§ Le cefalee primarie o autonome

Quel cerchio alla testa




Italo Vittorio Tondi



Questa sintesi sulle cefalee primarie o autonome ci viene suggerita, oltre che dalla loro diffusione, soprattutto dalle ancora non tutto chiare cause etiopatogenetiche, con ovvie implicazioni di carattere terapeutico e socio-economico.
Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, circa il 12% della popolazione soffrirebbe di mal di testa ed in Italia il numero dei cefalalgici ascenderebbe a circa 10 milioni, a 300 mila dei quali viene riconosciuta l'incapacità lavorativa.
Ove si consideri che i più colpiti sono soggetti dai 20 ai 45 anni è facile dedurre l'entità del danno socio-economico. Aggiungendo il costo dei medicinali, dei ricoveri, degli esami di laboratorio e delle indagini strumentali, necessarie ai fini diagnostici, l'onere finanziario da uno Stato assunto è di enormi proporzioni.
Anche se la cefalea (e l'emicrania, che di essa è una variante) era conosciuta sin dai tempi di Nerone ed era stata descritta da Areteo di Cappadocia, solo in quest'ultimo cinquantennio essa ha costituito oggetto di particolare attenzione, di studi clinico-sperimentali e tentativi terapeutici, con conseguenti discussioni e diverse classificazioni.
In ambito nazionale, la primogenitura dello studio delle cefalee spetta alla scuola fiorentina che, con Greppi e Martinetti al 49° Congresso della Soc. It. di Med. Int. (Bologna 1948) e con Greppi e Sicuteri ed un folto gruppo di collaboratori nel 65° Congresso della stessa Società (Roma, 1964), espose i risultati di ricerche sperimentali e di osservazioni cliniche del Centro per le cefalee, il primo istituito in Italia nel 1947.
Personali ed originali teorie etiopatogenetiche, oltre a suggerimenti farmacologici, furono nel Congresso di Roma rispettivamente prospettate e suggeriti nei confronti delle cefalee autonome in generale e dell'emicrania in particolare.
Per cefalea primaria o autonoma deve intendersi il mal di capo che non trova spiegazione in alterazioni organiche intra-extra-craniche o sistemiche, ma che è l'epifenomeno di momenti etiopatogenetici in parte decifrati, in parte ancora oscuri.
Per definire il termine di cefalea ed emicrania ci avvaliamo delle parole di Greppi e Sicuteri: "cefalea, nel senso più generale e accetto, signitica dolore di testa e cioè molestia subiettiva avvertita a livello del capo e, più intimamente, del cranio [ .. ]. Quando interessa prevalentemente una metà laterale del capo e tanto più se interviene a grandi crisi [ .. ], figura anche sotto la classica denominazione di emicrania" (in Diagnostica Medica Differenziale di A. Fieschi, Ed. Wassermann, 1959).
La complessità, le difficoltà e, talora, le non convergenti interpretazioni etiopatogenetiche, dedotte da dati sperimentali e criteri farmacologici, hanno intensamente interessato gli Studiosi e sollecitato in tutti i Paesi la creazione di centri per lo studio delle cefalee. Diciotto, compreso quello della Clinica Medica l° dell'Università di Bari, sono attualmente quelli operanti in Italia. L'apporto dei loro lavori è oltremodo interessante, produttivo e significativo, pur in assenza, talora, di univoche risultanze.
Quale il meccanismo o i meccanismi fisiopatogenetici delle cefalee autonome?
Dalla teoria meccanica dell'onda d'urto per vasodilatazione sulle pareti delle arterie cerebrali (Wolff), non suffragata dall'impiego di farmaci vasocostrittori, si è passati a quella biochimica-neuronale (Sicuteri) che imputa la responsabilità ad alcuni neuro-trasmettitori (dopamina, serotonina, ecc.), agenti sui recettori algogeni ipotalamicolimbici. Gli stimoli irritativi pervenendo, tramite i mediatori chimici, dalla periferia al centro della "nocicezione" verrebbero poi trasmessi alla corteccia cerebrale, con l'induzione del dolore cefalico, in soggetti geneticamente e neuro-psicologicamente predisposti. L'utilità dell'impiego degli antiserotoninici (acido 5-idrossitriptofano) avvalorerebbe per alcuni casi tale interpretazione.
Successivamente lo stesso Sicuteri, comparando la crisi cefalalgica a quella da astinenza morfinica, ha invocato nella patogenesi della malattia, suffragandolo con prove sperimentali, anche il concorso degli oppioidi endogeni (endorfine). Una loro carenza nel centro del dolore costituirebbe quindi un'altra causa della cefalea primaria.
A maggiore chiarimento e comprensione riportiamo letteralmente le parole di Sicuteri: "La teoria italiana che riconduce il fenomeno a una ipertrasmissione lungo il nevrasse dei segnali dolorosi riscuote credito crescente. Tale ipertrasmissione sarebbe legata a un difetto di inibizione e modulazione del dolore, fisiologicamente svolte dagli oppioidi endogeni e dalla serotonina. Il difetto all'inizio crea una insufficiente trasmissione sinaptica degli impulsi sensitivi, come avviene nella deafferentazione organica (dopo amputazione di un ano, nelle sequele post-zosteriane, nella sclerosi multipla). In seguito, per eccesso di compenso, i neuroni sensitivi di secondo e terzo ordine spinale amplificano i segnali dolorosi e li trasmettono automaticamente, senza il comando di stimoli periferici. Siamo quindi - conclude Sicuteri a una sorta di deafferentazione non organica ma funzionale, fluttuante e nel tempo e nella gravità" (Il Giornale del medico, n. 50, 1987).

