interna tensione ideale, di Ungaretti professore (35). Eccone alcuni luoghi:

"[ ... ] con le spalle leggermente ricurve e la testa insensibilmente reclinata, mentre gli occhi si riducono ad una linea e le sopracciglia si acuiscono, anche allora egli parla con difficoltosa ricerca, quasi l'interno freno, l'assidua auto-disciplina gli precludano le superficiali e fortunate levità. [ ... ] La sua voce è alta e metallica [ ... ], il suo sguardo fermo e penetrante come lama, le sue mani [ ... ] adunche e nervose [ ... ] e tutto il corpo assume una posa instabile, energica, scattante, fissa e pur vigorosa di movimento. Allora il maestro guarda lontano: le sue parole traggono echi vasti e profondi [ ... ]. Ungaretti assurge all'altezza di simbolo e di bandiera".

Con Marti, Ungaretti ebbe poi rapporti di frequentazione e di amicizia, mentre con Pagano e con Comi (ed anche con Macrì) istituì un rapporto epistolare di cui sopravvivono nel Salento alcune tracce: una lettera a Pagano, pubblicata su "L'Albero" (36) e qui prodotta in appendice e una lettera inedita a Comi. Entrambe attengono a un intervento ungarettiano in ordine a Gérard de Nerval cui la rivista comiana dedicava una sezione nel numero Luglio-Settembre 1955, costituita da contributi di Vittorio Pagano (Antologia poetica nervaliana), Diego Valeri (Altre poesie di Nerval), Oreste Macrì (I dati della poesia nervaliana), Mario Luzi (Un appunto), Renato Mucci (Nerval e le Chimere), Alessandro Parronchi (Nota su Nerval e Baudelaire), Girolamo Comi (Poesia e Follia) e, appunto, Ungaretti (Una lettera).
Nella lettera a Comi (37), datata 11 febbraio 1955, Ungaretti promette "di fare qualcosa per ricordare Nerval", esprime un giudizio molto favorevole nei riguardi della rivista lucugnanese, si congratula col Salentino per il premio "Chianciano" conferitogli nel '54 (38). Ecco il testo con il quale si chiude questa nostra spigolatura:

Carissimo Comi,
cercherò di fare qualcosa per ricordare Gerard de Nerval. Sono purtroppo sovraccarico di lavoro. Ti seguo. Leggo "L'ALBERO" con attenzione, ed èuno sforzo lodevolissimo. Mi rallegro per il riconoscimento dato finalmente all'ottima Tua poesia.
Ricordami a Pagano. Un abbraccio dal Tuo
Ungaretti Roma, l'11/12/1955 Piazza Remuria, 3


Appendice

Lettera a Vittorio Pagano (39)

Carissimo Pagano,
appena ricevuta la telefonata da Lucugnano mi sono messo al lavoro. Ho ripreso i libri di Nerval, mi sono messo a segnare osservazioni, e poi mi sono accorto ch'era cosa da non potersi scrivere così da un momento all'altro. Ho provato anche a scriverla, non ne veniva fuori nulla, ma scarabocchi. Come fare? Sarà stanchezza? Sarà la difficoltà che presenta quell'uomo e quell'opera? il suo amare le virago come fossero Ofelie? Il suo Oriente che era ancora tale e quale quand'ero bimbo e vivevo laggiù, e che è ancora così, ma sotto una crosta per ora orrenda? O il suo sentire la minacciata fine del Cristo nell'umano mondo come la fine d'ogni bene? O il suo sentire in Iside la Vergine Madre annunziata? O quel dire, quando lo ricoverarono nella casa di cura del dottor Emile Blanche, il 27 agosto 1854: "Capii, vedendomi tra i matti, che tutto non era stato altro per me, sino a quel momento, se non illusione"? O la sua morte impiccato a una finestra... morte simile a quella dell'ultimo dei Condé, per amore della virago apparsa a Gérard bimbo come sogno incarnato, e che gli servì a misurare lo scorrere del tempo nelle donne successive cui dava le fattezze sognate di lei ?
Vede, sono molte cose, e altre, e a metterle insieme con ordine non mi ci vorrebbe meno di sei mesi. E dovrei trascurare il fatto che Baudelaire lo mettesse accanto a Poe, nel trattare d'arte romantica?
Non è certo per incuria verso l'Albero, del quale anzi seguo il lavoro con gratitudine. Dica a Comi che gli voglio bene, e che di Nerval avrò occasione di parlare in un prossimo numero della rivista, nel modo che richiede un argomento tanto delicato.
Un abbraccio dal suo
UNGARETTI

