a)
Nell'area de "Il Frontespizio", fra gli ermetici.
Era stato Carlo Betocchi colui che per primo aveva vagliato la poesia
di Comi, dopo il suo approdo al cattolicesimo (1933), con un articolo
apparso sul "Frontespizio" (1) che in quegli anni rappresentava
la dogana della cultura cattolica in Italia. E il doganiere Betocchi
non aveva promosso a pieni voti il neofita Comi: se, infatti, ne riconosceva
il valore in ordine ad alcune liriche "nelle quali sembra che il
suo cuore sia stato toccato da un raggio di viva luce" (2), sicché
vi ravvisava "qualcosa che si aggiunge all'intelligenza [ ... ]
e che trasforma un intellettuale (anche altissimo) in un poeta"
(3), ne stigmatizzava tuttavia l'"orgogliosa tristezza", il
"basso sensismo", l'"eretico tentativo di immedesimare
materia e spirito" e, soprattutto, l'assenza di una umiltà
fraterna che era poi il lievito di Realtà vince il sogno (1932)
insieme con quell'aura di strapaese che connotava i primi vagiti della
rivista fiorentina. Difficile, dunque, e in odore di eresia il primo
approccio di Comi con l'area frontespiziana. Pesavano sul poeta le ipoteche
di orfismo panico, di sensualismo estetizzante, di terrestrità
voluttuosa, di superomismo anarchico che avevano timbrato i caratteri
della sua prima stagione (1912-21), fusi poi con quelle vertigini immanentistiche
di una "gnosi cosmogonica" (4) che, negli anni Venti, il salentino
aveva condiviso con Onofri e Fallacara. Eppure l'arca frontespiziana,
in grazia anche dell'influenza di Betocchi, finì col rappresentare
un polo orientativo per la riflessione comiana fino a diventarne il
contesto o, se si vuole, una sorta di ubi consistam alla cui boa ormeggiare
il battello della poesia e della teoresi dopo le ebbrezze delle suggestioni
simbolistico-vociane e di matrice gidiana e nietzscheana (5). Non poteva,
il "Frontespizio", accettare optimo iure un adepto con quei
trascorsi: si opponevano, fino a quando Carlo Bo non fece sentire più
forte la sua influenza che data dal 1934 al 1938, sia la natura arcigna
dell'originario spirito di realismo cattolico, di strapaese, di disciplina
umana e di religiosa obbedienza che aveva riunito intorno a don Giuseppe
De Luca, sulla scia del "Calendario", Bargellini, Betocchi,
Lisi, Parigi ("avvertivano infatti d'aver in comune una decisa
vocazione spirituale da cui riaffiorava [ ... ] e vigoreggiava nei loro
animi, in modo tutt'altro che vago e impreciso, la fede che avevano
ricevuto dalle loro famiglie") (6) sia l'austera, polemica intransigenza
dei drudi Papini e Giuliotti (7), dimidiati fra rigorismo scolastico
e crociata contro l'immanentismo idealistico e attualistico di Croce
e Gentile (alla polemica anticrociana dette il suo contributo anche
Bargellini) (8). La stessa opposizione a "La Ronda" nasceva,
nei frontespiziani della prima ora, dall'insoddisfacente richiamo rondesco
alla restaurazione nel solo nome di quell'alto riserbo sotteso alla
dignità formale e stilistica. Più forte dei "purismi
esagerati" era infatti l'esigenza cattolica di ancorare alla dottrina
cristiana gnosi e poesia, sicché la vicenda dei cicli naturali,
delle campagne, dei paesi, acquistava più peso e valore della
letteratura e, comunque, di quella poesia pura che oltrepassava il dato
reale per proiettarsi jenseit der Dinge ("de tout ce qui est au
delà" secondo la formula di Baudelaire) lungo il solco già
tracciato da Schopenhauer (9) in Die Welt als Wille und Vorstellung
e dal Leopardi del Copernico ("la scienza non ci rivela un'acca")
se non dell'Infinito, il più remoto, nebuloso dilucolo (10),
sul piano tematico, delle illuminazioni di Rimbaud.
E puntuale si levò il "plorato" di Bargellini allorché,
auspice Bo, dal 1934, ma in realtà già dal '31 col trasferimento
dalla "Fiorentina" e dalla bargelliniana sede di via Proconsole
alle stanze assolate e grandi di Vallecchi (11), la letteratura più
marcatamente seduceva il Trontespizìo" e se ne profilavano
sia le nuove e non più anguste frontiere sia le prime avvisaglie
della polemica
fra gli "anziani chiari" e i "giovani oscuri" (12)
che avrebbero rappresentato rispettivamente la destra e la sinistra
(13) del movimento ermetico storico. Bo, da Note su Tolstoi (1931) a
Letteratura come vita (1938), spingeva in direzione agostiniano-pascaliana
l'immobilismo tomistico iniziale di Papini, Giuliotti, La Pira, Bargellini
(14), per giungere, mediante un neo-orfismo epifanico, cristiano, esistenziale,
a quell'angelismo che incrocia nella poesia la verità, ovvero
la sensation d'univers esemplata da Valery. E nel nuovo spirito della
rivista e alla luce della lettura di Necessità dello stato poetico
(15), Betocchi, in una lettera (16) datata 30 giugno 1934, tornava sui
suoi passi emendando e precisando in palinodia il suo giudizio su Comi
dopo aver favorevolmente accennato al comiano commento di Pascal (17):
[ ... ] quelle
pagine sono limpidissime e io ti ringrazio soprattutto per il senso
di profonda verità e commozione col quale tu hai sostenuto
[ ... ] il vero Cristianesimo e per il richiamo del passo di S. Paolo
ai Corinti [ ... ]: avessi conosciuto quest'opuscolo quando ebbi a
parlare della tua poesia!
Non senza aver
prima professato, con lettera del 3 giugno 1934, la sua sorpresa per
la serena e non risentita reazione di Comi
[ ... ] mi attendevo
rimproveri e meritati risentimenti [ ... ]. Bargellini mi diceva -ma
no, vedi che ti ha mandato in dono un libro- questo mentre io aprivo
la busta. Ma chi è di noi che non si sente continuamente in
colpa verso gli altri? [ ... ].
Ma a rivelare
la consonanza di sentimenti e di idee che già univa i due poeti
e ne legittimava il ruolo di contubernali nell'area del "Frontespizio",
concorrono soprattutto altre due lettere di Betocchi a Comi. La prima
è del 15 aprile 1935:
Carissimo Comi,
siamo vicini a Pasqua. Io sento il desiderio di avvicinarmi a te e
di augurarti per primo ogni bene, come ti meriti, dal profondo del
cuore. Caro Comi silenzioso! Non èmolto tempo che ci sporgemmo
insieme dalla finestra di quel mio salotto, guardando Fiesole. Ecco
che per merito di spiriti come il tuo, noi tutti sentiamo quello che
è necessario, quello che èsuperfluo in questo mondo.
Quante vane battaglie, e quanti versi! Io ringrazio Iddio che non
mi concede quasi più di farne. Lavoro pochissimo in quel senso,
ed i miei tentativi sono tutti, o quasi, frustrati dalla mia inabilità.
Ma se io penso alla intensità del credere, che deve essere
la nostra vita, mi sento un altro uomo: tu sei il primo, dunque, al
quale io mando i miei auguri, o caro amico silenzioso. Io mi ricordo
che quella sera, sul tardi, quasi piangendo ci raccontavamo quello
che noi sentivamo di Dio. lo ti prego di ricordarmi nelle tue preghiere
e ti auguro che la celeste pace rallegri e te e la tua famiglia.
Tuo aff.mo
Carlo Betocchi
P.S. Tu tornerai a Firenze, dicesti: sappimi dire in tempo quando
sarà.
Firenze, Via Carnesecchi 23
La seconda, di
pochi giorni seriore (18), è scritta in risposta a una missiva
di Comi che gli annuncia la stesura di Aristocrazia del Cattolicesimo
(19) opera di anamnesi eziologica della conversione del salentino,
nonché di riflessione filosofica e di poetica, che mi sembra
si possa iscrivere nel contesto dello spirito apologetico e tomistico
della corrente frontespiziana di "destra":
Carissimo Comi
rileggo la tua lettera, stasera, piena di tanta sostanza [ ... ].
Tu che ti chiami un poveretto sei un signore, a petto nostro, per
esempio di uno come me che è stato dotato fino dalla nascita
di una sola forza, cioè quella di intendere che la verità
era il Cattolicesimo. E con questo, aggiungo, del senso della nostra
assoluta libertà, possedendo la quale avevo tutti i mezzi per
essere un poeta, se non l'avessi tradita. lo sono da meno di te perché
retrocedo e tu avanzi [ ... ], ma io consumo ancora la gioia di rallegrarmi
vedendoti diventare sempre più umilmente uomo. Aristocrazia
del Cattolicesimo se non sarà un bel libro sarà sempre
un bell'atto di volontà; avrà la debolezza, supponiamo,
delle nostre idee, ebbene, liberatene [ ... ] ed io intendo anche
così la logica contraddizione alla quale giustamente fai cenno,
[ ... ] ma la strada buona è sempre l'unica degna di essere
percorsa ed io lo so.
Scrivimi o fatti vedere.
Tuo C. Betocchi
Sintomatiche della
integrazione frontespiziana (20) di Comi (che chiede l'expedit al
"doganiere" fiorentino), della sua distesa e convinta vocazione
apologetica (21) in conformità con lo spirito della rivista
e del "gorilla" (22) Bargellini, nonché del suo bagno
di umiltà (ne farà professione nell'avvertenza preposta
ad Aristocrazia del Cattolicesimo), queste lettere legittimano due
ipotesi: che Betocchi faccia da mentore a Comi nel cammino verso l'"umanità"
e che, per quegli anni così cruciali nella storia letteraria
del nostro Novecento, non si possa parlare di isolamento del Salentino
se non in senso strettamente geografico e limitatamente al soggiorno
in Lucugnano peraltro meno consueto, in quel tempo, di quello romano
di via di villa Emiliani. Non solo il consenso e gli attestati sempre
più espliciti (23) e insistenti di Betocchi all'indirizzo della
nuova sensibilità di Comi aderente al carattere del "Frontespizio"
o il riferimento alla debolezza-fortezza delle idee che ne connotano,
in ossimoro, la natura dialettica, sibbene il fatto che il fiorentino
espunga l'accusa di "disumanità" del '34, riabilitando
Comi, possono assumersi a segno della convergente sodalità
fra i due poeti nell'area della rivista, ostracizzando ogni residua
riserva. Ne ètestimonianza ulteriore la lettera di Betocchi
del 22 dicembre 1936 in cui l'abiura del primitivo giudizio è
definitiva:
Non dimentico
il nostro primo incontro e [ ... ] la lettera con la quale rispondesti
alla mia lontana, ormai lontana recensione di Cantico dell'argilla
e del sangue (24) [ ... ]. Nell'ultima visita ti trovai più
umano [ ... ]. L'ottimo Papi (25) [ ... ] rivelava nella sua serenità
alcunché di superficiale che tu facendoti più profondamente
uomo [... ] escludevi ormai dal tuo modo di fare e di agire.
