Carlo
Azeglio Ciampi ha letto la propria relazione all'assemblea annuale della
Banca d'Italia sereno e preoccupato. Sereno per quanto la Banca d'Italia
ha fatto per difendere la lira e rendere possibile la nostra partecipazione
al processo di unificazione monetaria dell'Europa. Preoccupato perché
"alla base dei mancato raggiungimento degli obiettivi di stabilità
dei prezzi, di risanamento della finanza pubblica, troppe volte modificati'
e aggiornati, vi è un'incoerenza, una discordanza di comportamenti;
si constata che quella discordanza si ripercuote nel cuore dell'economia
all'interno delle stesse forze che la compongono".
Gli sviluppi dell'economia mondiale, mentre rendono inevitabile il processo
d'integrazione della grande Europa così come si prospetta dopo
l'unificazione tedesca, pongono in primo piano il problema drammatico
dell'accresciuto bisogno di capitali, in presenza di un calo del risparmio.
Ne occorrono per far fronte alle esigenze delle economie dell'Est che
debbono essere completamente ristrutturate, a quelle dei Paesi in via
di sviluppo che hanno visto peggiorare in termini assoluti, oltre che
relativi, la loro situazione. Ma ne servono pure per i Paesi industrializzati
come l'Italia, anch'essi bisognosi di ristrutturare diversi settori,
dei servizi in particolare.
Che fare? Occorre in primo luogo aumentare la produttività, favorendo
l'impegno in questa direzione delle stesse imprese. Se la crescita della
produttività si accompagnerà a una politica dei redditi
adeguata, vi saranno le condizioni per una congrua espansione degli
investimenti e le imprese potranno far fronte alla concorrenza internazionale,
sempre più accanita. Finora esse sono state costrette a ridurre
i margini di profitto per mantenere la foro posizione nell'economia
mondiale, mentre crescevano i costi e la produttività ristagnava.
Ma questa situazione non può continuare. Dobbiamo rendere possibile
un'espansione delle esportazioni, anche per poter pagare gli interessi
sui debiti ingenti che abbiamo contratto con l'estero, e aumentare gli
investimenti. Lo sforzo del settore privato, però, non basta.
"Oggi - ricorda Ciampi - nell'Europa comunitaria la concorrenza
è fra interi sistemi economici e istituzionali, non più
solo tra imprese e prodotti". Lo Stato deve quindi fare la propria
porte.
Si rende in primo luogo necessario aumentare le entrate, ma non èpossibile
aggravare le aliquote fiscali. Ci vincolana quelle in vigore negli altri
Paesi europei, alle quali dobbiamo adeguarci' se non vogliamo favorire
fughedi capitali. L'alternativa è una sola: combattere seriamente
l'evasione fiscale; Ciampi ha giustamente sottolineato l'urgenza di
questa esigenza. Parimenti urgenti gli interventi sul versante della
spesa. Anche qui rischiamo grosso.
Se continua l'inefficienza attuale della pubblica amministrazione, se
i servizi sociali mantengono gli attuali alti costi e l'attuale basso
qualità, l'Italia difficilmente potrà realizzare quei
processi di espansione che si richiedono per inserirsi nella grande
Europa.
Il nostro Paese non ha scelta. Se il comportamento virtuoso della Banca
d'Italia continuerà ad associarsi a quello scarsamente responsabile
dei sistema politico, finiremo nel Sud della grande Europa. Le conseguenze
potrebbero interessare non solo l'economia, ma lo stesso sistema politico.
La via italiana
del debito pubblico
La serie storica
del rapporto tra debito pubblico e prodotto nazionale lordo non lascia
adito a dubbi: la situazione attuale non è una novità.
Lo "sforamento" dei cento per cento si è avuto addirittura
nel secolo scorso, nel 1881, e il pareggio venne raggiunto solo nel
nostro secolo, a venticinque anni di distanza (nel 1905, e poi in
pareggio si finì anche nel 1906). Dopo undici anni di relativa
quiete, a partire dal 1918, e per sette anni, si ebbe un ritorno di
fiamma. Solo dal 1925 riprese la serie positiva, portato avanti fino
al 1940. Dall'anno successivo, e fino al 1943, nuova impennata, con
successivo recupero. Dal '43 al '47, sotto la guida di Einaudi, una
stretto monetaria riportò alla ragione l'inflazione, polverizzando
il debito pubblico. Alterne vicende negli anni seguenti, e nuovo sfondamento
a partire dal 1990. Fino a quando? Tempo da perdere non c'è,
e i giochi sono proibiti. Entro il 1993, data dell'unificazione monetaria
europea, dovremmo realizzare un abbassamento radicale. dei tipo einaudiano:
percorso estremamente difficile, con i tempi e con la classe politica
che corrono.