** Le lettere di Eugenio Montale a Comi. Un aneddoto inedito.

Delle tre lettere (40) di Montale che qui si pubblicano, due attengono a uno scherzo "goliardico" di cui furono fatti oggetto i due poeti, la terza, assai breve, contiene, invece, un cenno di ringraziamento a Comi per l'invio di alcuni estratti de "L'Albero". Le diamo al lettore nella loro nudità, convinti (almeno finora) che siano il solo segno che unisca Montale al Salento e alla cultura salentina i cui rapporti con quella nazionale costituiscono il filo conduttore della nostra ricerca.
Montale fu anche amico ed estimatore di Pagano, il "caro Vittorio" (così egli si rivolge, tramite Comi, nella lettera dell'11/XI/1954) cui il poeta genovese aveva inviato alcune epistole delle quali purtroppo si è persa ogni traccia (41). Dalle lettere che qui si esaminano emerge un chiaro segno di familiarità (l'uso del tu) dietro il quale può scorgersi una sommersa rete di precedenti contatti. Nelle prime due, l'episodio di goliardia. Proviamo a ricostruirne la trama e la preistoria.
Uno sconosciuto, spirito bizzarro, aveva inviato a Comi, in Lucugnano, un telegramma, con firma apocrifa di Montale, col quale il poeta degli Ossi annunciava al Salentino una sua visita e lo pregava di accoglierlo alla stazione di Lecce (dove sarebbe giunto con la sua segretaria) perché poi insieme potessero raggiungere Lucugnano. Comi, lusingato dall'"autoinvito" di Montale, ingenuamente e generosamente, com'era nel suo carattere (42), credette che l'illustre amico fosse in viaggio per il Salento e si recò a Lecce, alla stazione, ove, ahimé, attese invano.
Deluso, ne scrisse a Montale, lamentando il mancato appuntamento con lui e con la segretaria (Comi, si sa, era particolarmente sensibile alla bellezza femminile). Montale cadendo dalle nuvole così rispose a Comi:

Lettera del 7 ottobre 1954 (43)

Caro Comi,
sarei molto lieto di accettare la tua ospitalità se io te l'avessi chiesta: ma il fatto è che io non ti ho telegrafato nulla, non pensavo minimamente a scender verso Lucugnano e ignoravo, anzi, questo tuo indirizzo. Aggiungi poi che non ho segretarie e che se ne avessi una non la porterei in casa di amici. Penso si debba trattare di uno scherzo, fatto non so se a me o a te o probabilmente a tutti e due. Da chi? Lo ignoro. Per orientare le ipotesi dovresti dirmi da che città partiva il telegramma.
In attesa, ti ringrazio di aver accolto l'inesistente autoinvito con tanta buona grazia: e mi congratulo con te per il premio avuto a Chianciano.
Auguri di buon lavoro e affettuosi saluti dal
tuo
Eugenio Montale

Ma la vicenda non finisce qui. Lo sconosciuto pseudoMontale si rifà vivo. Invia da Napoli tre telegrammi a Comi in uno dei quali, oltre ad altri argomenti che dal testo della lettera montaliana dell'11 nov. 1954 non traspaiono, si annuncia (con firma apocrifa) una prossima visita di Montale a Lucugnano: appuntamento presso la stazione di Lecce. Comi, pur insospettito, raggiunge il capoluogo salentino e nuovamente attende senza frutto l'amico poeta. Nuova lettera di Comi a Montale cui comunica di aver ricevuto i tre telegrammi e Montale, perentorio, lucido e disincantato, gli risponde così:

Lettera dell'11 nov. 1954 (44)

