§ Accordi letterari fra Firenze e Lecce

Carlo Betocchi e Vittorio Pagano




Gino Pisaṇ



a) Per un approccio a Pagano.
"Enfer ou Ciel qu'importe? Au fond de l'Inconnu pour trouver du nouveau". Se poeta dell'Otto/Novecento volle appropriarsi dell'odisseico progetto baudelairiano di varcare le soglie della realtà per trovare il nuovo fra i dèmoni o fra gli angeli dell'oltre, sui fondali dell'Inconnu, dovette fare i conti con la vita e uscirne, dal confronto, contumace. Ma se volle pareggiare il bilancio, conobbe la condizione di ospite o di "prigioniero".
Vittorio Pagano (1) appartiene a quest'ultima tipologia perché, pur attratto dalla forza numinosa della poesia che lo chiamava altrove, rimase nella sua terra e fu subito estraneo e "maledetto". Questa condizione, che Baudelaire canonizzò nella diadica conflittualità fra ennui-ideal, non solo marcò di Pagano il costume di ogni giorno ma fu anche la matrice psicologica della sua sterminata attività di traduttore e di poeta, sicché egli fu tanto fedele e regolare nella poesia, quanto "irregolare" nella vita (2).. In questa contraddizione la sua scepsi, ovvero la radice del suo mauditisme, in questo scarto fra norma e trasgressione, fra colpa e innocenza, le ragioni della sua poesia nella quale irrompeva, facendosi
"Cielo", l'irregolare esistenziale, tumultuante e rapinoso fino al momento della sua sublimazione. Questo processo metabolico avviene, dunque, all'insegna di una apparente aporia: il disordine del vivere traslato e composto nell'ordine del metro. Da qui le affinità elettive fra questo superstite poeta maudit-ermetico-simbolista, anche in tempi di neorealismo e di neoavanguardie, e i poeti "maledetti" (tradusse e antologizzò (3) , per le comiane edizioni dell' "Albero", Nerval, Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Corbière, Mallarmé, Rollinat) nella cui vicenda poetica ed esistenziale egli coglieva il rifrangersi di un destino al suo speculare, per cui l'impegno versorio non fu, in Pagano, retorico esercizio stilistico né mero calligrafismo tardorondesco, ma ebbe il senso di una Bildungsreise alla ricerca di una giustificazione referenziale, di una suprema ratio cui ancorare la sua poesia posseduta dal dèmone del metro eppure eversiva della parola poetica classica (4), Per conoscere la galassia-Pagano occorre partire dal traduttore (5) per giungere al poeta, ma qualunque cammino non potrà non essere impervio, lungo e paziente.
L'Antologia (1957) e le traduzioni estravaganti che l'avevano receduta possono assumersi come avantesto di Calligrafia astronautica (1958), de I privilegi del povero, immensa silloge (quattro tomi - Mitologia del Sud, in un astro crudele, Trobare concluso, Residui di album di guerra - che racchiudono migliaia di versi in complessive 767 pagine) pubblicata per le edizioni del "Critone" nel 1960, ma, in realtà, costituita da liriche composte fra il 1939 e il 1959, di Morte per mistero (1963), di Zoogrammi (1964). Vero è che Pagano non consegnò alla sola Antologia la tentacolare attività di traduttore-poeta, ma ne commise gli interessi, che spaziano dal Medioevo all'Ottocento, anche ad alcune plaquettes come la scheiwilleriana edizione di Assassinio nella Cattedrale di Canterbury (1965), versione metrica di un brano dell'opera di Guernes De Pont-Sainte Maxence, La Vie de Saint Thomas Le Martyr (1173) in strofe di cinque alessandrini monorimici, o come il "critonico" quaderno Francese antico (1958) che contiene traduzioni da Thomas d'Angleterre (Morte di Tristano e Isotta), dalle Chansons de toile (6), da Rutebeuf, da François Villon (Contrasto del cuore e del corpo - Messaggio agli amici - Ballata degli impiccati) cui devono aggiungersi le straordinarie e tuttora inedite traduzioni della Chanson de Roland (quattromila decasillabi in lasse assonanzate) e dello stesso, ulteriore, Villon. Fra gli inediti anche un cospicuo corpus di liriche sparse.
L'Avvertenza, preposta all'Antologia, tuttavia assume una valenza metapoetica e un ruolo di malcelata contestualizzazione della scrittura di Pagano. In questo spazio, egli, giustificando e motivando la sua versione, dà conto a se stesso, oltreché al lettore, del logos interno a quel processo dell'umsteigen, del "trasbordare" il magma della vita nella forma poetica, il disordine nell'ordine, il deragliamento nel ritmo, "il massimo della trasgressione logica nel massimo della sottomissione alla regola" (7). Esigenza di raccordi analogici e di accordi metrici, arte come dominio delle informi e torrentizie pulsioni dell'Es, metro come argine contro le derive dell'ineffabile orfico. Pagano traduce per ritrovare se stesso nel proprio "doppio" (il poeta tradotto), per rivivere a latere, mediante un'operazione di doppiaggio che non ètraslitterazione ma incontro a due voci, il processo di trasvalutazione del soggettivo in assoluto poetico, della realtà empirica in simbolo. Di questo assunto troviamo conferma nella citata Avvertenza: "Esigenza di ordine, di costruzione, di disciplina formale, se pure non in senso pedissequo di remissione automatica agli schemi tradizionali [ ... ] ma nel senso più intimo di comporre in architetture ritmiche e melodiche una materia che altrimenti sarebbe rimasta a caoticizzarsi nel dominio del sangue. Curioso epperò spiegabile fenomeno. Anime allo sbaraglio, ribelli a ogni regola della vita e della convivenza, strutturate di dèrèglement, corrose e corrosive, e tuttavia protese a moduli espressivi di rigorosa misura. Come dire che per loro la poesia non era solo un effondersi [ ... ] ma principalmente un atto [ ... ] di rivalsa dimensionale e canora contro il rovinìo operatosi delle dimensioni umane" (8). Attraverso la lezione sui poeti "maledetti", Pagano parla di sé, mutato nomine normalizza il suo mauditisme.
Ma per Pagano l'atto poetico non è solo "trasvalutazione", è anche Lied, assoluto melico, cui è connessa una funzione gnostica, ("scavare, gioia di condanna, è questo / che impone la parola modulata, / l'edificio d'abisso ov'è raccolto / tutto il piangere, il ridere, il funesto /grido che raggelando ogni giornata / s'esilara in un mondo capovolto", A Giorgio Caproni, vv. 9-14, in Calligrafia astronautica), soteriologica, catartica, quella stessa che Oreste Macrí indica come la "quarta radice della poesia" (9) e Gatto, nume di poesia e di vita per Pagano, come "la conoscenza ultima e assoluta". Questa tendenza al melos, che mitizza i valori fonici della parola, sull'esempio di Verlaine, se si configura come seconda scaturigine dell'attività poetica di Pagano (ne influenzerà altresì la copiosa attività di critico cui occorre riservare una specifica ricognizione) si innesta essenzialmente sul tronco trobadorico del Minnesang, il canto d'amore, in cui, come acutamente ha osservato Michele Tondo, Marcella ("fanciulla d'ogni suo sfacelo [ ... ] cirro che si sciolse in pioggia") (10) assume la funzione di archetipo materno (Macrí) ché Pagano, solo pel tramite di lei, "potrebbe trovare un rapporto attivo con la realtà" in quanto "ragione del suo canto e della sua vita" (11). E questa donna, immune dalla maladie del "maledetto", appare "come una paziente Penelope che, abbandonata da lui per seguire la sua vocazione, aspetta da sempre il suo veliero" (12). Ancora un conflitto esistenziale si reitera nel canto poetico, anzi ne alimenta quel carattere. di petrarchismo "in cui il contrasto tra lo spirito e la carne si è tramutato in un contrasto tutto interiore tra vita e letteratura, tra la volontà di non perdere i battiti del mondo [ ... ] e l'aspirazione a trascendere la realtà nel canto" (13).
Pagano, in grazia dei contrappunti tematici, glissa gli effetti monotonici del suo liederismo sicché, a ben guardare sotto la coltre del melos, ci si accorge che la poesia è per lui conoscenza di sé e dell'Assoluto, rivelazione ed annuncio del vero. A questa consegna rimase sempre fedele, come il Wagner del goethiano Faust al verbo del maestro, sordo alle sirene del neorealismo e delle neoavanguardie, tanto da sembrare (ed essere, talvolta) un sopravvissuto "senza storia interna" (14), un manierista, se si vuole, per quell'ossessiva neobarocca manipolazione della forma da cui traeva immagini vorticose, croscianti, a spirale: mise en abîme funzionale al misticismo del segno. E a una radice di espressionismo neobarocco mi sembra che rimandi il virtuosismo aedico-tragico di quella che è forse la più intrigante e complessa delle opere di Pagano: Morte per mistero (15), variazione di un tema eliotiano (Morte per acqua) le cui costanti tematiche (effimero, morte, mistero) danno vita ad immagini spesso truculente (come in T.S. Eliot) e voluttuose nelle quali vibra, però, una sensibilità tutta barocca, retaggio di pietrificate effigi cittadine, germogliata sul terreno-archetipo di un'ancestrale matrice greco-dionisiaca. Eccone un esempio tratto da Dramatis personae, seconda sezione del poema, in cui si potranno osservare le ampie, inesauste volute dei periodi speculari, per la loro struttura prevalentemente paratattica, alle incalzanti fughe e alle vertigini delle forme (16):

