Premessa
storico-culturale
L'acquisto dell'autonomia costituzionale era la prima vittoria importante
dei maltesi nella loro marcia verso l'indipendenza conseguita nel 1964.
Dal 1921 in poi la piccola nazione continuava a cercare la propria fisionomia,
organizzando meglio il sistema dei partiti e superando la polemica linguistica
nel 1934, allorché il maltese, insieme con l'inglese, divenne
lingua ufficiale. Attraverso gli assidui contatti con esuli italiani,
e considerando le condizioni del risorgimento della penisola, analoghe
alla situazione del loro Paese, il popolo maltese trovò l'ispirazione
e la motivazione che gli mancavano. Alla base di tutto questo c'era
il patrimonio culturale comune (1).
Per interi secoli a Malta si sviluppò una vasta letteratura in
italiano, frutto di intellettuali educati "italianamente"
(come si diceva), che seguivano costantemente l'architettura stilistica
e la gamma tematica (largamente religiosa, civile e personale) degli
autori italiani. Quando poi ebbe inizio lo sviluppo di una letteratura
in lingua maltese, accessibile facilmente a tutti, lo scrittore era
finalmente in grado di interpretare fedelmente e direttamente il sentimento
proprio e collettivo e non più
l'ambizione accademica, spesso distaccata dalle tensioni attuali della
comunità. L'autore non poteva rinchiudersi più nello stretto
santuario delle sue care precettistiche e dei suoi preziosi formalismi,
ma doveva incontrarsi con il popolo e ispirarsi alle sue esperienze.
A Malta il principio della popolarità della letteratura, un eredità
illuministica che il romanticismo modificò secondo le nuove profonde
esigenze, non poteva realizzarsi pienamente in italiano. Si ha così,
entro i limiti di una sola esperienza culturale, il dualismo fondamentale:
l'italiano, la lingua dotta della tradizione e della classe colta, e
il maltese, la lingua incolta (anche se antica e ricca) delle masse
popolari.
Tale processo di sviluppo in lingua maltese è nato all'incirca
nella prima metà dell'Ottocento - se si vuole parlare in termini
di movimento diffuso e di dimensione nazionale - quando chi scriveva
in maltese non poteva prescindere dal fatto che, nonostante il substrato
semitico del suo veicolo, la tradizione, la struttura dell'espressione
e l'intera educazione letteraria di tutti erano esclusivamente italiane.
Perciò la nuova produzione in maltese era costretta a seguire
la stessa direzione, ed in effetti è mantenere la continuità
storica che è sempre essenziale nell'evolversi del pensiero e
della forma.
Tra letteratura antica e letteratura moderna (o romantica) c'è,
dunque, quasi a spartiacque, la distinzione linguistica tra italiano
e maltese. C'è anche la distinzione inerente alla polemica tra
il classico e il romantico, l'antico e il nuovo.
Ma, in ultima analisi, c'è una sola identità che in termini
di storia letteraria e sociale significa il trapasso dall'indifferentismo
tradizionale alla maturazione di una nuova consapevolezza nazionale.
In termini di polemica linguistica, significa la scoperta romantica
della lingua incolta, popolare. Dunque la conoscenza della letteratura
italiana come conoscenza della letteratura della regione (la presenza
della cultura italiana è essenzialmente un aspetto della complessa
identità mediterranea dell'isola) è un bisogno indispensabile
per la valutazione delle due esperienze della sensibilità maltese.
A causa di questa presenza, ispirata alle personalità più
distinte (Dante, Manzoni, Foscolo, Leopardi e numerosi altri), la poesia
maltese, come del resto tutta la narrativa, è direttamente riconoscibile
nelle caratteristiche più fondamentali della tradizione europea.
Non si tratta soltanto di influssi e di assimilazioni; si tratta anche
di una autentica esperienza maltese che, vista sotto questo profilo,
è un altro contributo alla formazione di un'unica, anche se complessa,
spiritualità continentale (2).
