E'
giusto, in un momento di gravi cambiamenti, di caduta di regimi (e di
ideologie), di Paesi sempre più stretti nella morsa della povertà,
di equilibri precari, di fame e di opulenza, di guerra e di pace, è
giusto - dicevamo - tornare a parlare di un'ipotesi concettuale che
sta a cuore a molti economisti e che ha a che fare con un concetto astratto,
soggettivo, molto soggettivo, di giustizia sociale. E' la funzione del
benessere sociale, che si ritiene sia sempre posta, anche solo implicitamente,
a base di ogni decisione di politica economica, per giustificare scelte
di obiettivi che implicano sempre il sacrificio di determinate categorie
di individui a vantaggio di altre.
Teoricamente, questa funzione è definita come la relazione matematica
che lega il benessere della società a quello dei singoli ed indica
in quale misura, dati vari livelli di benessere sociale, un governo
sia disposto a sacrificare il benessere di una categoria o classe di
individui in cambio di un maggior benessere di altri. Un concetto molto
suggestivo, con cui si supera anche il criterio dell'ottimo paretiano
e attraverso il quale si vede lo sforzo dell'analisi economica nel dare
un indirizzo, ma più spesso una giustificazione, alle scelte
dei governi.
Tuttavia, se non vogliamo fare dell'economia una scienza arida che guarda
agli individui come ai tasselli di un grande puzzle, allora vediamo
come, in concreto, si può esplicare l'esistenza di tale funzione:
funzione, del resto, non direttamente osservabile e, ripetiamo, molto
soggettiva, nella misura in cui si basa sull'idea che un governo ha
del benessere sociale o, più spesso, sulle variazioni nel consenso
popolare che possono conseguire a decisioni del politico-economico.
E se, dal punto di vista economico, si può accettare un assetto
che avvantaggi le categorie più agiate e le aree più ricche
e contempli provvedimenti meramente assistenziali per le altre, solo
perché il benessere dell'intera società risulta maggiore
rispetto a quello derivante da un provvedimento di ordine inverso, allora
dovremmo anche concludere che l'economia è una scienza iniqua.
In realtà, l'economia è una scienza. E come ogni scienza,
può avere applicazioni inique. Ma questo dipende dagli uomini
e dall'uso che essi ne fanno. Come grandi scoperte possono essere destinate
a scopi pacifici oppure bellici, così un modello teorico come
quello della funzione del benessere sociale può essere adottato
per comprimere al massimo il sacrificio di taluni soggetti oppure per
accrescere il vantaggio di altri.
E se è vero che qualsiasi governo, implicitamente, adotta una
funzione del benessere sociale come base alle proprie scelte, allora
è anche vero che quella funzione, nelle sue applicazioni, è
ben lontana dal realizzare un concreto modello di giustizia sociale.
Questo perché, ripetiamo, una funzione di questo genere può
giungere a giustificare il persistere di sacche di miseria e di degrado,
siano esse inerenti a determinate categorie di soggetti oppure a determinate
aree, solo perché ciò risponde ad una specifica logica
di sviluppo, che assicura il massimo benessere per la società
nel suo complesso o, meglio, quel livello di benessere che, nell'opinione
dei governanti, è ritenuto massimo e che dipende a sua volta
dal grado di consenso e, quindi, di potere che ne consegue. L'analisi
costi-benefici che sta alla base di ogni scelta di micro e di macro
economia, a ben guardare, potrebbe essere utilizzata anche per spiegare
le scelte che stanno alla base dei rapporti fra le nazioni. La forzatura
è solo apparente, se si considera che l'obiettivo non è
quello di raggiungere un più alto benessere mondiale, bensì
di potenziare e alimentare il sistema capitalistico. In questo caso,
infatti, l'analisi costi-benefici andrebbe fatta fra sacrifici in termini
di sottosviluppo, dipendenza alimentare e tecnologia di determinati
Paesi ancora deboli e benefici che da questa situazione possono trarre
gli Stati a capitalismo avanzato. Scopo ultimo, l'autoalimentazione
del sistema stesso.
E' così che intere aree continuano a rimanere arretrate. Ed è
così che i Paesi più sviluppati possono continuare a sfornare
eccedenze produttive. Specializzazione e internazionalizzazione sono
i processi a cui conduce il modello. E sono processi che, a loro volta,
portano ad una dipendenza quasi irreversibile delle aree più
povere del mondo. Qui, la convenienza ad importare beni a buon mercato,
soprattutto alimentari, per compensare gli eccessi di domanda dovuti
all'enorme peso demografico e ad una insufficiente crescita dell'offerta
interna, rende sempre più difficile l'espansione di quest'ultima.
