Dopo i radicali
mutamenti avvenuti in Unione Sovietica, si sta sviluppando un mercato
comune tra le Repubbliche ormai politicamente indipendenti. Poiché
molti aspetti di tale mercato sono tuttora da definire, alcuni esperti
ed esponenti politici occidentali stanno .facendo pressione affinché
venga mantenuta un'autorità economica centrale, con una sola
banca centrale e una moneta comune. Se, da un lato, manifestare una
simile preferenza costituisce un'interferenza non richiesta in questioni
di politica interna, dall'altro si tratta anche di un consiglio ben
poco avveduto in termini economici. Infatti, molte delle Repubbliche
sovietiche trarrebbero maggiori vantaggi dal potersi dotare di una
propria moneta nazionale.
I funzionari americani ed europei hanno dichiarato che sarebbe più
semplice, in termini amministrativi, elargire i sussidi di emergenza
a breve termine attraverso un'unica autorità economica; tuttavia
il sistema di distribuzione sovietico si è sinora dimostrato
decisamente inefficiente, e quindi, anche per gli interventi di emergenza,
sarebbe molto meglio che i Paesi occidentali trattassero individualmente
con le varie Repubbliche. In ogni caso, non dovrebbe accadere che
il problema contingente dei sussidi di emergenza possa influire in
modo permanente sulla struttura economica dell'ex Urss. La questione
dell'adozione di una singola moneta è di decisiva importanza:
infatti non è solo l'orgoglio nazionale a far sì che
un Paese desideri una valuta propria. Solo con una moneta nazionale
un Paese può esercitare una politica fiscale e monetaria indipendente,
volta al contenimento dell'inflazione e alla riduzione della disoccupazione.

Tra i "pro", c'è il fatto che una moneta comune si
rivela più conveniente per chi viaggia e per le, transazioni
commerciali tra i Paesi membri di un mercato comune. Tuttavia, data
la generale situazione di bassi redditi pro capite vigente nell'ex
Unione Sovietica, una motivazione come quella della convenienza per
i viaggiatori rappresenta un'argomentazione molto debole a favore
della tesi della moneta unica. Per quanto riguarda, poi, la questione
delle transazioni commerciali, il fatto di avere monete diverse non
ha impedito agli Stati Uniti di essere il principale partner commerciale
del Canada, e viceversa, così come il commercio estero del
Giappone non è stato frenato in modo significativo dal fatto
di avere lo yen come moneta nazionale. L'adozione di diverse valute
nella vecchia Unione Sovietica non deve necessariamente tradursi in
una barriera all'efficienza della futura area di libero scambio.
Lo svantaggio di non avere una politica monetaria indipendente diventa
palese quando una determinata regione dell'area a moneta comune si
trova in condizioni economiche sensibilmente diverse da quelle delle
altre regioni. Attualmente, per fare un esempio americano, lo stato
del Massachusetts si trova ancora in fase di recessione, anche se
l'economia degli Usa sta iniziando una fase di espansione. In tale
situazione, il Massachusetts potrebbe auspicare un'ulteriore diminuzione
dei tassi d'interesse, ma non può operarla perché la
politica monetaria viene decisa a Washington.
Se il Massachusetts avesse una propria moneta e una banca centrale,
abbasserebbe i tassi d'interesse per stimolare l'attività economica
locale e potrebbe svalutare la propria moneta allo scopo di favorire
le esportazioni.
Detto ciò, è ovvio che non intendiamo perorare la causa
dell'adozione di un'altra moneta per il Massachusetts. Gli Stati americani
avrebbero molto meno da guadagnare rispetto alle Repubbliche dell'ex
Unione Sovietica dall'adozione di politiche monetarie autonome. E
un ipotetico passaggio a monete nazionali significherebbe una rinuncia
ai vantaggi offerti dalla valuta più usata e generalmente accettata
nel mondo.
Benché, al momento, l'economia del Massachusetts sia piuttosto
indietro rispetto all'inversione positiva registrata a livello statunitense,
di norma le fluttuazioni che interessano l'economia americana fanno
sentire i loro effetti in misura pressoché equivalente nella
maggior parte degli Stati. Pertanto, le politiche monetarie e fiscali
maggiormente adatte alla situazione complessiva degli Stati Uniti
sono, in genere, le più appropriate per il Massachusetts come
per ogni altro Stato americano.