[ ... ]Ora gli agnelli
dei morti a un'acre voluttà belando
s'avviano e di saggezze
vellose trucidati
suggelleranno i pascoli: immortali
tratteggi ribadiscono il latrato
di Cerbero alle coppe di lordura
scampanate nel brindisi e da gole
convulse non semana
che il fiato osceno della verità.
Grazie composte nella fluida mimica
divoratrice, agnelli
agnelli un elisir venale, un giusto
ricatto agli stregoni
che sbattono le verghe - ed al segnale,
la tenebra è la ressa
dei volti ciminiere
si sfasciano le sponde
della patria s'adergono
a itifalliche scene nei ricoveri
della viltà s'acquatta
la musa siderurgica, ma chini
su filigrane lucide di vomiti
s'indusiriano i boschivi
genii a ragguagli d'alberi e di forche,
il cibo triturato
in un discorso fitto di proteste
concimerà la flora ornamentale
che ci redime in calligrammi. Agnelli
agnelli fermentato
lo scannatoio allaga
i porti d'evenienza sulles pade
scintilla Ia perennità un mordace
Socrate fa le bolle di sapone
con la cicuta untuosa dei sofismi.

Le oracolari movenze orfico-ermetiche, che espungono il contingente storico, e la bergsoniana l'intuizione" del vero affidata alla poesia chiamano in causa l'ermetismo e la predilezione del Salentino per gli esponenti della "terza generazione" (Betocchi, Macrì, Gatto, Luzi su tutti) ai quali riservò ampio spazio sulla pagina letteraria del "Critone" e sui Quaderni, ormai rarissimi, della stessa rivista (17), roccaforte ermetica, al cui indirizzo Luciano De Rosa rivolgeva la "lamentazione" alla quale si è fatto cenno ne Il sodalizio Betocchi-Comi (18) di cui questo intervento vuole essere integrazione ed epilogo.
In ordine all'ermetismo di Vittorio, ho ritrovato, per felice e inopinabile caso, in esergo alla copia de I privilegi del povero donatami da Marcella Romano, un'inedita riflessione di Pagano sulla sua scelta ermetica che qui sembra opportuno pubblicare. E' nella veste discinta di un'estemporanea dedica a un non identificato Nicola (Carducci?) ed è manoscritta dal poeta:

Si mitizza anche la demitizzazione: è tanto ovvio che ne scaturisce un ulteriore mito. Per questa strada precipitai nell'ermetismo (e niente più ironia, o sornioneria, quando oggi pronunzio una tale parola: ma un'aperta risata gratificante). Te ne regalo i risultati sul piano formale. Nella sostanza, debbo tuttora analizzarli bene: continuo a scrivere versi, magari del tipo che vedrai sul ritaglio aggiunto. E non dico più che èuna "malattia", ma una terapia contro le illusioni e le speranze e le mistificazioni che rendono i malati assolutamente incompassionevoli. L'augurio che ti rivolgo, il solo in nome di ciò che fummo, è che il tuo sistematizzato luciferismo mentale capisca poco (o, per lo meno, poco biblicamente) i frutti che maturano sul mio "albero della sapienza". E grazie per la serata così criticamente amicale che abbiamo tentato di sceneggiare insieme. Mi sei caro, Nicola, come uno dei miei vizi più cari.
Tuo Vittorio
chez Marcel, 19/11/75

Sfuggono le ragioni per le quali l'amico, cui è dedicata la copia in parola, non ne venne mai in possesso, né il conoscerle giova all'economia del discorso. Tuttavia il testo prodotto offre una chiave di lettura della storia interiore di Vittorio Pagano (la poesia da "malattia'' a "terapia"). All'ermetismo egli era approdato sull'onda della demitizzazione del movimento e, paradossalmente, ne divenne, invece, l'ultimo Rodomonte.
La gnomicità dell'esordio ("Si mitizza anche la demitizzazione: è tanto ovvio che ne scaturisce un ulteriore mito") chiama in causa, verosimilmente, una precedente polemica nei confronti dell'ermetismo o del neorealismo, ma senz'altro una querelle con l'amico, della quale la dedica vuole essere lo sfogo terminale. A dare la misura di quanto fosse espunta dal canto di Pagano ogni traccia di cronachistico realismo, nella fattispecie nei confronti di una realtà geografica, circoscritta nel tempo (il secondo dopoguerra) e nello spazio (la "profondità" del Sud), quale appariva il Salento nelle tematiche del neorealismo, mi sembra opportuno assumere come specimen il sonetto che Pagano dedicò a Betocchi (19), sia per i riferimenti ai luoghi (l'Ospizio dei vecchi, la chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo) che si coglieranno nell'inedito epistolario betocchiano che qui si pubblica, sia soprattutto per l'evidente "trasvalutazione" del Salento dalla realtà in categoria, dalla storia nel mito-segno di una condizione esistenziale che si universalizza in metafora della "deriva", grazie a una griglia di simboli, di correlativi oggettivi Ci vecchi", "i morti", "l'alcova di cipressi","il sole ambiguo", "il rosone adorno / di visceri soavi, di contorti / mugli di fede, di giocondi aborti", "immarcescibile squallore") nei quali si materializza, con sapiente dialettica di endecasillabi a minore ed a maiore, il senso tattile, olfattivo, poi acustico, in virtù degli enjambements dei vv. 3,4,5 in particolare, della fatica del vivere (si osservi l'ipallage "gemeva la penitenza"), del mistero eterno del morire e, soprattutto, vi si specchia la coscienza ("noi come risorti / ci guardavamo") del destino di degrado, di putrefazione, che dal dato empirico, concreto (un leccese monumento barocco (20) ) è indotta espressionisticamente ("la bocca / acre, tentata dal sapore caldo / di quell'immarcescibile squallore") nel canto poetico:

Le suore, i vecchi dell'ospizio, i morti,
l'alcova di cipressi, il mezzogiorno
di sole ambiguo - ed il rosone adorno
di visceri soavi, di contorti

mugli di fede, di giocondi aborti
d'angeli... Oh quale addio, quale ritorno
nella pietra vibrò! Gemeva intorno
la penitenza - e noi come risorti,

ci guardavamo, attenti allo stupore
di vederci stupiti, con la bocca
acre, tentata dal sapore caldo

di quell'immarcescibile squallore
traente a pace eterna la barocca
ressa dei santi Niccolò e Cataldo.

