§ Borsa & Finanza

Storia di un fallimento programmato




Gennaro Pistolese



Nella dialettica economico-finanziaria, temi ricorrenti riguardano la nostra classifica nell'ambito occidentale, il nostro grado di adeguamento comunitario (con il pericolo di un sistema integrato a due velocità o di una nostra emarginazione) e la dimensione dei differenziali. Nell'ottica propria di questa Rivista, due aspetti fondamentali vanno sottolineati, e precisamente:
- il contesto economico nel quale si inserisce l'operatività delle strutture finanziarie, nella prospettiva ovviamente dello sviluppo;
- il livello della produttività, dell'efficienza e della razionalizzazione delle strutture stesse.
A complemento di quanto in materia fin qui abbiamo scritto su questa Rivista proprio con queste angolazioni, molte altre sono le notazioni da formulare.
La prima riguarda il fatto che il nostro sistema bancario, pur nell'impegno che lo caratterizza, non è certo in posizione avanzata confrontabile con quella di Paesi per tradizioni, dimensioni, funzionalità ad altissima classifica. Non si tratta solo di motivazioni dimensionali, perché la Svizzera, ad esempio, può dirci al riguardo molte cose. Pur a fronte di questo cronico differenziale, il sistema deve attivare al massimo il suo recupero, in funzione sia delle scadenze del 1993 (con le tante applicazioni anticipatrici che già oggi si hanno in materia di libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali), sia della successiva unione monetaria. E come è noto per le une e per l'altra itinerari e contenuti già cominciano ad avere una valenza, che si ritiene maggiore di quella possibile per l'unione politica.

