La
prima intuizione fu di Ruggero Marino: Cristoforo Colombo non fu l'inviato
di Isabella di Spagna, ma della Chiesa di Roma. La scoperta dell'America,
a mezzo millennio di distanza, si colora di giallo. Scrive Onorato Bucci,
docente all'Università di Siena: "Può capitare che
un'indagine giornalistica, se condotta con rigore critico e con attenzione
formale verso le fonti, possa provocare l'interesse anche del mondo
scientifico e in particolare di chi, pur lontano per educazione storiografica
dai temi trattati da quella indagine, ne rimane colpito per il taglio
corretto usato e per il rispetto filologico dimostrato verso i documenti
trattati. Tale è stata l'avventura accaduta a chi scrive a seguito
dell'inchiesta di Ruggero Marino su chi abbia promosso la spedizione
colombiana nelle Americhe". E Bucci porta a sostegno della tesi
di Marino un documento pontificio di grandissima rilevanza, cui la dottrina
aveva dato "nullo o scarsissimo rilievo" se si fa "eccezione
di alcuni passaggi presentati in una miscellanea francescana della fine
del secolo scorso". Si tratta di un documento accessibile a tutti,
dal momento che può essere letto negli Acta Sanctae Sedis, studio
et cura Victorii Piazzesi, volumen XXV, Romae, 1892-1893, alle pagine
3/7. Si tratta di una "epistola" di Leone XIII, che porta
l'"inscriptio" completa di "Epistola Sanctissimi Domini
Nostri Leonis divina Providentia Papae XIII ad Archiepiscopos et Episcopos
ex Hispania, Italia et utraque America". Emblematicamente ha per
titolo De Christophoro Columbo.
Da notare due straordinari particolari: la lettera è indirizzata
agli arcivescovi e ai vescovi di Spagna, d'Italia e di entrambe le Americhe;
essa ha per oggetto la persona di Cristoforo Colombo, fatto che ha quasi
dell'incredibile, dal momento che non esiste alcun altro documento pontificio
di così nobile solennità emanato per una persona fisica,
per di più un laico e non elevato agli onori degli altari.
Secondo Bucci, il fatto che l'"Epistola" venga inviata ai
vescovi e agli arcivescovi dell'Italia, oltre che di Spagna e delle
Americhe, "sta a significare che il Pontefice, e quindi gli Uffici
della Curia che hanno preparato il documento, non hanno alcun dubbio
sulla genovesità e dunque sull'italianità di Colombo".
Colombo è italiano: è solo per questo fatto che si giustifica
l'invio dell'"Epistola" ai vescovi italiani oltre che a quelli
spagnoli e americani. Per questo Colombo, genovese e italiano, viene
redatto un documento di tal genere, che porta la data del 16 luglio
1892 e che risulta alla resa dei conti una vera e propria celebrazione
in forma solenne della sua attività, della sua persona e della
sua pietà cristiana.
Incomincia il Pontefice con l'affermare la nascita in Liguria di Cristoforo
Colombo (dato che ribadirà con convinzione), chiamandolo senza
mezzi termini "homo ligur" e specificando poi che è
nato a Genova quando dice che Colombo è stato costretto ad allontanarsi
dai Genovesi oltre che dai Portoghesi per recarsi in Spagna. In quest'ultimo
Paese, "intra parietes religiosae, domus ad maturitatem alit meditatae
conquisitionis grande consilium, conscio ac suasore religioso viro,
Francisci Assisiensis alumno", aiutato dunque da un figlio di San
Francesco, Colombo maturò idee a lungo meditate e progettò
la spedizione verso le Indie.
A muovere tale spedizione fu la sola diffusione del Vangelo di Cristo.
In ciò, sostiene il Pontefice, Cristoforo Colombo si distingue
da tutti quanti gli altri esploratori e navigatori che lo precedettero.
Infatti, ci sono stati numerosi altri, prima di lui, che hanno solcato
gli oceani e aperto nuove strade per fini scientifici, umanitari ed
economico-commerciali, pur attraverso infiniti pericoli: nel caso di
Cristoforo Colombo il discorso è diverso (est tamen quod hos
inter atque eum, de quo loquimur, magnopere differat).