La visione
spirituale di Dante
Frequentemente l'italiano è descritto dai letterati e dai politici
maltesi come "la lingua di Dante". In effetti è questa
la frase che può introdurre il discorso sulla vasta fortuna
che ebbe il poeta nell'isola, sia sul piano educativo sia sul piano
della prassi letteraria. Già nel 1643, anno della pubblicazione
del primo libro stampato a Malta (I Natali delle Religiose Militiae
de' Cavalieri Spedalieri, e Templari, e della Religione del Tempio
l'Ultima Roina, opera di G. Marulli da Barletta), c'è qualche
eco della poetica della luce nel paradiso in un sonetto del Marulli
e un certo riflesso dell'atmosfera infernale in un altro sonetto di
Carlo Cosentino. Sono elementi, comunque, rappresentati con una sensibilità
e con un gusto di tipo barocco. In fondo, questa sintesi tra elementi
danteschi e barocchi costituisce il carattere principale di tanta
letteratura maltese in lingua italiana. Malta ha una vasta raccolta
di inni religiosi e civili, di sonetti e di odi d'occasione che mettono
in rilievo questa tipica scelta metaforica e lessicale. Questo culto
dantesco doveva per forza manifestarsi, particolarmente con l'arrivo
dell'Ottocento, anche nelle opere degli scrittori maltesi.
Accanto alla visione di Dante patriota c'è anche la scoperta
sentimentale di Dante esteta del notturno, del terrore e della morte.
E' Richard Taylor (1818-1868) che introduce questo gusto nella letteratura
in lingua maltese. Egli comincia con la predilezione per la rievocazione
di paesaggi indefiniti, ricchi di un fascino patetico, e presto contribuisce
all'affermazione della sensibilità ossianica e sepolcrale del
Preromanticismo storico mediante la traduzione di un'opera di Young,
il Giudizio Universale (1845). Acquisito questo gusto attraverso la
lettura di un poeta moderno, Taylor scopre la maggiore rilevanza di
Dante. Lo stesso gusto lo spinse a tradurre, nel 1864, il canto XXXIII
dell'Inferno (Il-Konti Ugolino, Malta, Borg, 1864), che Taylor definisce
"il-kant tat-treghid" ("il canto del tremore ").
Il poeta maltese ebbe l'intenzione di tradurre tutta l'opera dantesca,
ma morì quattro anni dopo.
Con la traduzione di questo XXXIII canto inizia il culto, che poi
ebbe vaste risonanze nella letteratura maltese. Alla luce della psicologia
apologetica con cui tanti letterati maltesi affrontavano il problema
linguistico del maltese, tradurre Dante significava anche dare prestigio
alla lingua nativa e fornire una prova della sua ricchezza espressiva.
Nel 1899 Ganni Sapiano Lanzon (1858-1918 publicò Kant -33 ta'
l-Inferno: Il-Konti Ugolino e nel 1905 L-Ewwel Taqsima tad-Divina
Commedia: l-Infern. Nello stesso anno Alfredo Eduardo Borg pubblicò
La Divina Commedia ta' Dante Alighieri migjuba u mfissra bil-Malti,
e nel 1907 uscì Att tal-Fidi miktub fuq il-Kredu ta' Dante
Alighieri (con una seconda edizione nel 1909) di Salvatore Frendo
De Mannarino (1845-1918). Più tardi Sapiano Lanzon pubblicò
anche Francesca da Rimini - Il-Hames Kant ta' l-Infern (1913) e Il-Hajja
ta' Dante (senza data). La traduzione più importante e più
valida èindubbiamente quella di Erin Serracino Inglott (1904-1983),
il cui primo volume uscì nel 1964. Accanto a questo corpo di
traduzioni vi è una scelta abbastanza larga di saggi critici.
La fortuna di Dante è dovuta in gran parte al profondo riconoscimento
tributatogli dal poeta nazionale Dun Karm Psaila (1871-1961), noto
popolarmente come Dun Karm. E' opportuno soffermarci brevemente almeno
sulla presenza di Dante in lui, dal momento che Dun Karm è
la figura maltese culturalmente più importante e un sicuro
punto di riferimento per la conoscenza del carattere di questa letteratura.
L'ammirazione di Dun Karm per Dante traspare non soltanto attraverso
i giudizi di valore che lo collocano tra i maggiori poeti del mondo,
ma anche dagli influssi tematici e stilistici che si manifestano più
volte nelle sue poesie, particolarmente in quelle della prima raccolta
del 1896. Ma egli mostra ancor più schiettamente questa sua
devozione nelle tre parti di un suo lungo commentario filosofico,
Il monumento commemorativo del congresso. Nella prima parte Dun Karm
dà un esempio stilistico di quando Dante si servì di
una figura geometrica per significare incrollabile fermezza, e presenta
anche la sua giustificazione per questa scelta: la piramide difatti
tra le molte figure geometriche è forse la più stabile,
giacché essa ha un centro di gravità più vicino
alla base che al vertice e ugualmente lontano dai lati" (3).