Intanto intervenivano
a rafforzare il nodo che legava Comi al Trontespizio" altre voci
contestuali e consentance. Bargellini chiedeva con insistenza al Salentino,
ormai arruolato, "le prose promesse" (26) per la rivista,
reiterando l'invito alla collaborazione (27) dopo che Papi gli aveva
segnalato i temi di Aristocrazia del Cattolicesimo ancora in fase
di stesura. Comi, che sul "Frontespizio" aveva già
pubblicato due liriche, dedicandole a Betocchi, nel 1935 (Pasqua e
Alito primo) (28), spedì una prima prosa (Diario essenziale,
apparve nel gennaio 1936) (29) e poi una seconda (30), Monopolio della
tradizione (31).
Più tardi, Luigi Fallacara, dopo la diaspora della "sinistra"
che alimentò "Campo di Marte" (1938-'39) infliggendo
con lo scisma un duro colpo alla agonizzante rivista di Bargellini
(32), si faceva portavoce di quest'ultimo presso Comi e suonava l'olifante
per cooptarlo affannosamente nella pattuglia degli irriducibili superstiti
di "destra".
Vedi che al "Frontespizio"
(33) vogliono la tua collaborazione. Anzi, a questo riguardo, è
Barna Occhini che mi dice di scriverti e d'invitarti. Manda poesia
o prosa, ciò che desideri. Forse "Frontespizio",
se ci torniamo, potrà riprendere: ora, così com'è,
agonizza (34).
Comi aveva incontrato
lo stesso Fallacara proprio nell'ambito di "Frontespizio"
("L'occasione [ ... ]fu la pubblicazione da parte del poeta barese
nel 1935 del suo libro rappresentativo della stagione della cosiddetta
poesia pura esemplata sul magistero ungarettiano: Confessioni. Incoraggiato
da Betocchi, Fallacara chiede timidamente a Comi una recensione del
volumetto, precisando che non se ne sarebbe adontato per un eventuale
diniego") (35) ma l'invito dell'amico e la resistenza degli "anziani"
alla fronda della "sobillazione" intellettuale di Bo, Macrì,
Gatto, Luzi, Traverso, non produssero gli effetti sperati.
Al riconoscimento di una piena cittadinanza frontespiziana di Comi
e, più propriamente, della sua collocazione nello schieramento
dell'ermetismo ontologico (36) (o di "destra" che è
sintagma tautologico), concorrono, oltre al sodalizio con Betocchi,
Fallacara, Bargellini e alla collaborazione resa alla rivista, anche
alcune prose comiane a quell'area contigue: Poesia e conoscenza (1932),
Necessità dello stato poetico (1934), Aristocrazia del Cattolicesimo
(1937), Bolscevismo contro Cristianesimo (1938). Già nel 1932
Comi postula una poesia che è conoscenza di Dio attraverso
l'ordine da lui creato ("La poesia [ ... ] è ricerca paziente
e sapiente, appassionata e corale, di una sintesi sinfonica e architettonica
dei sensi e dell'intelletto, dell'ombra e della luce, in vista di
una identificazione vitale, e non effimera, dell'armonia dell'Essere
(37); [...] poetare e conoscere diventano dunque due luminosi e illuminanti
sinonimi (38); [...] la poesia è questione di Fede come in
un certo senso la Fede è questione di poesia") (39) anticipando,
attraverso Maritain, alcuni enunciati di Bo (Letteratura come vita,
1938) che chiameremo in causa poiché tanto le dinamiche avantestuali
quanto quelle intertestuali sono orientate in direzione francese,
in Comi come in Bo. Ne deriva l'attribuzione alla poesia del primato
sulla tecnica e sulla scienza, topos già simbolista ma di antica
matrice leopardiana (40): "non mi risulta che [le conquiste della
scienza e della tecnica] colmino o sedino, come dovrebbero neanche
l'ansia di coloro che ne sono cultori appassionati [ ... ]perché
la conoscenza dell'uomo non avviene per mezzo della scienza"
(41). E dopo aver affermato il primato della poesia, "sempre
presente ed efficiente" (42). Comi conclama la perfetta identità
fra stato di grazia spirituale e stato di grazia poetico, (43) preludio
del suo "manifesto" apparso sul primo numero de "L'Albero"
(44). Si riverbera, in questi luoghi, la definizione ontologica, di
matrice paolina ("Dio si rivela mediante le sue opere,",
che della poesia dà Maritain nel segno di quella "poétique
de l'integralité", cara a Betocchi, (45) per cui la "poésie
est connaissance [ ... ] moyen de connaître. [ ... ] Poésie
est ontologie, certes, et même, selon le gran mot de Boccacce
(46) poésie est théologie" (47). Definizione che
Carlo Bo avrebbe ricalcato (48) trasferendola nel suo Letteratura
come vita: "Poesia è ontologia [ ... ] e voi sapete che
Boccaccio diceva poesia è teologia" (49).
Ma c'è di più. Comi anticipa, in Poesia e Conoscenza,
alcuni assiomi, anch'essi di derivazione maritainiana, che saranno
presenti nel più famoso dettato di Bo, sempre iscrivibili nella
luce dell'umanesimo integrale alla cui fonte entrambi s'erano abbeverati.
Diamo in questa sede, in cui non è possibile una compiuta indagine
intertestuale, un solo esempio: "Non esistono incompatibilità
fra poesia nel senso cosmico e filosofia nel senso poetico [ ... ].
Entrambe permangono tributarie felici di una disciplina d'armonia"
(50) (COMI); "A questo punto nessuno saprebbe più negare
la necessità della filosofia: e non alludo ai discorsi di un
sistema [ ... ], inseguo sempre un'immagine intera dell'uomo"
(51) (BO). Ciò conferma, sia a livello di indici paratestuali
sia di linguaggi interdiscorsivi, la dipendenza dell'ermetismo di
Comi dalle stesse fonti canoniche (Valery, Rimbaud, Claudel, Bremond,
Gide, Bergson, Maritain) (52) della scuola ermetica, anche se alla
fede "priva di memoria umana", di angoscia, di inquietudine
di Claudel si accosterà sempre più Comi mentre Bo se
ne allontanerà. Con Betocchi e Comi "la poesia religiosa
degli anni Trenta e di sempre si apre al dono della rivelazione e
ne fa il contenuto della propria saggezza e della propria speranza"
(53) mentre l'ermetismo esistenziale accentuerà la sua inquietudine
fino alla formula di Alfonso Gatto che indica nella poesia la strada
che porta alla conoscenza ultima e assoluta di se stessi (54). Comi,
Movendo dall'orfismo "pagano" e da "un quasi orgiastico
culto dell'Io, posseduto e nutrito da un rutilante tenebrore di stati
d'animo panteistici e panici" (55), si spoglia di sé fino
all'afasia negli anni del sodalizio con Betocchi in particolare, salvo
poi a ritornare su se stesso nell'ultimo tempo, quello del misticismo
e del neostilnovismo. Questo processo di azzeramento dell'io coincide
col suo autonomo approdo alla riva ermetica di "destra",
quella della poesia come ontologia e divinazione dello spirituale
nel sensibile (Maritain) sulla quale si fermerà, mentre Bo,
insieme con gli altri della sua corrente, se ne distaccherà
per giungere attraverso Agostino, Pascal, Du Bos a un radicale intimismo
soggettivo.
A Comi la teoresi frontespiziana forniva una giustificazione storica
in ordine alla sua poetica e alla sua meditazione etico-religiosa.
Negli anni Trenta, infatti, la riflessione comiana procede lungo tre
direttrici, tutte in sintonia con le tematiche ideologiche ed esistenziali
della rivista fiorentina: a) di ordine poetico (rivendicare alla poesia,
nella luce della rivelazione cristiana, un arduo statuto gnoseologico,
organico all'ermetismo, qual è la funzione di adire il Vero:
"La poesia non è libero gioco della sensibilità
e della fantasia [ ... ] ma attività armoniosa dell'intelletto
e strumento volto alla ricerca e alla identificazione del Vero")
(56), b) autobiografico (giustificare sul piano della propria storia
esistenziale la conversione promossa dalle letture di S. Paolo, di
S. Tommaso, di Dante, di Pascal) (57), c) apologetico (difendere il
Cristianesimo dall'aggressione della cultura laica e, in particolare,
marxista) (58). Un empito neofitico e apologetico ispira, infatti,
la stesura di Bolscevismo contro Cristianesimo e, se pur affiora una
certa fragilità di Comi sul piano speculativo, sicché
il rigore dialettico e semantico spesso cede il passo a un'andatura
topica e dogmatica, tuttavia l'operetta è prova di quella passione
(ritornerà in lui più calibrata allorché, fra
il 1948 e il 1958, il clima della cultura politica italiana sarà
surriscaldato dal conflitto ideologico fra marxisti e cattolici) (59)
che omologa il Salentino allo spirito di frontiera cattolica che allignava
nell'area del "Frontespizio". Ma occorre tornare al rapporto
fra Comi e gli ermetici della rivista. Egli è accanto a Betocchi,
il poeta della "grazia sensibile" (Macrì) la cui
religiosità è percorsa dal sentimento di una "immanente
e perenne creazione" (60), nella zona dell'ermetismo ontologico
(61), anche se diversi sono - e ancor più saranno - gli itinerari
stilistici e metrici dei due poeti: tanto prosastica, antinovecentesca,
antimelica, poi antiermetica la sillabazione di Betocchi, quanto musicale,
sinfonica, rarefatta quella di Comi. E mentre Bo modificava la formula
di Maritain in chiave agostiniana ed esistenziale ("La direzione
è: in noi stessi" (62) ripropone l'assioma di Agostino
in interiore homine) e Macrì fondava (63), con oracolare rigore
semantico, la critica ermetica della "terza" generazione,
Comi, con Aristocrazia del Cattolicesimo (64) (Giorgio La Pira ne
elogiava il contenuto con lettera dell'8 giugno 1939; delle due lettere
di La Pira a Comi, si offre al lettore la prima, qui a lato integralmente
prodotta), rimaneva fermo alla linea di Maritain, di cui s'avverte
l'eco in più punti dell'opera in parola, contro le derive individualistico-esistenziali
della fronda. A ben guardare, con Aristocrazia, si realizza in Comi
una lieve involuzione in senso tomistico e betocchiano rispetto alle
posizioni di Poesia e Conoscenza (1932). In Bo si assiste ad un processo
inverso in forza dell'influenza esercitata su di lui da Du Bos, l'autore
di Vie et littérature (65), sicché giungerà ad
affermare che poesia e conoscenza sono una stessa attività
dello spirito: "La letteratura [ ... ] non serve per conoscere,
ma è in se stessa una conoscenza" (66). Comi partito dalla
stessa sinonimia ("poetare e conoscere diventano luminosi e illuminanti
sinonimi") (67) ne muta il rapporto nella formula "poesia
mezzo di conoscenza", gnosi ontologica che si realizza passando
attraverso gli oggetti (Betocchi) e in specie attraverso l'oggetto
rivelatore per eccellenza di Dio: il cosmos, l'ordine della Creazione,
epifanizzato nelle creature esili e caduche (il seme, lo stelo, i
succhi) come in quelle astrali e immense (il sole, la terra, il mare).