Qui ci troviamo in presenza di un navigatore e di un esploratore che
solca i mari, apre nuove strade al mondo non tanto perché spinto
dalla pur giustificata bramosia della conoscenza, o per raggiungere
una gran fama, ma perché glielo impone un proposito "che
in lui diventa cogente volontà": la diffusione del Vangelo
di Cristo. A dimostrare questa sua caparbia volontà stanno, secondo
Leone XIII, precise testimonianze:
1) la stessa richiesta d'aiuto fatta da Colombo a Isabella e a Ferdinando
motivata dalla gloria immortale che essi avrebbero ottenuto se fossero
riusciti a portare il nome di Cristo e la religione cristiana in regioni
lontane e sconosciute. Le sue ragioni non erano dunque economiche e
commerciali;
2) la testimonianza presente in più di una lettera ad Alessandro
VI, in cui Colombo stesso afferma di confidare nella diffusione del
nome di Gesù e del Vangelo;
3) lo scritto dello stesso Colombo a Raffaele Sanchesio, di ritorno
dal suo secondo viaggio, in cui si esaltano proprio le possibilità
che le scoperte offrono all'opera di evangelizzazione;
4) il fatto di aver pregato la Madonna e di avere invocato la Trinità
nel corso dei suoi viaggi (... caeli Reginam precatur Ut caeptis adsit
cursumque dirigat nec prius vela solvi, quam implorato nomine Trinitatis
augustae, imperat);
5) il fatto di aver preso possesso di nuove terre nel nome di Gesù
Cristo (... qua quidem ubi singulas attigit, Deum onnipotentem supplex
adorat, neque possessionem earum init, nisi in nomine Iesu Christi),
di aver avuto un unico stendardo che per primo viene infisso nella terra
occupata, quello della Croce (Quibuscumque appulsus oris, non habet
quiquam antiquis, quam ut Crucis sacro sanctae simulacrum defigat in
litore) e di aver voluto immediatamente la costruzione di un tempio,
appena sbarcato;
6) il fatto che la stessa Isabella dovette convenire con Cristoforo
Colombo, al ritorno dal suo secondo viaggio, che gli interessi religiosi
dovevano prevalere su quelli economico-commerciali.
Rileva Bucci: ma se è così, se neppure Isabella e Ferdinando
avevano capito Colombo (o lo avevano capito male e comunque tardivamente),
Leone XIII non ha dubbi: "Nimirum Columbus noster est": Colombo
è nostro, certamente, senza alcun dubbio (nimirum): è
della Chiesa. E' della Santa Sede, non di questo o di quel Paese europeo.
Per questa ragione il Pontefice ordina (edicimus) che nella giornata
del 12 ottobre o nella prima domenica successiva (die XII octobris aut
proximo die dominico) si celebri l'Officio divino "de Sanctissima
Trinitate" in tutte le Chiese cattedrali e nelle Collegiate d'Italia,
della Spagna e delle due Americhe, invitando anche tutti gli altri vescovi
della Chiesa a fare altrettanto.
Leone XIII non poteva essere più chiaro di così: Cristoforo
Colombo è ligure, anzi genovese e italiano; ha voluto la spedizione
nelle Indie (ovvero, nelle Americhe) dopo avere a lungo meditato sui
suoi scopi in ambiente francescano, scopi che erano esclusivamente quelli
di porre le nuove terre al servizio del Vangelo e che, in ogni caso,
nulla avevano a che vedere con qualsivoglia fine economico o commerciale
che egli escluse sempre dai suoi progetti. Per questo "nimirum
Columbus noster est": Colombo è solo della Chiesa e non
appartiene a nessun altro, e meno che mai alla Spagna.
Lo sponsor
di Cristoforo Colombo
Don Germán Arciniegas, il grande saggista colombiano, è
noto in tutto il mondo della cultura per il suo impegno americanista;
è autore di molte opere che trattano del Nuovo Mondo ed è
un autorevole interprete della storiografia vespucciana e medicea.
