Nella
dialettica economico-finanziaria, temi ricorrenti riguardano la nostra
classifica nell'ambito occidentale, il nostro grado di adeguamento comunitario
(con il pericolo di un sistema integrato a due velocità o di
una nostra emarginazione) e la dimensione dei differenziali. Nell'ottica
propria di questa Rivista, due aspetti fondamentali vanno sottolineati,
e precisamente:
- il contesto economico nel quale si inserisce l'operatività
delle strutture finanziarie, nella prospettiva ovviamente dello sviluppo;
- il livello della produttività, dell'efficienza e della razionalizzazione
delle strutture stesse.
A complemento di quanto in materia fin qui abbiamo scritto su questa
Rivista proprio con queste angolazioni, molte altre sono le notazioni
da formulare.
La prima riguarda il fatto che il nostro sistema bancario, pur nell'impegno
che lo caratterizza, non è certo in posizione avanzata confrontabile
con quella di Paesi per tradizioni, dimensioni, funzionalità
ad altissima classifica. Non si tratta solo di motivazioni dimensionali,
perché la Svizzera, ad esempio, può dirci al riguardo
molte cose. Pur a fronte di questo cronico differenziale, il sistema
deve attivare al massimo il suo recupero, in funzione sia delle scadenze
del 1993 (con le tante applicazioni anticipatrici che già oggi
si hanno in materia di libertà di stabilimento e di circolazione
dei capitali), sia della successiva unione monetaria. E come è
noto per le une e per l'altra itinerari e contenuti già cominciano
ad avere una valenza, che si ritiene maggiore di quella possibile per
l'unione politica.
Vuoti e remore
del sistema Italia
Indubbiamente, prima di addebitare al sistema bancario i gravami dei
recuperi da realizzare e dei differenziali da superare, occorre ricordare
e sottolineare i vuoti e le remore che il sistema Italia, a prescindere
dalla sua suddivisione in comparti, viene manifestando.
Premettiamo che non siamo teneri o indulgenti rispetto alle classifiche.
Quelle più correnti sono relative da un lato al grado che ci
spetterebbe nella graduatoria delle potenze industriali e, dall'altro,
all'Europa a due velocità. Dal primo punto di vista, condividiamo
quella che è considerata, da parte di fonti qualificate, l'inattendibilità
del Pil per queste classifiche, anche perché non esiste uno
standard monetario internazionale. E' poi da aggiungere che assolutamente
prioritaria è la valutazione della soddisfazione che il Pil
genera. Questo, dice qualcuno, si pesa e non si conta.
Quanto, invece, al secondo punto di vista, ci sono due interessi che
coincidono e si condizionano (fra i Dodici, ma fra quanti nel futuro,
in un'Europa integrata che cerca la sua identità?), e cioè,
quello della sintonizzazione armonica ed organica fra tutti i partecipanti
- la velocità di un convoglio, se tale deve essere, si misura
con quella della parte meno veloce - e quello della nostra necessità
né di avere il fiato corto, né di essere lasciati ai
bordi della strada.
Sennonché è proprio su questo terreno che autocritica
e capacità correttiva e riequilibratrice devono, dovranno avere,
maggiore spazio nella nostra coscienza, nella nostra strategia, nelle
nostre scelte, perché le nostre capacità di adeguamento
siano maggiori di quelle che oggi - ancora oggi - possiamo riscontrare.
Due aspetti vanno pertanto considerati in via preliminare.
Il primo è costituito dall'ampiezza della scelta di campo del
nostro sistema con riguardo al rapporto fra pubblico-privato, alla
piena pratica del mercato, ai contenuti della carica sociale da depurare
dalla sua enfasi demagogica. Il convoglio delle privatizzazioni o
dismissioni, come oggi si dice, ora sembra muoversi, ora si ferma
e quasi va indietro. Le cifre possibili sono ingenti, gli studi fatti
di eccezionale approfondimento, per contro le resistenze occulte o
dichiarate (queste con molte reticenze, ipocrisie, ecc.) sono tante,
gli stati di necessità (con riferimento alle necessarie vendite
dei gioielli di famiglia o al doveroso recupero di valori di intraprendenza
propri della privata iniziativa, come propellente insostituibile di
sviluppo e di maggiore occupazione) si sovrappongono e si estendono.