La consonanza Comi-Betocchi, su piano della poetica, si accentua a
partire dal '34 e Comi era certamente consapevole del fatto che le
sue proposizioni ("spettacolo della creazione" - "bellezza
oggettiva e tassativa della creazione") assumessero, in quel
clima di fronda, una chiara connotazione ontologica, betocchiana,
richiamando all'ortodosso rispetto della lezione di Maritain, allo
"spirito di umiltà e di obbedienza [ ... ] alla dottrina
della Chiesa" (68), mentre ribadiva il carattere della letteratura
come strumento di conquista dell'assoluto (experimentum Dei) secondo
la formula di Tertulliano (69).
A Maritain Comi rimase sempre fedele. Si osservino le tracce dell'ermetismo
ontologico nel tessuto di Aristocrazia del Cattolicesimo: "Persuaso
che il fatto poetico non ha nulla a che spartire con il caso o l'avventura
letteraria [ ... ] e che esso è invece legato e collegato,
o meglio, derivato da una vaga percezione prima, da una categorica
certezza poi che il poeta ha della presenza ininterrotta di Dio, le
mie emozioni e realizzazioni liriche più vive sono state sempre
lievitate, soccorse e modellate (70) da un entusiasmo fedele e da
una riconoscenza vibrante per tutto quel che di sommo e di inimitabile
ho ravvisato nella figura e nello spettacolo della Creazione (71)
[ ... ]. Le estetiche individuali [ ... ]non possono che far capo
a un modello supremo di Estetica: il quale è come inciso ab
aeterno e reperibile ogni giorno sotto forme innumerevoli della bellezza
oggettiva e tassativa [nel senso greco di taxis] della Creazione (72)".
Si confronti questo assunto con quanto aveva già scritto sul
"Frontespizio" in Diario essenziale (73):
Nascita: [ ...
] sei prigioniero di bellezze così autoritarie, testimone di
spettacoli e di paesaggi così felici, padrone di una coscienza
così sensibile al sovrano respiro della luce, che non puoi,
specialmente se sei poeta, non piegarti [...] davanti all'evidenza
di Dio
cui fa da pendant,
in trascrizione poetica, Conoscenza di Dio (74)
Conoscenza
di Te ebbi dal sangue
assordato di musiche confuse
e di soffici crolli di valanghe
di primavere schiuse
e come sotterraneo
e remoto
fusto che cerca l'apice del giorno,
l'Anima emerse abbagliata al sommo
dei Tuoi paesaggi e al centro del Tuo fuoco.
Conoscenza
di Te per la parola
di cui il groviglio in gemiti si snoda
dentro l'oscurità della mia gola
fino a sciogliersi
in cantico che loda
la cosmica armonia ove s'addensa
la dovizia della Tua onnipotenza [ ... ]
L'ebbrezza
di guardare il Tuo Creato
gremisce il sangue di un ronzìo sonoro
di spazi accesi di giornate d'oro
nel tremito del tempo inviolato.
La verità
è dunque attingibile dalla poesia attraverso la realtà,
gli oggetti, l'Essere. Questa strada porta all'Assoluto di cui la
poesia è Verbo. Intanto Betocchi, in Premesse e limiti di un
ritorno al canto (75) (1937) reclamava il diritto dell'oggetto "di
essere mentovato" e all'accusa di oggettivismo ("è
in ultima analisi una comoda scusa alla propria inerzia intellettuale")
(76) che gli aveva mosso Bo, recensendo Roland de Renéville
(77), replicava opponendo una risentita reazione: "Il pericolo
di tale soggettivismo [quello di Bo] consiste nella sua posizione
permanente di uno stato in luogo della persona umana con tutti i suoi
attributi anche di banalità e non solo di spiritualità.
[ ... ] Ci coartano schemi predestinati ai quali il soggettivismo
di cui tu parli si sottrae troppo facilmente" (78) e giustificava
il proprio oggettivismo in questi termini: "Io debbo parlarne
per forza, poiché vivo e credo in virtù di cose che
mi sono state rivelate e verso le quali ho un obbligo di riconquista
e di adempimento, ma che, nella loro parte più consolante,
sono vera e propria rivelazione, e la più oggettiva delle verità
esistenti" (79). Bo, in realtà, si era allontanato fin
dal 1934, con Riconoscenza della poesia (80) dalla formula di Maritain
secondo cui la poesia è la "fulgurazione dell'intelligenza
su una materia intelligentemente disposta" e modificava in chiave
esistenziale, subito dopo aver affermato che "poesia è
ontologia", la sua concezione della letteratura: da moyen de
connaître in conoscenza tout-court secondo il dettato di Claudel
e Du Bos: "Claudel ha scritto [ ... ] che la letteratura [ ...
]non serve per conoscere, ma è in se stessa una conoscenza"
(81). Alla divination du spirituel dans le sensible, cara agli ontologisti
Betocchi (82) e Comi, Bo opponeva l'agostiniana "direzione in
se stessi". Altro era "assegnare al poeta il compito di
interrogare il proprio essere per strappare al mistero la verità
[BO] che lo riguarda in quanto uomo, altro era esortarlo, come aveva
fatto lo stesso Maritain [ ... ] a contemplare le bellezze del creato
[COMI] dove rayonne la propria meravigliosa armonia un Essere che
esiste ab aeterno e sta all'origine di tutte le cose" (83).
Sia la polemica fra gli ermetici del "Frontespizio" sia
lo scisma della "sinistra" (che sarà l'ermetismo
tout-court) prendono l'abbrivio da questa divaricazione fra le ragioni
della poesia "circoscritta ai movimenti interiori dell'anima"
(84), (linea Maritain-S. Agostino-Du Bos) e quelle della poesia che
nel sensibile, nell'Essere, in tutto l'Essere nel quale è anche
l'uomo, divina lo spirituale che è la Grazia della teofania,
splendore del vero (linea S. Paolo-S. Tommaso-Maritain).
A questa consegna maritainiana Betocchi e Comi restano fedeli. Il
misticismo di Comi verrà dopo, da Spirito d'armonia (1954)
a Fra lacrime e preghiere (1967), allorché il canto della Creazione
(anni Trenta, area frontespiziana) sarà sormontato da tremore,
afasia, anabasi (85) fino allo sfibramento e alla catastrofe di sé.
Dopo i tempi dell'orfismo panteistico (1912-'32) e dell'ermetismo
ontologico (1932-154), quello del neostilnovismo e del misticismo
(allora la poesia sarà preghiera secondo la formula di Bremond)
che durerà fino alla morte del poeta: tre tempi, complementari
e progressivi, di un unico, ascensionale cammino verso la nirvanica
Wiedervereinigung con l'Assoluto. Questo, in sintesi, mi sembra possa
essere un tracciato possibile della complessa poesia di Comi, il cui
silenzio (86) circa se stesso nasce, come in Betocchi, da una scelta
di umiltà (che fu già di Manzoni) e riposa nel rifiuto
dell'"orgoglio rutilante dell'io".
b) Fra "L'Albero"
e "Il Critone", con Vittorio Pagano
"Sarebbe cosa di un certo interesse studiare le relazioni storiche
e culturali tra Firenze e una città lontana e silenziosa, priva
quasi di avvenimenti, quale sempre è stata Lecce" (87).
Così Luciano De Rosa apriva, nell'ormai lontano 1959, la sua
riflessione critica sulla più cospicua traccia meridionale
che, per contenuto e scelta editoriale, il fiorentino (ma torinese
di nascita) Carlo Betocchi ha lasciato. Quell'incipit segnalava fin
da allora un termine ad quem poiché a quella data si profilava
l'autunno della poco più che ventennale (1941-1966) stagione
letteraria salentina all'interno della quale germinarono e si riprodussero
le spore di una fervida e non provinciale attività di pensiero
e di poesia.