Poco tempo fa, in un articolo-saggio apparso su "La Nación"
di Buenos Aires, egli avalla la tesi di Ruggero Marino, riguardante
l'intervento del Papa in favore di Cristoforo Colombo. Lo sponsor
del genovese fu Innocenzo VIII.
Innocenzo VIII salì al sommo pontificato il 29 agosto 1484
e morì il 25 luglio 1492; regnò in un periodo di continue
esplorazioni, di conquiste e di scoperte che aprivano il cammino alle
grandi azioni di catechesi. Si sa che intendeva intraprendere una
nuova crociata per liberare il Sepolcro di Cristo: i Portoghesi assecondavano
questo suo progetto.
In occasione della sua incoronazione, il re Giovanni Il del Portogallo
inviò una rappresentanza diplomatica a Roma composta da gentiluomini
della sua Corte e dal cronista del regno, giurista e grande umanista,
Vasco Fernandez de Lucena. Questi pronunciò una "Orazione
di Obbedienza" e fra l'altro rivelò al Pontefice che le
navi portoghesi si trovavano nelle vicinanze dell'India e che il suo
re avrebbe continuato le crociate contro gli infedeli.
Papa Innocenzo, compiaciuto, emanò nel 1486 la bolla "Ortodoxe
fidei", con la quale concesse privilegi e cospicui aiuti al Portogallo
in vista di una prossima azione di catechesi nelle terre d'Oriente.
Anche Colombo predicava che il suo viaggio sarebbe stato una missione
evangelizzatrice, e ciò senza dubbio non poteva non interessare
Papa Innocenzo.
Guglielmo Robertson, nella Storia d'America, i cui primi due volumi
apparvero in Firenze nel 1777, lo stesso anno dell'edizione inglese,
dice che Lodovico di Santangelo, ricevitore delle entrate ecclesiastiche
in Aragona della Santa Hermandad, prestò alla regina Isabel
un milione di maravedi. E' inconcepibile che il Santangelo potesse
farlo senza autorizzazione dall'alto. Si sa che un ruolo importante
in questa vicenda lo ebbe Francesco Pinelo, il nipote di Innocenzo
VIII, (e ci torna alla mente la cedola dei reali di Spagna del 23
maggio 1493, nella quale si ordina di pagare a Francesco Pinelo 15.000
ducati di oro per spese di allestimento dell'armata).
Colombo, nel testamento con codicillo datato Valladolid 19 maggio
1506, (custodito nell'archivio del Duca di Veraguas) dichiarò
che non sapeva quanto doveva lasciare ai suoi eredi, perché
non aveva ancora ricevuto le rendite delle Indie a lui spettanti.
E aggiungeva: "Le Indie erano ignote e nascosto era il cammino
a quanti si parlò di esse; e per andare a discoprirle le Altezze
Reali si contentarono di adottare solamente il mio avviso e scegliere
la mia proposta, ma non ispesero né vollero spendere in tale
impresa se non un milione di maravedì e a me fu giocoforza
mettere il resto".
Che Colombo abbia contribuito alle spese di viaggio col denaro ricevuto
da agenti dei banchieri italiani, è ben noto. In un documento
esistente nell'archivio madrileno del Duca d'Alba, Giannetti Berardi,
fiorentino, agente della Casa dei Medici, il 5 dicembre 1495 dichiarava
davanti ad un notaio che Colombo gli doveva ancora 180 mila maravedì
che egli gli aveva prestato tre anni prima (e vale a dire nel 1492).
Secondo lo storico Gaetano Massa, del Centro Studi Americanistici,
"dall'esame dei documenti finora a nostra disposizione possiamo
concludere che il primo viaggio di Colombo fu portato a compimento
con il danaro italiano e con quello amministrato per conto di Papa
Innocenzo dalla Santa Hermandad. Alla regina Isabel resta la gloria
d'aver voluto quella impresa". E non a caso, il saggio di Arciniegas
è intitolato: "No fue Isabel sino Inocencio": non
fu Isabella, ma innocenzo.
Sarà
fatta giustizia?