Vuoti e remore del sistema Italia
Indubbiamente, prima di addebitare al sistema bancario i gravami dei recuperi da realizzare e dei differenziali da superare, occorre ricordare e sottolineare i vuoti e le remore che il sistema Italia, a prescindere dalla sua suddivisione in comparti, viene manifestando.
Premettiamo che non siamo teneri o indulgenti rispetto alle classifiche. Quelle più correnti sono relative da un lato al grado che ci spetterebbe nella graduatoria delle potenze industriali e, dall'altro, all'Europa a due velocità. Dal primo punto di vista, condividiamo quella che è considerata, da parte di fonti qualificate, l'inattendibilità del Pil per queste classifiche, anche perché non esiste uno standard monetario internazionale. E' poi da aggiungere che assolutamente prioritaria è la valutazione della soddisfazione che il Pil genera. Questo, dice qualcuno, si pesa e non si conta.
Quanto, invece, al secondo punto di vista, ci sono due interessi che coincidono e si condizionano (fra i Dodici, ma fra quanti nel futuro, in un'Europa integrata che cerca la sua identità?), e cioè, quello della sintonizzazione armonica ed organica fra tutti i partecipanti - la velocità di un convoglio, se tale deve essere, si misura con quella della parte meno veloce - e quello della nostra necessità né di avere il fiato corto, né di essere lasciati ai bordi della strada.
Sennonché è proprio su questo terreno che autocritica e capacità correttiva e riequilibratrice devono, dovranno avere, maggiore spazio nella nostra coscienza, nella nostra strategia, nelle nostre scelte, perché le nostre capacità di adeguamento siano maggiori di quelle che oggi - ancora oggi - possiamo riscontrare. Due aspetti vanno pertanto considerati in via preliminare.
Il primo è costituito dall'ampiezza della scelta di campo del nostro sistema con riguardo al rapporto fra pubblico-privato, alla piena pratica del mercato, ai contenuti della carica sociale da depurare dalla sua enfasi demagogica. Il convoglio delle privatizzazioni o dismissioni, come oggi si dice, ora sembra muoversi, ora si ferma e quasi va indietro. Le cifre possibili sono ingenti, gli studi fatti di eccezionale approfondimento, per contro le resistenze occulte o dichiarate (queste con molte reticenze, ipocrisie, ecc.) sono tante, gli stati di necessità (con riferimento alle necessarie vendite dei gioielli di famiglia o al doveroso recupero di valori di intraprendenza propri della privata iniziativa, come propellente insostituibile di sviluppo e di maggiore occupazione) si sovrappongono e si estendono.
Ciò nonostante, i passi innanzi sono limitati e contrastati, con le riserve politiche e partitiche che sono sempre dietro l'angolo o addirittura sempre sul tappeto. Fino a quando?
E c'è pure la carica sociale con la quale bisogna fare i conti, coriacea, com'è, ad intendere - come oggi si fa anche in Svezia, fino a ieri esempio di socialità avanzata ed oggi in netta fase riflessiva -il quadro reale nel quale la socialità va intesa. E ciò in termini di sanità, con riferimento all'eccezionale carico della relativa spesa pubblica; di previdenza sociale (con l'onerosità dei gravami che pesano in misura straordinaria sul costo del lavoro, con la precarietà dei futuri trattamenti se non si sarà posto ordine a quelli oggi erogati, con un'età media che aumenta e con la pretesa dell'intangibilità dell'età di pensionamento); di formazione professionale, che offre sempre più larghi spazi alla spesa, mentre registra una produttività della scolarità ridotta al 50%; e così via.
Ma c'è pure un altro aspetto da considerare, nel valutare il nostro grado di insufficienza. E questo è rappresentato dall'ampiezza stessa dei vuoti che si devono riscontrare nell'adozione e nella pratica di molte direttive comunitarie, in vari casi del loro spirito. E ciò nonostante l'acceleratore del semestre di presidenza italiana, che in verità non è servito a molto, a parte le enfasi celebrative.
I nostri maggiori differenziali concernono, come si sa:
- lo stato della finanza pubblica, che fra l'altro trascina l'inconsueta elevatezza dei nostri tassi d'interesse e la deviazione di parte notevole del risparmio dagli investimenti direttamente produttivi;
- il nostro tasso d'inflazione a livelli quasi doppi di quelli dei Paesi maggiormente progrediti e certo non vicini a quell'inversione di tendenza in atto in taluni di essi, fra cui si pone la Gran Bretagna, che pure aveva punti di partenza più avanzati dei nostri ed ha saputo ripiegare nettamente e rapidamente in conseguenza di una strategia economica che è riuscita ad essere quella che doveva essere. Obiettivi e strumenti, in detto Paese, sono risultati nettamente sintonizzati, mentre da noi prosegue la tattica opposta: denunciata nell'occasione annuale di ogni legge finanziaria;
- il progressivo indebolimento della nostra capacità competitiva, nella quale gioca anche il pesante carico del costo del lavoro;
- il degrado dei servizi pubblici, con il duplice gravame che ne deriva agli operatori, a causa del maggiore prelievo fiscale e del costo dei servizi sostitutivi privati, ecc.;
- le reticenze nei comportamenti comunitari: la Cee attende, si dice con impazienza, che l'Italia si metta in regola. in qualche materia rischiamo addirittura una condanna della Corte di Giustizia.
Si aggiungano le nostre renitenze interpretative che si riferiscono fra l'altro a materie definite più deboli: fisco, sanità, trasporti, ecc. Va bene che talune di queste materie dovranno essere chiarite dalla stessa Cee, ma certo nostro attendismo è per lo meno da correggere.
Chiara è la sfida che deriva da tutto ciò. E come si sa, su ognuno dei capitoli ricordati ci sono le denunce, le proposte, le sollecitazioni anche del mondo bancario, che prospetta a questi titoli altrettante priorità da osservare per la loro urgenza e la loro preliminarità rispetto a soluzioni e problemi che senza premesse normative e di indirizzi chiari e concrete si allontanano e non avvicinano nel tempo. Le scadenze sono sotto i nostri occhi, ma l'impegno politico per rispettarle è più velleitario e perciò anche più flebile, con o senza la Cee, da diversi anni. Perché?

