In un'intervista
televisiva trasmessa alla fine dello scorso anno, Giulio Andreotti
dichiarò: "Il risparmio è sacro. Tutti quelli che
vanno dicendo di tassare i Bot sono senza cervello. Se si facesse
questa idiozia la gente dopo trenta giorni, al primo rinnovo dei titoli,
se ne andrebbe in Francia o in Belgio o altrove. li risparmiatore
su questo deve essere tranquillizzato".
Per l'autorevolezza della fonte e la rilevanza del tema, la dichiarazione
merita attenta riflessione. Essa contiene tre parole chiave: "sacro",
"idiozia", "tranquillizzato".
"Il risparmio è sacro". E' importante che un capo
di governo sottolinei questo punto, con questa chiarezza. E' un punto
da condividere Fino in fondo. Ma perché il risparmio è
sacro? E che cosa si deve fare per non profanarlo?
Il risparmio è sacro per la motivazione individuale che lo
determina e per per l'effetto che arreca all'economia. Lindividuo
risparmia per provvedere a necessitò future mediante il capitale
accumulato e il rendimento che questo avrà maturato. I risparmi
individuali consentono all'economia di disporre dei mezzi per effettuare
gli investimenti. Se gli investimenti, privati o pubblici, sono produttivi
(ad esempio, un nuovo stabilimento o un più moderno sistema
di telecomunicazioni), essi generano le risorse con le quali è
possibile far fronte al rimborso dei capitali e al pagamento degli
interessi. Il circuito risparmio-investimento funziona allora regolarmente
ed è il motore dello sviluppo economico.
Il circuito smette di funzionare se il risparmio - pur dichiarato
"sacro" viene "profanato". Due sono le profanazioni
possibili. Un primo tipo di profanazione ha natura plateale e desta
reazioni vivaci. Consolidamenti forzosi di titoli e imposizioni patrimoniali
straordinarie appartengono a questa categoria. In una società
basata sul consenso e con confini finanziari ormai aperti, profanazioni
di questo tipo non sono probabili.
La seconda forma di profanazione dei risparmio è più
sottile e non desta opposizione, ma anzi compiacimento, in chi la
riceve. Essa consiste nel rendere particolarmente appetibili - mediante
elevati tassi di interesse e privilegi fiscali - taluni impieghi dei
risparmio ai quali invece corrisponde, in realtà, una produttività
bassa o addirittura nulla. Ciò si verifica per il risparmio
che affluisce ai titoli di Stato, e in particolare per quella parte
che va a colpire il disavanzo pubblico corrente, cioè non investimenti
pubblici ma consumi pubblici.
Anche limitandosi a questa notazione più ristretta - copertura
dei disavanzo pubblico corrente - la profanazione dei risparmio italiano
oggi è più simile ad una trave che ad una pagliuzza.
Il 21 % dei risparmio privato è distrutto nella copertura dei
disavanzo pubblico corrente. Si tratta di quasi 80.000 miliardi di
lire all'anno. Gli altri Paesi dello Sme hanno un avanzo corrente
dello stesso ordine di grandezza, che per essi concorre, con il risparmio
privato, al finanziamento degli investimenti privati e pubblici.
"Il risparmiatore deve essere tranquillizzato". L'ideale
sarebbe che i risparmiatori venissero tranquillizzati e al tempo stesso
non più illusi. E' bene che vengano tranquillizzati sul fatto
che non saranno compiute ai loro danni profanazioni del primo tipo,
cioè violazioni dei patti sui titoli in essere. Ma non devono
più venire illusi, con alti tassi di interesse e privilegi
fiscali, su nuove emissioni di titoli che servono a convogliare il
risparmio verso i consumi pubblici, distogliendolo dagli impieghi
produttivi.
Nel 1921 Luigi Einaudi parlava della "giustificata ripugnanza
della gente risparmiatrice a buttare i propri denari per aumenti di
impiegati inutili e per spese improduttive". Oggi questa ripugnanza
non c'è più. Gli imbattibili tassi e vantaggi fiscali
sui titoli di Stato fanno sì che i risparmiatori considerino
semmai "buttati" i propri denari quando li destinano - attraverso
le banche o la Borsa - ad impieghi produttivi, certo più proficui
per la collettività, ma non in grado di competere con i titoli
di Stato.

Se si considera sacro il risparmia, non si può considerare
normale un sistema che, ribaltando i termini einaudiani, ha creato
nei risparmiatori una "giustificata ripugnanza" per gli
impieghi produttivi.
"L'idiozia". il capo del governo afferma che tassare i titoli
di stato (nel senso, si deve ritenere, di includerne gli interessi
nella base imponibile Irpef) sarebbe un'idiozia, che determinerebbe
uscite di capitali dal Paese.
Il problema è complesso e non sono in grado di dire se sarebbe
o meno un"'idiozia". Forse, dipende dal punto di vista.
Mi limito a tre osservazioni. Sotto il profilo della sacralità
del risparmio, una modifica del regime fiscale che riguardasse le
nuove emissioni non darebbe luogo a profanazione del risparmio nel
senso di violazione dei patti. E' vero che si assisterebbe probabilmente
ad una minore propensione all'acquisto di titoli di Stato, a vantaggio
forse di impieghi all'estero, ma anche di impieghi produttivi nel
Paese.
Infine, è probabile che il meno facile finanziamento (purché
il Tesoro non reagisca subito con tassi ancor più prodighi)
accrescerebbe nel governo e nel Parlamento la pressione per conseguire
davvero i traguardi indicati nella legge Finanziaria.
Di Fronte ad una maggiore stringenza Finanziaria, l'esponente più
rappresentativo di un vasto sistema politico vissuto sul debito pubblico
potrebbe dolersi. Un capo di governo impegnato nel risanamento finanziario
non Potrebbe non rallegrarsene.