§ Lettere meridionali

Che cosa fare per il Sud?




Franco Compasso



Il recente Rapporto Svimez è stato al centro di un vivace dibattito nel quale si sono alternate valutazioni ottimistiche e rilievi pessimistici sullo stato di salute dell'economia meridionale. Si è voluto, da parte dell'Unioncamere (che utilizza per le sue indagini indicatori diversi), attribuire al Rapporto Svimez una valutazione troppo ottimistica delle prospettive del Mezzogiorno. Il metodo di stima adottato dalla Svimez si basa sui dati Istat e, come per il passato, l'indagine ha permesso di esaminare una esatta "radiografia" della situazione economica del Mezzogiorno. Ma è stato veramente ottimistico il "Rapporto" illustrato quest'anno a Bari da Salvatore Cafiero? Oppure, come l'esperienza ci insegna, il pur minimo accenno al fatto che si sia detto che nel 1990 il Sud è andato relativamente meglio del Nord, ha fatto scatenare una nuova campagna antimeridionalista? Si è forse temuto che questa circostanza rendesse più arduo il rifinanziamento dell'intervento straordinario che, come tutti sanno, si volge a vantaggio prevalente di imprese e di imprenditori del Nord?
Ha precisato con chiarezza e tempestività Salvatore Cafiero (Il Sole-24 ore del 12 luglio) che: "Quest'anno il giudizio non èstato ottimistico, come invece hanno riferito alcuni organi di stampa". Ed il direttore generale della Svimez ha aggiunto, per fugare ogni dubbio interessato, che "l'economia meridionale non è andata peggio di quella del Nord",. I problemi strutturali restano, anzi sono ulteriormente complicati per i vincoli che ci legano all'integrazione economica e monetaria europea e ci pongono in diretta concorrenza con i Paesi del Terzo Mondo. E Vittorio Ciampi nel suo editoriale (Nuovo Mezzogiorno, n. 6/1991) ha giustamente sottolineato che non è possibile alcuna "indulgenza all'ottimismo che nella situazione complessiva in cui versa l'area meridionale sarebbe veramente fuori posto". E dal canto suo, Carlo Vallauri (Ore 12 del 9 luglio 1991) ha posto l'accento sul persistente divario tra aree meridionali e settentrionali, divario che "permane vistoso", ove si consideri che la spesa pubblica complessiva per il Mezzogiorno è stata del 35,9% mentre la popolazione dell'area rappresenta il 36,7% del Paese.
Anche per Vallauri sono preoccupanti tutte quelle voci che "si alzano da determinati settori per chiedere la fine del ciclo delle agevolazioni". Il punto centrale dell'attuale dibattito meridionalista è proprio questo: come riqualificare ed incentivare la spesa pubblica nel Mezzogiorno, con una diversa articolazione territoriale e settoriale; e come attivare una direzione unitaria per la programmazione e progettazione delle grandi infrastrutture interregionali. Se il Mezzogiorno non decolla adeguatamente, la responsabilità ricade sulla subordinazione della spesa pubblica a logiche nordiste e, peggio ancora, alla sostanziale degradazione dell'intervento straordinario da aggiuntivo a sostitutivo della spesa pubblica ordinaria dello Stato.
A fine luglio, l'annuale relazione della Corte dei Conti ha reso giustizia alle ragioni e alle esigenze del Sud. In primo luogo il Mezzogiorno paga l'inefficienza, i ritardi, l'incongruenza dei meccanismi di spesa: su 84.622 miliardi di lire attribuiti all'Agenzia al 31 dicembre 1990 risultavano impegnati solo 60.342 miliardi (pari al 71% delle assegnazioni di legge) ed erogati appena 17.794 miliardi, cioè il 21% delle assegnazioni complessive all'Agenzia. Le responsabilità dei ritardi ricadono sulle regioni e sugli enti locali, sulla loro impreparazione. Il meccanismo normativo della Legge 64 che configura gli enti locali come nuovi soggetti di progettualità deve essere radicalmente modificato. Nella previsione di un nuovo impianto normativo dell'intervento straordinario, occorre modificare la pesante strozzatura che blocca l'attuale meccanismo della 64: bisogna pertanto privilegiare gli interventi sulle infrastrutture, la ricerca e l'innovazione tecnologica, gli incentivi industriali, gli accordi di programma. La Corte dei Conti ha giustamente rilevato che ben 19 mila miliardi sono destinati al completamento delle opere della ex Cassa per il Mezzogiorno, mentre altri 10 mila miliardi vengono imputati all'intervento straordinario, ma servono a finanziare interventi straordinari, come la 44 (imprenditoria giovanile) e le misure di emergenza (calamità naturali, aree terremotate, siccità, eutrofizzazione).
Da queste osservazioni, basate su dati incontestabili, emerge la conferma di una denuncia che non ci siamo stancati di ripetere e che oggi trova puntuale e rigoroso riscontro nel rilievo conclusivo della Corte dei Conti: "la caratterizzazione non aggiuntiva, ma in larga parte sostitutiva dell'intervento straordinario". E' una preoccupazione sulla quale dobbiamo riflettere tutti, a cominciare dal Ministro Mannino che dovrà rispondere all'interrogativo: che fare per il Mezzogiorno?

Intervento pubblico e assistenzialismo

Ma chi gioca con i soldi del Sud?