Recentemente, K. M. Antony Welch di Detroit, presidente dell'International Headhache Society (I.H.S.) ha riferito di avere registrato, con l'ausilio di sofisticatissime apparecchiature, durante l'accesso doloroso un calo del tasso magnesiaco (ipomagnesemia) nella circolazione cerebrale. Rimane il dubbio se esso preceda o accompagni la crisi cefalalgica.
E G. D'Andrea, direttore del Centro per le cefalee di Vicenza, avrebbe riscontrato durante gli accessi emicranici con aura un aumento di due amminoacidi eccitatori, l'acido glutammico e l'acido aspartico, e di un amminoacido modulatorio, la glicina, idonei ad indurre una ipereccitabilità neuronale e variazione della circolazione sanguigna cerebrale (Corriere Salute, n. 40, 1990).


Momenti etiopatogenetici favorenti e/o scatenanti sono pure considerati: la situazione familiare ed ambientale, il sesso, l'età, il periodo catameniale e post-catameniale, l'attività professionale con i relativi surmenages e stress, la soglia del dolore, le disormonosi, gli allergeni, il patrimonio immunitario, i traumi cranici, la fragilità del centro di nocicezione.
Per la classificazione globale delle cefalee, (vale a dire delle primarie e secondarie) e dell'emicrania e di alcune caratteristiche e peculiarità, ci avaliamo, anziché delle precedenti, formulate su incerti criteri etiopatogenetici, di quella redatta nel 1988, su elementi clinici, dalla I.H.S., che prende in considerazione, appunto, le due classi: le cefalee primarie e secondarie (Tab. 1 e 2).
Nelle Tab. 3 e 4 vengono rispettivamente indicati alcuni fattori scatenanti la crisi dolorosa ed i fenomeni, soggettivi ed obiettivi, che in parte o in tutto la accompagnano.
Ai fini dell'inquadramento diagnostico molto importanti sono da considerarsi le informazioni anamnestiche, indicate nella Tab. 5. Delle cefalee autonome un discorso a parte meritano due forme:
a) la cefalea di tipo tensivo (o muscolo-tensiva); b) la cefalea a grappolo (cluster headhache).


