§ Italiani brava gente

La schiuma della terra




Aldo Bello



Ha scritto Mario Deaglio che quando i cittadini perdono ogni orgoglio per la cosa pubblica e considerano lo Stato "una vacca da mungere a loro piacere"; quando nessuna norma, nessuna azione concreta dei pubblici poteri impedisce di fatto la dilatazione della spesa, un Paese si trova in grave pericolo. Il deficit pubblico cresce allora al di fuori d'ogni controllo e smette di essere un problema economico-contabile, diventando invece l'indicatore di un pericoloso malessere civile e politico. Molti indizi, fra cui tre clamorosi episodi recenti, fanno purtroppo ritenere che in Italia siamo ormai a questo livello.
Il primo episodio riguarda Torino, città che vanta una lunga tradizione di senso dello Stato e i cui abitanti godono di un reddito ben più elevato della media nazionale. Circa diecimila studenti torinesi, prevalentemente !scritti alle scuole secondarie e provenienti in buona parte da famiglie dal reddito medio, sono andati a iscriversi nelle liste di collocamento, dichiarando di essere alla ricerca di un lavoro. Il loro numero sta aumentando in maniera impressionante, settimana dopo settimana. Il motivo di questo comportamento apparentemente strano è in realtà molto semplice: per una disposizione locale che risale agli anni della crisi petrolifera i disoccupati possono usufruire di un tesserino che consente loro, con il pagamento di sole 1.500 lire al mese, l'uso illimitato dei mezzi pubblici di trasporto. L'abbonamento studentesco, già fortemente scontato, e limitato a precise fasce orarie, costa invece 25.000 lire al mese. I minori incassi dell'azienda dei trasporti sono stimabili in almeno due-tre miliardi all'anno, e questo in un momento difficile per la finanza locale, che vede il comune costretto, per motivi di bilancio, a duri tagli in molti servizi sociali, a cominciare dagli asili.
Mentre i padri si lamentano del forte carico fiscale e i fratelli minori risentono del taglio del servizi, questi giovani tranquillamente contribuiscono all'uno e all'altro. Nessuno ha insegnato loro che queste cose non si devono fare; anzi, semmai, sono vissuti in una cultura in cui ciò che è pubblico deve essere comunque preso, magari barando quando si dichiara di cercar lavoro e invece si studia. A funzionari e politici è mancata la capacità (o forse la volontà) di mettere a punto norme che non possono essere facilmente aggirate. E a un'intera generazione di giovani (ma non solo a loro) manca la dimensione della moralità pubblica, per cui le norme non si devono aggirare. Ma per quanto tempo, comportandosi così, potranno rimanere cittadini di uno Stato libero?
Il secondo episodio viene dall'altro capo d'Italia, in ben altro ambiente economico-sociale. A Licata, in provincia di Agrigento, il sindaco preme sulla regione per un aumento dei "cantieri di lavoro", dal momento che 5.000 dei 40.000 abitanti di questa città sono disoccupati. E viene accontentato, con una spesa aggiuntiva di 800 milioni per occupare 135 persone per tre mesi, al rispettabile costo di circa due milioni al mese a testa, in quattro nuovi cantieri. Un'ispezione dei carabinieri, però, non trova nessuno intento al lavoro. Anzi, alcuni di questi cantieri non sono stati mai aperti, anche se le retribuzioni sono state regolarmente pagate dalla regione siciliana.
Nord e Sud, con le loro profonde differenze, appaiono dunque uniti nell'arraffare i soldi pubblici. E tutto ciò, naturalmente, toglie ogni credibilità al dati del ministero del Lavoro sulla disoccupazione. L'essere ufficialmente disoccupati è ormai fonte di privilegi più che l'indicazione di uno stato di bisogno. La mancanza di occupazione, peraltro, nasconde sempre più spesso un disamore per attività di lavoro veramente produttive.
Lo dimostra il terzo episodio, che riguarda il nuovo stabilimento Fiat in costruzione a Melfi, in Basilicata. La regione ha organizzato corsi di preparazione di giovani diplomati all'attività di fabbrica, in un'area dall'elevatissima disoccupazione giovanile. Dei 900 ammessi, solo 6 10 hanno completato il corso (che, peraltro, comportava una modesta retribuzione). Gli altri hanno abbandonato. Perché? Perché, soprattutto d'estate, è possibile trovare piccole occupazioni part-time, nell'agricoltura o nel turismo; ma soprattutto perché l'occupazione in fabbrica è snobbata: meglio essere disoccupati, con qualche lavoretto in nero, con varie forme di sussidi pubblici, e magari, come a Licata, con un cantiere di lavoro nel quale non si mette mai piede.
