§ Rischio Italia

E' il momento della verità




Paul A. Samuelson



E' vero che l'Italia corre il rischio di diventare un Paese di serie B all'interno dell'Europa? Ed è vero che il Paese è sull'orlo di dichiarare bancarotta? E, ancora, è assolutamente necessario che il disavanzo di bilancio italiano sia immediatamente sostituito da un pareggio, se non da una eccedenza?
All'improvviso, i responsabili della pagina finanziaria dei giornali e delle riviste mi tempestano di telefonate per avere una risposta agli interrogativi di cui sopra. Eppure, non più di due anni fa, quegli stessi giornalisti si chiedevano se ormai l'Italia non avesse raggiunto e superato la Gran Bretagna in termini di livello di vita reale pro-capite.
Premesso che non sono un grande esperto di economie regionali europee, debbo dire che, per quanto mi risulta, non sono in circolazione notizie catastrofiche che denuncino nuove debolezze o recenti collassi a Torino, a Milano, o Roma o a Palermo.
Ritengo, invece, che il nuovo allarmismo sia dovuto alla imminente formalizzazione dell'Unione monetaria europea. Il momento della verità è arrivato.
Francia e Olanda sono determinate a cooperare con la Germania al fine di stabilizzare un regime comune di tassi di cambio relativi ai principali Paesi della Cee. L'adesione di altri Paesi - della Gran Bretagna, della Danimarca e in ultima istanza della Svezia - è senz'altro auspicata, a patto però che accettino le regole dei gioco. Non solo, essi devono assumere il solenne impegno di realizzare tutte le condizioni' prescritte, al fine di rispettare le regole dei regime dei cambi fissi.
L'Italia aderì sin dall'inizio al Sistema monetario europeo guidato dalla Germania. Fin da allora, tuttavia, la suo adesione fu tutelato da salvaguardie che la differenziavano, tanto per Fare un esempio, dall'Olanda.
Il caso dell'Italia, infatti, era talmente particolare che la sua richiesta di una banda di fluttuazione ampia -più dei doppio rispetto a quella degli altri Paesi - fu accettata. Era, questa, una concessione a quella che era percepita come una debolezza strutturale cronica all'interno del sistema politico italiano. E i fatti hanno dimostrato che la banda allargata per la fluttuazione della lira era oltremodo necessaria e doveva essere utilizzata. Anche questa licenza speciale doveva, tuttavia, rivelarsi insufficiente.
Ripetutamente, a intervalli frequenti, la lira sarebbe stato ufficialmente svalutata rispetto al marco tedesco, al fiorino olandese e al corso generale delle parità degli altri Paesi.
Questo, per il passato. Oggi, però, l'Europa è entrata nel 7 992, cioè in un nuovo futuro. Come se non bastasse, si profila per gli anni a venire la necessità di concedere una sovranità economica sempre maggiore -potere di coordinamento è la definizione eufemistica - a quella che sarà la Banca centrale dei Mercato comune. Come dire che i cavalli che tirano il convoglio comune dovranno rispettare le stesse regole e gli stessi ritmi.
E' qui, a mio avviso, che si configura la nuova crisi d'identità dell'Italia. Crisi peraltro scontata. La legge economica può tollerare che una Germania, il cui livello dei prezzi sale annualmente dei 2 per cento, coesista con una Italia dove il livello dei prezzi cresce mediamente del 6 per cento annuo. Quello che non può tollerare è viceversa la stabilità permanente del cambio fra strutture sociali così diverse.
E' inevitabile, quindi, che una Italia in questa situazione debba uscire dalla parità prestabilita dei tassi di cambia. Per quanto tempo i partner dell'Italia tollerano le sue intemperanze? E quante volte le sarà concesso di ricominciare daccapo?
Agli economisti si chiede che cosa bisogna fare per portare un tasso d'inflazione prossimo al 7 per cento all'1 -2 per cento?
La risposta non è facile. Una recessione di portata considerevole in termini di nuove opportunità d'impiego e della durata di due o tre anni è la risposta invariabile e rigorosa che il Fondo monetario internazionale da ad un Paese latino-americano debitore che voglia riformare le proprie strutture.
Un consiglio facile da elargire, ma difficile da seguire per una democrazia che abbia un elettorato frammentato e partiti politici instabili. Quando la concorrenza giapponese mise in crisi la forza dei sindacati americani, il presidente della Federal Reserve, Paul Volcker, riuscì ad orchestrare le recessioni del 1990 e del 1981 e, di conseguenza, a ridurre di più della metà il tasso d'inflazione.
Dubito che la società italiana abbia il coraggio di ingoiare una medicina così amara. Escludendo pertanto il rimedio suddetto, i criteri generali a cui attenersi sono i seguenti:
1) l'aumento impopolare delle tasse e il taglio dei piani popolari di sovvenzione,
2) la riduzione dei flusso del credito da parte della Banca d'Italia, in conformità ad un tasso di crescita reale modesto;
3) rifiuto di accogliere le richieste sindacali in materia di politica dei redditi.
Non resta che sperare che la mia visione sia improntata ad un pessimismo eccessivo. In caso contrario, non resta che dichiarare la prognosi riservata delle prospettive di un atterraggio morbido dell'Italia nella nuova Europa.

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000