Molti grandi Paesi
industrializzati sono attualmente in recessione o così prossimi
ad essa da risentirne comunque gli effetti. Molti altri ce ne sono
che, impegnati in un processo di ristrutturazione inteso, tra l'altro,
a risolvere i problemi posti dall'inflazione, dalle inefficienze e
dai disavanzi, hanno creato una situazione di rallentamento produttivo
cui si accompagnano un aumento della disoccupazione e una serie di
fallimenti aziendali. Tutti fenomeni che rientrano chiaramente in
uno scenario recessivo.
L'attuale ondata di malaise economico sarà certamente superata,
dal momento che i cicli economici evolvono sempre da fasi di flessione
a fasi di espansione. Ciò non vuol dire che tutti i Paesi interessati
avvieranno la ripresa contemporaneamente, ma che nel giro di un anno
o due il miglioramento economico sarà un fenomeno diffuso.
Posta la possibilità di risolvere il problema ciclico nel breve
periodo, quali sono le nuove questioni che molti Paesi si trovano
ad affrontare ?
Tra i problemi di più largo respiro che premono alle porte
c'è quello demografico, con cui molti Paesi si confronteranno
contestualmente.
Per loro, la realtà da fronteggiare è, com'è
noto, quella di una popolazione che invecchia. Una realtà,
questa, che accomunerà per il decennio in corso e per i primi
anni del nuovo secolo tre aree economiche dominanti, vale a dire l'Europa
occidentale, gli Stati Uniti e i Giappone.
Per quanto riguarda il Giappone, il problema, anche se non ancora
valutato nelle sue effettive dimensioni, è stato ampiamente
denunciato da economisti, demografi e responsabili politici. Questi
si affannano a ripetere che, nell'arco di quattro o cinque anni, il
Giappone sarà uno dei Paesi industrializzati con la più
alta percentuale di popolazione giunta al sessantatreesimo anno di
età ed oltre. Tutti sappiamo che, grazie ai notevoli progressi
della medicina, ad una alimentazione corretta e ad un sistema di vita
sano, l'età media si è generalmente allungata. A ciò
si aggiunga che, dalla fine del secondo conflitto mondiale, il Giappone
registra un basso tasso di natalità. In precedenza, le famiglie
giapponesi erano più numerose, ma è un fatto che le
famiglie più piccole possono consentirsi un tenore di vita
più confortevole e convivere meglio in uno spazio vitale limitato
qual è quello del Giappone. Viene spontaneo pensare che il
monito degli economisti sui rischi di una crescita demografica eccessiva
a fronte di risorse produttive limitate dia luogo a volte ad effetti
indesiderati.
Sta di fatto che, mentre i Paesi in via di sviluppo sono spesso sordi
all'ammonimento, i giapponesi lo hanno fatto proprio, tanto che nel
giro di cinquant'anni essi si trovano ad affrontare una situazione
in cui un numero crescente di pensionati e di bambini deve essere
mantenuto da un numero relativamente modesto di cittadini attivi.
Per il Giappone il "rapporto di dipendenza", che evidenzia
il numero di cittadini da mantenere diviso per quello dei cittadini
attivi, sarà quindi fatalmente elevato. Anche per la Cina,
sia pure in tempi più lunghi, potrebbe presentarsi lo stesso
problema, qualora la politica della famiglia con figlio unico dovesse
continuare ad essere rigidamente rispettata.
E' da rilevare, tuttavia, come il problema di un elevato "rapporto
di dipendenza" sussista anche per gli Stati Uniti e per diversi
Paesi dell'Europa occidentale. La generazione del "baby boom",
che risale notoriamente agli anni Cinquanta e Sessanta, è stata
ormai assorbita nella forza lavoro e la nuova generazione di cittadini
attivi è, in senso relativo, assai meno numerosa. Questo, mentre
i pensionati vivono più a lungo e godono di livelli di reddito
abbastanza soddisfacenti.