Caro Comi
nessuno dei 3 telegrammi mi appartiene; manco da Napoli da mesi; non mi sono mai sognato di chiedere smentite; e solo mi stupisce che tu sia andato alla stazione, dato che il 2° tel. difficilmente poteva sembrarti mio. Conosco appena il nominato [...] e non riesco a capire perché possa interessarsi di noi.
D'ora in poi cestina tutti i telegrammi firmati Montale; se dovessi venire a Lucugnano arriverei in incognito e senza preavviso. Ma sarà difficile.
A te e al caro Vittorio Pagano i più affettuosi saluti da
Eugenio Montale

La terza lettera, scritta a distanza di sette anni dall'ultima, non contiene ormai alcun riferimento all'episodio ma solo un cenno di riscontro in ordine a "L'Albero".
Eccone il testo:

Milano via Bigli 11 (45) 5/1/1981

Caro Comi,
ho avuto gli estratti de "L'Albero", e ti ringrazio di cuore. Anche la rivista mi èpervenuta. Ti faccio, in ritardo, tutti i migliori auguri. (46)
Il tuo sempre
aff. mo
Eugenio Montale

 

* * * Scheda per un aggiornamento della bibliografia critica su Comi.

Il lettore che vorrà compiutamente documentarsi sulla fortuna critica di Comi potrà consultare i già doviziosi repertori bibliografici di Donato Valli (47) e di Franco Latino (48). Ci sembra opportuno, tuttavia, segnalare in questa sede alcuni titoli che non compaiono nelle sopra citate rassegne rispetto alle quali essi risultano in gran parte seriori. Ciò al fine di offrire un panorama aggiornato della bibliografia critica e, comunque, il più possibile completo.

