§ Spunti per una analisi

Funzione del benessere sociale




Maria Rosaria Pascali



E' giusto, in un momento di gravi cambiamenti, di caduta di regimi (e di ideologie), di Paesi sempre più stretti nella morsa della povertà, di equilibri precari, di fame e di opulenza, di guerra e di pace, è giusto - dicevamo - tornare a parlare di un'ipotesi concettuale che sta a cuore a molti economisti e che ha a che fare con un concetto astratto, soggettivo, molto soggettivo, di giustizia sociale. E' la funzione del benessere sociale, che si ritiene sia sempre posta, anche solo implicitamente, a base di ogni decisione di politica economica, per giustificare scelte di obiettivi che implicano sempre il sacrificio di determinate categorie di individui a vantaggio di altre.
Teoricamente, questa funzione è definita come la relazione matematica che lega il benessere della società a quello dei singoli ed indica in quale misura, dati vari livelli di benessere sociale, un governo sia disposto a sacrificare il benessere di una categoria o classe di individui in cambio di un maggior benessere di altri. Un concetto molto suggestivo, con cui si supera anche il criterio dell'ottimo paretiano e attraverso il quale si vede lo sforzo dell'analisi economica nel dare un indirizzo, ma più spesso una giustificazione, alle scelte dei governi.
Tuttavia, se non vogliamo fare dell'economia una scienza arida che guarda agli individui come ai tasselli di un grande puzzle, allora vediamo come, in concreto, si può esplicare l'esistenza di tale funzione: funzione, del resto, non direttamente osservabile e, ripetiamo, molto soggettiva, nella misura in cui si basa sull'idea che un governo ha del benessere sociale o, più spesso, sulle variazioni nel consenso popolare che possono conseguire a decisioni del politico-economico.
E se, dal punto di vista economico, si può accettare un assetto che avvantaggi le categorie più agiate e le aree più ricche e contempli provvedimenti meramente assistenziali per le altre, solo perché il benessere dell'intera società risulta maggiore rispetto a quello derivante da un provvedimento di ordine inverso, allora dovremmo anche concludere che l'economia è una scienza iniqua. In realtà, l'economia è una scienza. E come ogni scienza, può avere applicazioni inique. Ma questo dipende dagli uomini e dall'uso che essi ne fanno. Come grandi scoperte possono essere destinate a scopi pacifici oppure bellici, così un modello teorico come quello della funzione del benessere sociale può essere adottato per comprimere al massimo il sacrificio di taluni soggetti oppure per accrescere il vantaggio di altri.
E se è vero che qualsiasi governo, implicitamente, adotta una funzione del benessere sociale come base alle proprie scelte, allora è anche vero che quella funzione, nelle sue applicazioni, è ben lontana dal realizzare un concreto modello di giustizia sociale. Questo perché, ripetiamo, una funzione di questo genere può giungere a giustificare il persistere di sacche di miseria e di degrado, siano esse inerenti a determinate categorie di soggetti oppure a determinate aree, solo perché ciò risponde ad una specifica logica di sviluppo, che assicura il massimo benessere per la società nel suo complesso o, meglio, quel livello di benessere che, nell'opinione dei governanti, è ritenuto massimo e che dipende a sua volta dal grado di consenso e, quindi, di potere che ne consegue. L'analisi costi-benefici che sta alla base di ogni scelta di micro e di macro economia, a ben guardare, potrebbe essere utilizzata anche per spiegare le scelte che stanno alla base dei rapporti fra le nazioni. La forzatura è solo apparente, se si considera che l'obiettivo non è quello di raggiungere un più alto benessere mondiale, bensì di potenziare e alimentare il sistema capitalistico. In questo caso, infatti, l'analisi costi-benefici andrebbe fatta fra sacrifici in termini di sottosviluppo, dipendenza alimentare e tecnologia di determinati Paesi ancora deboli e benefici che da questa situazione possono trarre gli Stati a capitalismo avanzato. Scopo ultimo, l'autoalimentazione del sistema stesso.