b) Lettere inedite di Betocchi a Pagano.
Del rapporto che Betocchi istituì con la cultura salentina e dei contributi che egli recò alle riviste di Terra d'Otranto nel secondo dopoguerra si è detto nel citato Il sodalizio Betocchi-Comi.
Quel rapporto era stato propiziato da Girolamo Corni (aveva invitato l'antico compagno di viaggio nell'area frontespiziana a far parte dell'"Accademia salentina" e a collaborare all'"Albero"), ma a rafforzarlo e a renderlo più fecondo e durevole fu l'amicizia che legò, mentore Macrí, il poeta torinese-fiorentino a Vittorio Pagano. Questi ne ospitò sul "Critone", fra il 1956 e il 1966, liriche e prose che abbiamo precedentemente censito (21), sicché si consolidò l'asse Lecce-Firenze di cui Betocchi fu uno dei vettori ("introdusse" Mario Luzi e altri) più rappresentativi sul piano storico-referenziale. Pertanto, compementari e funzionali alla betocchiana presenza sulle pagine delle riviste salentine ("L'Albero" e "Il Critone") risultano queste lettere dalle quali emerge un microcosmo d'affetti e di idee che meglio chiariscono la storia e la natura del legame culturale che unì Betocchi al Salento, ma soprattutto ci introducono, come documenteremo, nel laboratorio dei due poeti, dietro le quinte dell'ufficialità, consentendoci di cogliere estemporanei moti del cuore, umane debolezze, affinità ideali, valutazioni critico-letterarie, istanze amicali, crucci e impennate umorali che, tuttavia, giammai aduggiarono un'amicizia via via crescente e fraterna. Inoltre, al di là del loro valore documentale, alcuni luoghi, in esse contenuti, ci soccorrono nell'approccio alla difficile poesia di Pagano, fondando, in alcuni casi, i presupposti di un discorso critico testuale, in altri confermando il carattere paratestuale del loro tessuto, fino a proporsi sorprendentemente (cfr. lettera del 24 dicembre 1958) come avantesto di una delle più famose liriche di Betocchi, L'estate di S. Martino, eponima della raccolta che comprese componimenti databili fra il 1943 e il 1961, con prevalenza di quelli prossimi o a ridosso della data seriore. Riguardo a questa lirica, infatti, così scriveva il poeta "della grazia sensibile" al sodale leccese ermetico-maudit:

[ ... ] non m'aspettavo una risposta così pronta e gradita e poi dal versante d'una poesia che muove da tutt'altre sorgenti, a quella mia Estate di S. Martino venutami un po' sul serio e un po' per scherzo, tornando soletto dall'accompagnare la mia bambina a scuola: con quel ron ron [ ... ] di alcune quartine centrali, simile a certi facili e patetici zum te te, zum te te (22) verdiani [ ... ]

A documentare la cantabilità della lirica in parola ne produciamo il testo, utile, peraltro, alla comprensione di quanto Betocchi confesserà nello sviluppo epistolare. Il testo, che ci ricorda certe movenze arcadiche e ludiche del secondo Caproni, si struttura di quaranta versi in terzine di settenari piani, sdruccioli (vv. 5-8 -14-17-31), tronchi (vv. 16-24-25), legati in rima baciata l'ultimo e il primo nelle quattro strofe iniziali e in ottava e nona (poi liberamente rimanti e assonanti), ipermetro il v. 28. Sul piano tematico, la lirica riprende, con novità e originalità d'accenti, un motivo già pascoliano ("[ ... ] l'estate / fredda dei morti", Novembre) e lo sviluppa con lo stesso nitore d'immagini ("Gemmea l'arca, il sole così chiaro [ ... ] ", Pascoli, [ ... ] l'aria fresca pungente", Betocchi) ma affida all'umile agone fra lo spazzino e le foglie, osservato nello spazio quotidiano, le allusioni al misterioso senso del vivere, ai fugaci trapassi delle forme Ce... senti, / senti sì come odora / di ciò che fu e sarà"), alla solitaria, fraterna condizione esistenziale di tutti gli esseri, contenuta nei vv. 28-30 ("[ ... ] e niuna è sola / e tutte sono sole") che illumina, non meno che in Cardarelli (Autunno), un sole "smarrito", allusivo, simbolico.
Temi che hanno del topico (autunno - tristezza -caducità - ambiguità) ma che, scremati da indugi retorici, sono reinventati e sottratti alle paturnie in grazia delle modulazioni autoironiche Ce con l'occhio strapazzo / tal quale un giovinastro / le fuggiasche ragazze") e del verso breve, brioso e leggero, che conferisce all'insieme un carattere di andante con moto:

Questi che scopa,
scopa le sue foglie d'autunno
nel sol di San Martino,

questo buffo becchino
in tuta, malinconico,
che i pensieri di casa

nella scopa travasa,
mentre la fa pei lastrici
puliti andar per nulla

tra il vento che li frulla
le crepitanti foglie,
via! povero gnomo...

E soltanto gli giova,
di quel lavoro inutile,
quel che ripensa e cova

dell'umil vita in sé:
lì presso intanto, un cumulo
di tali foglie brucia,

e quieto par che dica:
- Ad altro mi indirizzo
col mio bel ghiribizzo

di fumo al vento; e... senti,
senti sì come odora
di ciò che fu e sarà! -

Di quante libertà
fatto è il mattino: ognuno
ha la sua propria, e tutte

ne fann'una: e niuna è sola,
e tutte sono sole:
e c'è il sole per tutti.

Anche per me, simpatico (23)
passeggiator che Passo
e sbocconcello un pane

con l'uva e il ramerino,
e con l'occhio strapazzo
(tal quale un giovinastro

le fuggiasche ragazze),
l'aria fresca, Pungente
le frasche d'un giardino,

il mio caro spazzino.

Si potrà cogliere il momento gestativo e avantestuale della lirica confrontandola con quanto Betocchi confessava nella citata lettera all'amico Pagano:

[ ... ] Ma quella mattina, assai sul serio mi pungeva un pensiero: ed era che il "simpatico passeggiator", tra un mese inciampa nei sessanta. Sicché chi volesse spiegare quella poesia con le reazioni naturali di quella mia passeggiatina mattutina dovrebbe rifarsi a questi appunti, che riferiscono sui miei spontanei pensieri del momento:
- Viste le foglie ruzzolare per i marciapiedi, al vento e al solicello. -Ahi, proprio come me!
- Visto lo spazzino che non ne raccattava niente: e che cosa abbiamo fatto di meglio, per tutta la vita? Probabilmente nulla.
- Seguì un pericoloso compatimento di me stesso: zum te te, zum te te.
- E, grazie a Dio, poiché mi trovavo sulla stessa via (Via Micheli), che seguivo da giovinetto per andare all'Istituto Tecnico, all'allegria del ricordo e al malumore creatomi dagli importuni confronti fa eco (o voleva far eco) uno sfottò di me stesso ed un allegro invito a seguitare a vivere finché lo spirito regge (ancora alla Verdi, ma in ispirito falstaffiano ... ).
Ed ecco la tua Calligrafia astronautica capitarmi, dai cieli bianchi violetti e blu del simbolismo e del mauditismo -a me tanto cari - a portarmi il tuo ricchissimo saluto di poesia [ ... ].