Le ostilità le ha aperte l'economista Mario Deaglio: "La soluzione finora tentata per le zone mafiose è stata quella di un fortissimo assistenzialismo: sussidi, sovvenzioni per invalidità fasulle e un numero sterminato di posti di guardia forestale, netturbino, portantino, usciere, sono stati concessi senza alcuna logica produttiva e senza badare a spese. Si sono casi' aumentati i consumi, fino a portarli a livelli non lontani dalla media italiana, senza però parallelamente stimolare produzione e produttività".
Che è come dire: parassitismo. Sul fronte meridionalista, la parola ad un altro economista, Mariano D'Antonio, che conferma come la popolazione meridionale viva al di sopra delle risorse che è in grado di produrre. Ma D'Antonio adopera questa premessa per chiedere esplicitamente un rilancio degli interventi pubblici, strutturati in modo diverso dal passato. Ma - sostiene - il problema è tutt'altro che economico: "Sono in discussione problemi più importanti: la scala di valori che regge il comportamento dei cittadini, il rapporto tra settore pubblico e attività di mercato, la gerarchia dei poteri sociali (se, ad esempio, un assessore debba continuare ad esercitare maggiore influenza di un imprenditore o di un professionista o di un sindacato di lavoratori)".
Qualche mese prima, anche Paolo Sylos Labini, uno dei più prestigiosi economisti italiani, aveva segnalato la sua nuova posizione sull'argomento Mezzogiorno: "Noi meridionalisti ci siamo sbagliati. lo stesso attribuivo troppa importanza all'intervento finanziario dello Stato. Le risorse pubbliche trasferite al Sud sono servite ad aumentare il reddito materiale delle popolazioni, ma non la capacità di generare reddito in loco. C'è un 15 per cento delle risorse dei Sud che proviene dal Centro-Nord".
Se mettiamo insieme queste analisi economiche con l'immagine nefasta dell'enorme spreco del terremoto (i celeberrimi 60 mila miliardi di lire), vien fuori tutto il potenziale di protesta che le Leghe stanno abilmente collegando alla vicenda di uno Stato "parassita ormai preda della voracità dei partiti a caccia di voti e di preferenze".
Come è facile obiettare, il punto è che tipo di spesa lo Stato può varare. Se è spesa per arricchire i consumi, se è intervento disperso nei mille rivali degli aiuti a pioggia o addirittura delle tangenti, è logico dedurre che non si fa che aggravare gli scenari. Se invece è spesa produttiva, destinata a creare risorse, il discorso è ovviamente diverso. Ma stabilire questa linea di displuvio è tutt'altro che agevole. Scende in campo Deaglio: "Si inventano sempre nuove, preferibilmente facili, occasioni di spesa, si eleggono i politici che promettono la maggiore quantità di nuove spese, indipendentemente dalla loro utilità. L'aspetto più disperante della realtà delle zone mafiose non è il drammatico stillicidio di morti ammazzati, bensì l'indifferenza diffusa con cui anche i non mafiosi sovente accettano, favoriscono e perfino invocano lo spreco pubblico".


Non ci sono soltanto le Leghe a ricordare che "il Nord non ci sta più". La prassi della Cee, si la notare a Bruxelles, è di mettere in mora tutti quegli aiuti e quelle agevolazioni che possono interferire nelle normali regole di concorrenza. L'esempio più citato, in questo contesto, è l'obbligo per gli enti locali, per le aziende a partecipazione statale e per le Usl di rifornirsi, in una percentuale che oscilla dal 30 al 50 per cento, presso imprese meridionali. La Cee è ovviamente contraria a disposizioni di questo genere, che contrastano con la libera circolazione delle merci. Non solo: la Cee segnala anche i grossi ritardi e le clamorose trascuratezze dell'Italia nei cosiddetti Pim, i Programmi integrati mediterranei, fatti apposta per favorire le regioni meno fortunate. La Grecia, dicono a Bruxelles, si comporta meglio dell'Italia, ed è facile che una montagna di miliardi destinati al Sud d'Italia siano ritardati o addirittura annullati.


Per paradossale che sia, la classe politica italiana non sembra preoccuparsi molto degli orientamenti comunitari, molto probabilmente nella convinzione che i giochi sia meglio chiuderli in caso. Cioè, mettendo a carico dei bilancio statale i nuovi aiuti al Sud. Aiuti che persino la Confindustria vede talora con sospetto. La tesi di Innocenzo Cipolletta è abbastanza netta: "Oggi con i contributi si riesce ad avere quasi il 100 per cento dell'investimento. E' addirittura esagerato. La quantità degli incentivi potrebbe essere ridotta, dando più spazio a strumenti automatici, come gli incentivi fiscali".
Al Cnel, De Rita ha recentemente favorito la firma di un'intesa a tre, fra governo, imprenditori e sindacati: il "grande patto per il Sud". Ma almeno per ora siamo ancora alla fase degli studi: una commissione dovrà fornire un supplemento di indicazioni per la riforma degli aiuti economici e della contrattazione programmatica a favore delle imprese nel Sud.


Quanto all'incidenza di mafia. camorra e 'ndrangheta, l'emergenza è sotto gli occhi di tutti. E non a caso si parla con crescente insistenza di intrecci politico-mafiosi. Che non riguardano solo il Sud. Allora, del Mezzogiorno, della criminalità organizzata, dei sistemi assistenzialistici, degli sprechi e delle ruberie, sentiremo parlare ancora a lungo.


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