E' così che intere aree continuano a rimanere arretrate. Ed è così che i Paesi più sviluppati possono continuare a sfornare eccedenze produttive. Specializzazione e internazionalizzazione sono i processi a cui conduce il modello. E sono processi che, a loro volta, portano ad una dipendenza quasi irreversibile delle aree più povere del mondo. Qui, la convenienza ad importare beni a buon mercato, soprattutto alimentari, per compensare gli eccessi di domanda dovuti all'enorme peso demografico e ad una insufficiente crescita dell'offerta interna, rende sempre più difficile l'espansione di quest'ultima. Con il tempo, poi, questa scelta diviene obbligata, non foss'altro perché le importazioni generano, a lungo termine, un cambiamento degli schemi di consumo a favore di quei beni che difficilmente potranno essere prodotti all'interno.
Un circolo vizioso che gli aiuti in denaro e in natura contribuiscono a mantenere. E non potrebbe essere altrimenti. A fronte della crescente domanda da parte dei Paesi in via di sviluppo, sta una domanda via via decrescente dei Paesi più sviluppati. Qui, a causa di una dinamica demografica che giunge ad assumere valori negativi e, nel caso dei beni alimentari, di una elasticità della domanda rispetto al reddito sempre più bassa al crescere di questo, i forti cambiamenti nell'offerta derivanti dall'impiego di tecnologie ad alta produttività debbono trovare collocazione all'esterno. La dipendenza di alcuni Paesi è necessaria per lo sviluppo di altri. E questo non vale solo per i beni alimentari, ma anche per i mezzi tecnici, le tecnologie.
A questo punto, la cooperazione, se si continua ad intenderla in maniera parziale e subordinata ad interessi strettamente oligopolistici, diventa l'ennesima fandonia della storia. Uno sviluppo non può considerarsi civile finché non sia globale. Non è credibile uno Stato che non colma al suo interno le sacche di miseria e di disoccupazione, il divario sempre più forte tra ricchi e poveri, solo perché questo risponde ad una precisa logica di sviluppo. Non è credibile questo Stato allorché si imbarca in aiuti umanitari. Non è su queste basi che nasce la vera cooperazione, ma è su queste basi che prolifera la politica degli equilibri di potere. Economicamente giustificabile, ma socialmente deprecabile.
Intendiamoci: non sono gli aiuti ad essere deprecabili, ma gli intenti. Se l'intento degli Stati fosse davvero quello di uno sviluppo civile globale, allora non soltanto all'interno si accetterebbe una funzione del benessere sociale tale da pervenire ad un'equità tra i soggetti che compongono la società, ma si attuerebbe anche una politica estera di vera cooperazione, in cui gli aiuti non servono più ad alimentare lo stato di dipendenza e di apatia delle parti più povere del mondo.
In cui ci sarebbero meno spese dirette ad alimentare un mercato delle armi che, con la fine della guerra fredda, sembra vivere ormai di vita propria. Più investimenti e più ricchezza reale per quei Paesi che ora vivono ai margini dello sviluppo. In cui si guarderebbe al crollo dei regimi comunisti non solo in termini di nuove potenzialità di consumo e di colonizzazione capitalistica, ma soprattutto in termini di ricerca delle modalità più idonee per risollevare le sorti di milioni di uomini.
Alla fine, di certo, qualcuno perderebbe un po' di potere e di denaro, ma i vantaggi in termini umani sarebbero incommensurabili.
E' questa la funzione del benessere sociale che ogni economista e ogni politico dovrebbero auspicare. Anche se le difficoltà a realizzarla sono notevoli. Forse bisognerebbe coinvolgere la storia. Una storia che ci insegna che, se l'economia ha sempre avuto le sue leggi spietate, gli uomini sono sempre stati più spietati dell'economia!