1) BO CARLO, La nuova poesia, in AA.VV., Storia della letteratura italiana, IX, il Novecento, dir. EMILIO CECCHI - NATALINO SAPEGNO, Milano, Garzanti, 1969, pp. 396-397.
2) BONORA ETTORE, Dizionario della letteratura italiana, Milano, Rizzoli, s.v.
3) CAMILLUCCI MARIO, Un cantore d'Iddio: Girolamo Comi, in "L'Osservatore romano" del 18 aprile 1968.
4) CANTELMO MARINELLA, Girolamo Comi prosatore. Dalle fonti intertestuali alle "lingue" interdiscorsive, Cavallino di Lecce, Capone, 1990.
5) CARDUCCI NICOLA, L'umanità possibile. Girolamo Comi e Luigi Corvaglia nel Novecento letterario salentino, in "Quotidiano" del 4 ottobre 1989.
6) CIARDO VINCENZO, Solitudine di Comi, in "Il Corriere di Napoli" del 18 novembre 1962, p. 3.
7) CONTARINO ROSARIO, Il mezzogiorno e la Sicilia, in AA.VV., LETTERATURA ITALIANA storia e geografia, III, L'età contemporanea, dir. ALBERTO ASOR ROSA, Torino, Einaudi, 1989, p. 766.
8) DE ROSA LUCIANO, Spirito d'Armonia, in "L'Esperienza poetica", n. 5-6, gennaio-giugno 1955, pp. 53-56. -, Presenza di Comi, in "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 5 aprile 1968, p. 3.
9) DURANTE RINA, Poeta di fede, in "Quotidiano" del 9 febbraio 1989.
10) FUSCHINI FRANCESCO, Mandorle salate [Comi-Evola], in "Il Carroccio", dicembre 1937.
11) GENNARINI EDOARDO, Cenacoli e mecenati del nostro tempo, in "Il Mattino" del 26 novembre 1955, p. 3.
12) INDINO CARMELO - MINERVA ENRICO (a cura di), Comi uomo di ogni giorno, prefazione di GINO PISANO', Gallipoli, "Nuovi Orientamenti oggi", 1990.
13) LALA FRANCESCO, Profilo di Girolamo Comi, in "Studi salentini", fasc. LI-LII, marzo-dicembre 1977, pp. 153-156.
14) M.S., "L'Albero" fiorisce d'inverno, in "La fiera letteraria" del 27 dicembre 1953, p. 5.
15) MARTI MARIO, Comi poeta: notizie e problemi di un'edizione, in "Studi e problemi di critica testuale", n. 15, 1977, pp. 236-242, ora in ID., Dalla Regione per la Nazione, Napoli, Morano, 1987, pp. 277-282.
16) MORCIANO MARIA ANTONIETTA, L'epistolario inedito tra Girolamo Comi e Tina Lambrini, in "Siamo la Chiesa", XVI, 5, 1988, pp. 54-61
17) PIERRI MICHELE, Omaggio a Girolamo Comi, in "L'Albero", n. 67, giugno 1982, pp. 135-142.
18) PISANO' GINO, Girolamo Comi e Luigi Corvaglia fra teologia e misticismo, in "Nuovi Orientamenti oggi", XIX, 1988, pp. 21-44. -,Sibilla Aleramo: tre lettere inedite in margine a Comi, in "Nuovi Orientamenti oggi", XXI, n. 118, gennaio-febbraio 1990, pp. 3-10. Asterischi comiani (I). Lettere inedite di G. Caproni a G. Comi, in "Sudpuglia", XVII, 1, marzo 1991, pp. 121-131. -, Asterischi comiani (II). L'Accademia Salentina attraverso inediti, in "Sudpuglia", XVII, 2, giugno 1991, pp. 109-123.
19) RAELI SALVATORE, Un poeta credente: Girolamo Comi, in "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 4 gennaio 1935, p. 3.
20) SCRIMIERI GIANFRANCO, Incontro col poeta Girolamo Comi, in "Il Quotidiano di Roma" del 7 novembre 1963, ed. per la Puglia.
21) DONATO VALLI (a cura di), Dieci lettere di G. Comi a se stesso, in "L'Albero", n. 45, fase. XIV, pp, 131-141. -, Datario Comiano, in "Leucadia", 1, 1986, pp. 169-188.
-, Un messaggio di coerenza morale, di equilibrio spirituale, di operante cristianità, in "Siamo la Chiesa", XVI, 5, 1988, pp. 62-65. -, Civiltà letteraria in Puglia: il sodalizio Comi-Fallacara, in ID., Assaggi di poetica contemporanea, Cavallino di Lecce, Capone,
1990, pp. 81-101.
22) VIOLA CESARE GIULIO, Col naso nel calamaio (quattro lettere a Girolamo Comi), introduzione e note di LUIGI SCORRANO, Taranto, Scorpione, 1991,
23) DE AMICIS GIUSEPPE, "Poesia" di Girolamo Comi, in "Vedetta Mediterranea" del 27.7.1942, p. 3.