In sintesi, la storia italiana dei debito pubblico è questa:
tra il 1861 e il 1870, il suo peso raddoppia per la strutturazione
dello Stato unitario e con la guerra del 1866. Dal '70 al '73, col
governo della Destra Storica, con nuove tasse e con le "dismissioni
dell'asse ecclesiastico", il debito scende al 75 per cento; poi
riprende a salire non soltanto per l'ingresso al potere della Sinistra
di Depretis e di Crispi, ma anche per gli investimenti nel settore
industriale e in quello ferroviario, per le imprese africane di Crispi,
per le tensioni sociali di fine secolo.
Coi celeberrimo decennio giolittiano, il peso del debito pubblico
si riduce, soprattutto in virtù del ciclo favorevole e dell'aumento
del reddito nazionale. Il momento magico svanisce con l'entrato dell'Italia
nella prima guerra mondiale, che porta il carico dei debito pubblico
al 125 per cento nel 1920. Il fascismo interviene radicalmente sulla
spesa pubblica e sui salari reali e riduce il rapporto.
Dopo il secondo conflitto mondiale, con Einaudi si viaggia a livelli
di massima sicurezza. Il debito riprende a salire dal 1970, per la
crisi economico-sociale e per il rallentamento dello sviluppo economico.
Oggi, continua a crescere, mentre è indispensabile ridurlo,
per non restar tagliati fuori dall'Europa. Chi lo farà? E come?
Ci sono dodici mesi per rispondere a queste domande. Se si potrà
rispondere.
DEBITO PUBBLICO
ITALIA
Lo stock del debito pubblico, Bot, Cct e altri titoli, ha raggiunto
alla fine del 1990 l'astronomica cifra di oltre un milione e 300 mila
miliardi di lire e, secondo le previsioni di "Prometeia",
arriverà a sfiorare i due milioni di miliardi alla fine del
1994. Alla fine del 1980 esso rappresentava il 54 per cento del Pil
nazionale. Dieci anni dopo è arrivato al 97,2 per cento. La
crescita non si è interrotta neppure nella seconda metà
degli anni Ottanta, come è avvenuto in tutti gli altri maggiori
Paesi; ora è aumentata anche la quota di debito verso l'estero.
FRANCIA
Il debito pubblico francese è a livelli tra i più bassi
d'Europa. Alla fine del '90 rappresentava appena il 24,7 per cento
del Pil, quindi in termini assoluti una cifra molto inferiore al milione
e passa di miliardi di lire italiani. Inoltre, lo stock del debito
in rapporto al Pil è in diminuzione dal 1986. li governo, dopo
una prima fase di politiche espansive, ha infatti attuato una strategia
dì privatizzazioni e di risparmi che ha capovolto la tendenza
all'aumento del debito in atto dai primi anni Ottanta.
GERMANIA
Il debito pubblico sta salendo per le esigenze finanziarie della ricostruzione
nella ex Germania Est. Ma rimane sempre a livelli bassissimi. Nel
1990 la sua quota sul Pil è stata del 23,6 per cento, contro
il 22,1 del 1989. Considerando il peso dell'economia tedesca, l'ammontare
assoluto di titoli della Repubblica Federale in circolazione non raggiunge
l'equivalente di 500 mila miliardi di lire. I tassi d'interesse sono
bassi a causa del livello poco elevato dell'inflazione e quindi non
c'è rischio di una spirale all'italiana.
GRAN BRETAGNA
Il Regno Unito ha condotto sotto il governo Thatcher negli anni Ottanta
una politica di restrizione fiscale feroce, che ha drasticamente ridotto
il debito. I titoli in circolazione hanno toccato nel 1985 una punta
massima pari al 47,4 per cento del Pil. Dopo, la discesa è
stata drastica e oggi l'indebitamento pubblico supera di poco il 30
per cento del prodotto nazionale. I titoli in scadenza non vengono
praticamente rinnovati, per cui il Paese si avvia alla scomparsa di
fatto del debito statale.