SCENARIO MACROECONOMICO PER IL 1992

PROIEZIONI BNL

L'economia internazionale
Lo scenario macro-economico per il 1992, quale risulta dall'elaborazione della BNL, si presenta, tutto sommato, positivo. Il calo dei tassi di interesse e la ripresa dell'economia statunitense, assieme ad un rallentamento dei ritmi inflattivi, fanno infatti sperare in un miglioramento della congiuntura economica mondiale. Il Pil dei Paesi OCSE dovrebbe crescere del 2,6% in termini reali: un aumento comunque insufficiente a determinare una riduzione dei tassi di disoccupazione presenti in molti Paesi europei. li saggio di crescita dei prezzi dovrebbe, inoltre, assestarsi sui livelli del 1991, ma si prevede una sua discesa nell'arca dei Paesi industrializzati. In rallentamento, invece, l'economia tedesca (per la quale si attende una ripresa nella seconda metà del 1992) e quella giapponese.
Il commercio mondiale, che nel 1991 ha mostrato un sostanziale rallentamento, dovrebbe aumentare del 5,5% in termini reali nel corso del 1992. Mentre la crescita economica dovrebbe comportare un peggioramento del disavanzo degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e dell'Italia e una crescita del surplus per la Germania e per il Giappone.
Per quanto concerne la politica monetaria, il 1991 si è caratterizzato per una diminuzione generalizzata dei tassi di interesse a breve, a cui è rimasta estranea solo la Germania. Tuttavia, il rallentamento previsto per l'economia tedesca e la conseguente minore pressione inflazionistica dovrebbero portare anche in Germania ad una riduzione dei tassi di interesse. Negli Stati Uniti, invece, è prevista una loro risalita in corrispondenza ad una ripresa delle pressioni inflazionistiche.
Al ribasso dei tassi di interesse a breve non si è accompagnata un'analoga contrazione dei tassi di interesse a lungo termine, il cui livello sembra resterà elevato anche per il 1992, contribuendo, così, al persistere dello squilibrio fra risparmi e investimenti.
Restando ancora in campo monetario, nel 1992 il dollaro, pur restando ancora debole, dovrebbe avere un rialzo, grazie alla ripresa dell'economia americana. Andamento positivo anche per il marco. Debole invece la lira, sia nei confronti del dollaro che del marco, ma questo - dice la BNL - non dovrebbe compromettere la permanenza della nostra moneta nella banda stretta dello Sme.

L'economia italiana
Rispetto al 1991, che ha visto una stasi degli investimenti ed una contrazione del tasso di crescita dell'economia (il Pil è cresciuto solo dell'1,3%, contro il 2% del 1990), il 1992 dovrebbe invece segnare una modesta ripresa economica: il Pil, infatti, dovrebbe crescere in termini reali del 2,3%, grazie ai maggiori investimenti e ad un aumento dei consumi privati.
L'andamento dei prezzi al consumo, già in miglioramento nella seconda metà del 1991 (6,5% contro il 7% dei primi mesi), dovrebbe decelerare nel 1992 di oltre mezzo punto, assestandosi sul 5,8%, contro l'obiettivo del 4,5% posto dal Governo.
Per quanto concerne l'interscambio commerciale, le previsioni sono nel senso di un suo peggioramento. Infatti, mentre nel 1991 lo squilibrio delle quantità scambiate è stato in parte compensato dall'andamento favorevole delle ragioni di scambio, nel 1992 questa compensazione, presumibilmente, non si verificherà. Lo squilibrio delle quantità sarà infatti aggravato dall'evoluzione meno favorevole delle ragioni di scambio, con conseguenze negative sul deficit commerciale, che passerà dai 13.500 miliardi di lire (valore 1991) ai 17.000.

Finanza pubblica
La previsione del fabbisogno di cassa del settore pubblico per il 1992 è condizionata da un alto grado di incertezza, soprattutto a causa del clima elettorale. Comunque, partendo da un fabbisogno tendenziale di 195.000 miliardi, contro i 176.000 ufficiali, si può giungere ad una stima del deficit di cassa pari a 150.000 miliardi di lire. Le emissioni lorde dovrebbero risultare inferiori rispetto al 1991, grazie ad una politica del Tesoro rivolta a privilegiare il collocamento di titoli a più lungo termine di scadenza. Nonostante ciò, continuerà l'ascesa della consistenza del debito pubblico che, per il settore statale, raggiungerà un valore di circa 1.600.000 miliardi di lire, pari al 103% del Pil.

Mercato monetario
Per il 1992 è prevista una riduzione, sia pure modesta, dei tassi di interesse. Il rallentamento dell'inflazione, che dovrebbe assestarsi attorno al 5,8% (contro il 6,4% del 1991), il minore ammontare delle emissioni lorde di titoli pubblici, la più generale flessione dei tassi di interesse internazionali sono tutti elementi che dovrebbero agevolare la flessione dei tassi interni. Si aggiunga una politica monetaria ancora rigorosa che, per molti versi, andrà a supplire alle debolezze della politica fiscale, condizionata nell'anno dalla imminente scadenza elettorale.