Ecco perché ci sarebbe poco da guadagnare da una politica monetaria
o fiscale indipendente. Per le ex Repubbliche sovietiche, invece,
data la loro maggiore dipendenza da determinate materie prime e la
maggiore specializzazione a livello industriale, è più
probabile che i singoli Stati si trovino in situazioni cicliche differenti,
una volta esposti all'economia mondiale, per cui avrebbero più
da guadagnare dall'adozione di politiche monetarie indipendenti.
Le specifiche regioni americane che si sono trovate ad essere colpite
da fenomeni economici diversi dal resto della nazione hanno potuto
ovviare alle situazioni contingenti anche grazie a uno spostamento
di lavoratori verso aree in cui la domanda di manodopera era superiore.
Nelle Repubbliche dell'ex Urss, invece, per vecchi antagonismi nazionali,
come pure per le diversità di lingua e di religione, vi è
una minore mobilità della forza-lavoro.
Lo stesso sistema fiscale americano riduce la connessione tra produzione
economica locale e reddito spendibile. Quando uno Stato come il Massachusetts
attraversa una fase di recessione superiore al resto della nazione,
le entrate di Washington in termini di tasse diminuiscono, mentre
aumentano automaticamente i sussidi di disoccupazione e altri trasferimenti
da parte di Washington. Ora, benché alcuni economisti si dichiarino
a favore dell'adozione di una simile struttura fiscale centralizzata
per la futura Unione Sovietica, quasi tutti gli indicatori segnalano
che la maggior parte delle Repubbliche auspica una decentralizzazione
dell'autorità fiscale. Di fatto, le autorità monetarie
indipendenti sono anche necessarie per evitare eccessive fluttuazioni
dell'impiego quando determinati shock economici colpiscono le singole
Repubbliche.
Ovviamente, è necessario procedere con estrema cautela all'abbandono
di una moneta ampiamente utilizzata e generalmente accettata sui mercati
nazionali, ma è anche vero che il rublo ha cessato da tempo
di essere una moneta affidabile. L'inflazione a tre cifre ha distrutto
la fiducia in questa valuta e nella sua utilità ai fini della
pianificazione industriale.
Gli ingredienti-chiave per il successo di un mercato comune per l'ex
Urss non includono dunque il mantenimento del rublo. Quel che ha davvero
importanza è la libera fissazione dei prezzi, la libera proprietà
in senso occidentale, la libera concorrenza a livello internazionale
come a livello interno. E questi diritti economici devono essere inseriti
nel contesto di un'infrastruttura legale che attribuisca una chiara
configurazione ai contratti e che stabilisca un sistema per la composizione
delle controversie.
Squilibri monetari
Intanto ad
Est adottano il D-mark
Secondo il vice-presidente
della Bundesbank, Hans Tietmayer, più si aggrava la situazione
nei Balconi e più si afferma, ad esempio in Jugoslavia, ma
anche altrove, l'uso dei marco tedesco come mezzo di pagamento. "Attualmente
- ha detto nel corso di un Seminario per investitori internazionali
- il D-mark è probabilmente la moneta più importante
della Jugoslavia". Lo stesso fenomeno sta manifestandosi in tutti
gli altri Paesi dell'Europa orientale e in particolare nelle Repubbliche
baltiche e in quella russa.
Secondo Tietmayer, che tra poco dovrebbe sostituire Helmut Schiesinger
alla presidenza della Banca centrale di Francoforte, l'espansione
dell'area dei marco ha ormai travalicato la tradizionale regione della
Comunità europea e riguarda Paesi che gravitano su orbite molto
diverse: Austria, Turchia, Scandinavia, Jugoslavia, Polonia, Cecoslovacchia,
Ungheria e Romania.
In Unione Sovietica ci sono alberghi e ristoranti internazionali nei
quali si accetta solo il marco, mentre una volta questo ruolo era
riservato solo al dollaro.