STATI UNITI
Gli Stati Uniti sono il Paese più indebitato del mondo. Il
totale dei titoli in circolazione supera i mille miliardi di dollari.
Ed èanche molto consistente, se non proprio prevalente, la
quota di debito verso l'estero. Ma il debito Usa è stabile,
e vale "solo" il 31-32 per cento del Pil. Questo spiega,
insieme al fatto che i titoli emessi sono denominati in dollari, l'affidabilità
dei Treasury Bills americani.
DEFICIT DELLO
STATO
ITALIA
Lo sbilancio tra spese ed entrate dello Stato viaggia oltre i 144
mila miliardi. Nel 1990 ha raggiunto il 10 per cento del Pil, con
una lieve diminuzione rispetto alla punta massima del 12,5 per cento
del 1985. Gran parte del disavanzo è ormai costituito dalla
spesa per interessi. Se si considerano le sole spese al netto degli
interessi, il deficit è calato tra l'85 e il '90 dal 5,6 all'1,4
per cento del Pil. Lo Stato continua però ad essere "in
rosso" senza effettuare investimenti adeguati. Le risorse sono
divorate dalle uscite correnti (stipendi, trasferimenti).
FRANCIA
Il saldo negativo tra spese ed entrate è irrisorio: appena
l'1,2 per cento del Pil alla fine del 1990. Anche se esso comprende
gli interessi pagati sul debito, resta inferiore al disavanzo "primario"
italiano. Il deficit pubblico non ha mai raggiunto in Francia livelli
di guardia: la punta massima è stata toccata nel 1983 con appena
il 3,2 per cento del Pil. E nel 1980, sotto il governo di Chirac,
il bilancio pubblico era addirittura in pareggio.
GERMANIA
Il Paese è passato da un surplus di bilancio statale a un passivo
tra il 1989 e il 1990.
Due anni fa il fabbisogno pubblico era inesistente: lo Stato creava
risparmio in misura dello 0,2 per cento del Pil. L'anno scorso il
primo deficit dopo molti anni ha toccato il 3,2 per cento del Pil.
Un livello superiore a quello degli Stati Uniti e della Francia, ma
nettamente al di sotto dell'Italia.
GRAN BRETAGNA
Dal 1988 il bilancio pubblico è in attivo. L'amministrazione
ha condotto sia una politica di massicce privatizzazioni, che ha portato
denaro fresco alle casse statali, sia forti riduzioni di spesa legate
alla riforma dello stato sociale. Nel 1988 l'attivo di bilancio era
pari all'1 per cento del Pil; nel 1989 è stato pari allo 0,9
per cento; lo scorso anno allo 0,1 per cento. La contrazione dell'attivo
è stata dovuta a un parziale ammorbidimento delle politiche
thatcheriane.
STATI UNITI
Anche il disavanzo federale, pur essendo molto consistente in termini
assoluti (150 miliardi di dollari), ha una bassissima incidenza sul
Pil, se confrontato con i valori italiani. Nel 1990 il fabbisogno
a stelle e strisce è stato pari al 2,4 per cento del prodotto
nazionale. La punta massima è del 1984, con un valore del 3,9
per cento, per effetto delle politiche fortemente espansive della
prima amministrazione Reagan.
TASSE
ITALIA
La pressione fiscale ha raggiunto ormai i livelli medi europei. Nel
1990 le entrate tributarie hanno sfiorato i 500 mila miliardi, pari
al 39,6 per cento del Pil. Ma, a differenza di Francia e Germania,
lo Stato riscuote soprattutto imposte dirette, che rappresentano ormai
quasi il 40 per cento delle entrate. Minore invece il carico delle
indirette, che non raggiungono il 30 per cento. Tuttavia l'evasione
tributaria costituisce un problema molto grave.
FRANCIA
I francesi pagano parecchie tasse. Nel 1990 lo Stato ha incassato
l'equivalente di più di 700 mila miliardi di lire. La pressione
fiscale infatti è superiore ai livelli medi europei, essendo
pari al 44,4 per cento del Pil. Ma il cittadino medio è colpito
più attraverso le imposte indirette che scoraggiano i consumi,
che attraverso la tassazione diretta. Le prime rappresentano poco
più del 20 per cento delle imposte pagate, mentre le seconde
sfiorano il 32 per cento. L'evasione, praticamente, è inesistente.
