§ Passaggio a Nord - Est / 2

Il rublo non fa mercato




Martin, Kathleen Feldstein



Dopo i radicali mutamenti avvenuti in Unione Sovietica, si sta sviluppando un mercato comune tra le Repubbliche ormai politicamente indipendenti. Poiché molti aspetti di tale mercato sono tuttora da definire, alcuni esperti ed esponenti politici occidentali stanno .facendo pressione affinché venga mantenuta un'autorità economica centrale, con una sola banca centrale e una moneta comune. Se, da un lato, manifestare una simile preferenza costituisce un'interferenza non richiesta in questioni di politica interna, dall'altro si tratta anche di un consiglio ben poco avveduto in termini economici. Infatti, molte delle Repubbliche sovietiche trarrebbero maggiori vantaggi dal potersi dotare di una propria moneta nazionale.
I funzionari americani ed europei hanno dichiarato che sarebbe più semplice, in termini amministrativi, elargire i sussidi di emergenza a breve termine attraverso un'unica autorità economica; tuttavia il sistema di distribuzione sovietico si è sinora dimostrato decisamente inefficiente, e quindi, anche per gli interventi di emergenza, sarebbe molto meglio che i Paesi occidentali trattassero individualmente con le varie Repubbliche. In ogni caso, non dovrebbe accadere che il problema contingente dei sussidi di emergenza possa influire in modo permanente sulla struttura economica dell'ex Urss. La questione dell'adozione di una singola moneta è di decisiva importanza: infatti non è solo l'orgoglio nazionale a far sì che un Paese desideri una valuta propria. Solo con una moneta nazionale un Paese può esercitare una politica fiscale e monetaria indipendente, volta al contenimento dell'inflazione e alla riduzione della disoccupazione.