Ciò nonostante, i passi innanzi sono limitati e contrastati,
con le riserve politiche e partitiche che sono sempre dietro l'angolo
o addirittura sempre sul tappeto. Fino a quando?
E c'è pure la carica sociale con la quale bisogna fare i conti,
coriacea, com'è, ad intendere - come oggi si fa anche in Svezia,
fino a ieri esempio di socialità avanzata ed oggi in netta
fase riflessiva -il quadro reale nel quale la socialità va
intesa. E ciò in termini di sanità, con riferimento
all'eccezionale carico della relativa spesa pubblica; di previdenza
sociale (con l'onerosità dei gravami che pesano in misura straordinaria
sul costo del lavoro, con la precarietà dei futuri trattamenti
se non si sarà posto ordine a quelli oggi erogati, con un'età
media che aumenta e con la pretesa dell'intangibilità dell'età
di pensionamento); di formazione professionale, che offre sempre più
larghi spazi alla spesa, mentre registra una produttività della
scolarità ridotta al 50%; e così via.
Ma c'è pure un altro aspetto da considerare, nel valutare il
nostro grado di insufficienza. E questo è rappresentato dall'ampiezza
stessa dei vuoti che si devono riscontrare nell'adozione e nella pratica
di molte direttive comunitarie, in vari casi del loro spirito. E ciò
nonostante l'acceleratore del semestre di presidenza italiana, che
in verità non è servito a molto, a parte le enfasi celebrative.
I nostri maggiori differenziali concernono, come si sa:
- lo stato della finanza pubblica, che fra l'altro trascina l'inconsueta
elevatezza dei nostri tassi d'interesse e la deviazione di parte notevole
del risparmio dagli investimenti direttamente produttivi;
- il nostro tasso d'inflazione a livelli quasi doppi di quelli dei
Paesi maggiormente progrediti e certo non vicini a quell'inversione
di tendenza in atto in taluni di essi, fra cui si pone la Gran Bretagna,
che pure aveva punti di partenza più avanzati dei nostri ed
ha saputo ripiegare nettamente e rapidamente in conseguenza di una
strategia economica che è riuscita ad essere quella che doveva
essere. Obiettivi e strumenti, in detto Paese, sono risultati nettamente
sintonizzati, mentre da noi prosegue la tattica opposta: denunciata
nell'occasione annuale di ogni legge finanziaria;
- il progressivo indebolimento della nostra capacità competitiva,
nella quale gioca anche il pesante carico del costo del lavoro;
- il degrado dei servizi pubblici, con il duplice gravame che ne deriva
agli operatori, a causa del maggiore prelievo fiscale e del costo
dei servizi sostitutivi privati, ecc.;
- le reticenze nei comportamenti comunitari: la Cee attende, si dice
con impazienza, che l'Italia si metta in regola. in qualche materia
rischiamo addirittura una condanna della Corte di Giustizia.
Si aggiungano le nostre renitenze interpretative che si riferiscono
fra l'altro a materie definite più deboli: fisco, sanità,
trasporti, ecc. Va bene che talune di queste materie dovranno essere
chiarite dalla stessa Cee, ma certo nostro attendismo è per
lo meno da correggere.
Chiara è la sfida che deriva da tutto ciò. E come si
sa, su ognuno dei capitoli ricordati ci sono le denunce, le proposte,
le sollecitazioni anche del mondo bancario, che prospetta a questi
titoli altrettante priorità da osservare per la loro urgenza
e la loro preliminarità rispetto a soluzioni e problemi che
senza premesse normative e di indirizzi chiari e concrete si allontanano
e non avvicinano nel tempo. Le scadenze sono sotto i nostri occhi,
ma l'impegno politico per rispettarle è più velleitario
e perciò anche più flebile, con o senza la Cee, da diversi
anni. Perché?
Una serie di
interrogativi
C'è in realtà l'evasione dei contribuenti, con quanto
purtroppo di reale ma anche di approssimativo e presunto prospetta.
Essa va certamente perseguita con rigore; con un rigore non enfatizzato
però dalla demagogia o da strumentali cacce alle streghe, e
perciò da depurare da infondate presunzioni ed arbitrarie generalizzazioni.
