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Politiche di bilancio per la crescita del Paese




Antonio Fazio
Vice Direttore Gen. della Banca d'Italia



Il sistema produttivo italiano tende a perdere competitività nel contesto delle economie industrializzate. Tra il 1985 e il 1990 le importazioni sono cresciute del 44 per cento, in termini reali; le esportazioni sono aumentate solo dei 27 per cento.
La stabilita del cambio e la crescente integrazione finanziaria hanno agevolato l'afflusso di capitale estero, allentando la percezione degli stringenti vincoli imposti dalla bilancia dei pagamenti. I vincoli permangono anche se trasposti in un'ottica pluriennale.
Il debito netto nei confronti dell'estero ha raggiunto, a metà dell'anno scorso. il valore di 177.000 miliardi, con un ulteriore ampliamento degli sborsi netti per redditi da capitale. Questi squilibri si sommano a quelli della bilancia mercantile. Poiché non è immaginabile una caduto dei livello di domando interna per riportare in attivo la bilancia dei pagamenti correnti, l'aggiustamento va ricercato in una politica di rientro che ridoni al Paese competitività nei confronti dei mercati internazionali.
A ciò debbono contribuire, in primo luogo, iniziative, ricerche, investimenti nel settore produttivo. In un contesto di tassi di cambio fissi il recupero di competitività richiede altresì un rallentamento, almeno al ritmo di quanto osservato nelle economie dei nostri partners commerciali, dei tasso di crescita dei redditi e dei prezzi.
La politica monetaria è impegnata nella stabilità del cambio e nel finanziamento del debito pubblico attraverso strumenti non monetari.
Nella legge finanziaria è contenuto un avvio di politica dei redditi per le retribuzioni dei settore pubblico.
Essa non è incoerente con una ricerca di maggiore produttività nello stesso settore. Acquista pieno significato solo se si estende ad altre importanti componenti della spesa - in primo luogo al settore pensionistico e a quello sanitario - e se un'analoga politica viene attuata nel settore privato.
In tale ottica, le politiche dei redditi non comporterebbero costi, se non marginali, per i soggetti e per i gruppi interessati, ma se ne ritrarrebbe un bene collettivo in termini di stabilità e di crescita dell'economia, a vantaggio di tutti. L'espansione delle entrate, indipendentemente dai provvedimenti che hanno caratteristiche di "una tantum", appare motto modesta, intorno al 4 per cento, scontando nel 1992 una ripresa dell'economia reale e l'ipotesi programmatica per quanto attiene al tasso d'inflazione. Tale limitata espansione è il risultato delle politiche di anticipi e di entrate "una tantum" attuate negli anni precedenti. Le entrate straordinarie previste per il 7992 sono importanti ai fini della stabilità, in quanto riducono il ricorso dei Tesoro al mercato. Viene però solo marginalmente affrontato il problema del miglioramento permanente del gettito fiscale.
La gestione dei debito pubblico è costretta a confrontarsi con volumi crescenti di emissioni lorde il cui flusso annuo supera la metà del reddito nazionale. Sono stati compiuti progressi notevoli nella funzionalità dei mercati monetari e finanziari; essi hanno permesso il collocamento degli ingenti ammontari di emissioni mantenendo la crescita monetaria in linea con l'aumento del Prodotto interno lordo in termini nominati. I tassi di interesse non si sono discostati in termini reali da quelli riscontrabili sui principali mercati concorrenti.
Le prospettive della finanza pubblica inducono i risparmiatori verso investimenti di breve durata. La scadenza media del debito pubblico rimane di molto inferiore a quella rilevata negli altri principali mercati finanziari. Ciò che è richiesto alle leggi finanziarie e alle politiche della spesa, tributarie, dei redditi, è soprattutto un'incidenza sulle aspettative di crescita e di competitività della nostra economia, in un'ottica di medio termine.

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