Tra i "pro", c'è il fatto che una moneta comune si rivela più conveniente per chi viaggia e per le, transazioni commerciali tra i Paesi membri di un mercato comune. Tuttavia, data la generale situazione di bassi redditi pro capite vigente nell'ex Unione Sovietica, una motivazione come quella della convenienza per i viaggiatori rappresenta un'argomentazione molto debole a favore della tesi della moneta unica. Per quanto riguarda, poi, la questione delle transazioni commerciali, il fatto di avere monete diverse non ha impedito agli Stati Uniti di essere il principale partner commerciale del Canada, e viceversa, così come il commercio estero del Giappone non è stato frenato in modo significativo dal fatto di avere lo yen come moneta nazionale. L'adozione di diverse valute nella vecchia Unione Sovietica non deve necessariamente tradursi in una barriera all'efficienza della futura area di libero scambio.
Lo svantaggio di non avere una politica monetaria indipendente diventa palese quando una determinata regione dell'area a moneta comune si trova in condizioni economiche sensibilmente diverse da quelle delle altre regioni. Attualmente, per fare un esempio americano, lo stato del Massachusetts si trova ancora in fase di recessione, anche se l'economia degli Usa sta iniziando una fase di espansione. In tale situazione, il Massachusetts potrebbe auspicare un'ulteriore diminuzione dei tassi d'interesse, ma non può operarla perché la politica monetaria viene decisa a Washington.
Se il Massachusetts avesse una propria moneta e una banca centrale, abbasserebbe i tassi d'interesse per stimolare l'attività economica locale e potrebbe svalutare la propria moneta allo scopo di favorire le esportazioni.
Detto ciò, è ovvio che non intendiamo perorare la causa dell'adozione di un'altra moneta per il Massachusetts. Gli Stati americani avrebbero molto meno da guadagnare rispetto alle Repubbliche dell'ex Unione Sovietica dall'adozione di politiche monetarie autonome. E un ipotetico passaggio a monete nazionali significherebbe una rinuncia ai vantaggi offerti dalla valuta più usata e generalmente accettata nel mondo.
Benché, al momento, l'economia del Massachusetts sia piuttosto indietro rispetto all'inversione positiva registrata a livello statunitense, di norma le fluttuazioni che interessano l'economia americana fanno sentire i loro effetti in misura pressoché equivalente nella maggior parte degli Stati. Pertanto, le politiche monetarie e fiscali maggiormente adatte alla situazione complessiva degli Stati Uniti sono, in genere, le più appropriate per il Massachusetts come per ogni altro Stato americano.
Ecco perché ci sarebbe poco da guadagnare da una politica monetaria o fiscale indipendente. Per le ex Repubbliche sovietiche, invece, data la loro maggiore dipendenza da determinate materie prime e la maggiore specializzazione a livello industriale, è più probabile che i singoli Stati si trovino in situazioni cicliche differenti, una volta esposti all'economia mondiale, per cui avrebbero più da guadagnare dall'adozione di politiche monetarie indipendenti.
Le specifiche regioni americane che si sono trovate ad essere colpite da fenomeni economici diversi dal resto della nazione hanno potuto ovviare alle situazioni contingenti anche grazie a uno spostamento di lavoratori verso aree in cui la domanda di manodopera era superiore. Nelle Repubbliche dell'ex Urss, invece, per vecchi antagonismi nazionali, come pure per le diversità di lingua e di religione, vi è una minore mobilità della forza-lavoro.
Lo stesso sistema fiscale americano riduce la connessione tra produzione economica locale e reddito spendibile. Quando uno Stato come il Massachusetts attraversa una fase di recessione superiore al resto della nazione, le entrate di Washington in termini di tasse diminuiscono, mentre aumentano automaticamente i sussidi di disoccupazione e altri trasferimenti da parte di Washington. Ora, benché alcuni economisti si dichiarino a favore dell'adozione di una simile struttura fiscale centralizzata per la futura Unione Sovietica, quasi tutti gli indicatori segnalano che la maggior parte delle Repubbliche auspica una decentralizzazione dell'autorità fiscale. Di fatto, le autorità monetarie indipendenti sono anche necessarie per evitare eccessive fluttuazioni dell'impiego quando determinati shock economici colpiscono le singole Repubbliche.
Ovviamente, è necessario procedere con estrema cautela all'abbandono di una moneta ampiamente utilizzata e generalmente accettata sui mercati nazionali, ma è anche vero che il rublo ha cessato da tempo di essere una moneta affidabile. L'inflazione a tre cifre ha distrutto la fiducia in questa valuta e nella sua utilità ai fini della pianificazione industriale.
Gli ingredienti-chiave per il successo di un mercato comune per l'ex Urss non includono dunque il mantenimento del rublo. Quel che ha davvero importanza è la libera fissazione dei prezzi, la libera proprietà in senso occidentale, la libera concorrenza a livello internazionale come a livello interno. E questi diritti economici devono essere inseriti nel contesto di un'infrastruttura legale che attribuisca una chiara configurazione ai contratti e che stabilisca un sistema per la composizione delle controversie.