Quanto ai giudizi e ai suggerimenti di Betocchi in ordine alla poesia di Pagano, sarà opportuno evidenziarne alcuni: [ ... ]. Mi rallegro tanto e poi tanto per la bellissima Canzone sua per la festa del Patrono L'occhio dell'uragano [ ... ] e quanto gliela invidio! Libera e musicale, legata ai passi 'aerei', alla danza della verità e dell'invenzione, è una poesia secondo il cuor mio e come da tanto tempo non ne leggevo [ ... ]. La ritaglio e la pongo tra le cose da conservare: presto il giornale potrebbe perdersi, ma la sua poesia non voglio che si perda" (lett. del 7 dicembre 1956); "[ ... ] mi sembra che il suo Cimitero marino apparso su questo bello, ultimo numero (24) de 'L'Albero' sia una delle più belle traduzioni che si siano lette di questo famoso poema. lo, se mi permette, la esorterei soltanto a cercar di migliorare i versi di apertura" (lett. del 18 aprile 1957). Intanto il legame tra i due poeti si faceva più forte e familiare a partire dal maggio del 1957 e all'uso del "lei" succedeva quello del "tu". Ed ecco quanto Betocchi scriveva nella citata lettera del 24 dicembre 1958: [ ... ] Caro Pagano, sei un poeta di una maledetta intelligenza, e a caval di un Pégaso che ha ben altro assillo che il destriero di Bellerofonte! Col vantaggio che tu ci resti in sella, e, tra un subisso di pirulette, ci mostri la più straordinaria immagine di furor salentino: specie a chi, come me, ricordi - e non possa dimenticare, come immagine di cultura - il liricomacabro e candido funebre barocchismo leccese (25). Ché se tu a meraviglia ci ridai, dalla più alta scuola il mauditismo e il simbolismo, [ ... ] quella straordinaria capacità di trapezista che gioca dall'una all'altra delle due più perigliose esperienze liriche europee, non fa che pungolare la tua follia pugliese: ed è quella che alla fine salta fuori, col bel risultato di questa Calligrafia astronautica 1 libretto di capacità e inventive rarissime"
Al simbolismo e all'universo barocco, cui ho fatto cenno nella parte iniziale di questo lavoro, rimanda la lettura betocchiana della penultima opera che Pagano pubblicò: [ ... ] in questi giorni, mi son letto Morte per mistero. Un diavolo di poeta sei [ ... ]. Messo su benissimo, con quei tre titoli stupendi [Espediente di pace - Dramatis personae - Espediente d'esequie ] che sarebbero l'architettura maestra del poema, tu pretendi poi che ti si insegua attraverso quelle selve di simboli che, naturalmente, sono l'equivalente di quell'universo barocco che mi facesti ammirare a Lecce [ ... ]. Nel resto mi travolgevi e mi stordivi. Danze macabre e mistero" (lett. del 14 giugno 1965).
A fronte dei trasporti affettuosi, non meno affettuosi e ludici risentimenti ("dicevi che la mia Bigagli (26) era 'davvero pregevole', che l'avresti pubblicata, e che le avresti scritto e non l'hai pubblicata. E allora? Credi anche tu alla fregnaccia dei nomi che contano? contano le pagine scritte bene, conta la poesia anche se non ha nome, o ha un nome ignoto [ ... ]. Su, datti da fare, non tradirmi! Abbi un abbraccio senza perdono [ ... ]", lett. del 26 aprile 1960) o improperi all'indirizzo del carattere umorale, permaloso, di Pagano: "Benedetto Sud! irreparabile Sud! [ ... ] Possibile che non sappiate immaginare un affetto che tace? [ ... ]. Ti viene in mente: Betocchi è un montato, un orgoglioso, un disamorato, un birbante; Betocchi mi fa la guerra del silenzio. Bell'ambasciatore che sei, del tuo buono, semplice e onesto Bernardini! [ ... ] Scrivo a quella cara donna che è tua moglie, alla quale tu hai detto persino, (hai osato pensarlo, turco (27) della malora) che io non ti avrei risposto.
Impara da lei, saraceno, a pulire l'animo e gli occhi dai molesti pensieri, e a vivere nella fiducia, non nella sfiducia [ ... ]" (lett. del 28 maggio 1965). Qua e là si colgono, inoltre, utili riferimenti alla vicenda storico-culturale del "Critone" (es. lett. del 22 settembre 1959) oppure rintoccano nomi consueti alla cultura italiana (Luzi, Macrí, De Libero, Traverso, Bilenchi, Bodini, Spagnoletti ed altri) o irrompono notizie di consanguinei lutti ("Mia madre è morta"; "Il giorno 13 dic. perdetti a Bordighera un mio caro fratello").


Infine segnalo una giocosa lettera (28) in quarta rima a schema separato di endecasillabi e settenari (dieresi e dialefe al v. 13, ipermetro il v. 14) che si chiude con il saluto a Tommaso Santoro il quale, al pari di Pagano, di Comi, di Bernardini, di Macrí, di Pierri, fu tra gli amici salentini più cari a Betocchi

Caro Pagano, tutti hanno il Critone,
e a me non tocca niente;
mi pigli un accidente
se tu non sei un birbone.

Che dunque aspetti, meraviglian tutti,
a spedire a Betocchi
quel Critone coi fiocchi,
e il fiore e i dolci frutti

di Traverso e Bilenchi? (29) e il precedente
numero anche mi devi.
Orsù , dunque, ricevi,
Pagano, e sii paziente

questo mio motto. E fa tesoro
degli amici: com'io di te, che ver'Iddio,
non meriti -Salutami Santoro.


APPENDICE

Le lettere di Betocchi e una lirica di Pagano.

a) Il piccolo epistolario (è custodito dalla signora Marcella Romano, moglie di Vittorio, che vivamente ringrazio per avermi dato facoltà di pubblicarlo; ringrazio anche Silvia Betocchi e Oreste Macrí) si compone di ventisei testi, diciannove dei quali diamo in questa appendice, escludendo, per evitare un'inutile ripetizione, la lettera manoscritta del 13 novembre 1958, che contiene soltanto la quarta rima testé prodotta, e sei telegrafiche (e ininfluenti ai fini della ricerca) espresioni augurali o di saluto estese su cartolina in prossimità delle feste pasquali o natalizie. Si avverte, infine, che i luoghi omessi e segnalati con puntini di sospensione, racchiusi in parentesi quadra, sono due e non riguardano argomenti che non siano strettamente privati, sicché si è preferito non darli.


[lettera manoscritta] Bordighera 14 Ag. 56

Caro Pagano
Ebbi la sua cortese del 15 luglio, ma in mezzo a tante faccende e in vista dello spostamento estivo che mi ha portato qui scusi se Le rispondo tardi. Riprendendo il suo discorso sulla possibilità di una pubblicazione Papiniana, mi trovo qui queste pagine che Le mando, e che Le affido per la stampa, sempre che Le vadano bene.
Tanto a prova della simpatia che ho per le vostre belle iniziative pugliesi, sulle quali, specie su L'Albero, ho scritto un pezzo sul Popolo (30) che dovrebbe uscire in questo mese.
Abbia i più cordiali saluti dal Suo
Carlo Betocchi
sempre Borgo Pinti 61 Firenze.