Una serie di interrogativi
C'è in realtà l'evasione dei contribuenti, con quanto purtroppo di reale ma anche di approssimativo e presunto prospetta. Essa va certamente perseguita con rigore; con un rigore non enfatizzato però dalla demagogia o da strumentali cacce alle streghe, e perciò da depurare da infondate presunzioni ed arbitrarie generalizzazioni. C'è perciò una nuova cultura da instaurare e praticare anche in questo campo, una cultura dell'equità, della perequazione, della trasparenza che dovrà riguardare sia il contribuente, sia il fisco.
Anche il sistema creditizio e bancario ha molto da dire a questo riguardo, al pari del risparmio, che la lettera costituzionale dichiara debba essere incoraggiato e difeso, e che invece la prassi politica, la normativa fiscale, gli indirizzi che operativamente contano nettamente smentiscono o eludono sia nell'investimento mobiliare sia in quello immobiliare. L'uno e l'altro colpiti da prelievi fiscali pesantemente in atto, ma anche pericolosamente, sempre, in agguato. Qualche volta, il fisco pretende di applicare la tecnica del bastone e della carota (condono, deducibilità dall'Irpef di investimenti mobiliari nel massimo di 2 milioni, sì due milioni), ma è sempre il primo a mimetizzarsi con la seconda.
Comunque, accanto all'evasione terminologicamente classica, ce n'è anche un'altra, che è quella dello Stato con il frequente disimpegno da molte responsabilità pubbliche.


C'è il tollerato o provocato contrasto fra gli obiettivi dichiarati - per i prossimi anni un'inflazione al 4% ed un incremento produttivo del 3%, per esempio, ed i punti di partenza che ce ne allontanano. Per la produzione, quel 3% previsto in aumento e tuttora nettamente in diminuzione.
L'occupazione a sua volta è in flessione. Qualche punto in più si è segnato nel terziario, ma la grande industria ha più riferimento nella Cassa Integrazione Guadagni che non nelle assunzioni, mentre il prepensionamento cammina per conto proprio. Nell'agricoltura non c'è alcun discorso diverso da fare. Anche se ad un certo momento se ne dovrà fare uno sulle prospettive del lavoro agricolo, per non dover subire depauperamenti che altrove sono deprecati o evitati e, talvolta (come nell'ex URSS), soggetti a rigenerazioni e a speranze di recuperi.
In termini di capacità di autofinanziamento, investimenti e ricerca - e questa è materia particolarmente pertinente per il sistema creditizio il sistema è purtroppo tornato ai livelli del 1983.
E l'elenco può continuare per quanto concerne, oltre che la ricordata perdita di competitività, il ridotto o mancato afflusso di capitali esteri, la persistenza nel cassetto della ipotetica politica dei redditi, l'elevatezza stessa del costo del denaro con il poco che c'è da attendersi dall'esclusività dei compiti della Banca d'Italia nella determinazione del tasso di sconto.
Notizia di quest'ultimo periodo è poi che solo qualche mese fa è stato preso in considerazione il tardivo recupero da parte nostra di 7 mila miliardi di fondi strutturali della Cee destinati all'Italia, ma da noi non ancora utilizzati. Quando per qualche migliaio di miliardi la "finanziaria" si arena o cerca affannosamente altri recuperi, quando ogni giorno si rinnova la pena che il Tesoro affronta nel pagare gli interessi del debito pubblico, quando la Ragioneria dello Stato o la Corte dei Conti denunciano che illegittimamente sono mancati all'appello tanti o pochi miliardi, bisogna evidentemente ricordarsi anche dei miliardi che non sono nei nostri conti attivi solo per pigrizia o per negligenza.
Di fronte a tutto ciò non ci sono i super ispettori, che il contribuente incontra invece lungo il suo cammino. Dovrebbero ovviamente esserci anche per la classe politica, ma non c'è stato mai nessuno della stessa che ne abbia denunciata l'assenza. Evidentemente, l'autocritica che si chiede agli altri non rientra nei valori personali di chi trova più facile esigerla che praticarla. Ed èproprio su questo terreno che si riscontra una larga evasione, non di rado più pesante del comportamento delle lottizzazioni. Non ci sono le sanzioni penali, non ci sono le supertasse. C'è invece una sorta di condono automatico e permanente, elusivo fra l'altro del famoso art. 81 della Costituzione che doveva essere salvaguardia della finanza pubblica.
Tante sono le cifre da ricordare. Ma una sopravanza le altre, e si riferisce ai circa 25 milioni di lire che rappresentano il debito di ogni cittadino, paghi o non paghi le tasse. Taluni si domandano: che ne diranno le nuove generazioni?
Ma vogliamo intanto, noi tutti, cominciare a dare una risposta?
Quando perciò pensiamo alla nostra banca, a quello che fa ed a quello che non fa ancora, e pur il più delle volte vorrebbe fare, dobbiamo tenere presente questo quadro, che è poi a monte di tutto il discorso. Si finisce così alla base, che però spetta al vertice di migliorare, partendo ovviamente dalle fondamenta più deboli. Ed una di queste, proprio per l'attualità di questa fase che ci prospetta, riguarda i nostri mercati finanziari.

