La ripresa dell'America
dalla recessione del 1990-1991 incontra qualche difficoltà.
Ecco perché la Federal Reserve nell'autunno dell'anno scorso
ha ridotto il tasso di sconto portandolo dal 5,5 al 5 per cento. La
stessa economia italiana sarà influenzata, quest'anno, da quanto
accade qui in America. Siamo ancora il mercato unico più grande
del mondo.
Un'ostinata minoranza di esperti continua a non credere che la recessione
della Guerra del Golfo, cominciata nel luglio 1990, si sia conclusa
nel maggio 1991. Ad essi si aggiungono altri pessimisti che parlano
in maniera oscura di una recessione "a doppia V" nel corso
dell'autunno 1991.
La maggior parte degli esperti nelle banche, nelle aziende e nelle
università americane continua a sostenere l'ipotesi che gli
Stati Uniti si trovino in una fase di ripresa. Ora, però, si
mostrano un po' preoccupati. E c'è un accordo praticamente
unanime sul fatto che questa sarà una ripresa debole e anemica.
Nell'ultima mezza dozzina di fasi di espansioni post-belliche la crescita
reale si è attestata, nel primo anno di espansione, su una
media superiore al 5 per cento. Malgrado ciò, le proiezioni
prevalenti parlano di qualcosa come il 2-3 per cento di crescita reale
del Pnl statunitense fra metà 1991 e metà 1992.
Come mai tanta insolita debolezza? Sono molti i motivi che si possono
addurre, e mi riprometto di darne una valutazione. Tanto per cominciare,
ce n'è uno della massima importanza: l'industria automobilistica
e quella dell'edilizia abitativa costituiscono due settori importanti
della nostra economia. Entrambi sono piuttosto deboli. Finché
due settori di peso notevole come questi rimarranno lenti, 'intera
economia partirà da una posizione di grave svantaggio.
Naturalmente, il quadro complessivo è più complicato.
Cercherò, quindi, di elencare altri fattori a sostegno della
tesi.
1° - La Federal Reserve di Alan Greenspan si è mossa troppo
poco e troppo tardi. Nella lotta contro l'inflazione, gli zelanti
sono la maggioranza fra i dirigenti della Fed. Questo è il
motivo per cui hanno permesso che l'atterraggio morbido del 1989-1990
degenerasse in recessione aperta. Anche oggi la Federal Reserve è
lenta e troppo esitante nell'operare per facilitare il credito e per
rafforzare la macroeconomia.
2° - La fiducia dei consumatori non è molto elevata. Le
vendite al dettaglio non sono molto robuste.
3° - E' sempre stata consuetudine che la politica fiscale (imposte
e programmi di bilancio-spesa) operasse Per rafforzare la politica
monetaria. Con Ronald Reagan e George Bush alla presidenza, una cronica
riluttanza ad aumentare le aliquote di imposta in misura sufficiente
da equilibrare i bilanci di piena occupazione ha distrutto la politica
fiscale come utile strumento anticiclico. I governi di cinquanta Stati
e di migliaia di località stanno licenziando e riducendo spese
di cui hanno necessità. Risultato: il vasto settore dei servizi
è per la prima volta stagnante.
4° - Abbiamo ancora una "rarefazione del credito". Centinaia
di banche sono fallite. Altri fallimenti stanno per concretizzarsi.
Il risultato è che i revisori e i certificatori di bilancio
delle banche esercitano una pressione tale sulle aziende di credito
che queste oggi razionano i prestiti al massimo (il presidente Bush
comunque ha approvato di recente una serie di contromisure per incoraggiare
le banche "sane" a concedere credito all'industria).
5° - Per ricapitolare, dopo una recessione debole e breve, i pronostici
sono a sfavore di un brillante rimbalzo delle scorte e della produzione
globale. E ora che il tasso di crescita normale dell'America è
sceso attorno al 2 per cento - metà di quello degli anni Sessanta,
quando la produttività Usa cresceva più rapidamente
- la differenza.fra una ripresa anemica e nessuna ripresa è
minore di quanto sia stata di solito.

E per quanto riguarda
l'economia globale? Si comporterà in maniera da rafforzare
la ripresa statunitense o indebolirla? Il Canada e la Gran Bretagna
hanno preceduto l'America nella fase recessiva e sono anche state
alla testa del movimento di ripresa. Di maggiore importanza nel quadro
mondiale sono, però, la Germania e il Giappone.
La riunificazione ha stimolato la Germania (ex)occidentale e provocato
un po' di surriscaldamento. Si può contare sul fatto che il
nuovo capo della Bundesbank, preoccupato dell'inflazione, tenga i
tassi d'interesse tedeschi più alti di quelli americani. L'Europa
sotto la guida della Germania non sembra avviata verso un modello
pulsante che sosterrà il resto della crescita mondiale in questo
1992.
In Giappone, il prezzo dei ripetuti scandali di brokeraggio è
stato pagato col disagio politico. La fiducia nei mercati di Tokio
si è incrinata. Anche l'economia reale in Giappone ha cominciato
a sentire qualche ventata di freddo. Ho il sospetto che il governatore
della Bank of Japan sarà costretto a desistere dalle sue crociate
sul denaro più caro per punzecchiare le bolle del mercato speculativo
locale. La forza che sta alla base della società giapponese
dovrebbe permettere a una politica monetaria orientata a "porsi
contro il vento della recessione" di evitare una depressione
grave.
Tutto sommato, l'America nei prossimi mesi non può contare
su un forte stimolo dall'estero. Non deve, però, neanche temere
il propagarsi sui nostri lidi di una grave debolezza estera.
Quando nel Medio Oriente o nell'Europa orientale esplode l'instabilità
politica, l'America diventa un porto sicuro per investitori nervosi
di tutto il mondo. Ora che la situazione in URSS è radicalmente
cambiata e la Guerra del Golfo ce la siamo lasciata definitivamente
alle spalle, avrei qualche dubbio su una forte rivalutazione del dollaro.
Finché la nostra economia ha bisogno di riduzioni nei tassi
d'interesse da parte della Federal Reserve, c'è da attendersi
un indebolimento del dollaro in relazione allo yen giapponese e al
marco tedesco.
Che cosa provocherebbe un nervosismo diffuso circa l'economia americana?
Il fatto che la fortuna che abbiamo avuto nel dover fare i conti con
tassi d'inflazione più vicini al 3 che al 4 per cento annuo
dovesse abbandonarci: a quel punto potremmo trovarci di fronte a un
dilemma.
Sono convinto che la Fed abbia le capacità (ma vi farà
ricorso?) per sottrarsi a ogni sorta di debolezza che potrebbe costituire
una minaccia. Ma uno scenario di stagflazione, in cui i prezzi cominciassero
a salire mentre la produzione cala o è stagnante, questo sì
potrebbe paralizzare le macro-politiche necessarie.