[cartolina postale manoscritta] Firenze 7 Dic. 56

Caro Pagano
mi rallegro tanto e poi tanto per la bellissima Canzone sua per la festa del Patrono "L'occhio dell'l'uragano" (31). Mi rallegro tanto e poi tanto e quanto gliela invidio! Libera e musicale, legata ai passi "aerei", alla danza della verità e dell'invenzione, è una poesia secondo il cuor mio e come da tanto tempo non ne leggevo. Evviva, caro Pagano! La ritaglio e la pongo tra le cose da conservare: presto il giornale potrebbe perdersi, ma la poesia non voglio che si perda. Evviva, caro Pagano! [Ho] scritto, questa cartolina, di sera, dopo cena, tornando da prendere la posta giù, nella cassetta delle lettere.
E scansando dal tavolo la macchina da scrivere sulla quale batto un discorsetto da leggere il 9 corr. a Greve scoprendosi una lapide alla memoria di Giuliotti (32).
Abbia un abbraccio dal Suo
C. Betocchi


[foglio manoscritto] Firenze 29 Dic. 56 Borgo Pinti 61

Caro Pagano
grazie delle affettuose parole.
Mia madre è morta il 26 corrente a Milano e il 28 l'abbiamo tumulata qui, nella sua Firenze.
Abbia un abbraccio dal Suo
Betocchi


(lettera dattiloscritta) Firenze, 18 Maggio 1957 Borgo Pinti 61

Mio caro Pagano,
grazie di avermi spedito la bella variante alla Sua traduzione di Valery: molto, secondo me, preferibile al testo stampato; e da tenerne conto, quindi, per una edizione in volume. L'altra sera abbiamo parlato di questo, e di Lei, anche con Macrì che Le vuole molto bene, come Lei sa certamente. il quale Macrì, avendo visto questo che Le allego, Lamento per Ottone Rosai (33), mi pregò di mandarlo al Critone. L'avverto però che lo avevo già mandato alla Fiera. Penso che non faccia nulla. Il vostro Critone va in un ambiente che spesso non legge la Fiera: [ ... ].
Quanto alle altre varianti del Valery di cui mi parla, le vedrò molto volentieri, me le mandi, dunque, e ne parleremo in breve, secondo il mio gusto. Libero Lei, sempre, come sa, di orientarsi. Creda che ho molto ammirato quella traduzione. E Macrì anche.
Ho ricevuto il precedente compenso. Grazie.
Abbia gli affettuosi saluti del Suo
C. Betocchi


[cartolina postale manoscritta] Firenze 18 Aprile 57 Borgo Pinti 61

Caro Pagano
mi sembra che il sito "Cimitero marino" apparso su questo bello, ultimo numero de "L'Albero" (34) sia una delle più belle traduzioni che si siano lette di questo famoso poema. lo, se mi permette, la esorterei soltanto a cercar di migliorare i versi di apertura: la strofa di apertura, che mi sembra meno felice delle altre. Ma è una traduzione assai più che persuasiva, è una traduzione che conquista. Me ne rallegro tanto con lei. Questa, d'altronde, vuole appunto aggiungere la letizia di un consenso amichevole agli auguri di Pasqua che le faccio di tutto cuore, mi creda il Suo
Carlo Betocchi


[lettera manoscritta] Firenze 19 Ap. 57

Caro Pagano
senza dubbio io sono molto distratto. Ieri, colpito dalla sua traduzione di Valery (35), Le scrissi una cartolina per rallegrarmi, ma indirizzata in Via Marconi 7.
Stamattina, "a bruzzico" (come si dice nelle nostre campagne delle ore antilucane, ed io infatti faccio delle levate così per pareggiare la posta e per lavorare), mi accorgo che avevo qui un suo biglietto del 27 marzo con l'indirizzo preciso; e altre cose sue gentili. Forse non l'avevo nemmeno ringraziato di avermi spedito "Il Critone" nel bel numero ultimo: lo faccio ora.
E tenga presente, La prego, per pochi che siamo, ma il bisogno è molto, che non ho ancora avuto il "compensaccio". E grazie per la promessa che Lei mi ha fatto, del suo studio sulla mia poesia: se supererà quei suoi scogli di indagini. Ma, come vede, anche a rischio di parere scortese, possono anche sfuggirmi le cose che mi sono più care, come una Sua recensione alle "poesie". Ed ora, quando il sole sarà cresciuto, telefonerò a Luzi per sentirlo per la sua collaborazione a "il Critone", di cui Lei anche mi parlava: e aggiungerò qui sotto. E vedrò di aggiungerLe una poesia.
Abbia ancora i carissimi auguri del suo
C. Betocchi
Luzi da me interpellato assicura che entro 10 giorni spedirà il pezzo.


[cartolina postale manoscritta] Firenze 30 giugno 57

Caro Pagano
Grazie del sonettizzan affettuoso e lusinghiero. Ma ho paura che tu l'abbia visto un po' troppo pitagorico il povero poeta toscano; amore, tuttavia, del pitagorico ce l'ho. Ma un tantino di fine sbaglio mi ci piace. Nel gran sole di giugno un po' di raglio! Vedo, se non ismetto, che mi metto a rimare. Che caldo fa! Doman l'altro parto per Bordighera e ci starò fino al 31 Agosto. Via Vittorio Veneto 2 (Imperia).
Di laggiù, o lassù, penserò alla poesia. A ben rivederci, caro Pagano, con un affettuoso saluto dal tuo
Carlo Betocchi


[cartolina postale manoscritta] Firenze 5 Febb. 58 Borgo Pinti 61

Eh! mio caro Pagano,
approdo, approdo finalmente a casa tua con questa cartolina di ringraziamento. Da quanto tempo è giunto il bel Critone ultimo? Ma il 27 ero a San Remo a parlare di Papini (dove mi ha seguito Spagnoletti, il lunedì successivo). E passai 15 giorni a scrivere quella conferenza che mi era venuta spasimosamente a noia. Qui libri e libretti, posta; e la solita necessità di collaborare per mangiare. Stamattina alle sei mi decido a scriverti questa cartolina. Scusami. E' un bel numero, bravo Pagano. E bravo Bodini per i leccesi e le Muse (sai, io credo poco agli Erebi letterari di Laurano, e agli Erebi in generale, visto che a un povero cristiano come me toccherebbe, semmai, un infernaccio sul tipo di quello dell'Orcagna). E bravo il mio De Libero per l'elegante Elpenore (36).
Eppoi, se si devono fare dell'eleganze, preferisco quelle francesi, schiette, verlainiane, di Leorans (37) a quelle di [Le]Lepri (38).
Ho un rammarico: non ho mai fatto un bel pezzo su Lecce, sugli amici, sulla bellissima Puglia, su Maglie, su Lucugnano, su Corni, sull'ospizio dei vecchi (39) di Lecce ecc. ecc. Ricordami a Santoro, alla cara famiglia Santoro, a tua moglie, al piccolo, alla terra rossa e agli ulivi.
Peccato che quel "ciarpame di nido" in Grido (40) tocchi del pascoliano: bisognerebbe qui una cosa rugginosa come una gronda fiorentina o l'ombra in un canto di vicolo maleodorante, anche di Firenze. T'abbraccia
il tuo Betocchi


[lettera dattiloscritta, firma e post scriptum manoscritti] Firenze, Vigilia di Natale del 58

