§ Asterischi comiani

Il sodalizio Betocchi, Comi




Gino Pisaṇ



a) Nell'area de "Il Frontespizio", fra gli ermetici.
Era stato Carlo Betocchi colui che per primo aveva vagliato la poesia di Comi, dopo il suo approdo al cattolicesimo (1933), con un articolo apparso sul "Frontespizio" (1) che in quegli anni rappresentava la dogana della cultura cattolica in Italia. E il doganiere Betocchi non aveva promosso a pieni voti il neofita Comi: se, infatti, ne riconosceva il valore in ordine ad alcune liriche "nelle quali sembra che il suo cuore sia stato toccato da un raggio di viva luce" (2), sicché vi ravvisava "qualcosa che si aggiunge all'intelligenza [ ... ] e che trasforma un intellettuale (anche altissimo) in un poeta" (3), ne stigmatizzava tuttavia l'"orgogliosa tristezza", il "basso sensismo", l'"eretico tentativo di immedesimare materia e spirito" e, soprattutto, l'assenza di una umiltà fraterna che era poi il lievito di Realtà vince il sogno (1932) insieme con quell'aura di strapaese che connotava i primi vagiti della rivista fiorentina. Difficile, dunque, e in odore di eresia il primo approccio di Comi con l'area frontespiziana. Pesavano sul poeta le ipoteche di orfismo panico, di sensualismo estetizzante, di terrestrità voluttuosa, di superomismo anarchico che avevano timbrato i caratteri della sua prima stagione (1912-21), fusi poi con quelle vertigini immanentistiche di una "gnosi cosmogonica" (4) che, negli anni Venti, il salentino aveva condiviso con Onofri e Fallacara. Eppure l'arca frontespiziana, in grazia anche dell'influenza di Betocchi, finì col rappresentare un polo orientativo per la riflessione comiana fino a diventarne il contesto o, se si vuole, una sorta di ubi consistam alla cui boa ormeggiare il battello della poesia e della teoresi dopo le ebbrezze delle suggestioni simbolistico-vociane e di matrice gidiana e nietzscheana (5). Non poteva, il "Frontespizio", accettare optimo iure un adepto con quei trascorsi: si opponevano, fino a quando Carlo Bo non fece sentire più forte la sua influenza che data dal 1934 al 1938, sia la natura arcigna dell'originario spirito di realismo cattolico, di strapaese, di disciplina umana e di religiosa obbedienza che aveva riunito intorno a don Giuseppe De Luca, sulla scia del "Calendario", Bargellini, Betocchi, Lisi, Parigi ("avvertivano infatti d'aver in comune una decisa vocazione spirituale da cui riaffiorava [ ... ] e vigoreggiava nei loro animi, in modo tutt'altro che vago e impreciso, la fede che avevano ricevuto dalle loro famiglie") (6) sia l'austera, polemica intransigenza dei drudi Papini e Giuliotti (7), dimidiati fra rigorismo scolastico e crociata contro l'immanentismo idealistico e attualistico di Croce e Gentile (alla polemica anticrociana dette il suo contributo anche Bargellini) (8). La stessa opposizione a "La Ronda" nasceva, nei frontespiziani della prima ora, dall'insoddisfacente richiamo rondesco alla restaurazione nel solo nome di quell'alto riserbo sotteso alla dignità formale e stilistica. Più forte dei "purismi esagerati" era infatti l'esigenza cattolica di ancorare alla dottrina cristiana gnosi e poesia, sicché la vicenda dei cicli naturali, delle campagne, dei paesi, acquistava più peso e valore della letteratura e, comunque, di quella poesia pura che oltrepassava il dato reale per proiettarsi jenseit der Dinge ("de tout ce qui est au delà" secondo la formula di Baudelaire) lungo il solco già tracciato da Schopenhauer (9) in Die Welt als Wille und Vorstellung e dal Leopardi del Copernico ("la scienza non ci rivela un'acca") se non dell'Infinito, il più remoto, nebuloso dilucolo (10), sul piano tematico, delle illuminazioni di Rimbaud.
E puntuale si levò il "plorato" di Bargellini allorché, auspice Bo, dal 1934, ma in realtà già dal '31 col trasferimento dalla "Fiorentina" e dalla bargelliniana sede di via Proconsole alle stanze assolate e grandi di Vallecchi (11), la letteratura più marcatamente seduceva il Trontespizìo" e se ne profilavano sia le nuove e non più anguste frontiere sia le prime avvisaglie della polemica
fra gli "anziani chiari" e i "giovani oscuri" (12) che avrebbero rappresentato rispettivamente la destra e la sinistra (13) del movimento ermetico storico. Bo, da Note su Tolstoi (1931) a Letteratura come vita (1938), spingeva in direzione agostiniano-pascaliana l'immobilismo tomistico iniziale di Papini, Giuliotti, La Pira, Bargellini (14), per giungere, mediante un neo-orfismo epifanico, cristiano, esistenziale, a quell'angelismo che incrocia nella poesia la verità, ovvero la sensation d'univers esemplata da Valery. E nel nuovo spirito della rivista e alla luce della lettura di Necessità dello stato poetico (15), Betocchi, in una lettera (16) datata 30 giugno 1934, tornava sui suoi passi emendando e precisando in palinodia il suo giudizio su Comi dopo aver favorevolmente accennato al comiano commento di Pascal (17):

[ ... ] quelle pagine sono limpidissime e io ti ringrazio soprattutto per il senso di profonda verità e commozione col quale tu hai sostenuto [ ... ] il vero Cristianesimo e per il richiamo del passo di S. Paolo ai Corinti [ ... ]: avessi conosciuto quest'opuscolo quando ebbi a parlare della tua poesia!

Non senza aver prima professato, con lettera del 3 giugno 1934, la sua sorpresa per la serena e non risentita reazione di Comi

[ ... ] mi attendevo rimproveri e meritati risentimenti [ ... ]. Bargellini mi diceva -ma no, vedi che ti ha mandato in dono un libro- questo mentre io aprivo la busta. Ma chi è di noi che non si sente continuamente in colpa verso gli altri? [ ... ].

Ma a rivelare la consonanza di sentimenti e di idee che già univa i due poeti e ne legittimava il ruolo di contubernali nell'area del "Frontespizio", concorrono soprattutto altre due lettere di Betocchi a Comi. La prima è del 15 aprile 1935:

Carissimo Comi,
siamo vicini a Pasqua. Io sento il desiderio di avvicinarmi a te e di augurarti per primo ogni bene, come ti meriti, dal profondo del cuore. Caro Comi silenzioso! Non èmolto tempo che ci sporgemmo insieme dalla finestra di quel mio salotto, guardando Fiesole. Ecco che per merito di spiriti come il tuo, noi tutti sentiamo quello che è necessario, quello che èsuperfluo in questo mondo. Quante vane battaglie, e quanti versi! Io ringrazio Iddio che non mi concede quasi più di farne. Lavoro pochissimo in quel senso, ed i miei tentativi sono tutti, o quasi, frustrati dalla mia inabilità. Ma se io penso alla intensità del credere, che deve essere la nostra vita, mi sento un altro uomo: tu sei il primo, dunque, al quale io mando i miei auguri, o caro amico silenzioso. Io mi ricordo che quella sera, sul tardi, quasi piangendo ci raccontavamo quello che noi sentivamo di Dio. lo ti prego di ricordarmi nelle tue preghiere e ti auguro che la celeste pace rallegri e te e la tua famiglia.
Tuo aff.mo
Carlo Betocchi
P.S. Tu tornerai a Firenze, dicesti: sappimi dire in tempo quando sarà.
Firenze, Via Carnesecchi 23

La seconda, di pochi giorni seriore (18), è scritta in risposta a una missiva di Comi che gli annuncia la stesura di Aristocrazia del Cattolicesimo (19) opera di anamnesi eziologica della conversione del salentino, nonché di riflessione filosofica e di poetica, che mi sembra si possa iscrivere nel contesto dello spirito apologetico e tomistico della corrente frontespiziana di "destra":

Carissimo Comi
rileggo la tua lettera, stasera, piena di tanta sostanza [ ... ]. Tu che ti chiami un poveretto sei un signore, a petto nostro, per esempio di uno come me che è stato dotato fino dalla nascita di una sola forza, cioè quella di intendere che la verità era il Cattolicesimo. E con questo, aggiungo, del senso della nostra assoluta libertà, possedendo la quale avevo tutti i mezzi per essere un poeta, se non l'avessi tradita. lo sono da meno di te perché retrocedo e tu avanzi [ ... ], ma io consumo ancora la gioia di rallegrarmi vedendoti diventare sempre più umilmente uomo. Aristocrazia del Cattolicesimo se non sarà un bel libro sarà sempre un bell'atto di volontà; avrà la debolezza, supponiamo, delle nostre idee, ebbene, liberatene [ ... ] ed io intendo anche così la logica contraddizione alla quale giustamente fai cenno, [ ... ] ma la strada buona è sempre l'unica degna di essere percorsa ed io lo so.
Scrivimi o fatti vedere.
Tuo C. Betocchi

Sintomatiche della integrazione frontespiziana (20) di Comi (che chiede l'expedit al "doganiere" fiorentino), della sua distesa e convinta vocazione apologetica (21) in conformità con lo spirito della rivista e del "gorilla" (22) Bargellini, nonché del suo bagno di umiltà (ne farà professione nell'avvertenza preposta ad Aristocrazia del Cattolicesimo), queste lettere legittimano due ipotesi: che Betocchi faccia da mentore a Comi nel cammino verso l'"umanità" e che, per quegli anni così cruciali nella storia letteraria del nostro Novecento, non si possa parlare di isolamento del Salentino se non in senso strettamente geografico e limitatamente al soggiorno in Lucugnano peraltro meno consueto, in quel tempo, di quello romano di via di villa Emiliani. Non solo il consenso e gli attestati sempre più espliciti (23) e insistenti di Betocchi all'indirizzo della nuova sensibilità di Comi aderente al carattere del "Frontespizio" o il riferimento alla debolezza-fortezza delle idee che ne connotano, in ossimoro, la natura dialettica, sibbene il fatto che il fiorentino espunga l'accusa di "disumanità" del '34, riabilitando Comi, possono assumersi a segno della convergente sodalità fra i due poeti nell'area della rivista, ostracizzando ogni residua riserva. Ne ètestimonianza ulteriore la lettera di Betocchi del 22 dicembre 1936 in cui l'abiura del primitivo giudizio è definitiva:

Non dimentico il nostro primo incontro e [ ... ] la lettera con la quale rispondesti alla mia lontana, ormai lontana recensione di Cantico dell'argilla e del sangue (24) [ ... ]. Nell'ultima visita ti trovai più umano [ ... ]. L'ottimo Papi (25) [ ... ] rivelava nella sua serenità alcunché di superficiale che tu facendoti più profondamente uomo [... ] escludevi ormai dal tuo modo di fare e di agire.