C'è perciò una nuova cultura da instaurare e praticare
anche in questo campo, una cultura dell'equità, della perequazione,
della trasparenza che dovrà riguardare sia il contribuente,
sia il fisco.
Anche il sistema creditizio e bancario ha molto da dire a questo riguardo,
al pari del risparmio, che la lettera costituzionale dichiara debba
essere incoraggiato e difeso, e che invece la prassi politica, la
normativa fiscale, gli indirizzi che operativamente contano nettamente
smentiscono o eludono sia nell'investimento mobiliare sia in quello
immobiliare. L'uno e l'altro colpiti da prelievi fiscali pesantemente
in atto, ma anche pericolosamente, sempre, in agguato. Qualche volta,
il fisco pretende di applicare la tecnica del bastone e della carota
(condono, deducibilità dall'Irpef di investimenti mobiliari
nel massimo di 2 milioni, sì due milioni), ma è sempre
il primo a mimetizzarsi con la seconda.
Comunque, accanto all'evasione terminologicamente classica, ce n'è
anche un'altra, che è quella dello Stato con il frequente disimpegno
da molte responsabilità pubbliche.
C'è il tollerato o provocato contrasto fra gli obiettivi dichiarati
- per i prossimi anni un'inflazione al 4% ed un incremento produttivo
del 3%, per esempio, ed i punti di partenza che ce ne allontanano.
Per la produzione, quel 3% previsto in aumento e tuttora nettamente
in diminuzione.
L'occupazione a sua volta è in flessione. Qualche punto in
più si è segnato nel terziario, ma la grande industria
ha più riferimento nella Cassa Integrazione Guadagni che non
nelle assunzioni, mentre il prepensionamento cammina per conto proprio.
Nell'agricoltura non c'è alcun discorso diverso da fare. Anche
se ad un certo momento se ne dovrà fare uno sulle prospettive
del lavoro agricolo, per non dover subire depauperamenti che altrove
sono deprecati o evitati e, talvolta (come nell'ex URSS), soggetti
a rigenerazioni e a speranze di recuperi.
In termini di capacità di autofinanziamento, investimenti e
ricerca - e questa è materia particolarmente pertinente per
il sistema creditizio il sistema è purtroppo tornato ai livelli
del 1983.
E l'elenco può continuare per quanto concerne, oltre che la
ricordata perdita di competitività, il ridotto o mancato afflusso
di capitali esteri, la persistenza nel cassetto della ipotetica politica
dei redditi, l'elevatezza stessa del costo del denaro con il poco
che c'è da attendersi dall'esclusività dei compiti della
Banca d'Italia nella determinazione del tasso di sconto.
Notizia di quest'ultimo periodo è poi che solo qualche mese
fa è stato preso in considerazione il tardivo recupero da parte
nostra di 7 mila miliardi di fondi strutturali della Cee destinati
all'Italia, ma da noi non ancora utilizzati. Quando per qualche migliaio
di miliardi la "finanziaria" si arena o cerca affannosamente
altri recuperi, quando ogni giorno si rinnova la pena che il Tesoro
affronta nel pagare gli interessi del debito pubblico, quando la Ragioneria
dello Stato o la Corte dei Conti denunciano che illegittimamente sono
mancati all'appello tanti o pochi miliardi, bisogna evidentemente
ricordarsi anche dei miliardi che non sono nei nostri conti attivi
solo per pigrizia o per negligenza.
Di fronte a tutto ciò non ci sono i super ispettori, che il
contribuente incontra invece lungo il suo cammino. Dovrebbero ovviamente
esserci anche per la classe politica, ma non c'è stato mai
nessuno della stessa che ne abbia denunciata l'assenza. Evidentemente,
l'autocritica che si chiede agli altri non rientra nei valori personali
di chi trova più facile esigerla che praticarla. Ed èproprio
su questo terreno che si riscontra una larga evasione, non di rado
più pesante del comportamento delle lottizzazioni. Non ci sono
le sanzioni penali, non ci sono le supertasse. C'è invece una
sorta di condono automatico e permanente, elusivo fra l'altro del
famoso art. 81 della Costituzione che doveva essere salvaguardia della
finanza pubblica.