NOTE
1) Cfr. "Libera Voce" (d'ora in poi LV) del 24 maggio 1947, V, n. 16, p. 4.
2) Che sia pseudonimo di Vittorio Pagano non ho dubbi, sia per i timbri stilistici che connotano tutti gli articoli apparsi a firma di YORG su LV e su "L'Albero" (d'ora in poi AL) e che rimandano a Pagano, sia soprattutto per la conferma che mi viene dalla moglie del poeta, Sig.ra Marcella Romano che ringrazio. Sull'argomento si veda anche il mio Lettere inedite di G. Caproni a G. Comi, in "Sudpuglia", marzo 1991, XVII, p. 131, nota 51.
3) A questa ipotesi mi induce una serie di contatti epistolari e telefonici che ho avuto con Macrì, Marti, Bonea, De Rosa, Lala ai quali va il mio ringraziamento.
4) E' un'icastica espressione di Oreste Macrì.
5) Cfr. DONATO VALLI, Datario comiano, in "Leucadia", 1, 1986, "Società di Storia patria per la Puglia" sez. di Tricase, p. 174.
6) Cfr. GINO PISANO', Sibilla Aleramo: tre lettere inedite (in margine a Comi), in "Nuovi Orientamenti oggi", Gallipoli, XXI, 118, Gen. - Feb. 1990, pp. 3-10.
7) Della sua vastissima produzione è utile segnalare: ENRICO FALQUI, Tra romanzi e racconti del Novecento, Messina, D'Anna, 1950; ID., Prosatori e narratori del Novecento italiano, Torino, Einaudi, 1950; ID., Per una cronistoria dei "Canti orfici", Firenze, Vallecchi, 1960; Novecento letterario, voll. 10, Firenze, Vallecchi, 1954-1969.
8) Sulla rivista galatinese si veda il recente contributo di MARIO MARTI, Su "Antico e Nuovo": lettera al non obliato direttore Enzo Esposito, in AA.VV., Per le nozze di corallo 1955-1990 di Enzo Esposito e Citty Mauro, Ravenna, Longo, pp. 5-11.
9) Cfr. ENRICO FALQUI, La giovane poesia. Saggio e repertorio, Roma, Colombo, 1956.
10) Il termine, che propriamente significa ospite, estraneo, è usato nell'ambito dell'esperienza "modernista" angloamericana per designare quanti, negli anni Venti del Novecento, intrapresero un viaggio che si caratterizzava come ricerca di una alternativa esistenziale, come exodus e fuga dal luogo storico-anagrafico, al quale erano estranei, verso una realtà altra e lontana. A quest'area semantico-esistenziale vanno ascritti alcuni tentativi odeporici (reali o figurati) che connotano, ad esempio, poeti come Rimbaud e Campana, scrittori come Joyce, Lawrence, V. Woolf o fantasmi poetici come Aldonzo (don Chisciotte), emieponimo e protagonista del dramma di LUIGI CORVAGLIA, S. Teresa e Aldonzo, Bologna, Cappelli, 1931.
11) Devo la notizia al prof. Macrì.
12) Parigi, Gallimard, 1939.
13) Si colga anche un utile riferimento in ORESTE MACRI', L'incognita sacrale nella poesia di Michele Pierri, in AL., XXXIX, n. 73-74, 1985 (n.s.), p. 64.
14) Cfr. DONATO VALLI, La "Terra promessa" e il mito della decadenza, in ID., Saggi sul Novecento poetico italiano, Lecce, Milella, 1967, p. 230.
15) Ibidem.
16) Cfr, nota l.
17) Cfr. LUCIANO DE ROSA, Scrittori da vicino, in "La Gazzetta del Mezzogiorno", 19 giugno 1963, p. 3.
18) Ibidem,
19) Si vedano i contributi di GIULIO CARLO ARGAN, ALDO CALO', SALVATORE COMES, MANLIO GERMOZZI, ORESTE MACRI', NANNI MASI, MARIO SANSONE, GIACINTO SPAGNOLETTI apparsi in ELIO FILIPPO ACCROCCA, Antonio D'Andrea, Roma, De Luca, 1972.
20) Cfr. ELIO FILIPPO ACCROCCA, La "bottega" di Antonio D'Andrea: ricamò nel ferro l'anima di Lecce, in "La Gazzetta del Mezzogiorno", 11 aprile 1972, p. 3.
21) Ibidem.
22) Ibidem.
23) YORG, art. cit.
24) Ibidem.
25) Ibidem.
26) Ibidem.
27) Ibidem.
28) Occorre, tuttavia, precisare che il concetto ("gli antichi siamo noi") risale, prima ancora che a Francesco Bacone, a Giordano Bruno e viene ripreso anche da Galilei. Vi è però una differenza fra costoro e Leopardi: mentre i filosofi così intesero esaltare la superiorità dell'età moderna rispetto all'antica, in Leopardi il processo evolutivo delle stagioni umane ha una valenza negativa e perciò distopica. Nel Recanatese (come in Ungaretti) i moderni sono "antichi" per l'esperienza del dolore. Su questo tema si veda l'impareggiabile saggio di EMANUELE SEVERINO, Il nulla e la poesia. Alla fine dell'età della tecnica: Leopardi, Milano, Rizzoli, 1990.