Squilibri monetari

Intanto ad Est adottano il D-mark

Secondo il vice-presidente della Bundesbank, Hans Tietmayer, più si aggrava la situazione nei Balconi e più si afferma, ad esempio in Jugoslavia, ma anche altrove, l'uso dei marco tedesco come mezzo di pagamento. "Attualmente - ha detto nel corso di un Seminario per investitori internazionali - il D-mark è probabilmente la moneta più importante della Jugoslavia". Lo stesso fenomeno sta manifestandosi in tutti gli altri Paesi dell'Europa orientale e in particolare nelle Repubbliche baltiche e in quella russa.
Secondo Tietmayer, che tra poco dovrebbe sostituire Helmut Schiesinger alla presidenza della Banca centrale di Francoforte, l'espansione dell'area dei marco ha ormai travalicato la tradizionale regione della Comunità europea e riguarda Paesi che gravitano su orbite molto diverse: Austria, Turchia, Scandinavia, Jugoslavia, Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria e Romania.
In Unione Sovietica ci sono alberghi e ristoranti internazionali nei quali si accetta solo il marco, mentre una volta questo ruolo era riservato solo al dollaro.
Il fenomeno sta creando anche dei problemi alla Bundesbank, che fatica a controllare esattamente la propria offerta di moneta. "Abbiamo verificato un aumento della moneta contante in circolazione, legata alla "domanda di moneta" degli jugoslavi, in un momento in cui la Bundesbank deve ancora assorbire una parte della moneta (pari al 4-5% dello stock totale) derivante dall'unificazione con la Germania dell'Est". Il circolante si sta espandendo attualmente al ritmo dell'8,5% e ciò dovrebbe portare M3 (l'aggregato target della Bundesbank) al limite superiore della banda obiettivo dei 3-5%. Dal punto di vista delle autorità monetarie tedesche, l'impatto della nuova domanda di marchi non fa temere conseguenze di carattere inflazionistico (anche se una pressione sul mercato dei beni tedesco si sta in effetti esercitando), ma nondimeno ostacolo il controllo quantitativo della politica dell'offerta di moneta, che è tra l'altro uno dei criteri tradizionali attraverso cui si cerca di coordinare le politiche monetarie internazionali.
In questo modo la Bundesbank è sempre meno in grado di agire in sinfonia con l'Europa comunitaria e sempre più invece si candido a diventare la Banca centrale di un'altra Europa caratterizzata dall'area di influenza del marco anziché dalla visione prefigurata trent'anni fa dai fondatori della Cee.