Le strettoie dei mercati finanziari
Sono mercati che quotidianamente sono sotto i nostri occhi, più come indicatori e risultante della realtà economica, che non segnaletica operativa per le nostre scelte più o meno mirate. In realtà, questo mercato ci aiuta più a capire quello che succede all'esterno che ad indicarci quello che possiamo utilmente fare. Il mercato è lì: noi il più delle volte, no.
Ed ora una serie di interrogativi:
- qual è la dimensione del nostro mercato finanziario?
- quali i fattori concorrenziali esterni che sta registrando?
- quali le principali cause della progressiva perdita dipeso della nostra Borsa?
- quali le prospettive a medio e breve termine che vengono delineate con effettiva qualificazione di fonti e di valutazioni?
- quali i possibili sbocchi?
Si tratta, come si vede, di un'articolazione tematica molto spesso elusa anche a livelli responsabili, perché si tende ad emblematizzare la parte dolente del quadro, facendo riferimento per il recupero solo al giuoco degli effetti indotti.
Questi indubbiamente contano, ma alle radici della problematica come della stessa metodologia che deve affrontarla ci sono anche fattori strumentali di contesto operativo anche per la qualificazione del risparmio, che vanno affrontati direttamente ed organicamente ed oggi certamente non lo sono. A questo riguardo c'è pure da rilevare che il discorso del comparto, che pure c'è, non riesce a saldarsi con quello generale, in una realtà unitaria e complessiva che, come finora si è detto, è economica e finanziaria. E qui il discorso riguarda un po' tutti, anche quei vertici del Tesoro e della Banca d'Italia, che pure siamo abituati, almeno per il resto, a valutare specie nelle intenzioni positivamente.
Orbene, per quanto concerne il primo interrogativo, e cioè la dimensione del nostro mercato, siamo ad un listino azionario che gli esperti dicono sia entrato in permanente fase vegetativa. Da 100 miliardi di contrattazioni giornaliere - e questo non era certo un livello entusiasmante - in varie fasi siamo passati a 70, 60, 50 miliardi e le variazioni in più o in meno di queste quote dicono evidentemente molto poco, anche perché i lievi più o meno rispetto all'inizio dell'anno non annunciano l'auspicata consolidata inversione di tendenza.
Considerazioni, queste, tanto più sconsolate quanto più esse devono coincidere con la constatazione della vivacità o ripresa consistente delle contrattazioni di Londra, New York, Tokio.