Intanto intervenivano a rafforzare il nodo che legava Comi al Trontespizio" altre voci contestuali e consentance. Bargellini chiedeva con insistenza al Salentino, ormai arruolato, "le prose promesse" (26) per la rivista, reiterando l'invito alla collaborazione (27) dopo che Papi gli aveva segnalato i temi di Aristocrazia del Cattolicesimo ancora in fase di stesura. Comi, che sul "Frontespizio" aveva già pubblicato due liriche, dedicandole a Betocchi, nel 1935 (Pasqua e Alito primo) (28), spedì una prima prosa (Diario essenziale, apparve nel gennaio 1936) (29) e poi una seconda (30), Monopolio della tradizione (31).
Più tardi, Luigi Fallacara, dopo la diaspora della "sinistra" che alimentò "Campo di Marte" (1938-'39) infliggendo con lo scisma un duro colpo alla agonizzante rivista di Bargellini (32), si faceva portavoce di quest'ultimo presso Comi e suonava l'olifante per cooptarlo affannosamente nella pattuglia degli irriducibili superstiti di "destra".

Vedi che al "Frontespizio" (33) vogliono la tua collaborazione. Anzi, a questo riguardo, è Barna Occhini che mi dice di scriverti e d'invitarti. Manda poesia o prosa, ciò che desideri. Forse "Frontespizio", se ci torniamo, potrà riprendere: ora, così com'è, agonizza (34).

Comi aveva incontrato lo stesso Fallacara proprio nell'ambito di "Frontespizio" ("L'occasione [ ... ]fu la pubblicazione da parte del poeta barese nel 1935 del suo libro rappresentativo della stagione della cosiddetta poesia pura esemplata sul magistero ungarettiano: Confessioni. Incoraggiato da Betocchi, Fallacara chiede timidamente a Comi una recensione del volumetto, precisando che non se ne sarebbe adontato per un eventuale diniego") (35) ma l'invito dell'amico e la resistenza degli "anziani" alla fronda della "sobillazione" intellettuale di Bo, Macrì, Gatto, Luzi, Traverso, non produssero gli effetti sperati.
Al riconoscimento di una piena cittadinanza frontespiziana di Comi e, più propriamente, della sua collocazione nello schieramento dell'ermetismo ontologico (36) (o di "destra" che è sintagma tautologico), concorrono, oltre al sodalizio con Betocchi, Fallacara, Bargellini e alla collaborazione resa alla rivista, anche alcune prose comiane a quell'area contigue: Poesia e conoscenza (1932), Necessità dello stato poetico (1934), Aristocrazia del Cattolicesimo (1937), Bolscevismo contro Cristianesimo (1938). Già nel 1932 Comi postula una poesia che è conoscenza di Dio attraverso l'ordine da lui creato ("La poesia [ ... ] è ricerca paziente e sapiente, appassionata e corale, di una sintesi sinfonica e architettonica dei sensi e dell'intelletto, dell'ombra e della luce, in vista di una identificazione vitale, e non effimera, dell'armonia dell'Essere (37); [...] poetare e conoscere diventano dunque due luminosi e illuminanti sinonimi (38); [...] la poesia è questione di Fede come in un certo senso la Fede è questione di poesia") (39) anticipando, attraverso Maritain, alcuni enunciati di Bo (Letteratura come vita, 1938) che chiameremo in causa poiché tanto le dinamiche avantestuali quanto quelle intertestuali sono orientate in direzione francese, in Comi come in Bo. Ne deriva l'attribuzione alla poesia del primato sulla tecnica e sulla scienza, topos già simbolista ma di antica matrice leopardiana (40): "non mi risulta che [le conquiste della scienza e della tecnica] colmino o sedino, come dovrebbero neanche l'ansia di coloro che ne sono cultori appassionati [ ... ]perché la conoscenza dell'uomo non avviene per mezzo della scienza" (41). E dopo aver affermato il primato della poesia, "sempre presente ed efficiente" (42). Comi conclama la perfetta identità fra stato di grazia spirituale e stato di grazia poetico, (43) preludio del suo "manifesto" apparso sul primo numero de "L'Albero" (44). Si riverbera, in questi luoghi, la definizione ontologica, di matrice paolina ("Dio si rivela mediante le sue opere,", che della poesia dà Maritain nel segno di quella "poétique de l'integralité", cara a Betocchi, (45) per cui la "poésie est connaissance [ ... ] moyen de connaître. [ ... ] Poésie est ontologie, certes, et même, selon le gran mot de Boccacce (46) poésie est théologie" (47). Definizione che Carlo Bo avrebbe ricalcato (48) trasferendola nel suo Letteratura come vita: "Poesia è ontologia [ ... ] e voi sapete che Boccaccio diceva poesia è teologia" (49).
Ma c'è di più. Comi anticipa, in Poesia e Conoscenza, alcuni assiomi, anch'essi di derivazione maritainiana, che saranno presenti nel più famoso dettato di Bo, sempre iscrivibili nella luce dell'umanesimo integrale alla cui fonte entrambi s'erano abbeverati. Diamo in questa sede, in cui non è possibile una compiuta indagine intertestuale, un solo esempio: "Non esistono incompatibilità fra poesia nel senso cosmico e filosofia nel senso poetico [ ... ]. Entrambe permangono tributarie felici di una disciplina d'armonia" (50) (COMI); "A questo punto nessuno saprebbe più negare la necessità della filosofia: e non alludo ai discorsi di un sistema [ ... ], inseguo sempre un'immagine intera dell'uomo" (51) (BO). Ciò conferma, sia a livello di indici paratestuali sia di linguaggi interdiscorsivi, la dipendenza dell'ermetismo di Comi dalle stesse fonti canoniche (Valery, Rimbaud, Claudel, Bremond, Gide, Bergson, Maritain) (52) della scuola ermetica, anche se alla fede "priva di memoria umana", di angoscia, di inquietudine di Claudel si accosterà sempre più Comi mentre Bo se ne allontanerà. Con Betocchi e Comi "la poesia religiosa degli anni Trenta e di sempre si apre al dono della rivelazione e ne fa il contenuto della propria saggezza e della propria speranza" (53) mentre l'ermetismo esistenziale accentuerà la sua inquietudine fino alla formula di Alfonso Gatto che indica nella poesia la strada che porta alla conoscenza ultima e assoluta di se stessi (54). Comi, Movendo dall'orfismo "pagano" e da "un quasi orgiastico culto dell'Io, posseduto e nutrito da un rutilante tenebrore di stati d'animo panteistici e panici" (55), si spoglia di sé fino all'afasia negli anni del sodalizio con Betocchi in particolare, salvo poi a ritornare su se stesso nell'ultimo tempo, quello del misticismo e del neostilnovismo. Questo processo di azzeramento dell'io coincide col suo autonomo approdo alla riva ermetica di "destra", quella della poesia come ontologia e divinazione dello spirituale nel sensibile (Maritain) sulla quale si fermerà, mentre Bo, insieme con gli altri della sua corrente, se ne distaccherà per giungere attraverso Agostino, Pascal, Du Bos a un radicale intimismo soggettivo.
A Comi la teoresi frontespiziana forniva una giustificazione storica in ordine alla sua poetica e alla sua meditazione etico-religiosa. Negli anni Trenta, infatti, la riflessione comiana procede lungo tre direttrici, tutte in sintonia con le tematiche ideologiche ed esistenziali della rivista fiorentina: a) di ordine poetico (rivendicare alla poesia, nella luce della rivelazione cristiana, un arduo statuto gnoseologico, organico all'ermetismo, qual è la funzione di adire il Vero: "La poesia non è libero gioco della sensibilità e della fantasia [ ... ] ma attività armoniosa dell'intelletto e strumento volto alla ricerca e alla identificazione del Vero") (56), b) autobiografico (giustificare sul piano della propria storia esistenziale la conversione promossa dalle letture di S. Paolo, di S. Tommaso, di Dante, di Pascal) (57), c) apologetico (difendere il Cristianesimo dall'aggressione della cultura laica e, in particolare, marxista) (58). Un empito neofitico e apologetico ispira, infatti, la stesura di Bolscevismo contro Cristianesimo e, se pur affiora una certa fragilità di Comi sul piano speculativo, sicché il rigore dialettico e semantico spesso cede il passo a un'andatura topica e dogmatica, tuttavia l'operetta è prova di quella passione (ritornerà in lui più calibrata allorché, fra il 1948 e il 1958, il clima della cultura politica italiana sarà surriscaldato dal conflitto ideologico fra marxisti e cattolici) (59) che omologa il Salentino allo spirito di frontiera cattolica che allignava nell'area del "Frontespizio". Ma occorre tornare al rapporto fra Comi e gli ermetici della rivista. Egli è accanto a Betocchi, il poeta della "grazia sensibile" (Macrì) la cui religiosità è percorsa dal sentimento di una "immanente e perenne creazione" (60), nella zona dell'ermetismo ontologico (61), anche se diversi sono - e ancor più saranno - gli itinerari stilistici e metrici dei due poeti: tanto prosastica, antinovecentesca, antimelica, poi antiermetica la sillabazione di Betocchi, quanto musicale, sinfonica, rarefatta quella di Comi. E mentre Bo modificava la formula di Maritain in chiave agostiniana ed esistenziale ("La direzione è: in noi stessi" (62) ripropone l'assioma di Agostino in interiore homine) e Macrì fondava (63), con oracolare rigore semantico, la critica ermetica della "terza" generazione, Comi, con Aristocrazia del Cattolicesimo (64) (Giorgio La Pira ne elogiava il contenuto con lettera dell'8 giugno 1939; delle due lettere di La Pira a Comi, si offre al lettore la prima, qui a lato integralmente prodotta), rimaneva fermo alla linea di Maritain, di cui s'avverte l'eco in più punti dell'opera in parola, contro le derive individualistico-esistenziali della fronda. A ben guardare, con Aristocrazia, si realizza in Comi una lieve involuzione in senso tomistico e betocchiano rispetto alle posizioni di Poesia e Conoscenza (1932). In Bo si assiste ad un processo inverso in forza dell'influenza esercitata su di lui da Du Bos, l'autore di Vie et littérature (65), sicché giungerà ad affermare che poesia e conoscenza sono una stessa attività dello spirito: "La letteratura [ ... ] non serve per conoscere, ma è in se stessa una conoscenza" (66). Comi partito dalla stessa sinonimia ("poetare e conoscere diventano luminosi e illuminanti sinonimi") (67) ne muta il rapporto nella formula "poesia mezzo di conoscenza", gnosi ontologica che si realizza passando attraverso gli oggetti (Betocchi) e in specie attraverso l'oggetto rivelatore per eccellenza di Dio: il cosmos, l'ordine della Creazione, epifanizzato nelle creature esili e caduche (il seme, lo stelo, i succhi) come in quelle astrali e immense (il sole, la terra, il mare). La consonanza Comi-Betocchi, su piano della poetica, si accentua a partire dal '34 e Comi era certamente consapevole del fatto che le sue proposizioni ("spettacolo della creazione" - "bellezza oggettiva e tassativa della creazione") assumessero, in quel clima di fronda, una chiara connotazione ontologica, betocchiana, richiamando all'ortodosso rispetto della lezione di Maritain, allo "spirito di umiltà e di obbedienza [ ... ] alla dottrina della Chiesa" (68), mentre ribadiva il carattere della letteratura come strumento di conquista dell'assoluto (experimentum Dei) secondo la formula di Tertulliano (69).
A Maritain Comi rimase sempre fedele. Si osservino le tracce dell'ermetismo ontologico nel tessuto di Aristocrazia del Cattolicesimo: "Persuaso che il fatto poetico non ha nulla a che spartire con il caso o l'avventura letteraria [ ... ] e che esso è invece legato e collegato, o meglio, derivato da una vaga percezione prima, da una categorica certezza poi che il poeta ha della presenza ininterrotta di Dio, le mie emozioni e realizzazioni liriche più vive sono state sempre lievitate, soccorse e modellate (70) da un entusiasmo fedele e da una riconoscenza vibrante per tutto quel che di sommo e di inimitabile ho ravvisato nella figura e nello spettacolo della Creazione (71) [ ... ]. Le estetiche individuali [ ... ]non possono che far capo a un modello supremo di Estetica: il quale è come inciso ab aeterno e reperibile ogni giorno sotto forme innumerevoli della bellezza oggettiva e tassativa [nel senso greco di taxis] della Creazione (72)". Si confronti questo assunto con quanto aveva già scritto sul "Frontespizio" in Diario essenziale (73):