Con il tempo, poi, questa scelta diviene obbligata, non foss'altro perché
le importazioni generano, a lungo termine, un cambiamento degli schemi
di consumo a favore di quei beni che difficilmente potranno essere prodotti
all'interno.
Un circolo vizioso che gli aiuti in denaro e in natura contribuiscono
a mantenere. E non potrebbe essere altrimenti. A fronte della crescente
domanda da parte dei Paesi in via di sviluppo, sta una domanda via via
decrescente dei Paesi più sviluppati. Qui, a causa di una dinamica
demografica che giunge ad assumere valori negativi e, nel caso dei beni
alimentari, di una elasticità della domanda rispetto al reddito
sempre più bassa al crescere di questo, i forti cambiamenti nell'offerta
derivanti dall'impiego di tecnologie ad alta produttività debbono
trovare collocazione all'esterno. La dipendenza di alcuni Paesi è
necessaria per lo sviluppo di altri. E questo non vale solo per i beni
alimentari, ma anche per i mezzi tecnici, le tecnologie.
A questo punto, la cooperazione, se si continua ad intenderla in maniera
parziale e subordinata ad interessi strettamente oligopolistici, diventa
l'ennesima fandonia della storia. Uno sviluppo non può considerarsi
civile finché non sia globale. Non è credibile uno Stato
che non colma al suo interno le sacche di miseria e di disoccupazione,
il divario sempre più forte tra ricchi e poveri, solo perché
questo risponde ad una precisa logica di sviluppo. Non è credibile
questo Stato allorché si imbarca in aiuti umanitari. Non è
su queste basi che nasce la vera cooperazione, ma è su queste
basi che prolifera la politica degli equilibri di potere. Economicamente
giustificabile, ma socialmente deprecabile.
Intendiamoci: non sono gli aiuti ad essere deprecabili, ma gli intenti.
Se l'intento degli Stati fosse davvero quello di uno sviluppo civile
globale, allora non soltanto all'interno si accetterebbe una funzione
del benessere sociale tale da pervenire ad un'equità tra i soggetti
che compongono la società, ma si attuerebbe anche una politica
estera di vera cooperazione, in cui gli aiuti non servono più
ad alimentare lo stato di dipendenza e di apatia delle parti più
povere del mondo.
In cui ci sarebbero meno spese dirette ad alimentare un mercato delle
armi che, con la fine della guerra fredda, sembra vivere ormai di vita
propria. Più investimenti e più ricchezza reale per quei
Paesi che ora vivono ai margini dello sviluppo. In cui si guarderebbe
al crollo dei regimi comunisti non solo in termini di nuove potenzialità
di consumo e di colonizzazione capitalistica, ma soprattutto in termini
di ricerca delle modalità più idonee per risollevare le
sorti di milioni di uomini.
Alla fine, di certo, qualcuno perderebbe un po' di potere e di denaro,
ma i vantaggi in termini umani sarebbero incommensurabili.
E' questa la funzione del benessere sociale che ogni economista e ogni
politico dovrebbero auspicare. Anche se le difficoltà a realizzarla
sono notevoli. Forse bisognerebbe coinvolgere la storia. Una storia
che ci insegna che, se l'economia ha sempre avuto le sue leggi spietate,
gli uomini sono sempre stati più spietati dell'economia!
SCENARIO MACROECONOMICO
PER IL 1992
PROIEZIONI BNL
L'economia
internazionale
Lo scenario macro-economico per il 1992, quale risulta dall'elaborazione
della BNL, si presenta, tutto sommato, positivo. Il calo dei tassi
di interesse e la ripresa dell'economia statunitense, assieme ad un
rallentamento dei ritmi inflattivi, fanno infatti sperare in un miglioramento
della congiuntura economica mondiale. Il Pil dei Paesi OCSE dovrebbe
crescere del 2,6% in termini reali: un aumento comunque insufficiente
a determinare una riduzione dei tassi di disoccupazione presenti in
molti Paesi europei. li saggio di crescita dei prezzi dovrebbe, inoltre,
assestarsi sui livelli del 1991, ma si prevede una sua discesa nell'arca
dei Paesi industrializzati. In rallentamento, invece, l'economia tedesca
(per la quale si attende una ripresa nella seconda metà del
1992) e quella giapponese.
Il commercio mondiale, che nel 1991 ha mostrato un sostanziale rallentamento,
dovrebbe aumentare del 5,5% in termini reali nel corso del 1992. Mentre
la crescita economica dovrebbe comportare un peggioramento del disavanzo
degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e dell'Italia e una crescita
del surplus per la Germania e per il Giappone.