Nuovi mercati e fughe di capitali

Dall'Est una minaccia per l'Italia

Un senso di sfiducia scorre nelle vene dei Paese. Lo spegnersi della Borsa, che solo per amore di eufemismo risiede ancora in "Piazza Affari", è in parte il riflesso emotivo dei disagio con cui molti italiani vivono l'attuale situazione politico-economica. Eppure questa sfiducia e questo disagio rischiano di manifestarsi in modo anche più pericoloso con una fuga all'estero degli investimenti e con l'atrofia economica del Paese. A giudicare dalle previsioni sul differenziale di crescita della produzione tra il nostro Paese e i partners europei, si può dire che un "problema Italia' è già maturato.
C'è da noi un rischio di deindustrializzazione che ora è figlio della crisi di fiducia nel sistema-Paese e dell'incertezza sulla serie (A oppure B?) in cui l'Italia giocherà in Europa, ma che in prospettiva è giustificato anche dalla pressione concorrenziale che nascerò dallo sviluppo di nuove strutture produttive nei Paesi dell'Europa dell'Est.
La crescita delle economie orientali, infatti, sembra fatta apposta per danneggiare l'Italia. Il contenuto di tecnologia delle nostre esportazioni è piuttosto basso e le produzioni tradizionali sono caratterizzate da un uso intensivo di lavoro a costo elevato. "Il costo di un operaio o di un impiegato in Lituania -spiega un imprenditore italiano che ha investito nel Baltico - èinferiore di 50 volte al costo in Italia". Ci si potrò sorprendere se quei Paesi svilupperanno fabbriche di mobili, di piastrelle, di lamierino stampato, i tre tipici prodotti italiani imbarcati sulle navi che partono per i mercati d'esportazione? E quanto a lungo il mito del prêt à porter potrò difendere l'industria tessile italiana? Secondo Bernhard Schröder, responsabile per la Treuhand del settore tessile dell'ex Repubblica democratica tedesca, la produttività dei nuovi impianti nelle regioni tedesche orientali è spesso pari a quella dell'Ovest, ma il costo del lavoro è ancora solo il 60 per cento di quello occidentale.
Inoltre, ciò che il sistema-Italia è in grado di offrire in termini di infrastrutture, sistemi di telecomunicazione, sviluppo della ricerca scientifica, qualità della classe politica, ordine pubblico, appare oggi inadeguato a garantire convenienza a un investimento in Italia anziché altrove.
Si è parlato così tanto di serie A e B che si è dimenticato di dire che far parte dei gruppo di Paesi che darà vita all'unione monetaria ed economica europea è solo una delle condizioni necessarie alla sopravvivenza del Paese, ma non l'unica. il fatto che la lira abbia la forza e la credibilità del marco tedesco, che i nostri tassi di interesse siano pari a quelli belgi, che l'inflazione sia pari a quella francese, non sarò sufficiente. Nemmeno la 'convergenza economica' sarà sufficiente.
Nel 1997, infatti, quando nell'ipotesi più ottimistica l'Italia raggiungerò lo status di serie A, i Paesi dell'Est potrebbero essersi giù affacciati sui mercati come concorrenti. La percezione attuale delle possibilità competitive dei nostri vicini dell'Est sono distorte dalle pur gravi notizie di cronaca: il colpo di stato a Mosca di metà agosto '97 e la guerra civile iugoslava. In realtà, già si è mosso un processo di convergenza economica verso l'Europa, che come quello della Comunità economica europea prende l'avvio dall'integrazione monetaria.
"Attualmente - ha precisato il vicepresidente della Bundesbank - il marco è probabilmente la moneta più importante ... ". Nei Paesi dell'Est la sostituzione dei dollaro e delle monete locali procede di pari passo con l'affermarsi della lingua tedesca (si stimano in 30 milioni gli orientali che hanno preso lezioni di tedesco). Secondo gli economisti delle banche tedesche, si sta creando un'area del marco che ha poca attinenza con quella convenzionale della Cee. Non solo Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Danimarca hanno legato la propria valuta a quella tedesca. ma anche una serie di Paesi che vanno dal Mare dei Nord al Mediterraneo, passando per il Mar Nero.
Il governo della Repubblica slovena ha creato il "Tolar" (come "dollaro", una derivazione dal tedesco "Thaler"). L'Estonia ha la 'Corona', e le altre due Repubbliche baltiche stanno sfornando una moneta simbolo di indipendenza nazionale e pronta a gravitare nella nuova area europea che si svilupperà nella regione anseatica ad Est dell'euforica Amburgo. Prima di pensare al Tolar, la Banca centrale slovena aveva pensato di chiamare la moneta "Lipa", vicino all'italiano Lira. Ma evidentemente il richiamo tedesco ha finito col prevalere. La concorrenza tra le nuove monete e quelle vecchie (il dinaro e il rublo) si giocherò sulla credibilità della valuta come mezzo di pagamento. Nel lungo termine, l'esistenza di valute specifiche per Paesi economicamente piccoli è un costo. a meno di non legare l'andamento della nuova moneta a quello dei maggiori partners commerciali: così fece il Lussemburgo col Belgio; così ha fatto Hong Kong con gli Stati Uniti; così ha fatto persino l'Irlanda (ben fiera della propria indipendenza) con la Gran Bretagna. Nel caso della Slovenia, delle tre Repubbliche baltiche e presumibilmente di altri Paesi, la moneta che fungerà da polo di attrazione è stata fin da subito il marco, in attesa di una moneta unica europea. Con l'adozione del Tolar, per esempio, il Parlamento sloveno ha predisposto una nuova moneta il cui potere d'acquisto all'interno èpari a quello del dinaro, ma il cui cambio col marco è molto più realistico (32 a 7, contro il 73 a 7 del dinaro). Poiché si prevede che il Tolar e l'intera Slovenia si aggrapperanno al marco e all'economia tedesca, si hanno già da tempo Fenomeni di trasferimento di capitali dalla Serbia e dalla Croazia verso la Slovenia.
Le opportunità dell'Est sono evidenti: in Urss si estrae petrolio a costi più elevati che nel Mare dei Nord, il tessile e l'agroindustria in tutto l'Est hanno potenzialità di incrementi annui di produttività a due cifre. Tra non molti anni queste opportunità potranno essere realtà e nuovi impianti produttivi potrebbero occupare gli spazi dell'industria italiana, senza soffrire per la mancanza di una moneta di serie A.
Non è certo un caso se i tassi d'interesse richiesti ora sul debito dei Paesi dell'Europa orientale sono di ben poco superiori a quelli richiesti sul debito italiano. Ma se è così ora, che cosa succederò fra poco più di cinque anni?


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