§ Demografia e mercato del lavoro

Il futuro ha il cuore antico




Lawrence R. Klein
Premio Nobel per I'Economia



Molti grandi Paesi industrializzati sono attualmente in recessione o così prossimi ad essa da risentirne comunque gli effetti. Molti altri ce ne sono che, impegnati in un processo di ristrutturazione inteso, tra l'altro, a risolvere i problemi posti dall'inflazione, dalle inefficienze e dai disavanzi, hanno creato una situazione di rallentamento produttivo cui si accompagnano un aumento della disoccupazione e una serie di fallimenti aziendali. Tutti fenomeni che rientrano chiaramente in uno scenario recessivo.
L'attuale ondata di malaise economico sarà certamente superata, dal momento che i cicli economici evolvono sempre da fasi di flessione a fasi di espansione. Ciò non vuol dire che tutti i Paesi interessati avvieranno la ripresa contemporaneamente, ma che nel giro di un anno o due il miglioramento economico sarà un fenomeno diffuso. Posta la possibilità di risolvere il problema ciclico nel breve periodo, quali sono le nuove questioni che molti Paesi si trovano ad affrontare ?
Tra i problemi di più largo respiro che premono alle porte c'è quello demografico, con cui molti Paesi si confronteranno contestualmente.
Per loro, la realtà da fronteggiare è, com'è noto, quella di una popolazione che invecchia. Una realtà, questa, che accomunerà per il decennio in corso e per i primi anni del nuovo secolo tre aree economiche dominanti, vale a dire l'Europa occidentale, gli Stati Uniti e i Giappone.
Per quanto riguarda il Giappone, il problema, anche se non ancora valutato nelle sue effettive dimensioni, è stato ampiamente denunciato da economisti, demografi e responsabili politici. Questi si affannano a ripetere che, nell'arco di quattro o cinque anni, il Giappone sarà uno dei Paesi industrializzati con la più alta percentuale di popolazione giunta al sessantatreesimo anno di età ed oltre. Tutti sappiamo che, grazie ai notevoli progressi della medicina, ad una alimentazione corretta e ad un sistema di vita sano, l'età media si è generalmente allungata. A ciò si aggiunga che, dalla fine del secondo conflitto mondiale, il Giappone registra un basso tasso di natalità. In precedenza, le famiglie giapponesi erano più numerose, ma è un fatto che le famiglie più piccole possono consentirsi un tenore di vita più confortevole e convivere meglio in uno spazio vitale limitato qual è quello del Giappone. Viene spontaneo pensare che il monito degli economisti sui rischi di una crescita demografica eccessiva a fronte di risorse produttive limitate dia luogo a volte ad effetti indesiderati.
Sta di fatto che, mentre i Paesi in via di sviluppo sono spesso sordi all'ammonimento, i giapponesi lo hanno fatto proprio, tanto che nel giro di cinquant'anni essi si trovano ad affrontare una situazione in cui un numero crescente di pensionati e di bambini deve essere mantenuto da un numero relativamente modesto di cittadini attivi.
Per il Giappone il "rapporto di dipendenza", che evidenzia il numero di cittadini da mantenere diviso per quello dei cittadini attivi, sarà quindi fatalmente elevato. Anche per la Cina, sia pure in tempi più lunghi, potrebbe presentarsi lo stesso problema, qualora la politica della famiglia con figlio unico dovesse continuare ad essere rigidamente rispettata.
E' da rilevare, tuttavia, come il problema di un elevato "rapporto di dipendenza" sussista anche per gli Stati Uniti e per diversi Paesi dell'Europa occidentale. La generazione del "baby boom", che risale notoriamente agli anni Cinquanta e Sessanta, è stata ormai assorbita nella forza lavoro e la nuova generazione di cittadini attivi è, in senso relativo, assai meno numerosa. Questo, mentre i pensionati vivono più a lungo e godono di livelli di reddito abbastanza soddisfacenti.