Caro Pagano
Non m'aspettavo una risposta così pronta e gradita, e poi dal versante d'una poesia che muove da tutt'altre sorgenti, a quella mia Estate di San Martino venutami un po' sul serio e un po' per scherzo, tornando soletto dall'accompagnare la mia bambina a scuola: con quel ron ron (la suddetta mia Estate), di alcune quartine centrali, simile a certi facili e patetici zum te te, zum te te verdiani, pur dove il meglio dell'opera rivela tutt'altre e più vive passioni.
Ma quella mattina, assai sul serio mi pungeva un pensiero: ed era che il "simpatico passeggiator" tra un mese inciampa nei sessanta. Sicché, chi volesse spiegare quella poesia con le reazioni naturali di quella mia passeggiatina mattutina dovrebbe rifarsi a questi appunti, che riferiscono sui miei spontanei penseri del momento:
- Viste le foglie ruzzolare per i marciapiedi, al vento e al solicello. - Ahi, proprio come me!
- Visto lo spazzino che non ne raccattava niente: - E che cosa abbiamo fatto di meglio, per tutta la vita? Probabilmente nulla.
- Seguì un pericoloso compatimento di me stesso: - zum te te, zum te te...
- E, grazie a Dio, poiché mi trovavo sulla stessa via (Via Micheli), che seguivo da giovinetto per andare all'Istituto Tecnico, all'allegria del ricordo e al malumore creatomi dagli importuni confronti fa eco (o voleva far eco), uno sfottò di me stesso ed un allegro invito a seguitare a vivere fin che lo spirito regge (ancora alla Verdi, ma in ispirito falstaffiano ... ).
Ed ecco la tua CALLIGRAFIA ASTRONAUTICA (41) capitarmi, dai cieli bianchi violetti e blu del simbolismo e del mauditismo - a me tanto cari - a portarmi il tuo ricchissimo saluto di poesia.
A vedere poi che questo tuo QUADERNO DEL CRITONE porta il n. 7 non ho potuto fare a meno di pensare: -Dunque, di sei che ne sono già usciti, non ne ho veduto nemmeno uno!
Ma questo tuo mi ha consolato dei sei non ricevuti, comunque si fossero: e qui, del resto, non ce n'è nemmeno l'elenco. Caro Pagano sei tiri poeta di una maledetta intelligenza, e a caval di un Pègaso che ha ben altro assillo che il destriero di Bellerofonte! Col vantaggio che tu ci resti in sella, e tra un subisso di pirulette ci mostri la più straordinaria immagine di furor salentino: specie a chi, come me, ricordi - e non possa dimenticare, come immagine di cultura - il lirico macabro e candido funebre barocchismo leccese.
Che, se tu a meraviglia ci ridai, dalla più alta scuola, il mauditismo e il simbolismo, sempre e sopratutto anche tu resti italiano: quella straordinaria capacità di trapezista che gioca dall'una all'altra delle due più perigliose esperienze liriche europee, non fa che pungolare la tua follia pugliese: ed è quella che alla fine salta fuori, col bel risultato di questa CALLIGRAFIA ASTRONAUTICA della quale ti ringrazio, libretto di capacità e di inventiva rarissime.
Abbine dunque, con i rinnovati auguri ormai per il capodanno, i rallegramenti vivissimi del tuo
aff.mo Carlo Betocchi
Dubito sempre che il tuo indirizzo sia buono: dunque spedisco al Critone. Ricordami, ti prego, anche ai cari amici Santoro: Tommaso e Signora!


[cartolina postale manoscritta] Firenze 22 sett. 59

Mio caro Pagano
ho dovuto spedire a tiri amico che me la chiedeva l'unica copia rimastami del Viaggio meridionale (42). Senza che tu debba far complimenti, e senza che ne faccia io, ti prego di spedirmi contro assegno due copie ancora del libretto. Potrei rimanerne senza? E poi ci sarà qualche altra richiesta. Dunque, ti prego, contentami al più presto. Mi stupisco molto di non aver ancora visto gli altri libretti che dovranno uscire. Il Gatto(43), ad esempio? e il Sergio Salvi (44)? La copia che io ho spedito è andata a Vittore Branca, alla fondazione Cini. Le tue deliziose edizioncine prendono nome, ne sussurrano i ghiotti: e Scheiwiller mi scrisse che gli avevo fatto un gran torto. Ma volentieri fatto per il mio caro Pagano.
Un abbraccio dal tuo aff.mo Carlo Betocchi


[lettera manoscritta] Firenze 8 dic. 59 Borgo Pinti 61

Mio caro Pagano
grazie per la risposta, per l'indirizzo (che finalmente è stabile!) e per l'affettuoso dono, che attendo, delle 10 copie del
Vetturale. Col quale, avendo risposto tanto tardi, ti sei fatto perdonare!
E ora ti prego molto di darmi alla svelta, se credi, queste notizie. Il giorno 16 io devo parlare di un libro su Villon, edito da Feltrinelli, ma non ancora uscito, che avrò fra due o tre giorni, e che non so nemmeno se sia uno studio su Villon, o una traduzione dei suoi versi, o che altra diavoleria. Volevo cogliere l'occasione per rammentare, ad ogni modo, che in questi ultimi tempi si era impegnato a tradurlo in Italia e la sorte subita dalle loro fatiche. Vuoi dirmi, prima del 16, che fine ha fatto la tua traduzione(45), e dove si trova, e quale beneplacito attende? Ricordami a tua moglie e abbi un abbraccio dal tuo
C. Betocchi


[lettera manoscritta] Firenze 19 Dic. 59

Caro Pagano
grazie delle 10 copie ricevute oggi. Il Villon di Feltrinelli consiste in un'edizione relegata del tipo Strenna, con 22 disegni illustrativi di Ranchetti: 320 pagine di testo francese e traduzioni in italiano a fronte, 30 pagine con poche note, bibliografia sommarissima, 2 pagine di biografia, spiegazione dei nomi.
Il testo è completo, secondo quello classico del Forelet, o del nostro Neri. Lais, Testament, Poèsies diverses. Mancano quelle in Jargon (46). La traduzione è corrente, in endecasillabi, come che traducesse una narrazione, più che una poesia.
Io ne ho detto piuttosto male ma ho pubblicamente rammentato il tuo lavoro e la poca sollecitudine dei tuoi editori! Non si curano del Critone.
Abbi, per te, e i tuoi cari gli auguri del tuo (e i ringraziamenti)
Carlo Betocchi


[lettera manoscritta] Firenze 27 gennaio 1960
Mio caro Pagano
mi rallegro per la bella poesia che hai scritto per De Libero(47) (che insegna storia dell'arte ai ciechi) una poesia che mi è piaciuta tanto, e non posso non dirtelo. E poi mi fa piacere che tu l'abbia scritta per De Libero, vero e autentico poeta che i critici stupidi non sanno capire e al quale io voglio molto bene. Benissimo anche la Pentich (48) ed ottime le poesie del nostro Leone (49) (anzi commoventi, per me, perché hanno il timbro della estrema sincerità di un'epoca). Abbi un abbraccio dal tuo
Carlo Betocchi

[lettera manoscritta] Firenze 3 marzo 60 Borgo Pinti 61

Caro Pagano
credo di fare onore a Firenze e alla Puglia mandandoti per il Critone queste pagine di una scrittrice giovane e ignota, della quale farò pubblicare altrove altre cose. Alberta Bigagli (50), autodidatta, quando si è presentata con qualche suo fascicolo, era già evidentemente nata alla poesia. Non ho fatto che invitarla a proseguire il suo lavoro, consigliandole qualche lettura.
Questo "Puglia" fa parte dei primi fascicoli con i quali mi si è presentata. Il lettore avvertito potrà risentirvi, penso, la presenza di una suggestione campaniana. lo sono certo che la Bigagli mi ha detto la verità informandomi di conoscere di Campana soltanto il poco che ha trovato in "Poeti d'oggi" di Papini e Pancrazi. Ma non è questo che conta, secondo me: perché in ogni caso a me pare che la Bigagli affronta il suo mondo con un'autorità di poesia personalissima.
Abbi un abbraccio dal tuo Betocchi


[lettera manoscritta] Firenze 26 Apr. 60 Borgo Pinti 61

Caro Pagano
dicevi che la mia Bigagli era "davvero pregevole", che l'avresti pubblicata, e che le avresti scritto. Non Le hai scritto e non l'hai pubblicata. E allora? Credi anche tu alla fregnaccia dei nomi che contano? contano le pagine scritte bene, conta la poesia anche se non ha nome, o ha un nome ignoto.
Pagano, Pagano, tu che mi piaci perché in terra cristiana sei un pagano, quindi sperabilmente un galantuomo che non fa il cristiano - come i cristiani per ipocrisia, su, datti da fare, non tra dirmi!
Abbi un abbraccio, senza perdono se non pubblichi (51) la prossima volta, dal tuo
Betocchi


