§ Storia & ideologia

Quell'idea del Mezzogiorno




F. T.



Una lucida osservazione di Friedrich Meinecke èquella secondo cui ogni storico consapevole del proprio mestiere scrive sempre o, meglio, disegna sempre anche se non la scrive la propria Istorica. Questa considerazione - che è tutt'altro d'una idea banale o soltanto di buon senso comune - mi è tornata in mente dinanzi all'ultimo libro di Franco Barbagallo (L'azione parallela. Storia e politica nell'Italia contemporanea), edito da Liguori. Egli vi raccoglie una serie di pagine scritte per varie occasioni, ripercorrendo e rivedendo i luoghi familiari e da lui più frequentati di una ormai poco meno che ventennale attività di ricerca. Concentrato, prevalentemente, sulla storia di Napoli e del Mezzogiorno, il lavoro di Barbagallo non è definibile come un puro e semplice capitolo della storiografia meridionalistica. Questo (almeno a me così sembra) non tanto per il taglio tematico (che va, come è naturale, dall'attenzione per le classi sociali e per i problemi economici all'organizzazione delle forze politiche e alla strutturazione delle componenti, positive e negative, della società civile, per esempio la stampa, il che è già una novità rispetto al tradizionale impianto della storiografia meridionale e meridionalistica). Piuttosto la mia osservazione poggia sull'intenzionalità storiografica che sorregge l'esame o il riesame dei temi cui dianzi alludevo. Ossia - ed è esemplare il lavoro su Nitti - l'inserimento delle questioni di storia meridionale in un'ottica non localistica e neppure meridionalistica in senso stretto, bensì nazionale ed europea. E vorrei essere chiaro nel dire che non parlo di scelte di metodo, parlo di questione storiografica, quella Frage che, a giudizio di Droysen, fa essa sola la differenza tra il lavoro storiografico e quello che storiografico non è.
Perciò non meraviglia che, riflettendo su questi problemi in questa prospettiva e ripensando problemi e prospettiva, Barbagallo si sia trovato dinanzi alcuni grossi nodi storici, rilevanti per tutti e specialmente per un contemporaneista.
Così, intorno a un luogo privilegiato dall'analisi storica, specialmente meridionale e italiana, qual è quello dell'"azione parallela" tra storia e politica, s'addensano e s'intrecciano, anche per Barbagallo, i grandi problemi della teoria della storia e della pratica storiografica degli ultimi decenni del secondo Novecento. La crisi del modello ottocentesco e primo-novecentesco di storia e le critiche, numerose e diverse, ad esso mosse da più parti rendono certo inadeguato il nesso tra storiografia e ideologia, almeno nel senso che ne restringono considerevolmente il campo d'azione. Altri terreni sono stati aperti per la storiografia dalla consapevole accettazione della molteplicità delle civiltà interagenti al vasto continente dei popoli considerati "senza storia". La frastagliata mappa, in tal modo individuata, anche se non ancora costruita, del continente storico ha denunciato l'impossibilità di restare a un'idea di storia, tendenzialmente universale, di tipo continuistico e lineare. E però, per lo storico che oggi riflette su tutte le discussioni che questi problemi hanno comportato, su tutte le novità reali e le originalità fasulle ricercate affannosamente nelle esasperate ed esasperanti querelles di metodi nuovi (in molti casi rumorosamente e tenacemente impostate da chi solo di metodi parlava, senza alcuna pratica storiografica), s'impone una domanda: forse che le scienze sociali hanno sostituito la storiografia o hanno saputo rispondere ai problemi della rinnovata storiografia?
Barbagallo sembra essere tra quelli - e se è così, io sono con lui - che, senza chiusure preconcette ed anzi con deliberate aperture e consapevoli scelte per le spericolate avventure delle idee, non appare convinto della risposta affermativa. Tra microstoria e fine della storia, egli si domanda se è possibile fare storia senza porsi il problema del senso della storia. E non crede che a questo ineludibile problema una risposta convincente venga dall'abbandono dello specifico campo della storia e della storiografia. Da storico che pratica la ricerca storiografica e non soltanto le discussioni filosofiche di chi parla di storia e storiografia con tanto maggiore accanimento perché non sa che cosa siano e non sa fare il mestiere di storico, anche Barbagallo pensa che solo dalla storia possono essere risolti i problemi della storia.
Perciò, senza abbandonare l'interesse per le teorie, crede che bisogna cercare nella storia della storiografia per trovare lì le coordinate del discorso, anche di quello che è consapevole delle novità, delle rotture, delle crisi dei modelli epistemologici tradizionali, per dir così. Da qui il suo ricercare, per far solo un esempio che è tra le pagine più rilevanti del suo libro, le origini della storia contemporanea nel gran dibattito tra positivismo e storicismo, tra crisi delpositivismo e dello storicismo tra Otto e Novecento, con il connesso ridisegnarsi della stessa idea di storia moderna. Da qui il ripensamento del "meridionalismo storico", che non è solo indagine sulla questione meridionale, ma di un'idea, etico-politica, del Mezzogiorno come ambito tematico e come campione di una grande scuola storica italiana.
Convinto da tempo che, quali che siano le fortune giornalistiche, i rumori delle polemiche, le luci da proscenio indirizzate su tante aspiranti soubrettes della filosofia (e della storiografia), siano solo dei sopravvissuti quei filosofi che inseguono il cammino del pensiero credendo che in esso si risolva tutta la realtà, anzi che la realtà vera sia il cammino del pensiero metafisico (che, ahimè assai spesso è solo il pensiero di questi professori di filosofia, che Croce disegnò elegantemente nelle poche righe di quella sua attualissima notarella sul purus phiIosophus purus asinus); convinto di questo, non posso che compiacermi per il lavoro rigoroso di Barbagallo e riprendere con lui, nel concreto delle ricerche, un antico colloquio.

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