Quali le misure da adottare per risolvere il problema del "rapporto
di dipendenza" in crescita registrato dai Paesi industrializzati?
La prima misura potrebbe essere quella di lavorare di più o
con maggiore efficienza; di puntare, in parole povere, all'aumento
della produttività. La seconda potrebbe essere quella di razionalizzare
l'assistenza agli anziani e all'infanzia, senza escludere la possibilità
di prolungare l'arco di vita lavorativa, e, quindi, l'età del
pensionamento. La terza, infine, potrebbe consistere nell'offrire
opportunità di lavoro ad un numero crescente di immigrati.
Senza tralasciare l'eventualità di adottare altre valvole di
sicurezza fin qui inesplorate, esaminiamo le tre strategie indicate.
Non c'è chi disconosca i vantaggi di una maggiore efficienza
economica della forza lavoro nei Paesi interessati; ma come raggiungerla
facilmente? Innanzitutto, i lavoratori potrebbero essere più
efficienti disponendo di un'educazione e di una formazione migliori
e di impianti più razionali. Una soluzione del genere suggerisce
una certa frugalità nei consumi attuali (maggiore risparmio)
e investimenti in capitali - sia umani sia fissi - nonché l'importanza
della ricerca tecnologica. Il consiglio di lavorare più sodo,
risparmiare di più e operare maggiori investimenti, ben si
addice alla situazione degli Stati Uniti, ma potrebbe tornare utile
anche per altri Paesi, anche se forse risparmiano più degli
americani e dedicano una certa attenzione all'espansione o alla valorizzazione
del capitale. Considerato che gli anziani rappresentano una fascia
elettorale in aumento, risulta politicamente difficile consigliar
loro di risparmiare di più. L'assistenza agli anziani è
una questione che il Giappone sta già affrontando a livello
economico e privato e la cui soluzione potrebbe risultare vantaggiosa
per tutti i Paesi. C'è da dire, tuttavia, che negli Stati Uniti
un'assistenza decente èancora di là da venire. Resta,
però, la soluzione di prolungare l'età del pensionamento.
Se è vero che l'assistenza medica e sanitaria consente oggi
di vivere più a lungo e in condizioni fisiche migliori, sembra
ragionevole chiedere ai lavoratori di restare attivi alcuni anni in
più. In tal modo si potrebbero realizzare considerevoli risparmi
a livello di sistema previdenziale, per non parlare di una rispettabile
quota di Pil supplementare a beneficio dell'intera popolazione. L'aumento
del rapporto di dipendenza potrebbe essere ridotto in misura significativa,
prolungando l'età pensionabile da 65 a 68 o a 70 anni. Da questo
punto di vista, il Giappone dispone di una maggiore flessibilità,
in quanto in diversi settori dell'occupazione l'età pensionabile
è piuttosto bassa.

I Paesi europei hanno risolto il problema della penuria di manodopera,
soprattutto per quanto riguarda alcune delle categorie occupazionali
meno ambite, accettando immigrati dall'Africa, dall'Asia e da altre
regioni del mondo. Quanto agli Stati Uniti, Paese di immigrati per
definizione, le ultime ondate provengono dall'America latina e dall'Asia.
Il Giappone, che in materia vanta scarsi precedenti, registra attualmente
un certo afflusso proveniente da altri Paesi asiatici. Malgrado gli
inevitabili attriti socio- politici, che vincolano per il momento
l'ipotesi di portare avanti questa strategia, gli immigrati rappresentano
in qualche modo una valvola di sicurezza.
In Europa, le esperienze legate all'immigrazione non sono state sempre
positive. Diverso il discorso per gli Stati Uniti, che da sempre convivono
con questo tipo di problema. E' chiaro che l'immigrazione non può
essere la sola risposta ai problemi che si accompagnano ad una popolazione
che invecchia, ma è anche vero che, associata ad una maggiore
produttività e ad un prolungamento dell'età pensionabile,
può costituire uno strumento per affrontare i problemi economici
dell'immediato futuro.