Quali le misure da adottare per risolvere il problema del "rapporto di dipendenza" in crescita registrato dai Paesi industrializzati? La prima misura potrebbe essere quella di lavorare di più o con maggiore efficienza; di puntare, in parole povere, all'aumento della produttività. La seconda potrebbe essere quella di razionalizzare l'assistenza agli anziani e all'infanzia, senza escludere la possibilità di prolungare l'arco di vita lavorativa, e, quindi, l'età del pensionamento. La terza, infine, potrebbe consistere nell'offrire opportunità di lavoro ad un numero crescente di immigrati.
Senza tralasciare l'eventualità di adottare altre valvole di sicurezza fin qui inesplorate, esaminiamo le tre strategie indicate. Non c'è chi disconosca i vantaggi di una maggiore efficienza economica della forza lavoro nei Paesi interessati; ma come raggiungerla facilmente? Innanzitutto, i lavoratori potrebbero essere più efficienti disponendo di un'educazione e di una formazione migliori e di impianti più razionali. Una soluzione del genere suggerisce una certa frugalità nei consumi attuali (maggiore risparmio) e investimenti in capitali - sia umani sia fissi - nonché l'importanza della ricerca tecnologica. Il consiglio di lavorare più sodo, risparmiare di più e operare maggiori investimenti, ben si addice alla situazione degli Stati Uniti, ma potrebbe tornare utile anche per altri Paesi, anche se forse risparmiano più degli americani e dedicano una certa attenzione all'espansione o alla valorizzazione del capitale. Considerato che gli anziani rappresentano una fascia elettorale in aumento, risulta politicamente difficile consigliar loro di risparmiare di più. L'assistenza agli anziani è una questione che il Giappone sta già affrontando a livello economico e privato e la cui soluzione potrebbe risultare vantaggiosa per tutti i Paesi. C'è da dire, tuttavia, che negli Stati Uniti un'assistenza decente èancora di là da venire. Resta, però, la soluzione di prolungare l'età del pensionamento. Se è vero che l'assistenza medica e sanitaria consente oggi di vivere più a lungo e in condizioni fisiche migliori, sembra ragionevole chiedere ai lavoratori di restare attivi alcuni anni in più. In tal modo si potrebbero realizzare considerevoli risparmi a livello di sistema previdenziale, per non parlare di una rispettabile quota di Pil supplementare a beneficio dell'intera popolazione. L'aumento del rapporto di dipendenza potrebbe essere ridotto in misura significativa, prolungando l'età pensionabile da 65 a 68 o a 70 anni. Da questo punto di vista, il Giappone dispone di una maggiore flessibilità, in quanto in diversi settori dell'occupazione l'età pensionabile è piuttosto bassa.


I Paesi europei hanno risolto il problema della penuria di manodopera, soprattutto per quanto riguarda alcune delle categorie occupazionali meno ambite, accettando immigrati dall'Africa, dall'Asia e da altre regioni del mondo. Quanto agli Stati Uniti, Paese di immigrati per definizione, le ultime ondate provengono dall'America latina e dall'Asia. Il Giappone, che in materia vanta scarsi precedenti, registra attualmente un certo afflusso proveniente da altri Paesi asiatici. Malgrado gli inevitabili attriti socio- politici, che vincolano per il momento l'ipotesi di portare avanti questa strategia, gli immigrati rappresentano in qualche modo una valvola di sicurezza.
In Europa, le esperienze legate all'immigrazione non sono state sempre positive. Diverso il discorso per gli Stati Uniti, che da sempre convivono con questo tipo di problema. E' chiaro che l'immigrazione non può essere la sola risposta ai problemi che si accompagnano ad una popolazione che invecchia, ma è anche vero che, associata ad una maggiore produttività e ad un prolungamento dell'età pensionabile, può costituire uno strumento per affrontare i problemi economici dell'immediato futuro.


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