Si riferisce all'episodio dell'incontro di Dante con il suo trisavolo
Cacciaguida nel quinto cielo del Paradiso, dove appaiono al poeta
gli spiriti militanti. Nella seconda parte l'autore ritiene che dal
felice sposalizio di due ritmi nascano il piacere estetico e la bellezza.
Come esempio di questa fusione tra forma esterna e senso interno,
la sostanza dell'ispirazione, Dun Karm cita l'episodio dell'incontro
tra Dante e Casella. Nella terza parte del saggio Dun Karm discute
la complessità che si dibatte nell'esperienza spirituale dell'artista,
soprattutto del poeta. Egli trova il massimo modello nella personalità
di Dante.
In un discorso del 1901, trattando della gloria come uno dei motivi
principali che conducono l'artista a compiere una grande opera, Dun
Karm mette in rilievo la figura di Dante: T fu questo magnanimo sentimento
che poté produrre un Dante, il quale lavorò instancabilmente
ventinove anni, procacciandosi una vita d'esilio e un pane che sapeva
di sale" (4). in una delle sue liriche maggiori, Lill-Kanarin
Tieghi (Al mio canarino), scritta in un momento di amarezza personale,
il poeta tocca il tema dominante della solitudine e adopera l'immagine
del pane per dare un'impostazione sensuale all'esperienza della sofferenza
spirituale.
In un altro momento, Dun Karm discute la rilevanza di Dante come poeta
nazionale: "Lontano da Firenze, scrivendo il suo poema, Dante
se ne servì a redimere se stesso dall'infamia a cui era stato
sottoposto, e a spargere (e simultaneamente calmare) la collera della
sua mente e del suo cuore contro i suoi nemici che lo avevano separato
dalla sua città che amò affettuosamente e che fino all'estremo
della sua vita sperava di rivedere" (5). La luce, la forma che
Dante sceglie per esprimere l'indicibile nella terza cantica, ispirò
Dun Karm a coniare qualche frase che descrive Dio. Dante scrive duce
eterna" (6), "eterno lume" (7), "somma luce"
(8), e Dun Karm, forse ricordandosi anche del "sommo sole"
di Manzoni (9), scrive "sole divino" (10) e "mar d'eterno
lume" (11). Il motivo della luce si sviluppa in varie poesie;
ad esempio, nel brano che segue il motivo dello splendore si fonde
con quello dello spazio:
del sol d'eterna
luce,
onde s'ammanta Dio discese un raggio,
che d'un fulgor superno ti vestì! (12)
Per Dante la Chiesa
è l'"esercito di Cristo" (13), mentre per Dun Karm
è la "vincente repubblica di Cristo" (14). E' anche
la sposa del Signore (15), e Dun Karm riproduce l'immagine dantesca,
adoperata anche da Monti (16) in alcune delle sue opere più
impegnate, come La Chiesa e Leone XIII, Per Novello Sacerdote-II,
La Framassoneria in Malta, Nel Giubileo Episcopale di Leone XIII,
e Ancora l'Alpinista.
La crisi foscoliana
Dun Karm pubblicò la traduzione dei Sepolcri foscoliani nel
1936. Intendendo dare evidenza della sua piena adesione al sentimento
di rispetto dovuto alla lingua nazionale, Dun Karm costruì
una versione di alto valore linguistico, basata quasi esclusivamente
sulla componente semitica del lessico maltese. Ma questo è
soltanto il motivo esteriore, storico, di un'esperienza che riconosce
nella traduzione soltanto un primo momento. Il poeta stesso dichiarò
che intendeva comporre un poema concepito come compagno ed epilogo
dei Sepolcri. Si tratta di Il-Jien u Lilhinn Minnu (L'io e l'aldilà),
il capolavoro del poeta e una delle opere maggiori di tutta la letteratura
maltese.
La prima fase dell'esperienza foscoliana di Dun Karm consiste in un'accettazione
aperta della supremazia stilistica e fantastica del carme (17); la
seconda prende la forma di una radicale contestazione della sua filosofia.
Si tratta di una reazione calma, malinconica e tormentata, anche se
è sempre svolta alla luce della sua profonda fede cristiana.
