§ Verso l'Europa promessa / 2

Germania über alles




Wolfgang Roeller
Pres. Dresdner Bank e dell'Associazione Banche Tedesche



Il primo luglio 1990 è stata messa in piedi in Germania una Unione economica, monetaria e sociale, e solo un po' più tardi si è giunti all'unificazione politica dei due Stati tedeschi. Questo non può essere anche un modello per l'integrazione dell'Europa? Per così dire, il modello di una unificazione nazionale sperimentata in tempi accelerati non può essere esteso anche a livello europeo?
La risposta è no, per quanto riguarda le condizioni di partenza. E dal punto di vista delle conseguenze si possono intanto individuare dei parallelismi.
Le condizioni di partenza per l'Unione monetaria intertedesca erano caratterizzate dal fatto che in primo luogo veniva estesa in un territorio più ampio una moneta stabile con una forte reputazione internazionale; in secondo luogo, che una istituzione - la Bundesbank - con il riconosciuto chiaro compito di mantenere la stabilità monetaria emetteva questa valuta; e in terzo luogo che con questa valuta veniva contemporaneamente trasferito in modo vincolante a tutto il territorio tedesco anche l'ordine economico e l'intero quadro giuridico della Germania federale. Questo trapianto è tecnicamente riuscito. Ancora però devono essere superate le conseguenze economiche che ne sono derivate. Gli avvenimenti in Germania mostrano che la costruzione di una Unione monetaria, se avviene tra Paesi con diverse condizioni economiche di partenza, provoca profondi processi di adattamento. Certo, tra i Paesi della Cee non ci sono differenze strutturali analoghe a quelle che c'erano tra gli ex Stati tedeschi, perché i sistemi economici sono simili e i confini sono aperti. Ma anche se le difficoltà economiche all'interno della Comunità possono essere minori, ugualmente i problemi tedeschi danno un'indicazione del violento contraccolpo che dovremmo attenderci dalla creazione di una Unione monetaria europea, se prima non si fanno sufficienti progressi nella convergenza economica dei Paesi partecipanti.
E a livello europeo il problema diventa ancora più complicato, dal momento che qui abbiamo a che fare con nazioni sovrane, i cui orientamenti di politica economica sono divergenti. Differenze di impostazione ci sono particolarmente sulla priorità da dare alla stabilità monetaria rispetto agli altri obiettivi di politica economica, sul grado di indipendenza che dovrebbe avere una Banca centrale europea comune, quale strada percorrere verso questa comune banca centrale come istituto di emissione di un'unica comune valuta in Europa così come - ad essa collegata - sulla necessaria dimensione di convergenza economica e disciplina fiscale dei partners da raggiungere.
Il progetto di trattato proposto recentemente dal Governo federale contiene chiare regole direttrici: c'è fra l'altro l'assoluta indipendenza di una Banca centrale europea, l'impegno per una solida politica di bilancio degli Stati membri, così come la costanza nel mantenere prioritaria una rigorosa stabilità dei prezzi.
Questa priorità dell'obiettivo stabilità vale in due direzioni: verso l'interno e verso l'esterno. Verso l'interno significa che non ci può essere alcun "meccanismo di assistenza" della Banca centrale europea. E' quanto ha proposto la Commissione Cee: essa dovrebbe sostenere monetariamente i membri di un'unione economica e monetaria che rimanessero indietro rispetto ad una concorrenza resa più difficile. Ma ciò porterebbe i pochi Paesi ricchi della Cee a incentivare nella Comunità una sorta di meccanismo del credito o di compensazione finanziaria con conseguenze imprevedibili sulla stabilità.
La priorità della stabilità monetaria deve però valere anche verso l'esterno. In corsi di cambio flessibili verso l'esterno, la Banca di emissione europea deve poter autonomamente decidere sugli interventi e sulla politica dei tassi.
Tutto ciò non funziona se il Consiglio dei ministri europeo si immischia nell'attività quotidiana. A queste condizioni una Banca centrale europea non potrebbe svolgere sufficientemente il proprio compito di stabilità. Assicurare la stabilità monetaria non è solo il contributo più importante, ma è anche l'unico che può utilizzare la politica monetaria per il sostegno della politica economica.
Sorprende perciò che i Governatori delle Banche centrali nei loro deliberati dell'ottobre 1990 non abbiano rivendicato alcuna pretesa alla gestione della politica dei corsi di cambio, ma si siano accontentati della richiesta di essere associati in forma consultiva alle decisioni di politica dei corsi di cambio. Questa freddezza sorprende ancora di più dal momento che lo spazio di manovra di politica monetaria in passato è stato sempre più limitato attraverso una "politicizzazione" dei corsi di cambio in rapporto alle monete-guida dollaro e yen. Mentre sarebbe diverso se i governi volessero stabilire un nuovo ampio regime di corsi di cambio.
E quanto sia difficile mantenere stabili i corsi di cambio, lo si vede in Europa. Duraturi corsi di cambio stabili sono il risultato di rapporti economici che convergono sempre di più nei relativi ambiti monetari. Dai primi anni Ottanta ci sono stati senza dubbio in una serie di Paesi membri del Sistema monetario europeo chiari passi in avanti verso una più grande convergenza nella politica della stabilità.
Tuttavia, nella Comunità presa nel suo complesso, rimangono notevoli divergenze, che da qualche tempo sono addirittura in aumento. Se si passasse sopra queste divergenze ne risulterebbero effetti economici su scala europea simili a quelli che ci sono stati nell'unificazione tedesca. I Paesi che non si fossero preparati sufficientemente all'Unione monetaria, se si stabilissero prematuramente corsi di cambio, dovrebbero affrontare conseguenze inevitabili, che proverrebbero da una insufficiente mobilità dei posti di lavoro, salari poco elastici, così come cadute costanti di produttività e di reddito.
In questo contesto, la strada di un'Europa a due velocità appare assolutamente degna di considerazione. Da una tale discussione, che prefigura l'unione monetaria in una prima fase con un "nocciolo duro" di Paesi Cee, potrebbe risultare una certa spinta all'autodisciplina sugli altri Paesi della Comunità. Questi poi sarebbero liberi di decidere con quali tempi vogliono realizzare l'integrazione.

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000