Proprio Betocchi, dunque, veniva assunto da De Rosa a corifeo di un
"gruppo" che aveva maturato un'esperienza storica (l'ermetismo)
il cui "clima" si era ricreato, non senza polemiche e divisioni
(88), in una provincia solo geograficamente periferica e, anzi, tanto
più vitale quanto più forte era stata la coscienza del
suo isolamento (89). Il nodo ermetico, ancora una volta, veniva al
pettine con il betocchiano Vetturale che era una discesa, umana e
sofferta, prima ancora che geografica e poetica, all'Erebo (il Sud)
della realtà, alla ricerca di una umiltà che fosse "sensibile"
al pari della Grazia. Se De Rosa imputava all'irriducibile, ermetico-maudit,
Vittorio Pagano di puntare esclusivamente su nomi che tenessero "attivi
i fili con Firenze" (Luzi, Betocchi, Parronchi, Lisi, Macrì,
Bilenchi, Bigongiari) in un momento in cui l'ermetismo trascolorava
a fronte di istanze neorealistiche o comunque novatrici, tuttavia
riconosceva come ciascuno di quei collaboratori fiorentini del "Critone"
avesse maturato nuove esperienze e "percorso una sua strada col
tempo, gli eventi e le idee seguiti alla guerra" (90). Betocchi,
nel prendere atto delle simpatie fiorentine di Pagano, quasi si schermiva
della definizione di ermetico e ricordava a De Rosa, che pur l'aveva
avvertito, quanto eterodosso fosse stato il suo ermetismo se già
con Realtà vince il sogno si era opposto, lui poeta esiodeo,
alla poesia pura della seconda generazione che aveva avuto un epicentro
nel quasimodiano Oboe sommerso:
Caro dott. De
Rosa (91)
La ringrazio per l'attenzione dedicata al mio libretto di versi con
la Sua recensione, rattristato soltanto che proprio questa le abbia
dato occasione per una strigliatina al buon Pagano per le sue tentazioni
un po' troppo fiorentine che hanno pur una loro storia, e quasi fatalità,
come Lei stesso ha bene avvertito. Ma [ ... ] magari tutti gli ermetici
fossero stati così poco ermetici come me: altra cosa di cui
le sono grato [ ... ] ha ricordato che io credevo alla realtà,
e non al sogno, fin dal 1932 (92), quando Quasimodo (l'idolo dei "giovani")
cantava l'oboe sommerso, ed era l'araldo della poetica della parola
[ ... ].
Suo Carlo Betocchi
E la "storia"
e la "fatalità" di quelle relazioni fra Lecce e Firenze
passano per Comi, che non aveva dimenticato l'antico compagno di cordata
nel "Frontespizio", allorché, con "L'Albero"
(1949), tornava ad inseguire il castello d'Atlante di un umanesimo
integrale ispiratogli dalla visione tomistico-maritainiana della vita
e dell'arte: "conoscere la via, che è quella dell'umiltà,
per raggiungere e consolidare certe conquiste" (93). A Betocchi,
che per quella via lo aveva istradato, Comi rivolse un appello perché
facesse parte dell'Accademia salentina. Lo si evince da una lettera
del fiorentino che declinava l'invito "per la solita condizione
di ilota dell'industria" (94).
Ma il poeta dei cantieri non fece mancare il suo contributo al terzo
fascicolo (1950) della rivista comiana. Ed ecco l'articolo su Clemente
Rebora (95) la cui esperienza poetica "rotta e frastagliata"
(96) viene irrelata, dopo un iniziale e strumentale accostamento,
a certa "concitazione espressiva e delirante [ ... ] di Campana"
(97), nel segno di un itinerario conoscitivo che in Rebora si diparte
da "La Voce" per attingere "tutti i punti solidi"
della realtà ("la fame di possesso della poesia di R.
significa conoscere [ ... ] e qui si apre il profondo abisso che separa
la poesia di R. dalla poesia del già citato Campana: ma qui
nasce il ponte che la ricollega, viceversa, all'esperienza spirituale
della 'Voce' [cui] attingeva la libertà di un vocabolario e
di una sintassi contingenti ai suoi reali interessi") (98). Proprio
Betocchi che "mai si era curato di illustrare la sua poetica"
(99), ancora una volta dà prova di essere acuto lettore dei
testi poetici al lume di una costante dicotomia assunta fin dai tempi
del primo "Frontespizio" (realtà - non realtà)
per deputare alla poesia il ruolo di moyen de connaître.
Al sodalizio "accademico" che, come "L'Albero",
nulla mai ebbe di provinciale né di salentino (se non il simbolo
dell'ulivo, emblema della terra in cui la rivista attecchiva), Betocchi
è vicino pur dimorando nella lontana Firenze:
Carissimo Comi
ho avuto il bel numero 13-16 de "L'Albero" ed ho scritto
all'Ulivi lodandogli il Campana (100) come scriverò al Macrì
per qualche bel pezzo del suo diario (101). L'Accademia salentina
mi ècara, ed io ti voglio bene in ragione della tua grande
e sincera passione. Ed ho gusto a dirti che ho ammirato il tuo discorso
su Gide (102) [...] così vigoroso nella sua intransigenza.
Sul fascicolo
Successivo (103), Betocchi pubblica Risalendo una valle d'inverno
che aprirà poi il critonico Vetturale (104) per produrre al
lettore una chiara prospettiva del senso catartico-religioso che trascorre
Viaggio meridionale (105):
Nell'ombra
del mio spirito chiudendo
lame di fiume ferro di coltello
degli inverni nevosi le invenzioni
di gelidi segmenti angoli e vento,
nell'ombra
del mio spirito un fratello
cercando altro fratello, monte a monte,
e per valli cui rode e assiepa il gelo
spingendomi fin sotto i vaghi monti
dove non fa
mai notte ed è fraterno
lume di giorno ad albore di luna
e il vento è padre di un ignudo eterno
essere e seguitare
ad una ad una
cime di monte che si van chiudendo
nell'ombra del mio spirito a una cruna.
Il sonetto dalle
inequivocabili movenze ermetiche e dai versi liberamente rimanti e
assonanti è il manifesto, per così dire, metapoetico
della nuova poesia di Betocchi che culminerà ne L'estate di
S. Martino (1961) prima di dichinare nell'oggettivo-soggettivo (106)
epos della senilità (Un passo, un altro passo 1967, Ultimissime
1974).
In Risalendo una valle d'inverno il canto della fraternità,
che fu già di Ungaretti, non sembra immune da remote suggestioni
pascoliane e da sporadici sintagmi leopardiani: in quelle "valli
cui rode e assiepa il gelo [ ... ] fin sotto i vaghi monti" è
un'eco del Canto notturno, ma se lì il "vecchierel bianco,
infermo" procede senza un senso che non sia l'effimero affanno
del vivere, qui Betocchi, "poeta di passo" (107), si fa
segugio sulle orme della fraternità braccando "altro fratello,
monte a monte [ ... ] dove non fa mai notte ed è fraterno /
lume di giorno ad albore di luna". Quanto a Pascoli, se ne confronti
Carrettiere con il betocchiano Treno notturno tra i monti toscani
(108): vi rintocca il tema della vertigine ("[ ... ] un'avida
famiglia / di stelle a tanta luna e negli abissi / ignorando la quiete
e i precipizi / l'abituro che passa è una farfalla / ma l'orlo
è certo [ ... ]") antifrastico però è l'esito.
Nel canto betocchiano dilegua, grazie alla certezza dell'argine (la
fede) il pascoliano sgomento per il notturno rombo abissale.
Si dovrà attendere il n. 30-33 de "L'Albero" per
ritrovare uno scritto di Betocchi, A proposito dell'amico Cavani.
Il poeta vi istituisce un confronto fra sé e l'autore de Nel
segni della festa che da Cavani gli era stato dedicato perché
la betocchiana "vampa [ ... ] gli aveva fatto un po' di lume"
(109) come lo aveva fatto a Comi, ma l'epistolario continua. Vi si
spigolano giudizi favorevoli su "L'Albero" ("il n.
17-18 [ ... ] mi èparso bello per l'eccellente raccolta di
poesie, a cominciare dalla traduzione di Macrì e le poesie
più belle, in due ordini diversi, mi sono parse la tua e quella
di Caproni") (110), cenni agli amici, Pierri (il "carissimo
Pierri") su tutti, interesse alle lucugnanesi edizioni dell'onofriana
Lettura poetica del Pascoli (111) e dell'antologia della rivista "Novecento"
(curata da Falqui) che "uscendo dal vostro focolare pugliese
sarà importantissima" (112).
Compiacimento e fraterna letizia, ma anche uno scrupolo mai rimosso
(la prima recensione al "disumano" Comi) affiorano invece
nella lettera del 19 luglio 1954:
Carissimo Comi
Ti ringrazio di avermi affettuosamente spedito Spirito d'Armonia che
è un bellissimo libro [ ... ]. Mi è tanto piaciuto nella
sua interezza [ ... ] che non ho potuto fare a meno di pensare a scriverci
sopra qualche pagina che servisse a sdebitarmi di quelle che vi leggo
riportate da Pagano (113) in fondo al tuo libro stesso. [ ... ] Alludo
a quello che scrissi sul "Frontespizio" (114) [ ... ]. Spedirò
[l'articolo] al "Popolo" (115) [ ... ]. Abbi i più
affettuosi abbracci e la letizia del tuo
Betocchi
E al "Frontespizio"
torna il pensiero di Comi che propone all'amico di realizzarne l'antologia,
auspice Bargellini (116):
[ ... ] ci vorrebbe
un uomo, non un letterato, cioè un uomo vivo e una coscienza
desta, che del "Frontespizio" rivelasse non soltanto la
buccia ma l'anima. Chi potrebbe essere? Forse Carlo Betocchi [...
]. Non vedo che il Betocchi, il quale non si è accartocciato
o disseccato [ ... ].
Tuo Bargellini
Dopo alcune lettere
(sono complessivamente 31 quelle relative al periodo 1950-'61) in
cui Betocchi annuncia il suo articolo destinato a "Il Popolo"
(vi si leggono interessanti valutazioni sulla "solitudine"
di Comi) e si sofferma a parlare di Pagano ("bellissime poesie")
e di Pierri ("il mio carissimo Pierri. Ma che cos'ha realmente
questo caro uomo?") (117) irrompe, infatti, nell'epistolario
il progetto di antologizzare, per le lucugnanesi edizioni de "L'Albero",
il "Frontespizio":
[ ... ] Bargellini
mi passa con un suo biglietto il tuo invito ad occuparmi di una antologia
del "Frontespizio". Te ne ringrazio e accetto volentieri
l'incarico anche perché si tratta di fare l'antologia per le
edizioni de "L'Albero" (118).