Alle volte il poeta finisce per abbracciare in parte alcuni elementi
della concezione pessimistica. Fondamentalmente Dun Karm rimane sempre
un romantico e la sua spiritualità si dibatte costantemente
in un clima di effusione sentimentale e di rassegnato rimpianto. Da
una accurata analisi delle visioni dei due poeti, si deduce che il
loro interesse si concentra, essenzialmente, sul problema della sopravvivenza.
La soluzione è del tutto differente; tra le due posizioni c'è
l'abisso che separa una visione metafisica, anche se sofferta, dallo
scetticismo che emana dal razionalismo puro.
Dun Karm reagisce cristianamente alla teoria dell'io creativo come
centro del mondo, e dell'illusione come principio che motiva l'attività
umana. Negando questa visione, risultato del soggettivismo kantiano,
Dun Karm restaura questa costruzione intellettuale introducendo il
motivo dell'amore divino (riflesso nella fede) come il fondamento
inalienabile di tutta l'esperienza terrena. Contro "il sistema
della continua illusione", per citare Rosmini, il cristiano riconosce
un punto oggettivo di riferimento (il paradiso nell'oltretomba) invece
dell'"illusione creante" (il paradiso soggettivo che Foscolo
colloca nello spirito e nella memoria umana). La restaurazione di
Dun Karm è vicinissima a quella che Rosmini presenta nel Saggio
sopra alcuni errori di U. Foscolo, in cui sostituisce la funzione
affidata all'illusione (creata dall'io egoista) con la missione del
cristianesimo che realmente "soddisfa tanto a tutte le umane
necessità" (18).
Mentre Foscolo sposta la propria attenzione sull'ordine mitologico
e leggendario del mondo pagano, Dun Karm cristianizza tutto il suo
panorama e sceglie le immagini dalla cultura evangelica. Nei Sepolcri
ci sono i colli, i giardini, i fiumi, le fonti, il mare; in Il-Jien
u Lilhinn Minnu ci sono le rose, gli uccelli, le stelle, il mare.
C'è soprattutto il sole: quello del Foscolo risplende sulle
"sciagure umane"; quello di Dun Karm è involto nelle
cupe nuvole mentre "piange" sul dolore e sull'essenziale
aridità della terra.
Noto per la sua devozione verso la madre, Foscolo fonde il tema autobiografico
con quello metafisico; nel "tetto materno" raffigura tutti
i sospiri per la vita familiare che non poteva più godere.
Il ruolo affidato alla madre nel Jien u Lilhinn Minnu non suggerisce
soltanto la memoria di una donna morta; è lei la personificazione
della verità rivelata, il simbolo vago ma presente di una fonte
inesauribile di principii morali. Le figurazioni foscoliane riassumono
in sé la grandezza umana. Sono inconfondibili nella loro linearità
scultorea, e hanno una fisionomia che giganteggia sull'ambiente. Dun
Karm mescola l'inno con l'elegia, la gloria a livello metafisico con
l'annientamento della materia. L'opposizione fondamentale tra i due
poeti si illustra anche attraverso un semplice confronto tra il verso
iniziale dei Sepolcri, "All'ombra dei cipressi e dentro l'urne",
e il verso 142 del poema maltese, "gos-sigar tac-cipress u qalb
is-slaleb" ("Intorno ai cipressi e fra le croci").
L'intonazione ritmica del verso di Dun Karm conserva la malinconia
della cadenza foscoliana, e gli accenti dell'endecasillabo danno il
maggiore rilievo alle due parole più importanti: cipressi e
urne, cipress (cipressi) e slaleb (croci). Si rispecchia sinteticamente
il divario sostanziale che c'è tra le due opere. Il poeta maltese
cristianizza il contenuto razionale di Foscolo. Lo spettacolo è
unico, caratterizzato dalla presenza suggestiva dei cipressi, ma mentre
le urne foscoliane sono la dimora concreta della nuova sopravvivenza
ideale, le croci di Dun Karm rievocano emblematicamente un'altra realtà.
Il malessere
leopardiano
Uno dei maggiori poeti maltesi, Karmenu Vassallo (1913-1987), trova
in Leopardi non soltanto l'artista che si avvicina di più al
modo in cui, a suo parere, si deve creare la poesia, ma anche l'uomo
autenticamente sincero con se stesso (che soffre) e con gli altri
(ai quali sente il bisogno di svelare il proprio dolore).