Nascita: [ ... ] sei prigioniero di bellezze così autoritarie, testimone di spettacoli e di paesaggi così felici, padrone di una coscienza così sensibile al sovrano respiro della luce, che non puoi, specialmente se sei poeta, non piegarti [...] davanti all'evidenza di Dio

cui fa da pendant, in trascrizione poetica, Conoscenza di Dio (74)

Conoscenza di Te ebbi dal sangue
assordato di musiche confuse
e di soffici crolli di valanghe
di primavere schiuse

e come sotterraneo e remoto
fusto che cerca l'apice del giorno,
l'Anima emerse abbagliata al sommo
dei Tuoi paesaggi e al centro del Tuo fuoco.

Conoscenza di Te per la parola
di cui il groviglio in gemiti si snoda
dentro l'oscurità della mia gola

fino a sciogliersi in cantico che loda
la cosmica armonia ove s'addensa
la dovizia della Tua onnipotenza [ ... ]

L'ebbrezza di guardare il Tuo Creato
gremisce il sangue di un ronzìo sonoro
di spazi accesi di giornate d'oro
nel tremito del tempo inviolato.

La verità è dunque attingibile dalla poesia attraverso la realtà, gli oggetti, l'Essere. Questa strada porta all'Assoluto di cui la poesia è Verbo. Intanto Betocchi, in Premesse e limiti di un ritorno al canto (75) (1937) reclamava il diritto dell'oggetto "di essere mentovato" e all'accusa di oggettivismo ("è in ultima analisi una comoda scusa alla propria inerzia intellettuale") (76) che gli aveva mosso Bo, recensendo Roland de Renéville (77), replicava opponendo una risentita reazione: "Il pericolo di tale soggettivismo [quello di Bo] consiste nella sua posizione permanente di uno stato in luogo della persona umana con tutti i suoi attributi anche di banalità e non solo di spiritualità. [ ... ] Ci coartano schemi predestinati ai quali il soggettivismo di cui tu parli si sottrae troppo facilmente" (78) e giustificava il proprio oggettivismo in questi termini: "Io debbo parlarne per forza, poiché vivo e credo in virtù di cose che mi sono state rivelate e verso le quali ho un obbligo di riconquista e di adempimento, ma che, nella loro parte più consolante, sono vera e propria rivelazione, e la più oggettiva delle verità esistenti" (79). Bo, in realtà, si era allontanato fin dal 1934, con Riconoscenza della poesia (80) dalla formula di Maritain secondo cui la poesia è la "fulgurazione dell'intelligenza su una materia intelligentemente disposta" e modificava in chiave esistenziale, subito dopo aver affermato che "poesia è ontologia", la sua concezione della letteratura: da moyen de connaître in conoscenza tout-court secondo il dettato di Claudel e Du Bos: "Claudel ha scritto [ ... ] che la letteratura [ ... ]non serve per conoscere, ma è in se stessa una conoscenza" (81). Alla divination du spirituel dans le sensible, cara agli ontologisti Betocchi (82) e Comi, Bo opponeva l'agostiniana "direzione in se stessi". Altro era "assegnare al poeta il compito di interrogare il proprio essere per strappare al mistero la verità [BO] che lo riguarda in quanto uomo, altro era esortarlo, come aveva fatto lo stesso Maritain [ ... ] a contemplare le bellezze del creato [COMI] dove rayonne la propria meravigliosa armonia un Essere che esiste ab aeterno e sta all'origine di tutte le cose" (83).
Sia la polemica fra gli ermetici del "Frontespizio" sia lo scisma della "sinistra" (che sarà l'ermetismo tout-court) prendono l'abbrivio da questa divaricazione fra le ragioni della poesia "circoscritta ai movimenti interiori dell'anima" (84), (linea Maritain-S. Agostino-Du Bos) e quelle della poesia che nel sensibile, nell'Essere, in tutto l'Essere nel quale è anche l'uomo, divina lo spirituale che è la Grazia della teofania, splendore del vero (linea S. Paolo-S. Tommaso-Maritain).
A questa consegna maritainiana Betocchi e Comi restano fedeli. Il misticismo di Comi verrà dopo, da Spirito d'armonia (1954) a Fra lacrime e preghiere (1967), allorché il canto della Creazione (anni Trenta, area frontespiziana) sarà sormontato da tremore, afasia, anabasi (85) fino allo sfibramento e alla catastrofe di sé. Dopo i tempi dell'orfismo panteistico (1912-'32) e dell'ermetismo ontologico (1932-154), quello del neostilnovismo e del misticismo (allora la poesia sarà preghiera secondo la formula di Bremond) che durerà fino alla morte del poeta: tre tempi, complementari e progressivi, di un unico, ascensionale cammino verso la nirvanica Wiedervereinigung con l'Assoluto. Questo, in sintesi, mi sembra possa essere un tracciato possibile della complessa poesia di Comi, il cui silenzio (86) circa se stesso nasce, come in Betocchi, da una scelta di umiltà (che fu già di Manzoni) e riposa nel rifiuto dell'"orgoglio rutilante dell'io".

b) Fra "L'Albero" e "Il Critone", con Vittorio Pagano
"Sarebbe cosa di un certo interesse studiare le relazioni storiche e culturali tra Firenze e una città lontana e silenziosa, priva quasi di avvenimenti, quale sempre è stata Lecce" (87). Così Luciano De Rosa apriva, nell'ormai lontano 1959, la sua riflessione critica sulla più cospicua traccia meridionale che, per contenuto e scelta editoriale, il fiorentino (ma torinese di nascita) Carlo Betocchi ha lasciato. Quell'incipit segnalava fin da allora un termine ad quem poiché a quella data si profilava l'autunno della poco più che ventennale (1941-1966) stagione letteraria salentina all'interno della quale germinarono e si riprodussero le spore di una fervida e non provinciale attività di pensiero e di poesia.
Proprio Betocchi, dunque, veniva assunto da De Rosa a corifeo di un "gruppo" che aveva maturato un'esperienza storica (l'ermetismo) il cui "clima" si era ricreato, non senza polemiche e divisioni (88), in una provincia solo geograficamente periferica e, anzi, tanto più vitale quanto più forte era stata la coscienza del suo isolamento (89). Il nodo ermetico, ancora una volta, veniva al pettine con il betocchiano Vetturale che era una discesa, umana e sofferta, prima ancora che geografica e poetica, all'Erebo (il Sud) della realtà, alla ricerca di una umiltà che fosse "sensibile" al pari della Grazia. Se De Rosa imputava all'irriducibile, ermetico-maudit, Vittorio Pagano di puntare esclusivamente su nomi che tenessero "attivi i fili con Firenze" (Luzi, Betocchi, Parronchi, Lisi, Macrì, Bilenchi, Bigongiari) in un momento in cui l'ermetismo trascolorava a fronte di istanze neorealistiche o comunque novatrici, tuttavia riconosceva come ciascuno di quei collaboratori fiorentini del "Critone" avesse maturato nuove esperienze e "percorso una sua strada col tempo, gli eventi e le idee seguiti alla guerra" (90). Betocchi, nel prendere atto delle simpatie fiorentine di Pagano, quasi si schermiva della definizione di ermetico e ricordava a De Rosa, che pur l'aveva avvertito, quanto eterodosso fosse stato il suo ermetismo se già con Realtà vince il sogno si era opposto, lui poeta esiodeo, alla poesia pura della seconda generazione che aveva avuto un epicentro nel quasimodiano Oboe sommerso:

Caro dott. De Rosa (91)
La ringrazio per l'attenzione dedicata al mio libretto di versi con la Sua recensione, rattristato soltanto che proprio questa le abbia dato occasione per una strigliatina al buon Pagano per le sue tentazioni un po' troppo fiorentine che hanno pur una loro storia, e quasi fatalità, come Lei stesso ha bene avvertito. Ma [ ... ] magari tutti gli ermetici fossero stati così poco ermetici come me: altra cosa di cui le sono grato [ ... ] ha ricordato che io credevo alla realtà, e non al sogno, fin dal 1932 (92), quando Quasimodo (l'idolo dei "giovani") cantava l'oboe sommerso, ed era l'araldo della poetica della parola [ ... ].
Suo Carlo Betocchi

E la "storia" e la "fatalità" di quelle relazioni fra Lecce e Firenze passano per Comi, che non aveva dimenticato l'antico compagno di cordata nel "Frontespizio", allorché, con "L'Albero" (1949), tornava ad inseguire il castello d'Atlante di un umanesimo integrale ispiratogli dalla visione tomistico-maritainiana della vita e dell'arte: "conoscere la via, che è quella dell'umiltà, per raggiungere e consolidare certe conquiste" (93). A Betocchi, che per quella via lo aveva istradato, Comi rivolse un appello perché facesse parte dell'Accademia salentina. Lo si evince da una lettera del fiorentino che declinava l'invito "per la solita condizione di ilota dell'industria" (94).
Ma il poeta dei cantieri non fece mancare il suo contributo al terzo fascicolo (1950) della rivista comiana. Ed ecco l'articolo su Clemente Rebora (95) la cui esperienza poetica "rotta e frastagliata" (96) viene irrelata, dopo un iniziale e strumentale accostamento, a certa "concitazione espressiva e delirante [ ... ] di Campana" (97), nel segno di un itinerario conoscitivo che in Rebora si diparte da "La Voce" per attingere "tutti i punti solidi" della realtà ("la fame di possesso della poesia di R. significa conoscere [ ... ] e qui si apre il profondo abisso che separa la poesia di R. dalla poesia del già citato Campana: ma qui nasce il ponte che la ricollega, viceversa, all'esperienza spirituale della 'Voce' [cui] attingeva la libertà di un vocabolario e di una sintassi contingenti ai suoi reali interessi") (98). Proprio Betocchi che "mai si era curato di illustrare la sua poetica" (99), ancora una volta dà prova di essere acuto lettore dei testi poetici al lume di una costante dicotomia assunta fin dai tempi del primo "Frontespizio" (realtà - non realtà) per deputare alla poesia il ruolo di moyen de connaître.
Al sodalizio "accademico" che, come "L'Albero", nulla mai ebbe di provinciale né di salentino (se non il simbolo dell'ulivo, emblema della terra in cui la rivista attecchiva), Betocchi è vicino pur dimorando nella lontana Firenze:

Carissimo Comi
ho avuto il bel numero 13-16 de "L'Albero" ed ho scritto all'Ulivi lodandogli il Campana (100) come scriverò al Macrì per qualche bel pezzo del suo diario (101). L'Accademia salentina mi ècara, ed io ti voglio bene in ragione della tua grande e sincera passione. Ed ho gusto a dirti che ho ammirato il tuo discorso su Gide (102) [...] così vigoroso nella sua intransigenza.

Sul fascicolo Successivo (103), Betocchi pubblica Risalendo una valle d'inverno che aprirà poi il critonico Vetturale (104) per produrre al lettore una chiara prospettiva del senso catartico-religioso che trascorre Viaggio meridionale (105):

Nell'ombra del mio spirito chiudendo
lame di fiume ferro di coltello
degli inverni nevosi le invenzioni
di gelidi segmenti angoli e vento,

nell'ombra del mio spirito un fratello
cercando altro fratello, monte a monte,
e per valli cui rode e assiepa il gelo
spingendomi fin sotto i vaghi monti

dove non fa mai notte ed è fraterno
lume di giorno ad albore di luna
e il vento è padre di un ignudo eterno

essere e seguitare ad una ad una
cime di monte che si van chiudendo
nell'ombra del mio spirito a una cruna.

Il sonetto dalle inequivocabili movenze ermetiche e dai versi liberamente rimanti e assonanti è il manifesto, per così dire, metapoetico della nuova poesia di Betocchi che culminerà ne L'estate di S. Martino (1961) prima di dichinare nell'oggettivo-soggettivo (106) epos della senilità (Un passo, un altro passo 1967, Ultimissime 1974).
In Risalendo una valle d'inverno il canto della fraternità, che fu già di Ungaretti, non sembra immune da remote suggestioni pascoliane e da sporadici sintagmi leopardiani: in quelle "valli cui rode e assiepa il gelo [ ... ] fin sotto i vaghi monti" è un'eco del Canto notturno, ma se lì il "vecchierel bianco, infermo" procede senza un senso che non sia l'effimero affanno del vivere, qui Betocchi, "poeta di passo" (107), si fa segugio sulle orme della fraternità braccando "altro fratello, monte a monte [ ... ] dove non fa mai notte ed è fraterno / lume di giorno ad albore di luna". Quanto a Pascoli, se ne confronti Carrettiere con il betocchiano Treno notturno tra i monti toscani (108): vi rintocca il tema della vertigine ("[ ... ] un'avida famiglia / di stelle a tanta luna e negli abissi / ignorando la quiete e i precipizi / l'abituro che passa è una farfalla / ma l'orlo è certo [ ... ]") antifrastico però è l'esito. Nel canto betocchiano dilegua, grazie alla certezza dell'argine (la fede) il pascoliano sgomento per il notturno rombo abissale.
Si dovrà attendere il n. 30-33 de "L'Albero" per ritrovare uno scritto di Betocchi, A proposito dell'amico Cavani. Il poeta vi istituisce un confronto fra sé e l'autore de Nel segni della festa che da Cavani gli era stato dedicato perché la betocchiana "vampa [ ... ] gli aveva fatto un po' di lume" (109) come lo aveva fatto a Comi, ma l'epistolario continua. Vi si spigolano giudizi favorevoli su "L'Albero" ("il n. 17-18 [ ... ] mi èparso bello per l'eccellente raccolta di poesie, a cominciare dalla traduzione di Macrì e le poesie più belle, in due ordini diversi, mi sono parse la tua e quella di Caproni") (110), cenni agli amici, Pierri (il "carissimo Pierri") su tutti, interesse alle lucugnanesi edizioni dell'onofriana Lettura poetica del Pascoli (111) e dell'antologia della rivista "Novecento" (curata da Falqui) che "uscendo dal vostro focolare pugliese sarà importantissima" (112).
Compiacimento e fraterna letizia, ma anche uno scrupolo mai rimosso (la prima recensione al "disumano" Comi) affiorano invece nella lettera del 19 luglio 1954:

Carissimo Comi
Ti ringrazio di avermi affettuosamente spedito Spirito d'Armonia che è un bellissimo libro [ ... ]. Mi è tanto piaciuto nella sua interezza [ ... ] che non ho potuto fare a meno di pensare a scriverci sopra qualche pagina che servisse a sdebitarmi di quelle che vi leggo riportate da Pagano (113) in fondo al tuo libro stesso. [ ... ] Alludo a quello che scrissi sul "Frontespizio" (114) [ ... ]. Spedirò [l'articolo] al "Popolo" (115) [ ... ]. Abbi i più affettuosi abbracci e la letizia del tuo
Betocchi

E al "Frontespizio" torna il pensiero di Comi che propone all'amico di realizzarne l'antologia, auspice Bargellini (116):

[ ... ] ci vorrebbe un uomo, non un letterato, cioè un uomo vivo e una coscienza desta, che del "Frontespizio" rivelasse non soltanto la buccia ma l'anima. Chi potrebbe essere? Forse Carlo Betocchi [... ]. Non vedo che il Betocchi, il quale non si è accartocciato o disseccato [ ... ].
Tuo Bargellini

Dopo alcune lettere (sono complessivamente 31 quelle relative al periodo 1950-'61) in cui Betocchi annuncia il suo articolo destinato a "Il Popolo" (vi si leggono interessanti valutazioni sulla "solitudine" di Comi) e si sofferma a parlare di Pagano ("bellissime poesie") e di Pierri ("il mio carissimo Pierri. Ma che cos'ha realmente questo caro uomo?") (117) irrompe, infatti, nell'epistolario il progetto di antologizzare, per le lucugnanesi edizioni de "L'Albero", il "Frontespizio":

[ ... ] Bargellini mi passa con un suo biglietto il tuo invito ad occuparmi di una antologia del "Frontespizio". Te ne ringrazio e accetto volentieri l'incarico anche perché si tratta di fare l'antologia per le edizioni de "L'Albero" (118).
Betocchi

Betocchi espone subito il metodo che seguirà, valuta il tempo occorrente, prevede lo spessore del libro ("è rivista che comporta benissimo un volume di 500 pagine"). All'organizzazione del materiale, alla ricerca faticosa di una collezione completa della rivista, ai caratteri della stampa, insomma al piano dell'opera e a problemi di ordine pratico attengono le lettere successive. Ma si profila un'iniziativa parallela dell'editore Landi il quale, sotto l'egida di Macrì che ne dirige una collana, affida a Fallacara, che poi realizzerà, identico compito. Comi s'adonta, Betocchi s'allarma e intanto... fervet opus. Ma il fiorentino arranca negli spazi angusti del tempo disponibile, Comi in quelli bigi delle difficoltà economiche. Trascorrono due anni, le edizioni dell'"Albero" segnano il passo, ma Betocchi incalza: promette tempi brevi, cercando di anticipare l'amico Fallacara. Il disappunto di Comi sfuma, ma il progetto ha il fiato grosso (119). Intanto "L'Albero" ritorna nelle lettere ed ecco finalmente un giudizio di Betocchi che rammemora l'antica radice frontespiziana di Comi

[ ... ] Quella certa azione che faceva il "FRONTESPIZIO" oggi in Italia non la fai che tu, ed è un vero peccato che l'"Albero" sia costretto a uscire così di rado (120)

e assicura di essere "alla rifinitura e al riordinamento finale" dell'antologia, anche perché pressato da Bargellini (121).
Ma le difficoltà economiche sormontano le idee e i nobili negozi dei due amici. E' il fallimento. Betocchi, che pubblicherà, poi, in "Terzo Programma" (122) la sua storia del "Frontespizio", prende atto e consola il salentino

[ ... ] mi duoleva lasciarti ma io credo che tu sia un uomo assai più forte delle sorti che ci possono toccare a questo mondo (123).