[lettera manoscritta] Firenze 6 mag. 60

Caro Pagano
la Sig.ra Bigagli non ha inteso a sordo (il modo di dire è fiorentino). Ma prima di spedire a te, passa di qui e lascia il plichetto perché io ci aggiunga un mio foglio.
Pagano mio, tu sei un angelo con la lettera che hai scritto alla nostra poetessa. Sii dunque severo, ora, in queste letture, come ti consente la tua sapienza di poeta e il tuo scritto di redattore del Critone, e come, del resto, merita il valore della nostra poetessa, che per essere una poetessa autentica, né tu né io possiamo trattare a contentini: ma anzi dobbiamo esigerne di più ed il meglio, sempre.
E dunque sei perdonato per tutta la vita, tanto più che, come mi hai scritto, hai l'ingenuità di credere che l'essere antologizzati nelle antologie scolastiche, e quindi lette qua e là per le scuole, voglia dir qualcosa.
Io ne ringrazio quella cara donna di tua moglie, ma non essere geloso, Vittorio mio! (Sai che De Libero si rallegrò tanto, poi, con me, per quella tua bella poesia a lui dedicata? (52).
Se tu credi di farlo ti annuncio che Francesco Leonetti (ex Officina ecc.), ora incaricato della direzione della Biblioteca malatestiana di Cesena (Forlì) (tale dunque l'indirizzo), mi ha chiesto di pregarti, se puoi, di fargli avere 1 copia de "Il Vetturale di Cosenza". Fai pure come credi. Ed abbi l'abbraccio affettuoso, e la promessa della prima poesia degna del Tritone", da parte del tuo aff.mo
Betocchi


[lettera manoscritta] Firenze 4 gen. 64

Mio caro Pagano
Il giorno 13 Dic. perdetti a Bordighera un mio caro fratello: poi il mese è ruzzolato via con la tristezza che puoi immaginare (dopo le ansie precedenti), ed è finito tra i malanni che hanno colpito un po' tutti in casa. Ancora non posso uscire, ma mi sforzo di rispondere almeno agli auguri, dopo che l'ho fatto per le condoglianze. E leggo sempre con affetto "Il Critone" che ti ringrazio di mandarmi con tanta precisione. E ti auguro insieme ogni bene.
Il tuo aff.mo
Carlo Betocchi


[lettera manoscritta] Firenze 28 maggio 65 Borgo Pinti 61

Caro Pagano,
Benedetto Sud! Irreparabile Sud! mi costringi a dirlo, dal momento che tu cominci la tua lettera con un "ma la guerra del silenzio l'hai cominciata tu". Possibile che non sappiate immaginare un affetto che tace? ma intanto: dai per certo che io abbia ricevuto il tuo "Morte per mistero". Ed io vado a cercare, tra i miei libri, nel settore Vittorio Pagano, questo libretto. Non c'è. Sud! perché vivi sempre di sospetto? E, prima di tutto, è intelligenza quella passionale? Direi di no. Vittorio mio, sei un poeta, o sei soltanto un letterato?
Ma ammettiamo che l'avessi ricevuto. Ho passato tempi neri, con guai in casa, 1, che mi hanno fatto trascorrere mesi neri. Non ti viene in mente quello che è certo, cioè: Betocchi mi ha sempre amato e mi ama, dunque starà male: informiamoci. Il libro posso anche averlo ricevuto e in quei giorni buttato là. Poi dimenticato. Ebbene? No, Sud del diavolo. Ti viene in mente: Betocchi è un montato, un orgoglioso, un disamorato, un birbante: Betocchi mi fa la guerra del silenzio.
Bell'ambasciatore che sei, del tuo buono, semplice e onesto, Bernardini (53)! Civile Bernardini! E ora prenditela a male, bolli di rabbia, indispettisci. Scrivo a quella cara donna che è tua moglie, alla quale tu hai detto persino (hai osato pensarlo, turco della malora che non sei altro!) che io non ti avrei risposto. Impara da lei, saraceno, a pulire l'animo e gli occhi dai molesti pensieri, e a vivere nella fiducia, non nella sfiducia! Scrivo a Lei quello che penso di Bernardini, e a te niente. Lei è degnissima di 30 lettere di risposta, tu no! Sei un bambino rinvoltolato nelle cieche passioni! e Amen! Amen! Un abbraccio, va là, dal
tuo Betocchi
P.S. lo però il libro non lo trovo, né ricordo di averlo mai avuto. Ma invecchio, e ho la memoria scarsa. Può anche darsi che l'abbia avuto. Ho [un] monte di libri da rivedere, in casa!
Ti scrivo col francobollo viola, che significa mestizia (Via il pallor della viola (54) / Manzoni): a tua moglie un bel francobollo giallo, solare!


(lettera manoscritta) Firenze 14 giugno 1965 Borgo Pinti 61

Mio caro Pagano,
fui lieto di vederti a Teramo, e lieto per la passeggiata che facemmo insieme fino a Rieti: peccato che non pranzammo insieme, da Checco "Al calice d'oro". Vi stemmo benissimo, ma tu già tornavi verso il Sud.
E intanto, in questi giorni, mi son letto "Morte per mistero". Un diavolo di poeta sei, se ti diverti a far confondere la gente. Messo su benissimo, con quei tre titoli stupendi, che sarebbero l'architettura maestra del poema, tu pretendi poi che ti si insegua attraverso quelle selve di simboli che, naturalmente, sono l'equivalente di quell'universo barocco che mi facesti ammirare a Lecce. Solo che lì non avevo bisogno di spiegarmelo: qui invece avrei dovuto farlo e non ci sono riuscito. Eppure non hai avuto un lettore distratto; e nemmeno impaziente. Sì, era affar mio: e "M'offrì il luttuoso Sören un'epigrafe": e "Un paese distrutto abbandonava" con qualche altra parte "Alla rupe si sposa il piede amaro". Nel resto mi travolgevi e mi stordivi. Danze macabre e mistero. Morte per mistero. Tal qual dici è: quanto è birbante il diavolo lo sapete bene solamente voi. Il nostro, toscano, al confronto è un diavolo minchione. Scusa i miei lamenti, per ora. Ci tornerò su. E abbi un abbraccio affettuoso dal tuo, che sempre meravigli,
aff. Carlo Betocchi


b) La lirica di Pagano che qui si pubblica è quella cui Betocchi fa riferimento (Per la festa del Patrono) nella lettera del 7 dicembre 1956. E' una canzone di cinque stanze, delle quali l'ultima è il congedo. Le prime quattro stanze sono così strutturate: in ciascuna la fronte ha i due piedi costituiti da un settenario seguito da due endecasillabi, il primo, da due endecasillabi seguiti da un settenario, il secondo. Endecasillabo in diesi legato in rima alla fronte. La sirima è divisa in dite volte chiastiche (due endecasillabi + settenario; tiri settenario + due endecasillabi) chiuse da un endecasillabo. Così la rima: ABBACDACDEFEF. Nel congedo, invece, struttura pentastica in rima alternata. Frequenti sinestesie (alberi sereni - gialli afrori - scroscio d'inni ecc.) ed enjambements.

L'OCCHIO DELL'URAGANO

(FESTA DEL PATRONO) (*)

Per alberi sereni
dove il fiume danza e in gialli afrori
s'attrùcciola - per quanti alberi sfiori
la raffica (e tu solo ne scateni
lo scroscio d'inni), o inutile poeta
di ginocchi piagati,
a un lido che t'espatria, ai terrapieni
dell'amore compresso - al tuo pianeta
freddo, ai cinerei prati
del tuo pascolo d'acque
vergini - riconduci l'ombra antica
d'una testa troncata, ove ti piacque
scorgere questo sogno che t'intrica.

Sogno di luci appese
per le vie sollevate da una fronte
contemplativa (oli tinnulo orizzonte
dei cembali!) - e ne sgorgano contese
d'armi schiarite, roridi tornei
di fiaccole e d'aloni
per l'abisso d'avorio in cui discese
la lunga onda d'addio dei giorni miei:
sogno di combustioni
troppo fluide per dare
qualche fermezza d'olocausto... E' morto
l'uomo di Dio? -Mi sporgo al limitare
del suo silenzio, e brucio di sconforto.