La sincerità è la qualità che unisce l'esistenza
con la poesia, l'uomo che soffre con l'artista.
Il confronto Leopardi-Vassallo si realizza mediante un contatto diretto
di conoscenza e di immedesimazione: "Sono entrato nel cuore e
nell'anima della poesia leopardiana e [ ... ] sono diventato una stessa
cosa con lui" (19). I seguenti sono alcuni esempi del rapporto
psicologico e letterario tra i due.
L'esclusione, un'esperienza prettamente leopardiana che anche Vassallo
scopre troppo presto nella gioventù, si presenta sotto due
aspetti. Il primo scaturisce dal confronto tra se stesso e la società
che sente gioire intorno, condannato alla solitudine dai mali fisici
e da tutto quello che lo rende socievole. il confronto è, in
primo luogo, collocato poeticamente in un giorno di festa tradizionale.
Zewg Ghidien (Due feste) si compone di due quadretti contrapposti.
Nel primo si dà rilievo alla festa che si svolge in un paese;
nel secondo, si dipinge la triste scena di un giovane fatalmente ammalato
che viene portato all'ospedale. Dalla contemporaneità delle
due scene, che si svolgono nello stesso luogo, nasce il contrasto.
Come Leopardi (La sera del dì di festa, A Silvia, Il passero
solitario), Vassallo contrappone due circostanze, l'una lieta e l'altra
tristissima. Con la loro compresenza o contemporaneità arriva
ad una fusione di inno e di elegia, rendendo così, in virtù
degli opposti, più commovente il significato del contrasto
e più malinconico il quadretto. E' questa poesia del contrappunto
felicità-dolore che spiega perché il poeta, pur essendo
solitario, è continuamente consapevole della festa sociale
che si sta svolgendo intorno a lui.
L'esclusione di Vassallo è leopardiana anche nella sua polemica
contro la banalità della folla contemporanea. E', in fondo,
la poetica di ascendenza petrarchesca e poi alfieriana, che nel recanatese
si annunzia già con All'Italia e continua a maturare e a diventare
una delle preoccupazioni salienti della sua vita. Il Vassallo degli
anni 1932-1944 è polemico contro la folla insensibile, priva
di valori che sollevano l'uomo al di sopra dell'animalità (20).
La definizione degli uomini contemporanei, atroci nelle loro azioni,
e moralmente ipocriti, è spinta, sia in Vassallo sia in Leopardi,
dall'idea della superiorità spirituale del poeta nei confronti
della leggerezza collettiva del popolo (21). Fuorché due, in
ultima analisi, si definiscono nemici del genere umano; l'isolamento,
che in alcuni momenti sembra l'effetto di una sconfitta personale,
si traduce orgogliosamente in un motivo di netta distinzione degna
dei grandi:
Hbiebi kulma
hlaqt int: barra l-bnedmin! (22)
(I miei amici sono tutte le creature: fuorché gli uomini!)
E sprezzator
degli uomini mi rendo (23).
Il secondo confronto
da cui esce il quadro dell'escluso, sempre in virtù della rievocazione
contemporanea di due opposti, è quello tra il processo incessante
e sovrabbondante della natura e la sterilità insanabile e moribonda
del poeta. Da un lato, c'è il continuo rinnovamento di un programma
stagionale che non si esaurisce mai; dall'altro, c'è la staticità
di una condizione umana. Il susseguirsi dell'inno e della elegia è
comune ai due poeti (24). Accanto alla celebrazione della bellezza
del mondo esterno, si erge la figura desolata, simbolo del mondo interiore,
così che il trionfo dell'oggetto e l'agonia del soggetto, i
superlativi per la natura e le parole di privazione per il poeta (individuo
e anche rappresentante di una intera razza umana), si intrecciano
in un doloroso insieme. Apparentemente, i temi sembrano accostati,
ma in realtà si fondono perché la relazione tra l'esterno
e l'interno è reciproca, intrecciata in un rapporto di causa
e di effetto. Più la natura rivela il suo incanto, più
si addolora lo stato d'animo.