Poi aggiunge: "la tua poesia, insieme ferma e crescente è tra le singolarissime del nostro mezzo secolo" (124).
L'epistolario si chiude nel sentimento di una incombente vecchiezza, preludio di "gioventù futura" (125):

[ ... ] mi auguro di avere la Grazia di conservare lo spirito candido e forte che tu manifesti. La gioventù... aumenta. Queste sono le tue parole di uomo e di poeta (126).

Quanto a Pagano, Betocchi, pel tramite affettuoso e generoso di Comi e di Macrì (127), gli si legò per consonanze elettive d'affetti e di idee. Sarebbe oneroso censire in questa sede le ventisette lettere che Betocchi gli inviò lungo un arco temporale che si distende dal '56 al 165, attraversando gli anni de "Il Critone" ('56-'66). Si tornerà, in altra occasione, a parlarne. Qui basti ricordare che sul periodico di Santoro e Pagano la presenza del fiorentino è quasi una costante, a riprova della "lamentazione" di De Rosa, citata in apertura, e delle cospicue relazioni che corsero fra Lecce e Firenze.
Il primo contributo di Betocchi (128). L'esempio di Papini, apparve nel 1956, cui seguì, nel '57, un intervento commemorativo di Domenico Giuliotti (129). Entrambe le prose rievocano gli anni del primo "Frontespizio" di cui Papini e Giuliotti furono, come si è detto, le anime più intransigenti e polemiche. Alla seconda accenna Betocchi in una sua lettera a Caproni (130):

A Giorgio che ha scritto un bel racconto sul "Critone" (131) circa la lepre e i cacciatori: Un che di leporino, averlo addosso, / Giorgio, per quel racconto sulla lepre / che hai scritto sul Critone, anche se scosso, / ho il dubbio, ormai, che mi rimanga sempre [ ... ] (132).
Mio caro Giorgio, ieri sera, era tardi per sollevarmi da un discorso che scrivevo su Giuliotti [ ... ], presi il Critone giunto allora e vi trovai quel tuo bel racconto sulla lepre dove, tanto affettuosamente, richiami in ballo l'impallinata lepre del tuo Betocchi [ ... ]. Mio caro Giorgio, che vita! Eppure resta questo barlume [ ... ] di godere, ogni tanto, di qualche frutto dell'ingegno amico e la poesia di Pagano sullo stesso Critone era tanto bella [ ... ]. Addio, caro Giorgio, scrivimi qualche volta,
il tuo Carlo

Ancora una prosa nel '57, Lamento per Ottone Rosai nella sera della sua morte (133) e poi una lirica, Un grido (134), che precede le undici comprese sotto il titolo di Viaggio meridionale (135): Dedica scritta; Treno notturno tra i monti toscani; Sera trasecolata; Alla Chiesa di Frosinone, Verso Cassino; Ritorno a Campobasso; Isernia; Campobasso-Salerno; Classicismo salernitano; Il vetturale di Cosenza (poi eponima della plaquette); Tornando tra i monti toscani.
Seguirono, infine, nel 1960, Poesie in aggiunta al "Viaggio meridionale" (136) dedicate a Tommaso Santoro.
Ma i rapporti d'amicizia e di collaborazione con Pagano e con gli amici leccesi (Santoro e Bernardini - cfr. lettera del 28.5.'65 -) andarono ben oltre gli interventi di Betocchi sul "Critone" (137). Ne offrono testimonianze le lettere che Marcella Romano Pagano (138) generosamente ha messo a mia disposizione e delle quali mi è parso opportuno pubblicare un passo fra i più significativi, sul piano delle relazioni umane e letterarie, quasi a suggellare e a giustificare il senso di questa ricerca.
Dalla lettera del 5 febbraio 1958

Mio caro Pagano
[ ... ] Ho un rammarico: non ho mai fatto un bel pezzo su Lecce, sugli amici, sulla bellissima Puglia, su Maglie, su Lucugnano, su Comi ecc. ecc. Ricordami a Santoro, a tua moglie, al piccolo, alla terra rossa e agli ulivi. [ ... ]
Il tuo Betocchi


Lettera di Giorgio La Pira a Comi

[Firenze] 3 - 2 [1937]

Carissimo Comi,
grazie per gli auguri natalizi che Le ricambio con tanto ritardo! Sono stato ora un po' indisposto ora un po' stanco e così ho tardato sino ad ora.
Ricordo con vivo affetto le poche ore che trascorremmo insieme,- poche ma sufficienti per fondare una grande amicizia; quella che Dio stesso fonda per avviare le ani me - unite -nella strada della perfezione. Perché una cosa èvera: nessun evento, anche minimo, nella nostra vita è staccato da questa mirabile finalità d'amore che il Signore persegue per ciascuno di noi.
Che il Signore, dunque, ci conceda di camminare con ritmo vivo in questa via dolce e difficoltosa che sale verso la cima della bontà e della luce! E che nel nostro cuore, man mano reso sempre più libero dalle creature e da noi stessi, si accenda quel calore vitale che lo Spirito Santo dona ad ogni anima aperta verso il Cielo!
La realtà profonda del cristianesimo è qui, in questo commercio reale stabilito fra l'uomo e Dio e questo commercio è tutto interiore: Regnum Dei intra vos est. E' in questa progressiva elevazione dell'anima al suo Signore il trionfo della vita eterna in noi. A questo fine lo strumento indispensabile per operare è l'orazione.- orazione che unisce a Dio; che dispone l'anima ad accogliere con amore Cristo che viene sacramentalmente in noi.
Efficacissima è pure la devozione viva a Maria, Mentre oggi si lotta tanto, è bene riaffermare la divina validità di questi mezzi soprannaturali.
Le auguro ogni bene del cuore e la prego di ricordarmi al Signore
aff. mo La Pira