Riassumendo, i termini del giallo colombiano possono tradursi in una
serie di domande, alle quali gli storici (e gli archivi, soprattutto
quelli di Madrid e del Vaticano) dovranno dare una risposta:
a) come mai nelle storie di Cristoforo Colombo non si parla mai del
Papa del tempo, che era "Dominus orbis" e dirimeva tutte
le controversie internazionali?
b) come mai nessuno rileva la curiosa circostanza che si trattava
di un Papa genovese, Giovanni Battista Cybo, che morì una settimana
prima della partenza da Palos per le Indie Occidentali?
c) come mai in San Pietro, sulla tomba di Innocenzo VIII, l'epigrafe
dice: "Novi orbis suo aevo inventi gloria"? La scoperta
dell'America data al ritorno di Colombo dal viaggio, nel marzo del
1493. A che cosa si riferisce la frase?
d) in Spagna, Colombo frequentò sempre uomini di Chiesa, soprattutto
francescani; il primo aiuto gli venne da padre Marchena, che dipendeva
da Roma; Colombo chiederà invano uomini di chiesa e francescani
per l'evangelizzazione delle nuove terre;
e) a sbloccare la Corte di Spagna in favore di Colombo, quando era
ormai persa ogni speranza, fu Alessandro Geraldini, fratello di Antonio,
altro amico di Colombo. Geraldini era diplomatico, esattamente nunzio
e "logotheta" di Innocenzo VIII;
f) parte dei soldi per l'impresa vennero anticipati ai Reali di Spagna
(le cui casse erano vuote) da Luigi di Santangelo, che Robertson definisce
"ricevitore delle rendite ecclesiastiche"; Santangelo era
socio del genovese Francesco Pinelli, che era nipote del Papa e finanziatore,
come molti altri italiani, dei commerci in Andalusia; altra parte
della somma venne da Firenze, dove imperavano i Medici: Innocenzo
VIII era consuocero di Lorenzo il Magnifico;
g) il Papa voleva varare la crociata per la riconquista della Terra
Santa. Colombo, nel 1489, quando incontrò alcuni messi di Innocenzo
VIII, andò sempre affermando di voler trovare, al di là
dell'oceano, l'oro per effettuare la crociata; al punto che lo scriverà
per testamento, in modo che i discendenti potessero mantenere la promessa;
h) al ritorno dal viaggio, Colombo scrisse una lettera ai re; chiese
che il figlio minore, Diego, venisse fatto cardinale, così
come il Papa aveva fatto cardinale il figlio di Lorenzo il Magnifico.
Non poteva chiedere una cosa del genere che a Innocenzo VIII;
i) in molti testi di storia si trovano molte tracce di questa verità
(per esempio, il fatto che Pinzon, il nocchiero dell'impresa, venne
in Vaticano a consultare alcune carte, nella primavera del '92; i
nomi stessi dati alle località scoperte);
1) mentre Colombo era sulle caravelle, divenne Papa lo spagnolo Rodrigo
Borgia; Alessandro VI cambiò il corso della storia. Egli attribuì
le terre scoperte agli spagnoli, che così superarono i portoghesi
nella corsa al nuovo mondo e poterono vantare il primato sull'Europa
cristiana.
Colombo e Papa Cybo, dunque, furono i protagonisti di un'impresa eccelsa.
Eppure, forse il primo, certamente il secondo, attendono giustizia.
Il primo, perché accusato insensatamente di genocidio; il secondo
perché ignorato dalla storia. Verranno, per l'uno e per l'altro,
tempi migliori?
Anomalia America
Vespucci, per
esempio
Nei nove anni
che vanno dal 1492 al 1502, i navigatori scoprirono più cose
che nei dieci secoli precedenti, anche se non sapevano bene che cosa
avessero scoperto. Nel 1503, a Parigi e a Firenze circolarono alcuni
fogli stampati, da quattro a sei in tutto, scritti in latino e intitolati
"Mundus Novus". L'autore era un geografo sconosciuto: Amerigo
Vespucci, nato a Firenze e mercante in Spagna. Quei fogli circolarono
e furono tradotti in tutto Europa perché l'autore scriveva
bene, era un divulgatore nato, e raccontava per filo e per segno il
viaggio, durato due mesi e due giorni attraverso l'Atlantico, compiuto
nel 1501 per conto del Re del Portogallo, e l'approdo in una nuova
splendida terra che "se nel mondo è alcun Paradiso terrestre,
senza dubbio dee esser non molto lontano da questi luoghi". Questo
mondo nuovo, che non era l'India, era il Brasile; e quel racconto
suscitò in Europa un interesse strabiliante.