Tante sono le cifre da ricordare. Ma una sopravanza le altre, e si
riferisce ai circa 25 milioni di lire che rappresentano il debito
di ogni cittadino, paghi o non paghi le tasse. Taluni si domandano:
che ne diranno le nuove generazioni?
Ma vogliamo intanto, noi tutti, cominciare a dare una risposta?
Quando perciò pensiamo alla nostra banca, a quello che fa ed
a quello che non fa ancora, e pur il più delle volte vorrebbe
fare, dobbiamo tenere presente questo quadro, che è poi a monte
di tutto il discorso. Si finisce così alla base, che però
spetta al vertice di migliorare, partendo ovviamente dalle fondamenta
più deboli. Ed una di queste, proprio per l'attualità
di questa fase che ci prospetta, riguarda i nostri mercati finanziari.
Le strettoie
dei mercati finanziari
Sono mercati che quotidianamente sono sotto i nostri occhi, più
come indicatori e risultante della realtà economica, che non
segnaletica operativa per le nostre scelte più o meno mirate.
In realtà, questo mercato ci aiuta più a capire quello
che succede all'esterno che ad indicarci quello che possiamo utilmente
fare. Il mercato è lì: noi il più delle volte,
no.
Ed ora una serie di interrogativi:
- qual è la dimensione del nostro mercato finanziario?
- quali i fattori concorrenziali esterni che sta registrando?
- quali le principali cause della progressiva perdita dipeso della
nostra Borsa?
- quali le prospettive a medio e breve termine che vengono delineate
con effettiva qualificazione di fonti e di valutazioni?
- quali i possibili sbocchi?
Si tratta, come si vede, di un'articolazione tematica molto spesso
elusa anche a livelli responsabili, perché si tende ad emblematizzare
la parte dolente del quadro, facendo riferimento per il recupero solo
al giuoco degli effetti indotti.
Questi indubbiamente contano, ma alle radici della problematica come
della stessa metodologia che deve affrontarla ci sono anche fattori
strumentali di contesto operativo anche per la qualificazione del
risparmio, che vanno affrontati direttamente ed organicamente ed oggi
certamente non lo sono. A questo riguardo c'è pure da rilevare
che il discorso del comparto, che pure c'è, non riesce a saldarsi
con quello generale, in una realtà unitaria e complessiva che,
come finora si è detto, è economica e finanziaria. E
qui il discorso riguarda un po' tutti, anche quei vertici del Tesoro
e della Banca d'Italia, che pure siamo abituati, almeno per il resto,
a valutare specie nelle intenzioni positivamente.
Orbene, per quanto concerne il primo interrogativo, e cioè
la dimensione del nostro mercato, siamo ad un listino azionario che
gli esperti dicono sia entrato in permanente fase vegetativa. Da 100
miliardi di contrattazioni giornaliere - e questo non era certo un
livello entusiasmante - in varie fasi siamo passati a 70, 60, 50 miliardi
e le variazioni in più o in meno di queste quote dicono evidentemente
molto poco, anche perché i lievi più o meno rispetto
all'inizio dell'anno non annunciano l'auspicata consolidata inversione
di tendenza.
Considerazioni, queste, tanto più sconsolate quanto più
esse devono coincidere con la constatazione della vivacità
o ripresa consistente delle contrattazioni di Londra, New York, Tokio.
Ma a questi rilievi altri non meno inquietanti ne dobbiamo aggiungere
- e veniamo al secondo interrogativo - con riguardo alla concorrenzialità
esterna. Si deve, da questo punto di vista, fare immediatamente i
conti con la Borsa di Londra. Grandi gruppi italiani sono già
andati o minacciano di andare su questa piazza, le cui quotazioni,
oltre ad essere qualificatamente valide ed indicative, sono determinanti.