NOTE
Avvertenza. Per gli autori citati in nota si è adottato il seguente criterio: nella prima citazione si riportano per esteso il nome e il cognome, dalla seconda in poi solo il cognome preceduto dalla lettera iniziale del nome.
1) Cfr. CARLO BETOCCHI, Poesia di Comi, "Il Frontespizio" (d'ora in poi citato nel testo senza articolo e in nota con la sigla FR), a. VI, n. 5, maggio 1934, p. 15. Betocchi, dal 1933 al 1936 si era assunto "l'oneroso e ingrato compito di controllare mensilmente lo stato di salute della lirica italiana", cfr. GIUSEPPE LANGELLA, Betocchi fra frontespiziani ed ermetici, in AA.VV., Carlo Betocchi - atti del convegno di studi Firenze 30-31 ottobre 1987 (d'ora in poi con sigla CBACS), a cura di Luigina Stefani, Firenze, Le lettere, 1990, p. 116. Era Betocchi "il critico di poesia [ ... ] che sceglieva i collaboratori, invitava gli altri poeti e li commentava", cfr. MARIO LUZI, Anni di Betocchi, in CBACS, p. 18. La "schedatura" dette vita a una rubrica periodica che prese il titolo di Lettura di poeti. Ivi l'articolo su Comi.
2) Ibidem. Il riferimento è alle liriche Mistero, Eternità, La Grazia.
3) Ibidem.
4) Cfr. ORESTE MACRI', Studio biografico critico, premessa a LUIGI FALLACARA, Poesie (1914-1963), Ravenna, Longo, 1986, p. 18 e DONATO VALLI, Assaggi di poetica contemporanea, Cavallino, Capone, 1990, p. 84 (il sodalizio Comi-Fallacara, pp. 81 -101).
5) Su queste componenti, sulle "lingue" interdiscorsive, sull'influenza vociana, sui contesti dell'attività letteraria di Comi per gli anni 1912-'21 cfr. MARINELLA CANTELMO, Girolamo Comi prosatore dalle fonti intertestuali alle "lingue" interdiscorsive, Cavallino, Capone, 1990 ("Comi era già, fin dai primi anni Venti, un lettore di Nietzsche" p. 137; "Le letture nietzscheane di Comi [ ... ] sono documentate da [ ... ] Miniere" p. 138, nota 127. Passim altri riferimenti). Si veda, inoltre, D. VALLI, Profilo di Girolamo Comi, (già in ID., Anarchia e misticismo nella poesia italiana del primo Novecento, Lecce, Milella, 1973) e Preistoria di Comi (già in "L'Albero" XXIV, n. 55, 1976) in ID., Girolamo Comi, Lecce, Milella, 1977, rispettivamente alle pp. 9-32 e 35-77. Sulla poesia di Comi, oltre a D. VALLI, op. cit. (La poesia di Comi, pp. 81-118) si vedano, almeno, O. MACRI', Verbo e tecnica nella poesia di Girolamo Comi, in Realtà del Simbolo, Firenze, Vallecchi, 1968, pp. 33-71 (già in "Letterature moderne", LX, 1959, pp. 729-760 col titolo Introduzione alla poesia di G. C.) e MICHELE TONDO, Girolamo Comi, vol. III de "I Contemporanei", Milano, Marzorati, 1969, pp. 143-159.
6) Cfr. C. BETOCCHI, "Il Frontespizio", in "Terzo programma", 1966, 4, p. 280. Sulla storia e sul carattere della rivista si vedano anche AUGUSTO HERMET, La ventura delle riviste, Firenze, Vallecchi, 1941, p. 382 ss.; LUIGI FALLACARA, introduzione a Il Frontespizio 1829/38 antologia a cura di L.F., Roma, Landi, 1961, pp. 9-18 (d'ora in poi con sigla AFR); GIORGIO LUTI, Cronache letterarie tra le due guerre 1920/1940, Bari, Laterza, 1962, pp. 20-21; RICCARDO SCRIVANO, "Il Frontespizio", in Riviste, scrittori e critici del Novecento, Firenze, Sansoni, 1965, p. 66 ss.; FRANCESCO MATTESINI, Curiosità di una rivista "stracittadina", in Occasioni di lettura, Milano, Soc. ed. Vita e pensiero, 1968, pp. 211-220 utile per i riferimenti al francescanesimo che ispira i primi quattro anni della rivista: "[…] i Papini, i Giuliotti, i Bargellini erano familiari ai nostri conventi [ ... ]. Sentivamo che la loro anima era francescana. San Francesco entra così nella loro vita, non rimane sulla superficie [ ... ]. "Il Frontespizio" ospita nelle sue pagine vivaci tutto ciò che si riferisce alle cose francescane", pp. 212-213; SILVIO RAMAT, Ambiguità del "Frontespizio", in La pianta della poesia, Firenze, Vallecchi, 1972, pp. 216-232. Si legge, a p. 221, "[ ... ] una data essenziale è quella del 1937, quando il saggio di Macrì su Girolamo Comi poeta cristiano immette con forza il linguaggio ermetico [ ... ] nell'ambiente della rivista", si tratta di un lapsus di Ramat: non di Comi ma di Cardarelli si tratta (cfr. O. MACRI', Poesie di Cardarelli in AFR, pp. 427-439); C. BETOCCHI, "Il Frontespizio" come sotterranea e prospettica storia di una stagione poetica, in "L'Albero", XXIX, 60, 1978, pp. 35-49; STEFANO CRESPI, "Il Frontespizio" cinquant'anni dopo: temi e figure, in " Otto/ Novecento", III, 5/6, set.-dic. 1979, pp. 137-183. Riferimenti a Comi alle pp. 164 e 168; G. LANGELLA, Betocchi ecc. cit. passim.
7) Sull'"aggressiva veemenza" estremistica del Giuliotti dell'Ora di Barabba (già fondatore con Tozzi de "La torre") e del Papini della Storia di Cristo cfr. C. BETOCCHI, "Il Frontespizio" cit., p. 281. Ibidem (p. 282) l'invito di Ireneo Speranza (pseudonimo di G. De Luca) all'impegno dei cattolici scrittori (e non degli scrittori cattolici) a "rendersi conto di tutto, vagliare, chiarire e dominare" per "uscir di vigliaccheria e seguire le fortune e sfortune della loro fede in opere d'invenzione o di poesia [ ... ], di polemica o di contemplazione, dovunque e sempre".
8) Cfr. PIERO BARGELLINI, Il gorilla cattolico, in AFR (FR, febbraio 1932), pp. 109-119.
9) Per le "derivazioni" del Decadentismo da Schopenhouer si veda almeno WALTER BINNI, La poetica del Decadentismo italiano, Firenze, Sansoni, 1962, pp. 5-7.
10) Sulle anticipazioni leopardiane del Novecento cfr. soprattutto EMANUELE SEVERINO, Il nulla e la poesia alla fine dell'età della tecnica: Leopardi, Milano, Rizzoli, 1990, passim e, in particolare, p. 21. Si vedano anche LUIGI DE NARDIS, introd. a C. BAUDELAIRE, I fiori del male a cura di L.d.N., Milano, Feltrinelli, 1971, p. 10, oltreché MARIO LUZI, Vicissitudini e forma, in FR, XI, 1937, n. 9, p. 662 ss. (Luzi indicava come la "legge più intima dell'ispirazione [ ... ] la distanza" che in Leopardi fa tutt'uno con il vago, l'indefinito, il remoto e riconosceva al Recanatese il primato nell'aver trattato "come musica" le "occasioni e i fatti" inaugurando la tendenza al canto che egli invocava per la poesia pura. Lo stesso Luzi istituisce un parallelo fra Leopardi e Baudelaire in Note sulla poesia italiana (1937), in AFR., p. 386. Segnalo ancora G. LANGELLA, Betocchi ecc. cit., p. 139: "Il problema ontologico si risolve in una formula interrogativa, tra Leopardi e Montale, sulle ragioni del mondo".
11) Cfr. C. BETOCCHI, Ibidem, p. 284,
12) La distinzione è di HERMET, op. cit.
13) La dicotomia destra-sinistra è un conio di Fallacara che ben focalizza la diversità ideologica fra le due anime frontespiziane, cfr. Introduzione ecc. cit., p. 14. Circa il dimensionamento generazionale dell'ermetismo cfr. O. MACRI', Le generazioni della poesia italiana del Novecento, in " Paragone/ Letteratura ", n. 42, giugno 1953, poi col titolo Risultanze del metodo delle generazioni in ID., Caratteri e figure della poesia italiana contemporanea, Firenze, Vallecchi, 1956, pp. 75-89: prima generazione, nata fra il 1883 e il 1890 quella del "lirismo nuovo", seconda, nata fra il 1894 e il 1901, della "poesia pura", terza, nata fra il 1906 e il 1914, quella dell'ermetismo storico e di matrice frontespiziana.
14) "Bo e Bargellini diventarono ben presto i due rappresentanti di due correnti diverse: Bargellini con Papini e Giuliotti (e in certo qual modo anche La Pira) sarà la destra del movimento, Bo, con i suoi amici che entreranno più tardi (1935), Luzi, Macrí, Parronchi, Traverso, e specialmente Luzi e Macrí, rappresenterà l'estrema sinistra", cfr. L. FALLACARA, ibidem. Fu lo stesso Bo, tuttavia, a ridimensionare l'opinione di un Bargellini oppositore dell'ermetismo e a rendergli atto di un'apertura conciliante verso la fronda ermetica: "Non metterei Bargellini fra gli oppositori della letteratura nuova, al contrario lo porrei fra coloro che hanno permesso il rinnovamento dell'ermetismo. E' sulla sua rivista che sono apparsi per la prima volta i poeti della seconda generazione [ ... ]. Posizione tanto più meritoria in quanto non sempre Bargellini poteva trovare un punto di equilibrio fra la sua formazione e una letteratura che per gran parte veniva dalla Francia", cfr. C. BO, recensione a G. LUTI, op. cit., in "L'Europeo" del 19 maggio 1966. Sulla malinconia di Bargellini in ordine all'evoluzione del "Frontespizio" cfr. P. BARGELLINI, Per morte scampata, in AFR, pp. 524-528.
15) GIROLAMO COMI, Necessità dello stato poetico, Roma, ed. "Al tempo della Fortuna", 1934. Comi ne aveva inviato copia a Betocchi dopo che apparve la citata recensione (cfr. n. 1 ).
16) Le lettere di Betocchi a Comi, utilizzate in questa sede, sono custodite nell'archivio storico di casa Comi in Lucugnano (Lecce).
17) G. COMI, Commento a qualche pensiero di Pascal, Tricase, Raeli, 1933.
18) Lettera del 25 aprile 1935.
19) G. COMI, Aristocrazia del Cattolicesimo, Modena, Guanda, 1937.