La cefalea di tipo tensivo costituisce circa il cinquanta per cento delle cefalee autonome; prevale nettamente nelle donne, colpisce elettivamente il terzo decennio d'età; è di oscura etiopatogenesi, anche se vengono chiamate in causa presunte disfunzioni delle articolazioni temporo-mandibolari ed oromandibolari, la posizione durante il lavoro e durante il sonno. Sono maggiormente predisposte persone neurolabili, ansioso-emotive, molto sensibili agli stress, ma con assenza di impronte di ereditarietà e familiarità.
Può essere episodica e cronica, ed entrambe possono accompagnarsi a contrattura dei muscoli pericranici. Se episodica, il dolore si appalesa a casco o al vertice del capo o alle regioni temporo-occipitali, della durata da alcune ore ad una settimana e non è accompagnata da altri sintomi. Se cronica, presenta una gradualità nella frequenza, nell'intensità e durata dei singoli accessi, localizzati nelle medesime sedi anatomiche. Per essere definita cronica, la cefalea di tipo tensivo deve durare circa quindici giorni al mese per almeno sei mesi.
La cefalea a grappolo (cluster headhache), tristemente nota anche come "cefalea da suicidio", pur essendo rara (meno dell'uno per cento delle cefalee autonome), è la più pesante sul piano della sofferenza. Più frequente nei maschi, preferisce il secondo e terzo decennio d'età, ma non risparmia le altre, finendo con l'esaurirsi spontaneamente oltre i cinquant'anni. Se episodica, l'algia, unilaterale, interessa l'arca temporo-orbitale e gli accessi si susseguono una o più volte al giorno, pressoché alla stessa ora (cefalea orologica), con accentuazione notturna, quasi ininterrottamente (periodo del grappolo), della durata di trenta-novanta minuti, con fasi anche di lunga remissione e sono comitati da turbe vegetative, anche'esse unilaterali (lacrimazione, chemosi congiuntivale, rinorrea, ecc.) e da agitazione psicomotoria (pacing around). La forma cronica è caratterizzata da continuità della sintomatologia soggettiva ed obiettiva, con poche o nessuna fase di remissione, dalla scarsissima influenza della farmacoterapia preventivo-curativa.
Oscura è l'etiopatogenesi, anche se fattori di presunta responsabilità sono stati invocati: istamina, disormonosi, disfunzione del centro di nocicezione e delle strutture nervose extrapericraniche, alterazioni bioumorali ed immunitarie.
Per quanti volessero approfondire lo studio sui presunti aspetti fisio-patogenetici e suggerimenti terapeutici della cefalea a grappolo, rimandiamo alla magistrale lettura di M. Giacovazzo al 90° Congresso della Soc. It. di Med. Int. (Roma, ottobre 1989).
Da essa può dedursi quanto molteplici, complessi ed intrecciati siano i fattori chiamati in causa nel suo determinismo. Fuori discussione è certamente la multifattorialità etiopatogenetica, come emerge appunto dall'acuta analisi di Giacovazzo, suffragata da indagini sperimentali, farmacologiche e dallo studio clinico di una vasta casistica del Centro per le cefalee dell'Università di Roma. La diagnosi delle cefalee autonome si avvale, oltre che di esami ematochimici, siero-immunologici e di test farmacologici, soprattutto di indagini strumentali. Alle precedenti, ma sempre valide, pressione endoculare e lettura del fundus, prove vestibolari, elettroencefalogramma, esame radiologico standard e stratigrafico del cranio, ventricolografia e carotidografia, sono venute ad aggiungersi la ultrasuonografia doppler, la TAC senza o con mezzo di contrasto o ad emissione di positroni, la scintigrafia, la risonanza magnetica nucleare, l'angiografia digitale e, recentissima, la magnetoencefalografia. Il punto cruciale nell'intricato problema delle cefalee autonome era e resta quello del trattamento terapeutico, preventivo-curativo. Una vasta gamma di farmaci viene impiegata o suggerita nelle fasi acute e nelle fasi di remissione. I più usati sono riportati nelle Tab. 6 e 7. Nel Congresso di Sydney (1988) dell'I.H.S., lusinghieri giudizi furono espressi su un nuovo antiserotoninico chiamato sumatriptan. L'impiego dell'ACTH, dei cortisonici e, soprattutto, dei sali di litio, pur con i loro risvolti negativi, costituisce il trattamento di elezione nella prevenzione e nella cura della cefalea a grappolo.


Il profluvio farmacologico è indicativo delle difficoltà di una univoca interpretazione dei meccanismi etiopatogenetici della malattia.
Ad integrazione dei farmaci elencati, e quando essi risultino poco o nulla efficaci, è onesto dire che mezzi alternativi vengono considerati: l'agopuntura, il biofeedbach, lo yoga e il training autogeno.
Sono trascorsi oltre quarant'anni dalle nostre prime cognizioni sulle cefalee primarie. Le ritenemmo costituissero il capo del filo di una aggrovigliata matassa che in un lontano futuro sarebbe stata dipanata. Quattro decenni sono trascorsi d'allora e, nonostante la messe di contributi scientifici, sperimentali, farmacologici e clinici e l'apporto di sofisticate tecnologie, solo in parte quella matassa è stata dipanata. L'intensa attività e collaborazione dei Centri per le cefalee nazionali ed esteri, in una col progresso tecnologico, attenuano il nostro latente pessimismo, inducendoci a presagire, nell'interesse del malato e per il prestigio della scienza medica, prossimi ulteriori traguardi.


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