Betocchi
Betocchi espone
subito il metodo che seguirà, valuta il tempo occorrente, prevede
lo spessore del libro ("è rivista che comporta benissimo
un volume di 500 pagine"). All'organizzazione del materiale,
alla ricerca faticosa di una collezione completa della rivista, ai
caratteri della stampa, insomma al piano dell'opera e a problemi di
ordine pratico attengono le lettere successive. Ma si profila un'iniziativa
parallela dell'editore Landi il quale, sotto l'egida di Macrì
che ne dirige una collana, affida a Fallacara, che poi realizzerà,
identico compito. Comi s'adonta, Betocchi s'allarma e intanto... fervet
opus. Ma il fiorentino arranca negli spazi angusti del tempo disponibile,
Comi in quelli bigi delle difficoltà economiche. Trascorrono
due anni, le edizioni dell'"Albero" segnano il passo, ma
Betocchi incalza: promette tempi brevi, cercando di anticipare l'amico
Fallacara. Il disappunto di Comi sfuma, ma il progetto ha il fiato
grosso (119). Intanto "L'Albero" ritorna nelle lettere ed
ecco finalmente un giudizio di Betocchi che rammemora l'antica radice
frontespiziana di Comi
[ ... ] Quella
certa azione che faceva il "FRONTESPIZIO" oggi in Italia
non la fai che tu, ed è un vero peccato che l'"Albero"
sia costretto a uscire così di rado (120)
e assicura di
essere "alla rifinitura e al riordinamento finale" dell'antologia,
anche perché pressato da Bargellini (121).
Ma le difficoltà economiche sormontano le idee e i nobili negozi
dei due amici. E' il fallimento. Betocchi, che pubblicherà,
poi, in "Terzo Programma" (122) la sua storia del "Frontespizio",
prende atto e consola il salentino
[ ... ] mi duoleva
lasciarti ma io credo che tu sia un uomo assai più forte delle
sorti che ci possono toccare a questo mondo (123).
Poi aggiunge:
"la tua poesia, insieme ferma e crescente è tra le singolarissime
del nostro mezzo secolo" (124).
L'epistolario si chiude nel sentimento di una incombente vecchiezza,
preludio di "gioventù futura" (125):
[ ... ] mi auguro
di avere la Grazia di conservare lo spirito candido e forte che tu
manifesti. La gioventù... aumenta. Queste sono le tue parole
di uomo e di poeta (126).
Quanto a Pagano,
Betocchi, pel tramite affettuoso e generoso di Comi e di Macrì
(127), gli si legò per consonanze elettive d'affetti e di idee.
Sarebbe oneroso censire in questa sede le ventisette lettere che Betocchi
gli inviò lungo un arco temporale che si distende dal '56 al
165, attraversando gli anni de "Il Critone" ('56-'66). Si
tornerà, in altra occasione, a parlarne. Qui basti ricordare
che sul periodico di Santoro e Pagano la presenza del fiorentino è
quasi una costante, a riprova della "lamentazione" di De
Rosa, citata in apertura, e delle cospicue relazioni che corsero fra
Lecce e Firenze.
Il primo contributo di Betocchi (128). L'esempio di Papini, apparve
nel 1956, cui seguì, nel '57, un intervento commemorativo di
Domenico Giuliotti (129). Entrambe le prose rievocano gli anni del
primo "Frontespizio" di cui Papini e Giuliotti furono, come
si è detto, le anime più intransigenti e polemiche.
Alla seconda accenna Betocchi in una sua lettera a Caproni (130):
A Giorgio che
ha scritto un bel racconto sul "Critone" (131) circa la
lepre e i cacciatori: Un che di leporino, averlo addosso, / Giorgio,
per quel racconto sulla lepre / che hai scritto sul Critone, anche
se scosso, / ho il dubbio, ormai, che mi rimanga sempre [ ... ] (132).
Mio caro Giorgio, ieri sera, era tardi per sollevarmi da un discorso
che scrivevo su Giuliotti [ ... ], presi il Critone giunto allora
e vi trovai quel tuo bel racconto sulla lepre dove, tanto affettuosamente,
richiami in ballo l'impallinata lepre del tuo Betocchi [ ... ]. Mio
caro Giorgio, che vita! Eppure resta questo barlume [ ... ] di godere,
ogni tanto, di qualche frutto dell'ingegno amico e la poesia di Pagano
sullo stesso Critone era tanto bella [ ... ]. Addio, caro Giorgio,
scrivimi qualche volta,
il tuo Carlo
Ancora una prosa
nel '57, Lamento per Ottone Rosai nella sera della sua morte (133)
e poi una lirica, Un grido (134), che precede le undici comprese sotto
il titolo di Viaggio meridionale (135): Dedica scritta; Treno notturno
tra i monti toscani; Sera trasecolata; Alla Chiesa di Frosinone, Verso
Cassino; Ritorno a Campobasso; Isernia; Campobasso-Salerno; Classicismo
salernitano; Il vetturale di Cosenza (poi eponima della plaquette);
Tornando tra i monti toscani.
Seguirono, infine, nel 1960, Poesie in aggiunta al "Viaggio meridionale"
(136) dedicate a Tommaso Santoro.
Ma i rapporti d'amicizia e di collaborazione con Pagano e con gli
amici leccesi (Santoro e Bernardini - cfr. lettera del 28.5.'65 -)
andarono ben oltre gli interventi di Betocchi sul "Critone"
(137). Ne offrono testimonianze le lettere che Marcella Romano Pagano
(138) generosamente ha messo a mia disposizione e delle quali mi è
parso opportuno pubblicare un passo fra i più significativi,
sul piano delle relazioni umane e letterarie, quasi a suggellare e
a giustificare il senso di questa ricerca.
Dalla lettera del 5 febbraio 1958
Mio caro Pagano
[ ... ] Ho un rammarico: non ho mai fatto un bel pezzo su Lecce, sugli
amici, sulla bellissima Puglia, su Maglie, su Lucugnano, su Comi ecc.
ecc. Ricordami a Santoro, a tua moglie, al piccolo, alla terra rossa
e agli ulivi. [ ... ]
Il tuo Betocchi
Lettera di Giorgio La Pira a Comi
[Firenze] 3 -
2 [1937]
Carissimo Comi,
grazie per gli auguri natalizi che Le ricambio con tanto ritardo!
Sono stato ora un po' indisposto ora un po' stanco e così ho
tardato sino ad ora.
Ricordo con vivo affetto le poche ore che trascorremmo insieme,- poche
ma sufficienti per fondare una grande amicizia; quella che Dio stesso
fonda per avviare le ani me - unite -nella strada della perfezione.
Perché una cosa èvera: nessun evento, anche minimo,
nella nostra vita è staccato da questa mirabile finalità
d'amore che il Signore persegue per ciascuno di noi.
Che il Signore, dunque, ci conceda di camminare con ritmo vivo in
questa via dolce e difficoltosa che sale verso la cima della bontà
e della luce! E che nel nostro cuore, man mano reso sempre più
libero dalle creature e da noi stessi, si accenda quel calore vitale
che lo Spirito Santo dona ad ogni anima aperta verso il Cielo!
La realtà profonda del cristianesimo è qui, in questo
commercio reale stabilito fra l'uomo e Dio e questo commercio è
tutto interiore: Regnum Dei intra vos est. E' in questa progressiva
elevazione dell'anima al suo Signore il trionfo della vita eterna
in noi. A questo fine lo strumento indispensabile per operare è
l'orazione.- orazione che unisce a Dio; che dispone l'anima ad accogliere
con amore Cristo che viene sacramentalmente in noi.
Efficacissima è pure la devozione viva a Maria, Mentre oggi
si lotta tanto, è bene riaffermare la divina validità
di questi mezzi soprannaturali.
Le auguro ogni bene del cuore e la prego di ricordarmi al Signore
aff. mo La Pira
NOTE
Avvertenza. Per gli autori citati in nota si è adottato il
seguente criterio: nella prima citazione si riportano per esteso il
nome e il cognome, dalla seconda in poi solo il cognome preceduto
dalla lettera iniziale del nome.
1) Cfr. CARLO BETOCCHI, Poesia di Comi, "Il Frontespizio"
(d'ora in poi citato nel testo senza articolo e in nota con la sigla
FR), a. VI, n. 5, maggio 1934, p. 15. Betocchi, dal 1933 al 1936 si
era assunto "l'oneroso e ingrato compito di controllare mensilmente
lo stato di salute della lirica italiana", cfr. GIUSEPPE LANGELLA,
Betocchi fra frontespiziani ed ermetici, in AA.VV., Carlo Betocchi
- atti del convegno di studi Firenze 30-31 ottobre 1987 (d'ora in
poi con sigla CBACS), a cura di Luigina Stefani, Firenze, Le lettere,
1990, p. 116. Era Betocchi "il critico di poesia [ ... ] che
sceglieva i collaboratori, invitava gli altri poeti e li commentava",
cfr. MARIO LUZI, Anni di Betocchi, in CBACS, p. 18. La "schedatura"
dette vita a una rubrica periodica che prese il titolo di Lettura
di poeti. Ivi l'articolo su Comi.
2) Ibidem. Il riferimento è alle liriche Mistero, Eternità,
La Grazia.
3) Ibidem.
4) Cfr. ORESTE MACRI', Studio biografico critico, premessa a LUIGI
FALLACARA, Poesie (1914-1963), Ravenna, Longo, 1986, p. 18 e DONATO
VALLI, Assaggi di poetica contemporanea, Cavallino, Capone, 1990,
p. 84 (il sodalizio Comi-Fallacara, pp. 81 -101).
5) Su queste componenti, sulle "lingue" interdiscorsive,
sull'influenza vociana, sui contesti dell'attività letteraria
di Comi per gli anni 1912-'21 cfr. MARINELLA CANTELMO, Girolamo Comi
prosatore dalle fonti intertestuali alle "lingue" interdiscorsive,
Cavallino, Capone, 1990 ("Comi era già, fin dai primi
anni Venti, un lettore di Nietzsche" p. 137; "Le letture
nietzscheane di Comi [ ... ] sono documentate da [ ... ] Miniere"
p. 138, nota 127. Passim altri riferimenti). Si veda, inoltre, D.
VALLI, Profilo di Girolamo Comi, (già in ID., Anarchia e misticismo
nella poesia italiana del primo Novecento, Lecce, Milella, 1973) e
Preistoria di Comi (già in "L'Albero" XXIV, n. 55,
1976) in ID., Girolamo Comi, Lecce, Milella, 1977, rispettivamente
alle pp. 9-32 e 35-77. Sulla poesia di Comi, oltre a D. VALLI, op.
cit. (La poesia di Comi, pp. 81-118) si vedano, almeno, O. MACRI',
Verbo e tecnica nella poesia di Girolamo Comi, in Realtà del
Simbolo, Firenze, Vallecchi, 1968, pp. 33-71 (già in "Letterature
moderne", LX, 1959, pp. 729-760 col titolo Introduzione alla
poesia di G. C.) e MICHELE TONDO, Girolamo Comi, vol. III de "I
Contemporanei", Milano, Marzorati, 1969, pp. 143-159.