Nella contemplazione del limite (la realtà negativa) e nella
sua sublimazione fantastica (la realtà poetica), si trovano
i due poli estremi di un'unica esperienza; da un lato l'autobiografia,
e dall'altro l'arte. Nel centro di tutta l'esperienza c'è la
metafora del mare visto sotto due aspetti: il mare come visione infinita
in cui si cerca di annegare, e il mare come simbolo che oggettiva
lo stato d'animo inquieto. Come in Leopardi, in Vassallo è
veramente difficile distinguere tra la necessità psicologica
di "tuffarsi" nell'indeterminato e nel vago, e la volontà
di utilizzare la stessa visione come immagine della condizione interiore.
"La vastità della sensazione" è interiore,
e rivela la crisi, ma la sua esteriorizzazione si trasforma in un'esperienza
estatica. Accanto all'effetto che fa nell'uomo la vista del cielo,
Leopardi pone anche la visione del mare "e d'ogni sorta d'immagine
presa dalla navigazione ecc [ ... ]. Le idee relative al mare sono
vaste, e piacevoli per questo Motivo" (25).
L'esperienza è, dunque, contemporaneamente un concentrarsi
sul proprio io turbato e un dispiegarsi in uno spazio sconfinato.
Come nell'Infinito, il mare è il più idoneo a raffigurare
poeticamente la tensione interiore; in Vassallo èanche il mare
che dà dimensioni vaghe e indeterminate al problema.
Conclusione
I due piani principali dello studio comparato, qui brevemente illustrato
con alcuni cenni agli autori più rappresentativi, sono i seguenti:
influenza diretta e influenza indiretta.
E' diretta quando un autore si identifica idealmente con un autore
"straniero" (ad esempio, Dun Karm con Monti, con Manzoni
e poi con Foscolo). E' indiretta quando l'influenza, ad esempio di
un Dun Karm foscoliano, trova eco in altri autori maltesi attraverso
la conoscenza di Dun Karm, e non direttamente attraverso Foscolo:
è il caso dei poeti minori che sono maturati sotto le ali di
Dun Karm.
Si tratta di un processo complicato di contatti, confronti e assimilazioni.
Ad esempio, alcuni romantici maltesi formano la propria identità
alla luce del mondo italiano che, a suo tempo, ha subìto influssi
tedeschi, inglesi e francesi. Questi elementi, quando riescono a profilarsi
nell'ispirazione maltese, sembrano il frutto diretto del contatto
Malta-Italia. Gli elementi dello Sturm und Drang che risalgono alla
superficie nella personalità di Karmenu Vassallo sono controllati
e relativamente superati perché sono passati dal filtro latino.
Gli autori minori si sviluppano attraverso l'influenza di Dun Karm,
e il cammino dell'assimilazione assume qui un carattere triplice:
(a) dal mondo italiano (b) al mondo di Dun Karm (c) al mondo dei poeti
maltesi. Questo processo non toglie che qualche autore maltese non
possa rifarsi alla luce dell'autore originale, che ora può
diventare una fonte rinnovata di metafore, tonalità e contenuti
che l'autore maggiore stesso (Dun Karm in questo caso) non avrebbe
mai assimilato. Ad esempio, l'importanza di un Byron nella letteratura
russa si è diffusa sia a causa dell'influenza di autori russi
su altri autori russi, sia a causa dell'incontro diretto tra Byron
e autori russi, tra i quali Pushkin, che ha poi influito su Lermontov
e su altri.
Più che il carattere diretto o indiretto dell'influsso, lo
studioso del fenomeno maltese deve prendere in considerazione il bilinguismo
(italiano-maltese, inglese-maltese) come punto di partenza e punto
di arrivo nello stesso tempo, e così riesce a far entrare il
contributo maltese (ricco anch'esso di una forte originalità
e di molte caratteristiche indigene) nel grande oceano della letteratura
continentale e mondiale. Sia che si analizzi il rapport de fait di
Carré sia che si cerchi di individuare il courant commun di
Van Tieghem, ritengo che il risultato conduce sempre ad una sintesi.
L'indagine su tutti e due mette in luce alcuni aspetti extra-letterari,
ad esempio la distinta identità dei maltesi come popolo. Questo
rapporto si traduce in -un documento di identificazione nazionale;
è così, sia che si chiami influenza, adattamento, assimilazione,
interferenza, fortuna letteraria, imitazione, sia se si consideri
- come ritengo doveroso nel caso maltese -come partecipazione diretta
ad un mondo (grande), partecipazione che è naturale per un
mondo (piccolo) fatto di un'isola definibile secondo una tradizione,
una storia, una lingua antica e una situazione geografica. In altri
termini, l'europeità di Malta letteraria è evidenza
anche di una europeità extra-letteraria, caratteristica che
risale in superficie anche dal modo meraviglioso in cui un dialetto
di origine semitica è diventato una vera e propria lingua autonoma
assumendo numerose tendenze romanze.