Ma a questi rilievi altri non meno inquietanti ne dobbiamo aggiungere - e veniamo al secondo interrogativo - con riguardo alla concorrenzialità esterna. Si deve, da questo punto di vista, fare immediatamente i conti con la Borsa di Londra. Grandi gruppi italiani sono già andati o minacciano di andare su questa piazza, le cui quotazioni, oltre ad essere qualificatamente valide ed indicative, sono determinanti.
Varie sono le ragioni di questa tendenziale gravitazione: la sensibilità particolare di taluni mercati finanziari extra-italiani, quale ad esempio quello in esame rispetto alle opportunità operative, la loro disponibilità di grande liquidità, la loro pronta e addirittura sofisticata capacità selettiva. Accanto ai noti fattori di richiamo dei mercati finanziari esteri, per quanto concerne le acquisizioni delle disponibilità necessarie ai nostri investimenti produttivi (ormai ad essi si indirizzano anche gruppi pubblici italiani), è da porre anche la più avanzata strumentazione rispetto alla nostra. In Italia, ad esempio, non c'è la liquidazione a termine, il denaro e titoli azionari passano di mano solo a determinate scadenze. A Tokio, a Wall Street, ciò accade invece in tempo reale. A sua volta, in detti mercati, la Borsa computerizzata cammina con estrema validità, mentre noi privilegiamo studi, approfondimenti, propositi, con ciò rivelando che la lentocrazia non è solo un privilegio della classe politica e della burocrazia, ma anche di certo tecnicismo e di certi quadri direttivi che promettono di far presto, mentre anch'essi si attardano.
A muovere le acque, dovrebbero invece essere un ribaltamento nella dinamica degli investimenti, soprattutto di fronte al ripiegamento odierno ed in opposto alle sollecitazioni del progresso tecnologico ed a una nostra competitività internazionale che sta perdendo colpi, nonché la carica forte, forse anche esemplare, del nostro risparmio, che oggi è frastornato per quanto riguarda la sua matrice, ma altrettanto non è per le sue destinazioni, oggi in gran parte elusive rispetto al necessario rafforzamento delle strutture finanziarie delle imprese.