20) Nella biblioteca di Comi sono presenti tutti i numeri del "Frontespizio" a partire dal 1934, segno della costante attenzione del Nostro ai contenuti della rivista.
21) Cfr. Aristocrazia ecc., cit., p. 11.
22) Cfr. nota 8.
23) Cfr. lettera di Betocchi del 3 giugno 1934: "vedo un uomo del quale posso sperare che mi sarà, e ben presto anche, maestro di Fede".
24) G. COMI, Cantico dell'argilla e del sangue, Roma, "Al tempo della Fortuna", 1933.
25) E' Roberto Papi.
26) Cfr. lettera di Bargellini del 3 luglio 1935. Le lettere di Bargellini a Comi sono dieci: del 3.7.'35, del 29.8.'35, del 11.11.'35, del 27.3.'37, del 28,7,'49, del 16.12.53 (tra l'altro vi si legge: "Ora c'è qui a Firenze anche Macrí, preside, che vuole da me le migliorie della scuola"), del 5.7.'54, del 23.12.'55, del 7.7.'56, del 19.8.'58.
27) Lettera del 29 agosto 1935.
28) Cfr. AFR, p. 301. Poi in Cantico del Creato (Cfr. Spirito d'Armonia, in G.C. Opera poetica a cura di Donato Valli, Ravenna, Longo, 1977, pp. 71-72).
29) G. COMI, Diario essenziale, in FR. VIII, 1, gennaio 1936 e in AFR, pp. 321-322.
30) Bargellini espresse a Comi il suo compiacimento nella lettera del 27 marzo 1937.
31) G. COMI, Monopolio della tradizione, in FR, IX, 4, aprile 1937, pp. 291-292.
32) "Il Frontespizio" chiuse, nel 1938, la sua prima stagione cui seguì una seconda, breve e difficile, (1938-'40) che non valse a perpetuarne la vicenda. Sulla ripresa del periodico cfr. P. BARGELLINI, Per morte scampata, in AFR., pp. 524-28. Ivi la polemica con Bo. Vi si legge, fra l'altro, la volontà di continuare per istanza dei collaboratori, degli abbonati, dei lettori: "Per far morire il "Frontespizio" mi ci sarebbe voluto più fatica che a farlo vivere", ibidem, p. 527.
33) Scil. nuova serie.
34) Lettera di Luigi Fallacara a Comi (23 aprile 1939). Sul sodalizio fra i due poeti pugliesi e sulla collaborazione di Fallacara al "Frontespizio" cfr. D. VALLI, Assaggi ecc., cit., pp. 88-91.
35) Ibidem.
36) Cfr. G. LANGELLA, Betocchi ecc., cit., passim.
37) G. COMI, Poesia e conoscenza, Roma, "Al tempo della Fortuna", 1932, p. 13.
38) Ibidem, p. 14.
39) Ibidem, p. 29.
40) Cfr. E. SEVERINO, op. cit. e W. BINNI, Pensiero e Poesia nell'ultimo Leopardi, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1989.
41) Poesia ecc., cit., pp. 30-31.
42) lbidem, p. 38.
43) Ibidem, pp. 44-45.
44) Cfr. G. COMI, Stato di grazia poetico e stato di grazia spirituale, in "L'Albero" (d'ora in poi con sigla AL), 1949, I, pp. 10-20.
45) Cfr. LUIGI BALDACCI, introduzione a C. BETOCCHI, Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1984, passim. In particolare p. 17: "dalla figura e dalla creatura egli è asceso alla contemplazione diretta dell'Essere che è al di sopra dei fenomeni. Si è spogliato di tutto, e in questo consiste l'umiltà. Il suo è stato indubbiamente un percorso mistico, un itinerarium mentis in Deum". Identico sarà il cammino, nella poesia e nella vita, di Girolamo Comi. Si veda anche, in ordine al rapporto Poesia-Creazione in Betocchi, O. MACRI', Della grazia sensibile, in ID., Esemplari del sentimento poetico contemporaneo, Firenze, Vallecchi, 1941, primo fra i saggi che lo studioso magliese- fiorentino ha dedicato a Betocchi. Il più recente, ID., Studi betocchiani, in CBACS, pp. 279-314. Ivi una ripresa dei tema della "Grazia sensibile".
46) Cfr. GIOVANNI BOCCACCIO, Trattatello in laude di Dante, in Tutte le opere di G.B., ed. P.G. RICCI, Milano, Mondadori, 1974, pp. 471-476 e 516-522. L'identità poesia-teologia era derivata al Boccaccio dal Petrarca (ibidem).
47) Cfr. JACQUES MARITAIN, De la connaissance poétique, in Situation de la poesie, in Jacques e Raissa MARITAIN, Oeuvres complètes, Paris, Universitaires-Saint Paul, VI, 1984, p. 864,- si veda ancora J. MARITAIN, Le mystère du monde, in Humanisme intégral, Paris, Aubier, 1937, p. 137. la pagina citato è ampiamente postillato e sottolineata da Comi: il volume da cui cito è, infatti, nella biblioteca del poeta in Lucugnano. Della "frequentazione" di Maritain da parte del lettore-Comi fanno fede i segg. voll. che figurano, in Lucugnano, fra i libri indubbiamente più cari al poeta salentino: J. MARITAIN, Art et scolastique, Paris, 1927; ID., De la philosophie chrétienne, Paris, 1933; ID., Humanisme intégral, Paris, 1937; ID., Le docteurAngélique, Paris, 1930; ID., Les droits de l'homme et la loi naturelle, S.L., 1942; ID., Questions de conscience, Paris, 1939; ID., Trois réformateurs: Luther-Descartes-Rousseau, Paris, 1927 (a p. 1 Comi annotava: Lu avec joie le 12.13.14 Juillet 1934 Lucugnano); ID., il pensiero di San Paolo. Testi scelti e presentati da J. M., trad. di Teresio Marchi, Torino, Borla, 1964.
Si può agevolmente osservare che la presenza di opere maritainiane (in tutte ampie tracce di lettura) nella biblioteca di Comi data già dal 1927 e si infittisce negli anni Trenta; riguarda, dunque, gli anni a ridosso della conversione e quelli immediatamente successivi, gli anni "frontespiziani" per intenderci, fatto eccezione per l'ultimo dei volumi citati che è del 1964. Comi leggeva direttamente in francese per via della perfetta conoscenza di quella lingua che, come è noto, apprese e padroneggiò nel soggiorno parigino (1912-'15). Su questo periodo cfr. D. VALLI, Datario comiano, in G. C., Opera ecc. cit., p. 458 e M. CANTELMO, op. cit., pp. 21-31. lbidem, pp. 185-243 i testi in francese di Vedute e Riposi.
48) Cfr. G. LANGELLA, Betocchi ecc. cit., p. 108: "Del resto, tutta la zona del manifesto di Bo che culmina nel riconoscimento del valore ontologico dell'arte è il frutto di un abile montaggio di spunti maritainiani".
49) Cfr. C. BO, Letteratura come vita, in AFR, p. 511. Bo, comunque, indicava al lettore la derivazione di questa sua tesi da J. e R. Maritain alludendo loro chiaramente: "due spiriti indispensabili non è molto ce l'hanno ricordato", ibidem.
50) G. COMI, Poesia e conoscenza, cit., p. 14. Cfr. anche ID., Aristocrazia ecc., cit., pp. 38-39: ivi esplicito richiamo a Maritain (Science et sagesse).
51) Letteratura come vita, ibidem.
52) Su questi autori e in particolare su Gide, Claudel, Gourmont, Mallarmé, Rimbaud, Verhaeren cfr., relativamente a Comi, D. VALLI, Girolamo Comi, cit., passim e lo stesso G. COMI, Piccole note intorno a un grande dramma (André Gide), in AL, V, n. 13-16, 1952, pp. 86-93. Cfr. anche M. CANTELMO, op. cit., pp. 22-23 e n. 11 pp. 25-26. Su Claudel, Bo scrisse in più occasioni; qui si segnala C. BO, Meditazione su Claudel, in "Letteratura", I, 1937, 1, p. 118 ss.
53) G. LANGELLA, ibidem, p. 138.
54) Sul paraermetismo di Comi, Fallacara, Betocchi, Vigolo e altri cfr. D. VALLI, Contributo di una generazione, in AA. VV, Letteratura italiana contemporanea, Roma, Lucarini, 1980, pp. 260-325.
55) G. COMI, Aristocrazia ecc., cit., p. 27.
56) Ibidem, p. 46.
57) Ibidem, p. 31.
58) Su questo tema Comi tornerò, coniugando l'avversione sia a Marx che a Nietzsche, con l'articolo Due maestri della "disintegrazione": Marx e Nietzsche, in "La Fiera letteraria" del 24 dicembre 1961 in cui riprende alcuni aspetti del precedente Nietzsche e Marx (concordanze e divergenze), "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 23 maggio 1959.
59) Cfr. G. COMI, Lettere all'Antagonista, in AL, X, n. 30-33, gennaio 1957-giugno 1958, pp. 50-79; ID., Aspetti del fatto di Prato, Ragioni e diritti della Chiesa, in "Il Critone" (d'ora in poi con sigla CR), III, gennaio-febbraio 1958, p. 6, ID., Diario per "L'Albero", in AL, XI, n. 34-35, 1960, pp. 81-97 e in AL, XIII, n. 41-44, pp. 133-148.
60) L. BALDACCI, Introduzione ecc., cit., p. 12.
61 ) Per questa definizione cfr. G. LANGELLA, Betocchi ecc. cit., pp. 107-134.
62) C. BO, Letteratura ecc., cit., p. 51 l.
63) O. MACRI', Esemplari ecc., cit. Anche se non propriamente a carattere sistematico, l'opera, che si innesta sul tronco di una matrice vichiana, può considerarsi la Bibbia della critica ermetica.
64) Cfr. Aristocrazia ecc., cit., pp. 25, 38, 39, 42, 43, 55, 111, 113 (ove compare un passo di Art et Scolastique dallo stesso Comi tradotto e inerente al rapporto Arte-Grazia), 117, 120. Passim i richiami a S. Tommaso.
65) Sull'influenza che CHARLES DU BOS (1883-1939), con Vie et littérature ("Etudes", 5 gennaio 1936, pp. 25-35), esercitò sul critico ligure cfr. lo stesso C. BO, Diario aperto e chiuso (1932-1944), Milano, ed. Di Uomo, 1945, pp. 131-134 e 292-297.
66) Cfr. Letteratura ecc., cit., in CFR, p. 511.
67) Cfr. nota 38.
68) Cfr. Aristocrazia ecc., cit., p. 13.
69) Ibidem, p. 24 s.
70) Cfr. G. COMI, Cantico del creato (1934-'38), in Opera poetica cit., pp. 63-74, in particolare la lirica eponima della raccolta ("Tu sei lo stesso Signore"), pp. 68-70.
71) Mio il corsivo.
72) Aristocrazia ecc., pp. 28-29.
73) Cfr. AFR, p. 321.
74) G. COMI, Spirito d'armonia (1939-1952), in Opera poetica, cit., pp. 80-88.
75) Cfr. AFR, pp. 388-392.