Il fenomeno sta creando anche dei problemi alla Bundesbank, che fatica
a controllare esattamente la propria offerta di moneta. "Abbiamo
verificato un aumento della moneta contante in circolazione, legata
alla "domanda di moneta" degli jugoslavi, in un momento
in cui la Bundesbank deve ancora assorbire una parte della moneta
(pari al 4-5% dello stock totale) derivante dall'unificazione con
la Germania dell'Est". Il circolante si sta espandendo attualmente
al ritmo dell'8,5% e ciò dovrebbe portare M3 (l'aggregato target
della Bundesbank) al limite superiore della banda obiettivo dei 3-5%.
Dal punto di vista delle autorità monetarie tedesche, l'impatto
della nuova domanda di marchi non fa temere conseguenze di carattere
inflazionistico (anche se una pressione sul mercato dei beni tedesco
si sta in effetti esercitando), ma nondimeno ostacolo il controllo
quantitativo della politica dell'offerta di moneta, che è tra
l'altro uno dei criteri tradizionali attraverso cui si cerca di coordinare
le politiche monetarie internazionali.
In questo modo la Bundesbank è sempre meno in grado di agire
in sinfonia con l'Europa comunitaria e sempre più invece si
candido a diventare la Banca centrale di un'altra Europa caratterizzata
dall'area di influenza del marco anziché dalla visione prefigurata
trent'anni fa dai fondatori della Cee.
Nuovi mercati
e fughe di capitali
Dall'Est una
minaccia per l'Italia
Un senso di sfiducia
scorre nelle vene dei Paese. Lo spegnersi della Borsa, che solo per
amore di eufemismo risiede ancora in "Piazza Affari", è
in parte il riflesso emotivo dei disagio con cui molti italiani vivono
l'attuale situazione politico-economica. Eppure questa sfiducia e
questo disagio rischiano di manifestarsi in modo anche più
pericoloso con una fuga all'estero degli investimenti e con l'atrofia
economica del Paese. A giudicare dalle previsioni sul differenziale
di crescita della produzione tra il nostro Paese e i partners europei,
si può dire che un "problema Italia' è già
maturato.
C'è da noi un rischio di deindustrializzazione che ora è
figlio della crisi di fiducia nel sistema-Paese e dell'incertezza
sulla serie (A oppure B?) in cui l'Italia giocherà in Europa,
ma che in prospettiva è giustificato anche dalla pressione
concorrenziale che nascerò dallo sviluppo di nuove strutture
produttive nei Paesi dell'Europa dell'Est.
La crescita delle economie orientali, infatti, sembra fatta apposta
per danneggiare l'Italia. Il contenuto di tecnologia delle nostre
esportazioni è piuttosto basso e le produzioni tradizionali
sono caratterizzate da un uso intensivo di lavoro a costo elevato.
"Il costo di un operaio o di un impiegato in Lituania -spiega
un imprenditore italiano che ha investito nel Baltico - èinferiore
di 50 volte al costo in Italia". Ci si potrò sorprendere
se quei Paesi svilupperanno fabbriche di mobili, di piastrelle, di
lamierino stampato, i tre tipici prodotti italiani imbarcati sulle
navi che partono per i mercati d'esportazione? E quanto a lungo il
mito del prêt à porter potrò difendere l'industria
tessile italiana? Secondo Bernhard Schröder, responsabile per
la Treuhand del settore tessile dell'ex Repubblica democratica tedesca,
la produttività dei nuovi impianti nelle regioni tedesche orientali
è spesso pari a quella dell'Ovest, ma il costo del lavoro è
ancora solo il 60 per cento di quello occidentale.
Inoltre, ciò che il sistema-Italia è in grado di offrire
in termini di infrastrutture, sistemi di telecomunicazione, sviluppo
della ricerca scientifica, qualità della classe politica, ordine
pubblico, appare oggi inadeguato a garantire convenienza a un investimento
in Italia anziché altrove.
Si è parlato così tanto di serie A e B che si è
dimenticato di dire che far parte dei gruppo di Paesi che darà
vita all'unione monetaria ed economica europea è solo una delle
condizioni necessarie alla sopravvivenza del Paese, ma non l'unica.
il fatto che la lira abbia la forza e la credibilità del marco
tedesco, che i nostri tassi di interesse siano pari a quelli belgi,
che l'inflazione sia pari a quella francese, non sarò sufficiente.