Per quanto concerne la politica monetaria, il 1991 si è caratterizzato
per una diminuzione generalizzata dei tassi di interesse a breve,
a cui è rimasta estranea solo la Germania. Tuttavia, il rallentamento
previsto per l'economia tedesca e la conseguente minore pressione
inflazionistica dovrebbero portare anche in Germania ad una riduzione
dei tassi di interesse. Negli Stati Uniti, invece, è prevista
una loro risalita in corrispondenza ad una ripresa delle pressioni
inflazionistiche.
Al ribasso dei tassi di interesse a breve non si è accompagnata
un'analoga contrazione dei tassi di interesse a lungo termine, il
cui livello sembra resterà elevato anche per il 1992, contribuendo,
così, al persistere dello squilibrio fra risparmi e investimenti.
Restando ancora in campo monetario, nel 1992 il dollaro, pur restando
ancora debole, dovrebbe avere un rialzo, grazie alla ripresa dell'economia
americana. Andamento positivo anche per il marco. Debole invece la
lira, sia nei confronti del dollaro che del marco, ma questo - dice
la BNL - non dovrebbe compromettere la permanenza della nostra moneta
nella banda stretta dello Sme.
L'economia
italiana
Rispetto al 1991, che ha visto una stasi degli investimenti ed una
contrazione del tasso di crescita dell'economia (il Pil è cresciuto
solo dell'1,3%, contro il 2% del 1990), il 1992 dovrebbe invece segnare
una modesta ripresa economica: il Pil, infatti, dovrebbe crescere
in termini reali del 2,3%, grazie ai maggiori investimenti e ad un
aumento dei consumi privati.
L'andamento dei prezzi al consumo, già in miglioramento nella
seconda metà del 1991 (6,5% contro il 7% dei primi mesi), dovrebbe
decelerare nel 1992 di oltre mezzo punto, assestandosi sul 5,8%, contro
l'obiettivo del 4,5% posto dal Governo.
Per quanto concerne l'interscambio commerciale, le previsioni sono
nel senso di un suo peggioramento. Infatti, mentre nel 1991 lo squilibrio
delle quantità scambiate è stato in parte compensato
dall'andamento favorevole delle ragioni di scambio, nel 1992 questa
compensazione, presumibilmente, non si verificherà. Lo squilibrio
delle quantità sarà infatti aggravato dall'evoluzione
meno favorevole delle ragioni di scambio, con conseguenze negative
sul deficit commerciale, che passerà dai 13.500 miliardi di
lire (valore 1991) ai 17.000.
Finanza pubblica
La previsione del fabbisogno di cassa del settore pubblico per il
1992 è condizionata da un alto grado di incertezza, soprattutto
a causa del clima elettorale. Comunque, partendo da un fabbisogno
tendenziale di 195.000 miliardi, contro i 176.000 ufficiali, si può
giungere ad una stima del deficit di cassa pari a 150.000 miliardi
di lire. Le emissioni lorde dovrebbero risultare inferiori rispetto
al 1991, grazie ad una politica del Tesoro rivolta a privilegiare
il collocamento di titoli a più lungo termine di scadenza.
Nonostante ciò, continuerà l'ascesa della consistenza
del debito pubblico che, per il settore statale, raggiungerà
un valore di circa 1.600.000 miliardi di lire, pari al 103% del Pil.
Mercato monetario
Per il 1992 è prevista una riduzione, sia pure modesta, dei
tassi di interesse. Il rallentamento dell'inflazione, che dovrebbe
assestarsi attorno al 5,8% (contro il 6,4% del 1991), il minore ammontare
delle emissioni lorde di titoli pubblici, la più generale flessione
dei tassi di interesse internazionali sono tutti elementi che dovrebbero
agevolare la flessione dei tassi interni. Si aggiunga una politica
monetaria ancora rigorosa che, per molti versi, andrà a supplire
alle debolezze della politica fiscale, condizionata nell'anno dalla
imminente scadenza elettorale.
L'attività
bancaria
IMPIEGHI E TASSI ATTIVI
Il 1991 si è caratterizzato per un accentuato dinamismo degli
impieghi a clientela. La minore liquidità delle imprese, associata
alla contrazione che l'attività economica ha subito nell'anno,
è stata infatti compensata da un maggior ricorso al credito.
Questo ha contribuito a mantenere il saggio annuo dei prestiti su
valori compresi tra il 14 e il 16%.
La ripresa economica, prevista per il 1992, dovrebbe comportare per
il sistema bancario una crescente richiesta di credito, connessa soprattutto
al rifinanziamento delle scorte e agevolata da una lieve discesa del
saggio medio sui prestiti (dal 13,9% del 1991 al 13,6% del 1992).