A questo punto si impone il quesito se è giusto parlare di
influenze, cioè di contenuti importati e imposti da una grande
cultura su un'altra subalterna, o se si deve piuttosto riconoscere
l'esistenza di un intero programma di partecipazione naturale e organica,
consapevole e istintiva, ad una civiltà comune, quella mediterranea.
Quando si riesce a constatare la presenza di vari elementi comuni
che caratterizzano un'intera tradizione, e quando si trovano sentimenti,
immaginazioni, forme di ragionamento, schemi retorici e altre componenti
che conducono verso la scoperta e la definizione di un'unica identità
regionale o continentale, lo studio comparato si riduce allo studio
di una sola vasta civiltà. Alla luce di queste considerazioni
fondamentali, che il tema del presente saggio non ci permette di illustrare,
Malta ci potrebbe interessare come una parte piccola e vivace di tutto
l'organismo. Sul piano letterario ciò conduce alla conclusione
che il periodo tradizionale della letteratura maltese fa parte integrale
dell'esperienza romantico-risorgimentale italiana (e non è
semplicemente il risultato di un influsso esterno), e che il periodo
moderno, iniziato negli anni Sessanta di questo secolo, costituisce
una variazione o l'aumento di altri filoni sul filone basilare (cioè
mediterraneo, realizzato secondo urta fusione di eredità italiana
e di assimilazione maltese). Nonostante il fatto che questi giudizi
sono qui consapevolmente ignorati, il loro valore rimane particolarmente
in rapporto alla necessaria conoscenza di una linea di demarcazione
tra una cultura nazionale e un'altra.
Gli autori maltesi del primo Novecento, inserendosi fedelmente nella
strada aperta dai loro predecessori, si sono dedicati con tutta la
loro forza intellettuale e linguistica alla conferma di un duplice
ideale: rimanere fedeli alle esigenze della visione romantica (che,
pur sorpassata come tale o quasi, era ancora a Malta la situazione
storica più nota e l'unica via da battere in sede letteraria
e, da un punto di vista ideologico, l'unica a poter sfruttare con
efficacia il principio dell'identità nazionale) e promuovere
la lingua maltese a lingua letteraria. In sede tematica intendevano
raggiungere una profondità paragonabile a quella della letteratura
italiana. Conservavano la disposizione dei poeti del secondo romanticismo
italiano, e si servivano come loro di una irruenza retorica e di toni
impetuosi (continuando così a camminare nella stessa direzione
della generazione precedente), costruendo una visione sentimentale,
irrequieta della -vita privata e nazionale, che sublima la vita interiore
quasi in uno sforzo incessante a realizzare un compromesso ideale
tra il mondo esterno (turbato dai mutamenti politici e dall'insicurezza
sociale) e il mondo esterno (in cui è evidente, in vari modi,
il "male del secolo".
E', comunque, sempre profondo il senso della presenza dei protagonisti
del primo momento romantico italiano (e con loro, i maggiori dei secoli
precedenti), ad esempio di Foscolo con la sua dottrina dei sepolcri
e la sua ansia per l'immortalità, di Manzoni con la sua fede
incondizionata manifestata negli Inni Sacri e con la sua indomabile
volontà di dare un posto stabile e perenne a Dio nel crogiuolo
della storia, e di Leopardi con il suo pessimismo che non riesce a
trovare significato nella vita, vista come an perenne dolore, priva
della possibilità di creare illusioni.
Tradizione letteraria italiana, spiritualità maltese, lingua
semitica: sono elementi che qui si fondono in un insieme, riconoscibile
in sé e nel quadro di una intera cultura europea.
NOTE
1) Uno dei più antichi documenti italiani a Malta è
del 1409 (cfr. Archivio della Cattedrale, Malta, ms. A, ff. 171-176,
pubblicato da A, Mifsud, Malta al Sovrano nel 1409, "La Diocesi",
II, volume VIII, 1918, pp. 243-248). Cfr. anche A. Mifsud, La Cattedrale
e l'Università, ossia il Comune e la Chiesa in Malta, "La
Diocesi", II, vol. II, 1917, pp. 39-40; U. Biscottini, Il volgare
a Malta e una questione dantesca, "Il giornale di Politica e
di Letteratura", X, vol. VI, 1934, pp. 665-670.