Nemmeno la 'convergenza economica' sarà sufficiente.
Nel 1997, infatti, quando nell'ipotesi più ottimistica l'Italia
raggiungerò lo status di serie A, i Paesi dell'Est potrebbero
essersi giù affacciati sui mercati come concorrenti. La percezione
attuale delle possibilità competitive dei nostri vicini dell'Est
sono distorte dalle pur gravi notizie di cronaca: il colpo di stato
a Mosca di metà agosto '97 e la guerra civile iugoslava. In
realtà, già si è mosso un processo di convergenza
economica verso l'Europa, che come quello della Comunità economica
europea prende l'avvio dall'integrazione monetaria.
"Attualmente - ha precisato il vicepresidente della Bundesbank
- il marco è probabilmente la moneta più importante
... ". Nei Paesi dell'Est la sostituzione dei dollaro e delle
monete locali procede di pari passo con l'affermarsi della lingua
tedesca (si stimano in 30 milioni gli orientali che hanno preso lezioni
di tedesco). Secondo gli economisti delle banche tedesche, si sta
creando un'area del marco che ha poca attinenza con quella convenzionale
della Cee. Non solo Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Danimarca
hanno legato la propria valuta a quella tedesca. ma anche una serie
di Paesi che vanno dal Mare dei Nord al Mediterraneo, passando per
il Mar Nero.
Il governo della Repubblica slovena ha creato il "Tolar"
(come "dollaro", una derivazione dal tedesco "Thaler").
L'Estonia ha la 'Corona', e le altre due Repubbliche baltiche stanno
sfornando una moneta simbolo di indipendenza nazionale e pronta a
gravitare nella nuova area europea che si svilupperà nella
regione anseatica ad Est dell'euforica Amburgo. Prima di pensare al
Tolar, la Banca centrale slovena aveva pensato di chiamare la moneta
"Lipa", vicino all'italiano Lira. Ma evidentemente il richiamo
tedesco ha finito col prevalere. La concorrenza tra le nuove monete
e quelle vecchie (il dinaro e il rublo) si giocherò sulla credibilità
della valuta come mezzo di pagamento. Nel lungo termine, l'esistenza
di valute specifiche per Paesi economicamente piccoli è un
costo. a meno di non legare l'andamento della nuova moneta a quello
dei maggiori partners commerciali: così fece il Lussemburgo
col Belgio; così ha fatto Hong Kong con gli Stati Uniti; così
ha fatto persino l'Irlanda (ben fiera della propria indipendenza)
con la Gran Bretagna. Nel caso della Slovenia, delle tre Repubbliche
baltiche e presumibilmente di altri Paesi, la moneta che fungerà
da polo di attrazione è stata fin da subito il marco, in attesa
di una moneta unica europea. Con l'adozione del Tolar, per esempio,
il Parlamento sloveno ha predisposto una nuova moneta il cui potere
d'acquisto all'interno èpari a quello del dinaro, ma il cui
cambio col marco è molto più realistico (32 a 7, contro
il 73 a 7 del dinaro). Poiché si prevede che il Tolar e l'intera
Slovenia si aggrapperanno al marco e all'economia tedesca, si hanno
già da tempo Fenomeni di trasferimento di capitali dalla Serbia
e dalla Croazia verso la Slovenia.
Le opportunità dell'Est sono evidenti: in Urss si estrae petrolio
a costi più elevati che nel Mare dei Nord, il tessile e l'agroindustria
in tutto l'Est hanno potenzialità di incrementi annui di produttività
a due cifre. Tra non molti anni queste opportunità potranno
essere realtà e nuovi impianti produttivi potrebbero occupare
gli spazi dell'industria italiana, senza soffrire per la mancanza
di una moneta di serie A.
Non è certo un caso se i tassi d'interesse richiesti ora sul
debito dei Paesi dell'Europa orientale sono di ben poco superiori
a quelli richiesti sul debito italiano. Ma se è così
ora, che cosa succederò fra poco più di cinque anni?