76) C. BETOCCHI, Della letteratura e della vita, in AFR, p. 496.
77) Cfr. "Letteratura", n. 7, 1938, p. 180 s.
78) C. BETOCCHI, Della letteratura ecc., cit., p. 490 s.
79) Ibidem.
80) Cfr. C. BO, Riconoscenza della poesia, in FR, VI, n. 1, pp. 9-10.
81) ID., Letteratura ecc., p. 51l. Sul rapporto Du Bos-Bo cfr. G. LANGELLA, Betocchi ecc., cit., pp. 108-114 in particolare ove si afferma, fra l'altro, che "il manifesto ermetico aderisce al suo palinsesto [DU BOS, Vie ecc., cit.] fin nei simboli e nelle parole" e si produce una collazione fra i due testi, quello di Du Bos citato e quello di Bo (Letteratura come vita) da cui emerge "l'entità, ma anche l'intelligenza del trapianto" (p. 112, nota 35). Vi si legge, ancora, che "era naturale che [ ... ] il leader dell'ermetismo si appoggiasse a un critico come Du Bos che godeva di un prestigio straordinario nei cenacoli letterari di Firenze" (p. 114). Il riferimento è, ovviamente, al caffé delle "Giubbe rosse".
82) Sul betocchiano tema della "grazia sensibile" cfr. il recentissimo e già citato saggio di O. MACRI', Studi ecc., in CBACS, pp. 279-314. Ivi la "teopoiesi dell'ultimo Betocchi" (pp. 282-300). Di MACRI' si veda anche Studio archetipico-testuale sulle "seconde" poesie di Betocchi con un risguardo alle "prime", in "Antologia Vieusseux", a. XVI, n. 1-2, giugno 1981. Per uno studio delle dinamiche avantestuali e paratestuali della poesia di Betocchi cfr. LUIGINA STEFANI, (a cura di), Carlo Betocchi dal sogno alla nuda parola, Firenze, Gabinetto Vieusseux ed altri, 1987. Sull'"ontologismo oggettivistico" di Betocchi si veda G. LANGELLA, Betocchi ecc., cit., p. 115: "Ma le scansioni più limpide di questa [frontespiziana] comune fiducia nelle risorse ontologiche della poesia si devono sicuramente a Betocchi" e, mi sia consentito aggiungere, a Comi.
83) Cfr. G. LANGELLA, ibidem, p. 117.
84) Ibidem.
85) Su questi aspetti del misticismo di Comi, mi sia consentito rinviare al mio Girolamo Comi fra teologia e misticismo, in "Nuovi orientamenti oggi", XIX, 1988.
86) Non propriamente di silenzio di sé si può parlare per l'ultimo Comi che guarderà in se stesso e rivelerà, ad esempio, il dramma (spirito-materia) che lo devasta (cfr. Sogno, in Spirito d'Armonia, cit.: "Dalla terrestrità che mi devasta / succhiare il soffio dell'aurora prima / fino a spogliarmi della carne guasta" ecc. (in quell'aurora prima la metafora della natale innocenza) o canterà la propria vecchiezza come l'"essenza della gioventù futura" in Canto per Eva.
87) Cfr. LUCIANO DE ROSA, recensione a C. BETOCCHI, Il vetturale di Cosenza ovvero Viaggio meridionale, Quaderni del Critone, Lecce, 1959, in AL, fasc. XI, n. 34-35, 1960, p. 106. Sulle relazioni storico-letterarie fra Salento e cultura nazionale dal Rinascimento al Novecento cfr. MARIO MARTI, Dalla Regione per la Nazione analisi di reperti letterari salentini, Napoli, Morano, 1987.
88) Ne ho fatto cenno, passim, nelle precedenti puntate di Asterischi comiani, sulle pagine di questa stessa rivista. Giova tuttavia segnalare, a ulteriore riprova dell'acceso dibattito che caratterizzò la cultura salentina degli anni Cinquanta, l'editoriale de "L'Esperienza poetica", a. III, 1956: "[ ... ] le discussioni suscitate attestano l'avvenuta rottura di quell'immobile fronte della poesia e della critica che esisteva al momento in cui l'E.P. sorse [1954]: da un lato quelli che, senza senso storico, sostenevano che la poesia s'era fermata al '43: dall'altro gli ideologi, astratti nel loro politico programma di realismo artistico [ ... ]. Alla rottura del falso dilemma [ ... ] e alla riapertura del vivo flutto del cammino dialettico della poesia e della letteratura, l'E.P. ha dato il primo serio contributo". L'editoriale mi risulta che fu scritto da Luciano De Rosa.
89) Su questo carattere si vedano almeno le già citate opere di VALLI, BONEA e MARTINA, ma anche FRANCESCO LALA, Letture salentine. Narratori, poeti e critici dall'Ottocento ai nostri giorni, Cavallino, Capone, 1979.
90) Cfr. L. DE ROSA, ibidem.
91) Lettera del 18 dic. 1960 a Luciano De Rosa che vivamente ringrazio per avermi dato facoltà di pubblicarla.
92) Il riferimento è a Realtà vince il sogno (1932).
93) Cfr. G. COMI, Stato di grazia ecc., cit. p. 18.
94) Lettera del 11 settembre 1950.
95) Cfr. C. BETOCCHI, La poesia di Clemente Rebora, in AL, fasc. III, 1950, pp. 5-10.
96) Ibidem, p. 6.
97) Campana e Rebora erano stati già al centro dell'attenzione di Betocchi nel 1937, allorché egli individuò due direttrici del Novecento italiano che diramavano l'una dal poeta dei Canti orfici (1914), l'altra dal poeta dei Frammenti lirici (1913): dal primo germogliava l'"orfismo fiorito", dal secondo una "corrente più forte e di più sicuro avvenire", cfr. C. BETOCCHI, Su Clemente Rebora, in FR, 1937, in AFR, pp. 373-381.
98) ID., La poesia ecc., cit., p. 7.
99) Cfr C. BO, introduzione a C. BETOCCHI, Poesie scelte, a cura di C. Bo, Milano, Mondadori, 1978, p. 10.
100) Cfr. FERRUCCIO ULIVI, Classicismo di Campana, in AL, 13-16, 1952.
101) Cfr. O. MACRI', Pagine di un diario, ivi.
102) Cfr. G. COMI, Piccole note intorno a un gronde dramma, ivi.
103) AL, n. 17-18, 1953, p. 17.
104) Cfr. n. 87.
105) Dedicato a Oreste Macrí nell'edizione C. B., Tutte le poesie ecc., cit., pp. 255-273.
106) Cfr. L. BALDACCI, introd. a C.B. Tutte le poesie, cit., p. 16.
107) Cfr. C. BO, introduzione ecc., cit., ibidem. Fra le numerose "etichette" date al poeta, segnalo quelle di Luzi ("poesia del sensibile" che ricalca la formula macriana "della grazia sensibile"), Zanzotto ("poeta dei tetti"), Albisani ("poeta rabdomante").
108) Cfr. Il vetturale ecc., cit., Treno notturno ecc., p. 11.
109) Cfr. C. BETOCCHI, A proposito dell'amico Cavani, in AL, gennaio-giugno 1958, n. 30-33, pp. 43-49.
110) Lettera del 14 dicembre 1953.
111) ARTURO ONOFRI, Letture poetiche del Pascoli con prefazione di E. CECCHI, Ed. de "L'Albero", 1953.
112) Lettera cit., n. 110.
113) Pagano curò l'appendice bibliografica a Spirito d'Armonia. A p. 161 una
breve scheda sulla recensione betocchiana del 1934.
114) Cfr. nota 1.
115) L'articolo apparve sul "Popolo" il 15 ottobre 1954 col titolo Spirito d'Armonia cui seguì Incontro con il poeta Comi (su Canto per Eva) il 27 novembre 1958.
116) Cfr. lettera di Bargellini a Comi del 7 luglio 1956.
117) Lettera del 3 gennaio 1955.
118) Lettera di Betocchi a Comi del 4 agosto 1956.
119) Quanto sopra è ricavato dalle lettere dotate 18 novembre '56, 7 dicembre '56, 14 dicembre '56, 26 dicembre '56, 18 aprile '57, 24 giugno '57, 12 agosto '57, 3 settembre '57, 30 settembre '57.
120) Cfr. lettera del 18 aprile 1957.
121) Ibidem.
122) Cfr. nota 6.
123) Lettera del 20 dicembre 1957.
124) Lettera del 4 ottobre 1958.
125) In Piccolo idillio ecc., cit., v. 12.
126) Lettera dei 29 agosto 1961.
127) Cfr. lettera di Betocchi a Pagano del 27 maggio 1957.
128) Cfr. C. BETOCCHI, L'esempio di Papini, in CR, I, n. 5-6, agosto-settembre, 1956, pp. 6-7.
129) Cfr. ID., Per la benedizione della lapide sulla casa di Domenico Giuliotti, in CR, II, n. 1-2, gennaio-febbraio 1957, pp. 6-7.
130) Lettera del 8 dicembre 1956. Cfr. GIORGIO CAPRONI, La mia amicizia con Betocchi, in CBACS, pp. 101 - 102.
131) Si veda, a proposito, il mio Lettere inedite di G. Caproni a G. Comi in
"Sudpuglia", 1, marzo 1991.
132) Si tratta di un sonetto giocoso. Qui si riporta solo la prima quartina. E' in CBACS, ibidem.
133) In CR, II, n. 4, aprile 1957, p. 5, poi in C.B., Tutte le poesie, cit., pp. 280-282.
134) In CR, II, n. 10 - 11, novembre-dicem6re 1957, p. 6, poi in C. B., ibidem, p. 301.
135) Cfr. C. BETOCCHI, Viaggio meridionale, in CR, IV, n. 1-2 gennaio-febbraio 1959, poi col titolo segnalato in nota 87, quindi in L'estate di S. Martino (1961). Cfr. anche C.B., Tutte le poesie, cit., pp. 257-273.
136) Tre liriche, Sosta laziale, Stando con donne che cavano la ghiaia da un fiume in
Ciociaria, Sugli Aurunci, in CR, V, n. 9-10, settembre-ottobre 1960, p. 5, poi ne Il Vetturale ecc., cit., dell'edizione Tutte le poesie, cit.
137) Sulla rivista in parola dedicarono interventi critici inerenti a Betocchi F. ULIVI, Festa alla poesia (elogio a Betocchi), in CR, IV, 1-2, gennaio-febbraio 1959, p. 6; L. FALLACARA, Prose di Carlo Betocchi, in CR, VI, n. 5-6, maggio-giugno 1959, p. 9; ENZO PANAREO, La poesia di Betocchi, in CR, VI, n. 10 - 11 - 12, ottobre-dicembre 1961, p. 5.
Per completare l'informazione bibliografica circa la produzione critica maturata intorno a Betocchi sulle riviste salentine, nel periodo '41 - '66, segnalo: GIACINTO SPAGNOLETTI, A Carlo Betocchi, in due tempi: vita e letteratura, in "Libera voce" del 24 maggio 1947, a. V, n. 16, pp. 2-4 e ID., La poesia di Betocchi, in "Libera voce" del 28 giugno 1947, V, n. 20, p, 3.
138) Ringrazio la gentile signora per avermi dato facoltà di pubblicarle.


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