Varie sono le ragioni di questa tendenziale gravitazione: la sensibilità
particolare di taluni mercati finanziari extra-italiani, quale ad
esempio quello in esame rispetto alle opportunità operative,
la loro disponibilità di grande liquidità, la loro pronta
e addirittura sofisticata capacità selettiva. Accanto ai noti
fattori di richiamo dei mercati finanziari esteri, per quanto concerne
le acquisizioni delle disponibilità necessarie ai nostri investimenti
produttivi (ormai ad essi si indirizzano anche gruppi pubblici italiani),
è da porre anche la più avanzata strumentazione rispetto
alla nostra. In Italia, ad esempio, non c'è la liquidazione
a termine, il denaro e titoli azionari passano di mano solo a determinate
scadenze. A Tokio, a Wall Street, ciò accade invece in tempo
reale. A sua volta, in detti mercati, la Borsa computerizzata cammina
con estrema validità, mentre noi privilegiamo studi, approfondimenti,
propositi, con ciò rivelando che la lentocrazia non è
solo un privilegio della classe politica e della burocrazia, ma anche
di certo tecnicismo e di certi quadri direttivi che promettono di
far presto, mentre anch'essi si attardano.
A muovere le acque, dovrebbero invece essere un ribaltamento nella
dinamica degli investimenti, soprattutto di fronte al ripiegamento
odierno ed in opposto alle sollecitazioni del progresso tecnologico
ed a una nostra competitività internazionale che sta perdendo
colpi, nonché la carica forte, forse anche esemplare, del nostro
risparmio, che oggi è frastornato per quanto riguarda la sua
matrice, ma altrettanto non è per le sue destinazioni, oggi
in gran parte elusive rispetto al necessario rafforzamento delle strutture
finanziarie delle imprese.
Una lunga serie
di cause
E qui entriamo nella risposta al terzo interrogativo, circa le causali.
Qui dobbiamo porre la concorrenza delle emissioni pubbliche, che puntualizzano
in questo campo gran parte delle disponibilità non solo dei
privati, ma anche parte consistente degli stessi operatori industriali
ed addirittura si dice delle stesse imprese industriali.
Facciamo un'asta BoT e CcT ogni 15 giorni, il solo mercato telematico
dei titoli vale 10 mila miliardi al giorno. Sono cifre da capogiro,
delle quali non ci rendiamo conto, con un indebitamento pubblico -del
quale quasi ogni giorno rileviamo i riscontri con le nuove emissioni
di ricopertura e fino a qualche tempo fa di consistente aumento rispetto
alla scadenze - che è di poco al di sotto di un milione e mezzo
di miliardi.
Questa è una cifra, che moltiplica come si è detto al
massimo le emissioni mensili di ricopertura, con l'attivazione che
ne deriva per i mercati ed anche per l'attrazione esercitata in relazione
all'elevatezza dei rendimenti nei confronti degli investimenti esteri.
L'indebitamento pubblico verso l'estero, proprio per questa causale,
è molto elevato, raggiungendo secondo gli ultimi dati la rispettabile
cifra di 25 miliardi di dollari, che evidentemente è molto
rappresentativa più che per noi - tanto indebitati - per gli
altri, fra cui gli stessi Stati Uniti, la cui valuta si muove giorno
per giorno in funzione di varianti specifiche anche minori o di loro
attese, impercettibili invece nel nostro errato modo di intendere
questi fenomeni. C'è purtroppo una certa indifferenza o per
lo meno supina tolleranza rispetto ad una pesantissima cappa di piombo,
qual è quella dell'indebitamento. Ma questa è solo un'indifferenza
pubblica, perché le famiglie hanno tutt'altra ispirazione.
Comunque, tutto quanto si farà per ridurre l'indebitamento
pubblico e per contenere le relative remunerazioni servirà
anche a riattivare il mercato borsistico.
Altre ancora sono le causali della perdita di peso della nostra Borsa.