Se questo è il nostro livello di coscienza pubblica, smettiamo di lamentarci perché una legge finanziaria è fatta male, perché ogni anno sul conti pubblici si mette una toppa in più, perché il fabbisogno pubblico non si riduce, ma aumenta. E prendiamo una volta per tutte coscienza che il nostro è un Paese, il solo in Europa, in cui gli abitanti hanno rinunciato ad essere cittadini.
Strano e paradossale Paese. Negli ultimi quattro decenni ha fatto miracoli, diventando una delle aree più industrializzate e libere del mondo. Un'area scombinata, con tanti scompensi, ma dove la qualità della vita non è poi da disprezzare, se a molti, forse troppi stranieri piacerebbe viverci. Un Paese drammatico, con più mafie, con una politica rissosa, con un'economia spesso in difficile equilibrio, con istituzioni sconnesse: una terra che pare sempre sull'orlo del collasso, ma che pure ogni volta è capace di riemergere dalle sue macerie.
Il fatto è che i veri nemici degli italiani sono gli italiani, proprio loro: con le loro contraddizioni, con le loro dietrologie, con i loro misteri, con le loro cosche (non solo di delinquenza organizzata), con i loro razzismi, con le loro risorse di furbizia e d'imbrogli e di ladrerie ma anche di onestà e di creatività e di voglia di vivere. C'è allora da chiedersi quanto potrà durare la loro storica stagione di schizofrenia collettiva, che fa venir voglia di andare a cercare altrove ragionevolezza e serenità. Ma dove? Davvero non abbiamo più valori, non abbiamo più eroi, da noi non c'è più niente di buono che valga la pena di difendere e conservare? abbiamo perduto tutti il senso della misura e della realtà? siamo proprio la schiuma della terra? oppure esageriamo in tutto, anche nello svilirci? Non è forse vero che la Francia vive di scandali e non da ora soltanto? che la Germania è popolata di spie ed è impastata di intrighi? che l'Inghilterra ha visto trame e scandali da far tremare l'intero Commonwealth? che gli Stati Uniti spesso ci offrono prove tutt'altro che esemplari di vita pubblica?
E' così. E si dice: se tornassimo un po' alla normalità; se si riscoprisse l'uso della ragione; se gridassimo di meno; se fossimo meno dietrologi; se tornassimo più sereni; se diventassimo meno enfatici: potremmo finalmente vedere bene come stanno le cose, e guardare in faccia la realtà, che non è né rosa né catastrofica.
E' vero. Avremmo bisogno d'un po' di respiro. Ma nessuno ce lo dà. Non si fa in tempo a metabolizzare uno scandalo, che già ne è saltato fuori un altro, più avvilente di quello di prima; non si riesce a stratificare un'esperienza pubblica negativa, che un'altra sopraggiunge con un lontano abbrivo, più devastante della precedente; appena ci si raccapezza in mezzo a un conflitto istituzionale, ci si smarrisce dietro nuovi scontri e urti e confrontazioni che sembrano aver mutuato dal mammasantissima di consolidata memoria le tecniche e i contenuti dei messaggi mafiosi trasversali. Capita così che ciascuno degli italiani in fondo desideri la decimazione della classe politica, ma poi vota immancabilmente gli stessi personaggi, che detesti con tutte le sue forze la classe burocratica, ma piuttosto che metterla in mora (per sfiducia non illegittima verso le leggi e chi le applica o le interpreta) preferisce corromperla; che parli e discuta anche animatamente del debito pubblico, ma in fondo lo consideri "cosa loro", continuando a reclamare benessere, assistenza e scappatole per l'elusione. Appunto: siamo un popolo di abitanti, non di cittadini. E scommetto che se proviamo a chiedere ammissioni di colpa, tutti, ma proprio tutti, scaglieranno la prima pietra contro un qualche reo del passato. Confermandoci in questo modo nell'opinione che la storia italiana è stata, e continua ad essere, permeata da quote consistenti di criminosa stupidità.

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