L'attività bancaria
IMPIEGHI E TASSI ATTIVI
Il 1991 si è caratterizzato per un accentuato dinamismo degli impieghi a clientela. La minore liquidità delle imprese, associata alla contrazione che l'attività economica ha subito nell'anno, è stata infatti compensata da un maggior ricorso al credito. Questo ha contribuito a mantenere il saggio annuo dei prestiti su valori compresi tra il 14 e il 16%.
La ripresa economica, prevista per il 1992, dovrebbe comportare per il sistema bancario una crescente richiesta di credito, connessa soprattutto al rifinanziamento delle scorte e agevolata da una lieve discesa del saggio medio sui prestiti (dal 13,9% del 1991 al 13,6% del 1992).
RACCOLTA E TASSI PASSIVI
Nel 1991, le operazioni di raccolta da clientela hanno segnato un notevole sviluppo; pur in presenza di una flessione dei tassi passivi. Il tasso medio di remunerazione dei libretti a risparmio e dei conti correnti è, infatti, sceso dal 6,8% al 6,4%. La buona performance della raccolta è da collegare ad una maggiore predisposizione del sistema verso la liquidità, a fronte di un quadro politico e finanziario molto incerto.
Nonostante nel 1992 sia previsto un miglioramento dell'economia, con conseguente ripresa della produzione, il ricorso ai depositi dovrebbe mantenersi elevato, con un tasso annuo di incremento pari a circa l'8%. Dovrebbe tuttavia ridimensionarsi il ricorso ai certificati di deposito, il cui saggio annuo di crescita dovrebbe scendere dal 24 al 18%. In linea con le previsioni dei tassi "pivot" del Mercato Monetario, anche il tasso medio passivo dovrebbe diminuire, passando dal 6,6% (valore 1991) al 6,2%.
RICAVI DA SERVIZI DELLE AZIENDE DI CREDITO
L'andamento dei ricavi da servizi, nelle sue due componenti dei ricavi su titoli e dei ricavi da altri servizi, ha registrato una flessione complessiva di circa il 3,1% nel corso del 1991. Questa dinamica è conseguita soprattutto ad una caduta vorticosa dei ricavi da negoziazione titoli, solo in parte compensata dall'aumento dei ricavi da altri servizi (+5,5%). La flessione dei ricavi su titoli (-10%) è stata, peraltro, la logica conseguenza della eccezionale crescita verificatasi negli stessi durante il 1990 e dovuta a fenomeni altrettanto eccezionali, quindi, non ripetibili, quali le plusvalenze da dismissione titoli. Per contro, la scarsa crescita dei ricavi da altri servizi è da addebitare alle spinte concorrenziali derivanti dall'apertura di nuovi sportelli.
Per il 1992, la performance dei ricavi si prevede più positiva. E' attesa, infatti, una crescita complessiva del 12,1%, che si articolerà in un aumento del 9% dei ricavi su titoli e del 14% per gli altri servizi. La ripresa dei primi sarà legata ad un loro riassestamento su valori normali, dopo la crescita straordinaria del 1990 e il calo del 1991, nonché alle migliori prospettive di negoziazione derivanti dall'attesa flessione dei tassi di interesse. La più alta crescita dei ricavi da altri servizi è, invece, da imputare ad un miglioramento nella redditività delle operazioni bancarie.

L'attività degli Istituti di credito speciale
Nel corso del 1991, si è riconfermata la tendenza al rallentamento dell'attività di credito speciale. La dinamica dei due principali comparti di attività è stata, peraltro, alquanto differenziata: in flessione il mercato mobiliare, a causa della modesta crescita economica riscontrata nell'anno; sostenuta, invece, l'attività del settore fondiario, derivante non solo dalla domanda di finanziamento immobiliare, ma anche da quella del credito al consumo.
La contrazione degli investimenti, che ha caratterizzato il periodo, ha tratto origine, oltre che dalla recessione interna, dal clima di incertezza insito nelle previsioni sul futuro andamento degli scambi con i Paesi extra-europei.
Il 1992 dovrebbe essere, invece, un anno di moderato miglioramento per gli investimenti fissi, in conseguenza della ripresa dell'attività economica generale. Pure le prospettive sugli scambi commerciali con i Paesi extra-europei dovrebbero migliorare nel corso dell'anno. E' attendibile, quindi, una ripresa dell'attività mobiliare, mentre l'attività del credito fondiario dovrebbe risultare in rallentamento. Nel complesso, l'incremento degli impieghi sull'interno dovrebbe attestarsi su un valore analogo a quello del 1991 (14,3%). Dal lato della raccolta, dovrebbe verificarsi, anche per il 1992, una minore capacità di accesso ai finanziamenti esteri, divenuti molto selettivi. Nel 1991, il difficile ricorso ai mercati internazionali è stato compensato dall'emissione, più onerosa, di certificati di deposito e di obbligazioni. Ed è prevedibile che anche nel 1992 gli istituti di credito fronteggeranno questa carenza attraverso l'emissione di propri titoli sul mercato interno. Il volume complessivo della raccolta subirà, comunque, una contrazione rispetto al 1991.


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