Difatti ci sono:
- la pesantezza delle leggi e delle regolamentazioni, con molte norme
esorbitanti e che non funzionano, quando dovrebbero farlo: per intempestività,
mancanza effettiva di autorevolezza, ecc.;
- l'obsolescenza di talune strutture intermediarie che sembrano solo
ora avvertire che non hanno molto da dire, avendo più o meno
supinamente accettato la loro subordinazione all'intermediazione bancaria,
non immaginando prima altre forme di offerta, in termini di prodotti
finanziari e di consulenza professionale del risparmio. Ora abbiamo
a che fare con le promesse delle SIM, con la maggiore attivazione
bancaria, e qualche cosa in più il mercato finanziario potrà
mettere nel conto, anche se non tutto a breve;
- la stessa sfera e capacità operativa della CONSOB, lodevole
certo negli intenti di informazione, anzi di educazione, di controllo,
di corretta agibilità del mercato da parte degli operatori,
ecc., ma certamente bisognosa di maggiore dinamica. Sennonché
è proprio su questo terreno che intervengono le remore, che
fra l'altro sono denunciate essere tutte politiche, con interventi
tardivi, reticenti, contraddittori da parte di chi - ed è parte
politica, subordinatamente tecnica - a tempo per responsabilità
dovrebbe dire, e non la dice, la sua parola conforme o per lo meno
compatibile.
Ed ecco due altri finali addendi, nel nostro tentativo di rispondere
agli interrogativi delle prospettive e dei possibili sbocchi.
Circa il primo aspetto, molti operatori qualificati osservano che
un'intenzione migliore è prevedibile per la seconda metà
dell'anno. Alla base vi sono i fattori negativi più sopra richiamati,
ai quali si aggiungono le stridenze e le controindicazioni fiscali
(fra l'altro, il capital gain, che impone un'immediata revisione per
i guasti e le sperequazioni che provoca e sui quali invece si è
preferito con l'imposizione forfettaria o analitica apporre l'un colpo
di spugna" non per eliminarli ma per consolidarli, la sopravvivenza
delle SIM con i contraccolpi temporanei che ha determinato nel sistema
in attesa che la nuova strutturazione entri in funzione, lo stato
di pesantezza della produzione industriale ed in genere dell'economia.
E veniamo agli sbocchi, che non sono però dietro l'angolo.
E che hanno a che fare con le speranze relative alle privatizzazioni
(per 15 mila miliardi, come è nei travagliati programmi), alla
stessa privatizzazione della gestione borsistica, che deve essere
accompagnata da idonei rinnovamenti normativi e strutturali, oltre
che da presupposti di ordine politico-finanziario che rappresenteranno
pur sempre il reale passo in avanti da compiere.
A questo riguardo c'è la proposta, avanzata di recente dal
direttore generale della CONSOB, di pensare ad un nuovo spazio da
riconoscere ai privati per la gestione del mercato, riservando quindi
alle autorità pubbliche uno spazio circoscritto essenzialmente
alla vigilanza. E qui si tratta di mettere mano seriamente ad una
deregulation, dopo l'enfasi anche punitiva che si è espressa
con certe discipline e con certi controlli. Dice un operatore che
il nostro è un mercato superamministrato, con intermediari
supercontrollati, con i titoli di Stato e pochi altri titoli manovrati
dal Tesoro e da qualche soggetto isolato. In questo caso ci sarebbe
poco da attivare, così stando le cose.
Questo discorso così negativo può essere ribaltato in
positivo.
Chi guarda alle cose con un'ottica pregiudizialmente tecnica, e ci
riferiamo a quanto ha detto il Governatore della Federal Reserve,
osserva che è indispensabile prevenire e limitare i comportamenti
fraudolenti degli operatori, ma che è preliminarmente indispensabile
garantire l'integrità e funzionalità di ciascun sistema
e quindi la fiducia degli investitori.
Commissioni di studio da noi vengono ancora una volta proposte. Avranno
anch'esse una loro storia. Ma il traguardo del risveglio si impone
con esse e fuori di esse. Perché in questa materia costituisce
inizio e conclusione dell'intero discorso.
Diagnosi, terapie,
verifiche
Abbiamo così parlato di un traguardo comune ai due anelli strutturali
dei nostri mercati finanziari: banche e borse. C'è per entrambe
una dirittura d'arrivo, che le prime hanno certamente imboccato con
il loro impegno di rinnovamento, con le difficoltà ancora da
superare, con una strategia per tanti tratti identificata e già
in azione, mentre le seconde, certamente ancora più condizionate
da fattori esterni delle prime, stanno incontrando strettoie che ne
riducono e spesso impediscono lo slancio di partenza. Ci sono le diagnosi,
ci sono le terapie. Le verifiche, auguralmente e necessariamente nel
pro, non possono tardare.