Ma fu il titolo "Mundus Novus" dato a quella ferro paradisiaca
a divenir quasi magico. "Queste poche ma decisive parole - ha
scritto Stefan Zweig, singolare biografo del Vespucci che conferma
ulteriormente la sua fortuna - fanno del Mundus Novus uno dei documenti
più notevoli dell'umanità; esse sono - con duecentosettanta
anni di anticipo - la prima dichiarazione d'indipendenza dell'America.
Colombo, che fino alla sua morte sarà immerso nella cieca illusione
di essere approdato in terre indiane, ha impiccolito il cosmo ai suoi
contemporanei; Vespucci, per primo, distruggendo l'ipotesi che quelle
terre fossero l'india e affermando chiaramente che erano un mondo
nuovo, ho dato uno norma moderna e decisiva, valevole per sempre".
Colombo aveva scoperto - o creduto di scoprire - una terra teoricamente
giù nota. Vespucci aveva invece scoperto una terra del tutto
imprevedibile. Colombo aveva quindi ristretto il cosmo riducendo gli
spazi dell'ignoto; Vespucci lo aveva allargato, accrescendo il mistero.
Colombo aveva attratto l'attenzione di chi si proponeva nuovi affari;
Vespucci aveva acceso l'immaginario della gente. Così, con
sole trentadue pagine scritte in tutta una vita, pagine oltretutto
di scarsissima importanza scientifica, Vespucci conquistava quella
popolarità che Colombo non raggiunse mai, e finì per
essere ingiustamente considerato il vero scopritore dell'America.
Ma ad immortalare questa mistificazione operato dal caso, non da Vespucci,
concorse un piccolo ma autorevole stampatore di libri di gran pregio
di St.-Dié, uno cittadina dei Vosgi, che - nel 1507 - decise
di ristampare, aggiornandola, la classica "Cosmographia"
di Tolomeo.
Ebbene, per descrivere le terre appena scoperte, fece tradurre le
trentadue pagine di Vespucci e le presentò esaltando l'autore
ignaro e attribuendogli, strumentalmente, allo scopo di valorizzare
il suo libro, un'autorevolezza inesistente. Colombo, ovviamente, non
venne neanche citato. E' proprio con questo volume che si avanza per
la prima volta la proposta che quella nuova terra, che di fatto, era
soltanto ed esclusivamente la costa settentrionale del Brasile, si
chiami America, dal nome di Amerigo suo scopritore. E così,
da quel momento, venne chiamata do chi ne parlava e da chi ne scriveva.
"Dobbiamo dunque soltanto a un malinteso - osserva Zweig - se
l'America si chiama America". Un malinteso che volò per
l'intera mondo conosciuto e si estese a macchia d'olio a tutte le
terre che via via si scoprirono a sud dell'equatore, cioè nell'America
meridionale.
Ma l'equivoco non si arrestò qui. Appena si scoprì che
le terre del Nord erano collegate a quelle del Sud e che si trattava
di un unico continente, il nome di Amerigo venne attribuito anche
ad esse. Nel 1538, infatti, Mercatore, il maggior cartografo del tempo,
disegnò il nuovo continente e scrisse AME sul Nord e RICA sul
Sud.
Straordinario destino, quello dei due italiani. Nel 1506 morì,
quasi dimenticato, a Valladolid, Cristoforo Colombo. Nel 1512, altrettanto
ignorata, morì a Siviglia Amerigo Vespucci. Al primo, il mondo
d'allora aveva finito col negare clamorosamente ogni benemerenza.
Al secondo gliele attribuì tutte, anche quelle non sue. Ma
senza mai farglielo sapere.
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