6) Cfr. C. BETOCCHI, "Il Frontespizio", in "Terzo programma",
1966, 4, p. 280. Sulla storia e sul carattere della rivista si vedano
anche AUGUSTO HERMET, La ventura delle riviste, Firenze, Vallecchi,
1941, p. 382 ss.; LUIGI FALLACARA, introduzione a Il Frontespizio
1829/38 antologia a cura di L.F., Roma, Landi, 1961, pp. 9-18 (d'ora
in poi con sigla AFR); GIORGIO LUTI, Cronache letterarie tra le due
guerre 1920/1940, Bari, Laterza, 1962, pp. 20-21; RICCARDO SCRIVANO,
"Il Frontespizio", in Riviste, scrittori e critici del Novecento,
Firenze, Sansoni, 1965, p. 66 ss.; FRANCESCO MATTESINI, Curiosità
di una rivista "stracittadina", in Occasioni di lettura,
Milano, Soc. ed. Vita e pensiero, 1968, pp. 211-220 utile per i riferimenti
al francescanesimo che ispira i primi quattro anni della rivista:
"[
] i Papini, i Giuliotti, i Bargellini erano familiari
ai nostri conventi [ ... ]. Sentivamo che la loro anima era francescana.
San Francesco entra così nella loro vita, non rimane sulla
superficie [ ... ]. "Il Frontespizio" ospita nelle sue pagine
vivaci tutto ciò che si riferisce alle cose francescane",
pp. 212-213; SILVIO RAMAT, Ambiguità del "Frontespizio",
in La pianta della poesia, Firenze, Vallecchi, 1972, pp. 216-232.
Si legge, a p. 221, "[ ... ] una data essenziale è quella
del 1937, quando il saggio di Macrì su Girolamo Comi poeta
cristiano immette con forza il linguaggio ermetico [ ... ] nell'ambiente
della rivista", si tratta di un lapsus di Ramat: non di Comi
ma di Cardarelli si tratta (cfr. O. MACRI', Poesie di Cardarelli in
AFR, pp. 427-439); C. BETOCCHI, "Il Frontespizio" come sotterranea
e prospettica storia di una stagione poetica, in "L'Albero",
XXIX, 60, 1978, pp. 35-49; STEFANO CRESPI, "Il Frontespizio"
cinquant'anni dopo: temi e figure, in " Otto/ Novecento",
III, 5/6, set.-dic. 1979, pp. 137-183. Riferimenti a Comi alle pp.
164 e 168; G. LANGELLA, Betocchi ecc. cit. passim.
7) Sull'"aggressiva veemenza" estremistica del Giuliotti
dell'Ora di Barabba (già fondatore con Tozzi de "La torre")
e del Papini della Storia di Cristo cfr. C. BETOCCHI, "Il Frontespizio"
cit., p. 281. Ibidem (p. 282) l'invito di Ireneo Speranza (pseudonimo
di G. De Luca) all'impegno dei cattolici scrittori (e non degli scrittori
cattolici) a "rendersi conto di tutto, vagliare, chiarire e dominare"
per "uscir di vigliaccheria e seguire le fortune e sfortune della
loro fede in opere d'invenzione o di poesia [ ... ], di polemica o
di contemplazione, dovunque e sempre".
8) Cfr. PIERO BARGELLINI, Il gorilla cattolico, in AFR (FR, febbraio
1932), pp. 109-119.
9) Per le "derivazioni" del Decadentismo da Schopenhouer
si veda almeno WALTER BINNI, La poetica del Decadentismo italiano,
Firenze, Sansoni, 1962, pp. 5-7.
10) Sulle anticipazioni leopardiane del Novecento cfr. soprattutto
EMANUELE SEVERINO, Il nulla e la poesia alla fine dell'età
della tecnica: Leopardi, Milano, Rizzoli, 1990, passim e, in particolare,
p. 21. Si vedano anche LUIGI DE NARDIS, introd. a C. BAUDELAIRE, I
fiori del male a cura di L.d.N., Milano, Feltrinelli, 1971, p. 10,
oltreché MARIO LUZI, Vicissitudini e forma, in FR, XI, 1937,
n. 9, p. 662 ss. (Luzi indicava come la "legge più intima
dell'ispirazione [ ... ] la distanza" che in Leopardi fa tutt'uno
con il vago, l'indefinito, il remoto e riconosceva al Recanatese il
primato nell'aver trattato "come musica" le "occasioni
e i fatti" inaugurando la tendenza al canto che egli invocava
per la poesia pura. Lo stesso Luzi istituisce un parallelo fra Leopardi
e Baudelaire in Note sulla poesia italiana (1937), in AFR., p. 386.
Segnalo ancora G. LANGELLA, Betocchi ecc. cit., p. 139: "Il problema
ontologico si risolve in una formula interrogativa, tra Leopardi e
Montale, sulle ragioni del mondo".
11) Cfr. C. BETOCCHI, Ibidem, p. 284,
12) La distinzione è di HERMET, op. cit.
13) La dicotomia destra-sinistra è un conio di Fallacara che
ben focalizza la diversità ideologica fra le due anime frontespiziane,
cfr. Introduzione ecc. cit., p. 14. Circa il dimensionamento generazionale
dell'ermetismo cfr. O. MACRI', Le generazioni della poesia italiana
del Novecento, in " Paragone/ Letteratura ", n. 42, giugno
1953, poi col titolo Risultanze del metodo delle generazioni in ID.,
Caratteri e figure della poesia italiana contemporanea, Firenze, Vallecchi,
1956, pp. 75-89: prima generazione, nata fra il 1883 e il 1890 quella
del "lirismo nuovo", seconda, nata fra il 1894 e il 1901,
della "poesia pura", terza, nata fra il 1906 e il 1914,
quella dell'ermetismo storico e di matrice frontespiziana.
14) "Bo e Bargellini diventarono ben presto i due rappresentanti
di due correnti diverse: Bargellini con Papini e Giuliotti (e in certo
qual modo anche La Pira) sarà la destra del movimento, Bo,
con i suoi amici che entreranno più tardi (1935), Luzi, Macrí,
Parronchi, Traverso, e specialmente Luzi e Macrí, rappresenterà
l'estrema sinistra", cfr. L. FALLACARA, ibidem. Fu lo stesso
Bo, tuttavia, a ridimensionare l'opinione di un Bargellini oppositore
dell'ermetismo e a rendergli atto di un'apertura conciliante verso
la fronda ermetica: "Non metterei Bargellini fra gli oppositori
della letteratura nuova, al contrario lo porrei fra coloro che hanno
permesso il rinnovamento dell'ermetismo. E' sulla sua rivista che
sono apparsi per la prima volta i poeti della seconda generazione
[ ... ]. Posizione tanto più meritoria in quanto non sempre
Bargellini poteva trovare un punto di equilibrio fra la sua formazione
e una letteratura che per gran parte veniva dalla Francia", cfr.
C. BO, recensione a G. LUTI, op. cit., in "L'Europeo" del
19 maggio 1966. Sulla malinconia di Bargellini in ordine all'evoluzione
del "Frontespizio" cfr. P. BARGELLINI, Per morte scampata,
in AFR, pp. 524-528.
15) GIROLAMO COMI, Necessità dello stato poetico, Roma, ed.
"Al tempo della Fortuna", 1934. Comi ne aveva inviato copia
a Betocchi dopo che apparve la citata recensione (cfr. n. 1 ).
16) Le lettere di Betocchi a Comi, utilizzate in questa sede, sono
custodite nell'archivio storico di casa Comi in Lucugnano (Lecce).
17) G. COMI, Commento a qualche pensiero di Pascal, Tricase, Raeli,
1933.
18) Lettera del 25 aprile 1935.
19) G. COMI, Aristocrazia del Cattolicesimo, Modena, Guanda, 1937.
20) Nella biblioteca di Comi sono presenti tutti i numeri del "Frontespizio"
a partire dal 1934, segno della costante attenzione del Nostro ai
contenuti della rivista.
21) Cfr. Aristocrazia ecc., cit., p. 11.
22) Cfr. nota 8.
23) Cfr. lettera di Betocchi del 3 giugno 1934: "vedo un uomo
del quale posso sperare che mi sarà, e ben presto anche, maestro
di Fede".
24) G. COMI, Cantico dell'argilla e del sangue, Roma, "Al tempo
della Fortuna", 1933.
25) E' Roberto Papi.
26) Cfr. lettera di Bargellini del 3 luglio 1935. Le lettere di Bargellini
a Comi sono dieci: del 3.7.'35, del 29.8.'35, del 11.11.'35, del 27.3.'37,
del 28,7,'49, del 16.12.53 (tra l'altro vi si legge: "Ora c'è
qui a Firenze anche Macrí, preside, che vuole da me le migliorie
della scuola"), del 5.7.'54, del 23.12.'55, del 7.7.'56, del
19.8.'58.
27) Lettera del 29 agosto 1935.
28) Cfr. AFR, p. 301. Poi in Cantico del Creato (Cfr. Spirito d'Armonia,
in G.C. Opera poetica a cura di Donato Valli, Ravenna, Longo, 1977,
pp. 71-72).
29) G. COMI, Diario essenziale, in FR. VIII, 1, gennaio 1936 e in
AFR, pp. 321-322.
30) Bargellini espresse a Comi il suo compiacimento nella lettera
del 27 marzo 1937.
31) G. COMI, Monopolio della tradizione, in FR, IX, 4, aprile 1937,
pp. 291-292.
32) "Il Frontespizio" chiuse, nel 1938, la sua prima stagione
cui seguì una seconda, breve e difficile, (1938-'40) che non
valse a perpetuarne la vicenda. Sulla ripresa del periodico cfr. P.
BARGELLINI, Per morte scampata, in AFR., pp. 524-28. Ivi la polemica
con Bo. Vi si legge, fra l'altro, la volontà di continuare
per istanza dei collaboratori, degli abbonati, dei lettori: "Per
far morire il "Frontespizio" mi ci sarebbe voluto più
fatica che a farlo vivere", ibidem, p. 527.