29) YORG, Ibidem,
30) Ibidem.
31) Ibidem.
32) Ibidem.
33) Cfr. "Voce del Popolo", a. 64, n. 20, Taranto, 16 maggio 1947. La prosa "tarentina" non va confusa con quella dallo stesso titolo apparsa in "Inventario", Milano, a. II, n. 1, 1949, pp. 16-19, rifluita col titolo Sentimento di Dio in G. SAVIO - T. GREGORY (a cura di), Il problema di Dio, Roma, Ed. universale, 1949, pp. 327-348 e, infine, in Quelques réflexions suggérées à l'auteur par sa poesie, in G.U., Les Cinq Livres, Les Editions de Minuit, 1953, pp. 9-45. L'articolo apparso su "Voce del Popolo", invece, fu ripubblicato col titolo Indefinibile aspirazione, in "La Fiera letteraria", Roma, a. X, n, 51 del 18 novembre 1955, p 3. Elea apparve, oltreché in LV del 24 maggio 1947, in Il deserto e dopo (Vita d'un uomo 11/Prose di viaggio e saggi), Milano, Mondadori, 1961, accanto a scritti odeporici riguardanti l'Egitto, la Corsica, la Campania, la valle del Po, le Fiandre, l'Olanda e la Puglia. Le prose "pugliesi" sono: Foggia - Fontane e Chiese (in "Gazzetta del Popolo", d'ora in poi GP, Torino, 20 febbraio 1934 e in "Il Gazzettino" di Foggia dei 24 febbraio dello stesso anno); Il Gargano favoloso, ovvero la giovane maternità (in GP del 6 marzo s.a.); Pasqua in Capitanata - L'angelo della caverna (in GP del I° aprile s. a.) che ha come oggetto del discorso il santuario si S. Michele in Monte S. Angelo; Lucera, città di Santa Maria (in GP del 15 maggio s.a.); Lucera dei Saraceni (in GP dei 5 giugno s.a.); Luglio pugliese (in "Circoli", Roma, n. 4, luglio-agosto s.a., pp. 9-10); Appunti per la poesia d'un viaggio da Foggia a Venosa (in GP del 22 agosto s.a); Alle sorgenti dell'acquedotto pugliese (in GP del 9 settembre s.a.).
34) Ricordiamo al lettore che gli asfodeli, nel mondo greco antico, erano i fiori dei morti e assurgevano a simbolo del mondo ctonio e dei Mani.
35) Cfr. MARIO MARTI, Ungaretti professore, in LV del 24 maggio 1947, p. 4.
36) Cfr. AL, n. 23-25, luglio-settembre 1955, pp. 44-45.
37) La lettera è inviata a Lucugnano, dove ora è custodita nell'Archivio di "Casa Comi".
38) La giuria, presieduta da Goffredo Bellonci, era costituita da Bontempelli, Villaroel (segretario), Falqui, Curci, Marchesi, Fiorentino, Folgore, Gigli, Giusso, Lazzeroni, Longo, Lucioli, Lusini, Maier, Muscetta, Terron, Vernieri. Fra i concorrenti, Alfonso Gatto, Maria Luisa Spaziani, Filippo De Pisis, Vittore Fiore segnalato insieme con Visconti e Gurovich.
39) Cfr. nota 36.
40) Le lettere sono custodite nell'Archivio di "Casa Comi" a Lucugnano.
41) Devo la notizia alla sig.ra Marcella Romano Pagano.
42) Sulla ingenuità di Comi, sulla sua generosità e su altri aspetti del suo carattere di uomo, fanno luce le testimonianze raccolte da CARMELO INDINO - ENRICO MINERVA (a cura di), Comi uomo di ogni giorno, Gallipoli, "Nuovi Orientamenti oggi", 1990.
43) La lettera, inviata da Milano a Lucugnano, è dattiloscritta su carta intestata a Il nuovo Corriere della Sera, La firma (tuo Eugenio Montale) è manoscritta.
44) La lettera è manoscritta su carta intestata a Il nuovo Corriere della Sera. Anch'essa, come le altre due, proviene da Milano.
45) Manoscritta su foglio non intestato.
46) il pensiero augurale "tardivo" è forse da riferire al compleanno di Comi (il 23 novembre).
47) Cfr. GIROLAMO COMI, Opera poetica, a cura di DONATO VALLI, Ravenna, Longo, 1977, pp. 465-470.
48) FRANCO LATINO, L'ansia dei raccordi e i tempi d'una voce interiore, in "Uomini e libri", XXVI, Milano, Novembre-Dicembre 1990, pp. 33-35.


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