2) Cfr. O. Friggieri, Storia della letteratura maltese, Edizioni Spes,
Milazzo, 1986, pp. 11-28 e passim.
3) Il monumento commemorativo del congresso, "La Diocesi",
II, vol. X, 1918, p. 311.
4) Il discorso pronunziato dal precettore sac. Carmelo Psaila il giorno
della distribuzione dei premi al seminatio, "La Palestra del
Seminarista", I, 4, 1901, p. 74.
5) L-Oqbra, Stamperija tal-Gvern, Malta, 1936, p. 29.
6) Paradiso, XI, v. 20; XXXIII, v. 124.
7) Paradiso, XXXIII, v. 43.
8) Paradiso, XXXIII, v, 67.
9) La Risurrezione, v. 47,
10) A San Filippo d'Aggira, v. 29.
11) L'Assunzione, v.20.
12) Per novello sacerdote - IV, vv, 9- 11,
13) Paradiso, XII, v. 37.
14) Nel giubileo episcopale di Leone XIII, vv. 129-130.
15) Paradiso, XI, v. 32; XII, v. 43.
16) In risposta al sonetto di Vittorio Alfieri, v. 14.
17) A proposito dei diversi influssi foscoliani, qui appena accennati,
sull'opera del maltese, occorre ricordare gli inizi di varie poesie.
Diverse aperture di Foscolo prendono la forma di conclusione di una
precedente meditazione, e hanno parole come "così"
(Luce degli occhi miei), "né" (A Zacinto) e "forse"
(Alla sera). Dun Karm ricorre a questi inizi in numerose opere, e
ha "no" (A Leopoldo, Dagradi), "e" (Nella morte
dell'alpinista, Ancora l'alpinista, Al novello sacerdote G. Spiteri),
"izda" (Lil Malta, Il-Ghanja tar-Rebha), "issa"
(Lill-Muza), "hekk" (Il-Bandiera Maltija) e "le"
(Il-X ta' Frar - 1920, Lil Marija, Lil Dun Gwann Muscat, Il-X ta'
Frar - 1927, Lil Dun Anton Galea).
18) "Della speranza - saggio sopra alcuni errori di Ugo Foscolo",
Apologetica, Boniardi Pogliani, Milano, 1840, p. 100.
19) Alla taz-Zghazagh, G. Muscat, Malta, 1939, p. 34.
20) Cfr., ad esempio, Mysterium mysteriorum, vv. 37-40 e Il-biza'
tieghi, vv. 19-36.
21) Si può paragonare tra l'altro la figurazione del popolo
in Iftahli mà e Int biss con "la codarda gente" (Amore
e morte, v. 12) che è presente in Il pensiero dominante, vv.
53-58, 65-68 e in Le ricordanze, vv. 30-33. L'avversione che ebbe
Leopardi per il "borgo natio", sentita già nelle
prime lettere dell'epistolario, corrisponde all'avversione che Vassallo
ebbe per la generazione contemporanea dei maltesi; è un argomento
che ritornerà con tutta la forza nell'ultimo periodo (1947-1970)
in cui meno si sente il profondo dissidio tra il mondo interiore e
la realtà mediocre dei contemporanei, e si dà inizio
ad un processo di smascheramento dell'ipocrisia e della bassezza morale
della società. Fra le poesie dell'ultimo periodo, cfr. Jekk...,
Il-lum, "Unknown Island", Il-Buiedem, Lil Dun Mikiel Xerri.
L'introversione sparisce e viene fuori l'estroverso rigenerato, il
Vassallo del periodo post-leopardiano, che lancia invettive senza,
però, ritirarsi e richiamare la propria miseria.
22) Hbiebi, v. 40.
23) Le ricordanze, v. 42.
24) Cfr. Marzu, vv. 11-18 e Ultimo canto di Saffo, vv. 19-26.
25) Zibaldone, Opere, II, a. c. di S. Solmi e R. Solmi, R. Ricciardi,
Milano-Napoli, 1956-'66, pp. 387-388. Cfr. anche pp. 314, 375-376.
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