33) Scil. nuova serie.
34) Lettera di Luigi Fallacara a Comi (23 aprile 1939). Sul sodalizio
fra i due poeti pugliesi e sulla collaborazione di Fallacara al "Frontespizio"
cfr. D. VALLI, Assaggi ecc., cit., pp. 88-91.
35) Ibidem.
36) Cfr. G. LANGELLA, Betocchi ecc., cit., passim.
37) G. COMI, Poesia e conoscenza, Roma, "Al tempo della Fortuna",
1932, p. 13.
38) Ibidem, p. 14.
39) Ibidem, p. 29.
40) Cfr. E. SEVERINO, op. cit. e W. BINNI, Pensiero e Poesia nell'ultimo
Leopardi, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1989.
41) Poesia ecc., cit., pp. 30-31.
42) lbidem, p. 38.
43) Ibidem, pp. 44-45.
44) Cfr. G. COMI, Stato di grazia poetico e stato di grazia spirituale,
in "L'Albero" (d'ora in poi con sigla AL), 1949, I, pp.
10-20.
45) Cfr. LUIGI BALDACCI, introduzione a C. BETOCCHI, Tutte le poesie,
Milano, Mondadori, 1984, passim. In particolare p. 17: "dalla
figura e dalla creatura egli è asceso alla contemplazione diretta
dell'Essere che è al di sopra dei fenomeni. Si è spogliato
di tutto, e in questo consiste l'umiltà. Il suo è stato
indubbiamente un percorso mistico, un itinerarium mentis in Deum".
Identico sarà il cammino, nella poesia e nella vita, di Girolamo
Comi. Si veda anche, in ordine al rapporto Poesia-Creazione in Betocchi,
O. MACRI', Della grazia sensibile, in ID., Esemplari del sentimento
poetico contemporaneo, Firenze, Vallecchi, 1941, primo fra i saggi
che lo studioso magliese- fiorentino ha dedicato a Betocchi. Il più
recente, ID., Studi betocchiani, in CBACS, pp. 279-314. Ivi una ripresa
dei tema della "Grazia sensibile".
46) Cfr. GIOVANNI BOCCACCIO, Trattatello in laude di Dante, in Tutte
le opere di G.B., ed. P.G. RICCI, Milano, Mondadori, 1974, pp. 471-476
e 516-522. L'identità poesia-teologia era derivata al Boccaccio
dal Petrarca (ibidem).
47) Cfr. JACQUES MARITAIN, De la connaissance poétique, in
Situation de la poesie, in Jacques e Raissa MARITAIN, Oeuvres complètes,
Paris, Universitaires-Saint Paul, VI, 1984, p. 864,- si veda ancora
J. MARITAIN, Le mystère du monde, in Humanisme intégral,
Paris, Aubier, 1937, p. 137. la pagina citato è ampiamente
postillato e sottolineata da Comi: il volume da cui cito è,
infatti, nella biblioteca del poeta in Lucugnano. Della "frequentazione"
di Maritain da parte del lettore-Comi fanno fede i segg. voll. che
figurano, in Lucugnano, fra i libri indubbiamente più cari
al poeta salentino: J. MARITAIN, Art et scolastique, Paris, 1927;
ID., De la philosophie chrétienne, Paris, 1933; ID., Humanisme
intégral, Paris, 1937; ID., Le docteurAngélique, Paris,
1930; ID., Les droits de l'homme et la loi naturelle, S.L., 1942;
ID., Questions de conscience, Paris, 1939; ID., Trois réformateurs:
Luther-Descartes-Rousseau, Paris, 1927 (a p. 1 Comi annotava: Lu avec
joie le 12.13.14 Juillet 1934 Lucugnano); ID., il pensiero di San
Paolo. Testi scelti e presentati da J. M., trad. di Teresio Marchi,
Torino, Borla, 1964.
Si può agevolmente osservare che la presenza di opere maritainiane
(in tutte ampie tracce di lettura) nella biblioteca di Comi data già
dal 1927 e si infittisce negli anni Trenta; riguarda, dunque, gli
anni a ridosso della conversione e quelli immediatamente successivi,
gli anni "frontespiziani" per intenderci, fatto eccezione
per l'ultimo dei volumi citati che è del 1964. Comi leggeva
direttamente in francese per via della perfetta conoscenza di quella
lingua che, come è noto, apprese e padroneggiò nel soggiorno
parigino (1912-'15). Su questo periodo cfr. D. VALLI, Datario comiano,
in G. C., Opera ecc. cit., p. 458 e M. CANTELMO, op. cit., pp. 21-31.
lbidem, pp. 185-243 i testi in francese di Vedute e Riposi.
48) Cfr. G. LANGELLA, Betocchi ecc. cit., p. 108: "Del resto,
tutta la zona del manifesto di Bo che culmina nel riconoscimento del
valore ontologico dell'arte è il frutto di un abile montaggio
di spunti maritainiani".
49) Cfr. C. BO, Letteratura come vita, in AFR, p. 511. Bo, comunque,
indicava al lettore la derivazione di questa sua tesi da J. e R. Maritain
alludendo loro chiaramente: "due spiriti indispensabili non è
molto ce l'hanno ricordato", ibidem.
50) G. COMI, Poesia e conoscenza, cit., p. 14. Cfr. anche ID., Aristocrazia
ecc., cit., pp. 38-39: ivi esplicito richiamo a Maritain (Science
et sagesse).
51) Letteratura come vita, ibidem.
52) Su questi autori e in particolare su Gide, Claudel, Gourmont,
Mallarmé, Rimbaud, Verhaeren cfr., relativamente a Comi, D.
VALLI, Girolamo Comi, cit., passim e lo stesso G. COMI, Piccole note
intorno a un grande dramma (André Gide), in AL, V, n. 13-16,
1952, pp. 86-93. Cfr. anche M. CANTELMO, op. cit., pp. 22-23 e n.
11 pp. 25-26. Su Claudel, Bo scrisse in più occasioni; qui
si segnala C. BO, Meditazione su Claudel, in "Letteratura",
I, 1937, 1, p. 118 ss.
53) G. LANGELLA, ibidem, p. 138.
54) Sul paraermetismo di Comi, Fallacara, Betocchi, Vigolo e altri
cfr. D. VALLI, Contributo di una generazione, in AA. VV, Letteratura
italiana contemporanea, Roma, Lucarini, 1980, pp. 260-325.
55) G. COMI, Aristocrazia ecc., cit., p. 27.
56) Ibidem, p. 46.
57) Ibidem, p. 31.
58) Su questo tema Comi tornerò, coniugando l'avversione sia
a Marx che a Nietzsche, con l'articolo Due maestri della "disintegrazione":
Marx e Nietzsche, in "La Fiera letteraria" del 24 dicembre
1961 in cui riprende alcuni aspetti del precedente Nietzsche e Marx
(concordanze e divergenze), "La Gazzetta del Mezzogiorno"
del 23 maggio 1959.
59) Cfr. G. COMI, Lettere all'Antagonista, in AL, X, n. 30-33, gennaio
1957-giugno 1958, pp. 50-79; ID., Aspetti del fatto di Prato, Ragioni
e diritti della Chiesa, in "Il Critone" (d'ora in poi con
sigla CR), III, gennaio-febbraio 1958, p. 6, ID., Diario per "L'Albero",
in AL, XI, n. 34-35, 1960, pp. 81-97 e in AL, XIII, n. 41-44, pp.
133-148.
60) L. BALDACCI, Introduzione ecc., cit., p. 12.
61 ) Per questa definizione cfr. G. LANGELLA, Betocchi ecc. cit.,
pp. 107-134.
62) C. BO, Letteratura ecc., cit., p. 51 l.
63) O. MACRI', Esemplari ecc., cit. Anche se non propriamente a carattere
sistematico, l'opera, che si innesta sul tronco di una matrice vichiana,
può considerarsi la Bibbia della critica ermetica.
64) Cfr. Aristocrazia ecc., cit., pp. 25, 38, 39, 42, 43, 55, 111,
113 (ove compare un passo di Art et Scolastique dallo stesso Comi
tradotto e inerente al rapporto Arte-Grazia), 117, 120. Passim i richiami
a S. Tommaso.
65) Sull'influenza che CHARLES DU BOS (1883-1939), con Vie et littérature
("Etudes", 5 gennaio 1936, pp. 25-35), esercitò sul
critico ligure cfr. lo stesso C. BO, Diario aperto e chiuso (1932-1944),
Milano, ed. Di Uomo, 1945, pp. 131-134 e 292-297.
66) Cfr. Letteratura ecc., cit., in CFR, p. 511.
67) Cfr. nota 38.
68) Cfr. Aristocrazia ecc., cit., p. 13.
69) Ibidem, p. 24 s.
70) Cfr. G. COMI, Cantico del creato (1934-'38), in Opera poetica
cit., pp. 63-74, in particolare la lirica eponima della raccolta ("Tu
sei lo stesso Signore"), pp. 68-70.
71) Mio il corsivo.
72) Aristocrazia ecc., pp. 28-29.
73) Cfr. AFR, p. 321.
74) G. COMI, Spirito d'armonia (1939-1952), in Opera poetica, cit.,
pp. 80-88.
75) Cfr. AFR, pp. 388-392.
76) C. BETOCCHI, Della letteratura e della vita, in AFR, p. 496.
77) Cfr. "Letteratura", n. 7, 1938, p. 180 s.
78) C. BETOCCHI, Della letteratura ecc., cit., p. 490 s.
79) Ibidem.
80) Cfr. C. BO, Riconoscenza della poesia, in FR, VI, n. 1, pp. 9-10.
81) ID., Letteratura ecc., p. 51l. Sul rapporto Du Bos-Bo cfr. G.
LANGELLA, Betocchi ecc., cit., pp. 108-114 in particolare ove si afferma,
fra l'altro, che "il manifesto ermetico aderisce al suo palinsesto
[DU BOS, Vie ecc., cit.] fin nei simboli e nelle parole" e si
produce una collazione fra i due testi, quello di Du Bos citato e
quello di Bo (Letteratura come vita) da cui emerge "l'entità,
ma anche l'intelligenza del trapianto" (p. 112, nota 35). Vi
si legge, ancora, che "era naturale che [ ... ] il leader dell'ermetismo
si appoggiasse a un critico come Du Bos che godeva di un prestigio
straordinario nei cenacoli letterari di Firenze" (p. 114). Il
riferimento è, ovviamente, al caffé delle "Giubbe
rosse".