RACCOLTA E TASSI PASSIVI
Nel 1991, le operazioni di raccolta da clientela hanno segnato un
notevole sviluppo; pur in presenza di una flessione dei tassi passivi.
Il tasso medio di remunerazione dei libretti a risparmio e dei conti
correnti è, infatti, sceso dal 6,8% al 6,4%. La buona performance
della raccolta è da collegare ad una maggiore predisposizione
del sistema verso la liquidità, a fronte di un quadro politico
e finanziario molto incerto.
Nonostante nel 1992 sia previsto un miglioramento dell'economia, con
conseguente ripresa della produzione, il ricorso ai depositi dovrebbe
mantenersi elevato, con un tasso annuo di incremento pari a circa
l'8%. Dovrebbe tuttavia ridimensionarsi il ricorso ai certificati
di deposito, il cui saggio annuo di crescita dovrebbe scendere dal
24 al 18%. In linea con le previsioni dei tassi "pivot"
del Mercato Monetario, anche il tasso medio passivo dovrebbe diminuire,
passando dal 6,6% (valore 1991) al 6,2%.
RICAVI DA SERVIZI DELLE AZIENDE DI CREDITO
L'andamento dei ricavi da servizi, nelle sue due componenti dei ricavi
su titoli e dei ricavi da altri servizi, ha registrato una flessione
complessiva di circa il 3,1% nel corso del 1991. Questa dinamica è
conseguita soprattutto ad una caduta vorticosa dei ricavi da negoziazione
titoli, solo in parte compensata dall'aumento dei ricavi da altri
servizi (+5,5%). La flessione dei ricavi su titoli (-10%) è
stata, peraltro, la logica conseguenza della eccezionale crescita
verificatasi negli stessi durante il 1990 e dovuta a fenomeni altrettanto
eccezionali, quindi, non ripetibili, quali le plusvalenze da dismissione
titoli. Per contro, la scarsa crescita dei ricavi da altri servizi
è da addebitare alle spinte concorrenziali derivanti dall'apertura
di nuovi sportelli.
Per il 1992, la performance dei ricavi si prevede più positiva.
E' attesa, infatti, una crescita complessiva del 12,1%, che si articolerà
in un aumento del 9% dei ricavi su titoli e del 14% per gli altri
servizi. La ripresa dei primi sarà legata ad un loro riassestamento
su valori normali, dopo la crescita straordinaria del 1990 e il calo
del 1991, nonché alle migliori prospettive di negoziazione
derivanti dall'attesa flessione dei tassi di interesse. La più
alta crescita dei ricavi da altri servizi è, invece, da imputare
ad un miglioramento nella redditività delle operazioni bancarie.
L'attività
degli Istituti di credito speciale
Nel corso del 1991, si è riconfermata la tendenza al rallentamento
dell'attività di credito speciale. La dinamica dei due principali
comparti di attività è stata, peraltro, alquanto differenziata:
in flessione il mercato mobiliare, a causa della modesta crescita
economica riscontrata nell'anno; sostenuta, invece, l'attività
del settore fondiario, derivante non solo dalla domanda di finanziamento
immobiliare, ma anche da quella del credito al consumo.
La contrazione degli investimenti, che ha caratterizzato il periodo,
ha tratto origine, oltre che dalla recessione interna, dal clima di
incertezza insito nelle previsioni sul futuro andamento degli scambi
con i Paesi extra-europei.
Il 1992 dovrebbe essere, invece, un anno di moderato miglioramento
per gli investimenti fissi, in conseguenza della ripresa dell'attività
economica generale. Pure le prospettive sugli scambi commerciali con
i Paesi extra-europei dovrebbero migliorare nel corso dell'anno. E'
attendibile, quindi, una ripresa dell'attività mobiliare, mentre
l'attività del credito fondiario dovrebbe risultare in rallentamento.
Nel complesso, l'incremento degli impieghi sull'interno dovrebbe attestarsi
su un valore analogo a quello del 1991 (14,3%). Dal lato della raccolta,
dovrebbe verificarsi, anche per il 1992, una minore capacità
di accesso ai finanziamenti esteri, divenuti molto selettivi. Nel
1991, il difficile ricorso ai mercati internazionali è stato
compensato dall'emissione, più onerosa, di certificati di deposito
e di obbligazioni. Ed è prevedibile che anche nel 1992 gli
istituti di credito fronteggeranno questa carenza attraverso l'emissione
di propri titoli sul mercato interno. Il volume complessivo della
raccolta subirà, comunque, una contrazione rispetto al 1991.
|