Una lunga serie di cause
E qui entriamo nella risposta al terzo interrogativo, circa le causali. Qui dobbiamo porre la concorrenza delle emissioni pubbliche, che puntualizzano in questo campo gran parte delle disponibilità non solo dei privati, ma anche parte consistente degli stessi operatori industriali ed addirittura si dice delle stesse imprese industriali.
Facciamo un'asta BoT e CcT ogni 15 giorni, il solo mercato telematico dei titoli vale 10 mila miliardi al giorno. Sono cifre da capogiro, delle quali non ci rendiamo conto, con un indebitamento pubblico -del quale quasi ogni giorno rileviamo i riscontri con le nuove emissioni di ricopertura e fino a qualche tempo fa di consistente aumento rispetto alla scadenze - che è di poco al di sotto di un milione e mezzo di miliardi.
Questa è una cifra, che moltiplica come si è detto al massimo le emissioni mensili di ricopertura, con l'attivazione che ne deriva per i mercati ed anche per l'attrazione esercitata in relazione all'elevatezza dei rendimenti nei confronti degli investimenti esteri.
L'indebitamento pubblico verso l'estero, proprio per questa causale, è molto elevato, raggiungendo secondo gli ultimi dati la rispettabile cifra di 25 miliardi di dollari, che evidentemente è molto rappresentativa più che per noi - tanto indebitati - per gli altri, fra cui gli stessi Stati Uniti, la cui valuta si muove giorno per giorno in funzione di varianti specifiche anche minori o di loro attese, impercettibili invece nel nostro errato modo di intendere questi fenomeni. C'è purtroppo una certa indifferenza o per lo meno supina tolleranza rispetto ad una pesantissima cappa di piombo, qual è quella dell'indebitamento. Ma questa è solo un'indifferenza pubblica, perché le famiglie hanno tutt'altra ispirazione.
Comunque, tutto quanto si farà per ridurre l'indebitamento pubblico e per contenere le relative remunerazioni servirà anche a riattivare il mercato borsistico.
Altre ancora sono le causali della perdita di peso della nostra Borsa. Difatti ci sono:
- la pesantezza delle leggi e delle regolamentazioni, con molte norme esorbitanti e che non funzionano, quando dovrebbero farlo: per intempestività, mancanza effettiva di autorevolezza, ecc.;
- l'obsolescenza di talune strutture intermediarie che sembrano solo ora avvertire che non hanno molto da dire, avendo più o meno supinamente accettato la loro subordinazione all'intermediazione bancaria, non immaginando prima altre forme di offerta, in termini di prodotti finanziari e di consulenza professionale del risparmio. Ora abbiamo a che fare con le promesse delle SIM, con la maggiore attivazione bancaria, e qualche cosa in più il mercato finanziario potrà mettere nel conto, anche se non tutto a breve;
- la stessa sfera e capacità operativa della CONSOB, lodevole certo negli intenti di informazione, anzi di educazione, di controllo, di corretta agibilità del mercato da parte degli operatori, ecc., ma certamente bisognosa di maggiore dinamica. Sennonché è proprio su questo terreno che intervengono le remore, che fra l'altro sono denunciate essere tutte politiche, con interventi tardivi, reticenti, contraddittori da parte di chi - ed è parte politica, subordinatamente tecnica - a tempo per responsabilità dovrebbe dire, e non la dice, la sua parola conforme o per lo meno compatibile.
Ed ecco due altri finali addendi, nel nostro tentativo di rispondere agli interrogativi delle prospettive e dei possibili sbocchi.
Circa il primo aspetto, molti operatori qualificati osservano che un'intenzione migliore è prevedibile per la seconda metà dell'anno. Alla base vi sono i fattori negativi più sopra richiamati, ai quali si aggiungono le stridenze e le controindicazioni fiscali (fra l'altro, il capital gain, che impone un'immediata revisione per i guasti e le sperequazioni che provoca e sui quali invece si è preferito con l'imposizione forfettaria o analitica apporre l'un colpo di spugna" non per eliminarli ma per consolidarli, la sopravvivenza delle SIM con i contraccolpi temporanei che ha determinato nel sistema in attesa che la nuova strutturazione entri in funzione, lo stato di pesantezza della produzione industriale ed in genere dell'economia.
E veniamo agli sbocchi, che non sono però dietro l'angolo. E che hanno a che fare con le speranze relative alle privatizzazioni (per 15 mila miliardi, come è nei travagliati programmi), alla stessa privatizzazione della gestione borsistica, che deve essere accompagnata da idonei rinnovamenti normativi e strutturali, oltre che da presupposti di ordine politico-finanziario che rappresenteranno pur sempre il reale passo in avanti da compiere.
A questo riguardo c'è la proposta, avanzata di recente dal direttore generale della CONSOB, di pensare ad un nuovo spazio da riconoscere ai privati per la gestione del mercato, riservando quindi alle autorità pubbliche uno spazio circoscritto essenzialmente alla vigilanza. E qui si tratta di mettere mano seriamente ad una deregulation, dopo l'enfasi anche punitiva che si è espressa con certe discipline e con certi controlli. Dice un operatore che il nostro è un mercato superamministrato, con intermediari supercontrollati, con i titoli di Stato e pochi altri titoli manovrati dal Tesoro e da qualche soggetto isolato. In questo caso ci sarebbe poco da attivare, così stando le cose.
Questo discorso così negativo può essere ribaltato in positivo.
Chi guarda alle cose con un'ottica pregiudizialmente tecnica, e ci riferiamo a quanto ha detto il Governatore della Federal Reserve, osserva che è indispensabile prevenire e limitare i comportamenti fraudolenti degli operatori, ma che è preliminarmente indispensabile garantire l'integrità e funzionalità di ciascun sistema e quindi la fiducia degli investitori.
Commissioni di studio da noi vengono ancora una volta proposte. Avranno anch'esse una loro storia. Ma il traguardo del risveglio si impone con esse e fuori di esse. Perché in questa materia costituisce inizio e conclusione dell'intero discorso.

Diagnosi, terapie, verifiche
Abbiamo così parlato di un traguardo comune ai due anelli strutturali dei nostri mercati finanziari: banche e borse. C'è per entrambe una dirittura d'arrivo, che le prime hanno certamente imboccato con il loro impegno di rinnovamento, con le difficoltà ancora da superare, con una strategia per tanti tratti identificata e già in azione, mentre le seconde, certamente ancora più condizionate da fattori esterni delle prime, stanno incontrando strettoie che ne riducono e spesso impediscono lo slancio di partenza. Ci sono le diagnosi, ci sono le terapie. Le verifiche, auguralmente e necessariamente nel pro, non possono tardare.


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