82) Sul betocchiano tema della "grazia sensibile" cfr. il
recentissimo e già citato saggio di O. MACRI', Studi ecc.,
in CBACS, pp. 279-314. Ivi la "teopoiesi dell'ultimo Betocchi"
(pp. 282-300). Di MACRI' si veda anche Studio archetipico-testuale
sulle "seconde" poesie di Betocchi con un risguardo alle
"prime", in "Antologia Vieusseux", a. XVI, n.
1-2, giugno 1981. Per uno studio delle dinamiche avantestuali e paratestuali
della poesia di Betocchi cfr. LUIGINA STEFANI, (a cura di), Carlo
Betocchi dal sogno alla nuda parola, Firenze, Gabinetto Vieusseux
ed altri, 1987. Sull'"ontologismo oggettivistico" di Betocchi
si veda G. LANGELLA, Betocchi ecc., cit., p. 115: "Ma le scansioni
più limpide di questa [frontespiziana] comune fiducia nelle
risorse ontologiche della poesia si devono sicuramente a Betocchi"
e, mi sia consentito aggiungere, a Comi.
83) Cfr. G. LANGELLA, ibidem, p. 117.
84) Ibidem.
85) Su questi aspetti del misticismo di Comi, mi sia consentito rinviare
al mio Girolamo Comi fra teologia e misticismo, in "Nuovi orientamenti
oggi", XIX, 1988.
86) Non propriamente di silenzio di sé si può parlare
per l'ultimo Comi che guarderà in se stesso e rivelerà,
ad esempio, il dramma (spirito-materia) che lo devasta (cfr. Sogno,
in Spirito d'Armonia, cit.: "Dalla terrestrità che mi
devasta / succhiare il soffio dell'aurora prima / fino a spogliarmi
della carne guasta" ecc. (in quell'aurora prima la metafora della
natale innocenza) o canterà la propria vecchiezza come l'"essenza
della gioventù futura" in Canto per Eva.
87) Cfr. LUCIANO DE ROSA, recensione a C. BETOCCHI, Il vetturale di
Cosenza ovvero Viaggio meridionale, Quaderni del Critone, Lecce, 1959,
in AL, fasc. XI, n. 34-35, 1960, p. 106. Sulle relazioni storico-letterarie
fra Salento e cultura nazionale dal Rinascimento al Novecento cfr.
MARIO MARTI, Dalla Regione per la Nazione analisi di reperti letterari
salentini, Napoli, Morano, 1987.
88) Ne ho fatto cenno, passim, nelle precedenti puntate di Asterischi
comiani, sulle pagine di questa stessa rivista. Giova tuttavia segnalare,
a ulteriore riprova dell'acceso dibattito che caratterizzò
la cultura salentina degli anni Cinquanta, l'editoriale de "L'Esperienza
poetica", a. III, 1956: "[ ... ] le discussioni suscitate
attestano l'avvenuta rottura di quell'immobile fronte della poesia
e della critica che esisteva al momento in cui l'E.P. sorse [1954]:
da un lato quelli che, senza senso storico, sostenevano che la poesia
s'era fermata al '43: dall'altro gli ideologi, astratti nel loro politico
programma di realismo artistico [ ... ]. Alla rottura del falso dilemma
[ ... ] e alla riapertura del vivo flutto del cammino dialettico della
poesia e della letteratura, l'E.P. ha dato il primo serio contributo".
L'editoriale mi risulta che fu scritto da Luciano De Rosa.
89) Su questo carattere si vedano almeno le già citate opere
di VALLI, BONEA e MARTINA, ma anche FRANCESCO LALA, Letture salentine.
Narratori, poeti e critici dall'Ottocento ai nostri giorni, Cavallino,
Capone, 1979.
90) Cfr. L. DE ROSA, ibidem.
91) Lettera del 18 dic. 1960 a Luciano De Rosa che vivamente ringrazio
per avermi dato facoltà di pubblicarla.
92) Il riferimento è a Realtà vince il sogno (1932).
93) Cfr. G. COMI, Stato di grazia ecc., cit. p. 18.
94) Lettera del 11 settembre 1950.
95) Cfr. C. BETOCCHI, La poesia di Clemente Rebora, in AL, fasc. III,
1950, pp. 5-10.
96) Ibidem, p. 6.
97) Campana e Rebora erano stati già al centro dell'attenzione
di Betocchi nel 1937, allorché egli individuò due direttrici
del Novecento italiano che diramavano l'una dal poeta dei Canti orfici
(1914), l'altra dal poeta dei Frammenti lirici (1913): dal primo germogliava
l'"orfismo fiorito", dal secondo una "corrente più
forte e di più sicuro avvenire", cfr. C. BETOCCHI, Su
Clemente Rebora, in FR, 1937, in AFR, pp. 373-381.
98) ID., La poesia ecc., cit., p. 7.
99) Cfr C. BO, introduzione a C. BETOCCHI, Poesie scelte, a cura di
C. Bo, Milano, Mondadori, 1978, p. 10.
100) Cfr. FERRUCCIO ULIVI, Classicismo di Campana, in AL, 13-16, 1952.
101) Cfr. O. MACRI', Pagine di un diario, ivi.
102) Cfr. G. COMI, Piccole note intorno a un gronde dramma, ivi.
103) AL, n. 17-18, 1953, p. 17.
104) Cfr. n. 87.
105) Dedicato a Oreste Macrí nell'edizione C. B., Tutte le
poesie ecc., cit., pp. 255-273.
106) Cfr. L. BALDACCI, introd. a C.B. Tutte le poesie, cit., p. 16.
107) Cfr. C. BO, introduzione ecc., cit., ibidem. Fra le numerose
"etichette" date al poeta, segnalo quelle di Luzi ("poesia
del sensibile" che ricalca la formula macriana "della grazia
sensibile"), Zanzotto ("poeta dei tetti"), Albisani
("poeta rabdomante").
108) Cfr. Il vetturale ecc., cit., Treno notturno ecc., p. 11.
109) Cfr. C. BETOCCHI, A proposito dell'amico Cavani, in AL, gennaio-giugno
1958, n. 30-33, pp. 43-49.
110) Lettera del 14 dicembre 1953.
111) ARTURO ONOFRI, Letture poetiche del Pascoli con prefazione di
E. CECCHI, Ed. de "L'Albero", 1953.
112) Lettera cit., n. 110.
113) Pagano curò l'appendice bibliografica a Spirito d'Armonia.
A p. 161 una
breve scheda sulla recensione betocchiana del 1934.
114) Cfr. nota 1.
115) L'articolo apparve sul "Popolo" il 15 ottobre 1954
col titolo Spirito d'Armonia cui seguì Incontro con il poeta
Comi (su Canto per Eva) il 27 novembre 1958.
116) Cfr. lettera di Bargellini a Comi del 7 luglio 1956.
117) Lettera del 3 gennaio 1955.
118) Lettera di Betocchi a Comi del 4 agosto 1956.
119) Quanto sopra è ricavato dalle lettere dotate 18 novembre
'56, 7 dicembre '56, 14 dicembre '56, 26 dicembre '56, 18 aprile '57,
24 giugno '57, 12 agosto '57, 3 settembre '57, 30 settembre '57.
120) Cfr. lettera del 18 aprile 1957.
121) Ibidem.
122) Cfr. nota 6.
123) Lettera del 20 dicembre 1957.
124) Lettera del 4 ottobre 1958.
125) In Piccolo idillio ecc., cit., v. 12.
126) Lettera dei 29 agosto 1961.
127) Cfr. lettera di Betocchi a Pagano del 27 maggio 1957.
128) Cfr. C. BETOCCHI, L'esempio di Papini, in CR, I, n. 5-6, agosto-settembre,
1956, pp. 6-7.
129) Cfr. ID., Per la benedizione della lapide sulla casa di Domenico
Giuliotti, in CR, II, n. 1-2, gennaio-febbraio 1957, pp. 6-7.
130) Lettera del 8 dicembre 1956. Cfr. GIORGIO CAPRONI, La mia amicizia
con Betocchi, in CBACS, pp. 101 - 102.
131) Si veda, a proposito, il mio Lettere inedite di G. Caproni a
G. Comi in
"Sudpuglia", 1, marzo 1991.
132) Si tratta di un sonetto giocoso. Qui si riporta solo la prima
quartina. E' in CBACS, ibidem.
133) In CR, II, n. 4, aprile 1957, p. 5, poi in C.B., Tutte le poesie,
cit., pp. 280-282.
134) In CR, II, n. 10 - 11, novembre-dicem6re 1957, p. 6, poi in C.
B., ibidem, p. 301.
135) Cfr. C. BETOCCHI, Viaggio meridionale, in CR, IV, n. 1-2 gennaio-febbraio
1959, poi col titolo segnalato in nota 87, quindi in L'estate di S.
Martino (1961). Cfr. anche C.B., Tutte le poesie, cit., pp. 257-273.
136) Tre liriche, Sosta laziale, Stando con donne che cavano la ghiaia
da un fiume in
Ciociaria, Sugli Aurunci, in CR, V, n. 9-10, settembre-ottobre 1960,
p. 5, poi ne Il Vetturale ecc., cit., dell'edizione Tutte le poesie,
cit.
137) Sulla rivista in parola dedicarono interventi critici inerenti
a Betocchi F. ULIVI, Festa alla poesia (elogio a Betocchi), in CR,
IV, 1-2, gennaio-febbraio 1959, p. 6; L. FALLACARA, Prose di Carlo
Betocchi, in CR, VI, n. 5-6, maggio-giugno 1959, p. 9; ENZO PANAREO,
La poesia di Betocchi, in CR, VI, n. 10 - 11 - 12, ottobre-dicembre
1961, p. 5.
Per completare l'informazione bibliografica circa la produzione critica
maturata intorno a Betocchi sulle riviste salentine, nel periodo '41
- '66, segnalo: GIACINTO SPAGNOLETTI, A Carlo Betocchi, in due tempi:
vita e letteratura, in "Libera voce" del 24 maggio 1947,
a. V, n. 16, pp. 2-4 e ID., La poesia di Betocchi, in "Libera
voce" del 28 giugno 1947, V, n. 20, p, 3.
138) Ringrazio la gentile signora per avermi dato facoltà di
pubblicarle.