GERMANIA
La pressione fiscale è sui livelli medi europei. Nel 1990 era
pari al 39,5 per cento del Pil. Circa mille miliardi di marchi è
quanto lo Stato ha incassato dai cittadini. Ma come nel caso della
Francia, pesano di più le imposte indirette di quelle dirette.
Alla fine dello scorso anno, la tassazione diretta rappresentava il
27,1 per cento del totale, mentre quella indiretta raggiungeva il
30,5 per cento. L'evasione è praticamente inesistente.
GRAN BRETAGNA
Un altro effetto delle filosofie thatcheriane è stato la progressiva
contrazione dei carichi fiscali. La pressione tributaria, che nel
1983 era pari al 37,4 per cento del prodotto nazionale, è calata
nel 1990 al 34,4 per cento, un valore al di sotto della media europea.
Gli inglesi tuttavia pagano in misura praticamente identica sia le
imposte dirette sia quelle indirette. La quota delle imposte sul reddito
ammonta al 39,6 per cento, quella delle imposte indirette al 41,8
per cento. L'evasione non esiste.
STATI UNITI
La pressione tributaria è inferiore ai livelli europei. Ma
gli americani pagano più imposte dirette che indirette. L'evasione
è estremamente modesta e il contribuente colto in fallo rischia
pene severissime, galera compresa. Nel 1990 la pressione fiscale era
pari al 32,5 per cento dei Pil, praticamente invariata rispetto a
dieci anni prima, mentre nello stesso periodo essa è aumentata
in Europa, La quota delle tasse sul reddito incide nella misura del
46,8 per cento.
CONTRIBUTI
SOCIALI
ITALIA
Diversamente da quanto si potrebbe pensare, i contributi sociali hanno
dato allo Stato una cifra relativamente modesta rispetto a quanto
accade negli altri Paesi europei: meno di 200 mila miliardi nel 1990.
La quota dei contributi in percentuale delle entrate tributarie è
anche in diminuzione. Superava infatti il 40 per cento nel 1980. Ma
dieci anni dopo era scesa al 35,6 per cento. La flessione è
stata costante durante tutto il decennio, con una accelerazione nella
seconda metà.
FRANCIA
Il sistema è organizzato in modo tale che la previdenza pubblica
è molto buona e viene pagata dai cittadini. I contributi sociali
incidono per il 48,2 per cento sulle entrate tributarie complessive.
Nel tempo questa percentuale non è cresciuta di molto. Era
del 46 per cento nel 1980. Ed è rimasta sostanzialmente su
questi valori fino alla metà degli anni Ottanta. Il piccolo
balzo successivo è dovuto agli effetti dell'invecchiamento
della popolazione.
GERMANIA
La quota dei contributi sociali pagati dai cittadini è in aumento.
Era inferiore al 39,4 per cento nel 1980, è arrivata al 42,5
per cento nel 1990. Anche in questo caso c'è stato un forte
aumento nell'ultimo anno, legato alle vicende dell'integrazione fra
le due Germanie. I sistemi privati di previdenza sono tuttavia in
forte sviluppo. Anche perché le compagnie assicurative tedesche
stanno attuando una politica fortemente aggressiva di acquisizioni
e di integrazione con le banche,
GRAN BRETAGNA
In Gran Bretagna prevale il modello della previdenza integrativa privata.
I contributi sociali pagati dal cittadino allo Stato sono inferiori
rispetto a quelli degli altri Paesi europei. In percentuale delle
entrate complessive essi ammontano a solo il 18,6 per cento. I sistemi
assicurativi sono sviluppati, perché i circuiti finanziari
sono molto sofisticati. Nei primi anni Ottanta, tuttavia, la quota
di contributi sulle entrate era leggermente superiore.
STATI UNITI
Come nel Regno Unito, anche negli Stati Uniti la previdenza èsoprattutto
privata. I contributi sociali rappresentano il 28,4 per cento delle
entrate totali. La loro incidenza è solo lievemente aumentata
negli ultimi anni. Nel 1980 era pari al 25,3 per cento; poi è
salita negli anni successivi fino al 28,4 per cento, livello sul quale
sembra definitivamente stabilizzata.