Ave Orontii... Si sfiata
solitaria una tromba - ed un ginocchio
può convertirne il cupo ansito all'occhio
dell'uragano: umanità prostrata,
vena trafitta, oh la tua festa! Siamo
come un nastro disciolto
nella chioma di sangue scompigliata
per diffondere ancora il tuo richiamo
di pietà... (nel tuo volto
sillabato, o cantore
dissapiente, si trina la paura
di tre dita incombenti - e in un fulgore
di lampi ogni tuo modulo s'oscura...).

Quale piovosa festa?
Ci soccorre la pietra, la muraglia
di càpperi e licheni (s'abbarbaglia
lo sperone ineroico, si ridesta
per un attimo a un rullo di grancasse)
- e abbiamo un senso, un vano
senso di fame e di sospiri in questa
sarabanda struggente - Oh ci guardasse
l'occhio dell'uragano
per un'epoca intera!
Oh la corona delle nubi fosse
la benda sacra della mia preghiera
rantolo e pace d'anime percosse!...

Canzone, hanno sparato
per tutta la mia pena:
il sonno aveva un ago conficcato
nel cuore - un ago appena
visibile, un miracolo, un agguato...

(*) Cfr., lett. del 7 dicembre 1956, nota 31.

NOTE
Avvertenza
- Questo contributo costituisce la seconda sezione di un unico studio dal titolo Betocchi e il Salento: il rapporto con Comi e con Pagano. La prima sezione, Il sodalizio Betocchi-Comi, è apparsa sul numero precedente di questa stessa rivista ("Sudpuglia", Dicembre 1991, 4, pp. 91-109). A tale scelta ci hanno indotto ragioni di spazio tipografico. Per le citazioni in
nota si è adottato il criterio esposto nell'avvertenza a il Sodalizio ecc. citato.
- Il testo dell'Estate di San Martino è tratto dall'edizione: CARLO BETOCCHI, Tutte le poesie, introduzione di L. Baldacci, note ai testi di L. Stefani, Milano, Mondadori, 1984, pp. 248-249.
- Quando ormai questo lavoro veniva chiuso in tipografia è apparso il saggio di Michele Tondo citato in nota 2 e da me consultato, per gentile concessione dell'Autore, quando ancora era in corso di stampa. Il lettore potrà dunque consultare M. TONDO, Proposta di lettura dei 'Privilegi del povero" di V. Pagano, in "Misure critiche", X, n. 76-77, pp. 55-77.
1) Lecce 1919-1979.
2) Su questo carattere della poesia e della vita di Pagano, cfr. DONATO VALLI, Cento anni di vita letteraria nel Salento (1860-1960), Lecce, Milella, 1985, ("La traduzione, insomma, gli consentiva [ ... ] di vivere nella periferica Lecce come a Parigi, di riscattare la mediocrità della provincia, [ ... ] la condanna di una emarginazione non alleviata da una vorace e disordinata "quotidianità"), p. 214; ID., Poeta esiliato in patria, in Quotidiano" del 29 gennaio 198 ; ENNIO BONEA, La seconda stagione di Pagano: il traduttore, in AA.VV., Per Vittorio Pagano d'ora in poi con la sigla PVP), "Pensionante de' Saraceni", Maglie, Erreci, 1985, pp. 15-29; RINA DURANTE, L'irregolare, in "Quotidiano di Lecce' del 14 gennaio 1990, pp. 12-13; MICHELE TONDO, Proposta di lettura del "Privilegi del Povero" di V. Pagano, in corso di stampa su "Misure critiche", (ringrazio M. Tondo che mi ha consentito di leggere il suo saggio quando era ancora in veste di dattiloscritto). Utili riferimenti anche in FRANCO LATINO, Fra perdizione e privilegio, in PVP, p. 48.
3) Antologia dei poeti maledetti, versioni metriche di Vittorio Pagano, Edizioni dell'"Albero", Lucugnano, 1957.
4) Cfr. M. TONDO ("Se dunque sul piano formale questa condizione 'ossimorica' della poesia di Pagano è uno degli aspetti più vistosi [ ... ] dobbiamo anche aggiungere che in un certo senso essa formalizza un conflitto interiore"), ibidem.
5) Sull'attività versoria di Pagano, cfr. D. VALLI, Inimitabile traduttore, in "La Tribuna del Salento" del 9 febbraio 1979; ANTONIO PRETE, Il ritmo dell'eccesso - Sulle tradizioni baudelairiane di Vittorio Pagano, in PVP, pp. 12-14; E. BONEA, La seconda stagione ecc., cit., p. 18 e ss.
6) Les chansons de toile (canzoni di tela, così dette perché cantate dalle donne intente a lavorare al telaio) erano antichi canti popolari romanzi che si svilupparono nella Francia del XII sec.. Avevano come tema centrale l'amore, di solito infelice, ed erano sincrone e parallele alle esperienze della lirica popolare italiana del Duecento. Fra i generi in comune: l'alba, la malmaritata, il contrasto (pastorella nelle chansons), il lamento.
7) LUCIANO DE ROSA, Pagano, prova di lettura, in PVP, p. 60.
8) Cfr. ANTOLOGIA ecc. cit., p. XIII e s.
9) Cfr. ORESTE MACRI', Lo "spazio domestico" di Ercole Ugo D'Andrea, in "L'Albero", n.48, 1972, pp. 99-114; cfr. G. CHIAPPINI, Un mistero tutto da scoprire, PVP, p. 54.
10) Cfr. V. PAGANO, Croce d'infanzia, nei Privilegi, I, pp. 75-76.
11) M. TONDO, ibidem.
12) Ibidem. La metafora di Penelope e del veliero è in V. P., Privilegi, II, Ulisse, p. 163: Il nucleo d'oro onde cresci regina, /lo scarno lauro mio che ti desola, / l'aria stagnata e un sole che s'incrina / Penelope ti fanno senza spola. / Così tu salvi un'anima latina I da elleniche pazienze - tu la sola / vittima d'una legge clandestina / che impone la virtù della parola... / E infondi al lauro scarno e al nucleo d'oro / un fremito di Proci obliterati, / aspettando da sempre il mio veliero: /ti conosco così - così t'ignoro, / e la mia rima, giglio di peccati, / s'empie di morte come un cimitero. Nella sinestesia giglio di peccati l'allusione all'ossimorica condizione di letteratura e vita di cui si è detto alla nota 4.
13) M. TONDO, ibidem.
14) Ibidem.
15) V. PAGANO, Morte per mistero, Lecce, Ed. del Critone, 1963. Sull'opera in parola cfr. NICOLA CARDUCCI, Morte per mistero, in PVP, pp. 101-103 e ID., Morte per mistero, in "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 13 gennaio 1965, p. 3.
16) Ibidem, pp. 68-69.
17) I quaderni del "Critone" furono 18: ALESSANDRO PARRONCHI, La noia della natura, 1958; ORESTE MACRI', Riepilogo del 'Cimitero marino, 1958; ROMANO BILENCHI, Una città, 1958; TRISTAN CORBIERE, Da "Gli amori gialli" versione di Vittorio Pagano, 1958; VITTORIO PAGANO, Francese antico, 1958; ID., Calligrafia astronautica, 1958; ALFONSO GATTO, La madre e la morte, 1959; LAMBERTO PIGNOTTI, Come stanno le cose, 1959; CARLO BETOCCHI, Il vetturale di Cosenza ovvero Viaggio meridionale, 1959; PIERO BIGONGIARI, Il caso e il caos, s.d. (1960); GRAZIANA PENTICH, Una patria da ritrovare (racconti), s.d. (1961); LUIGI FALLACARA, Il di più della vita, 1961; RUTEBEUF, Il mestiere di sempre, con prefazione di Luigi Fallacara (fuori collana), 1962; SERGIO SALVI, Versi fattuali, 1962; VITTORIO PAGANO, Morte per mistero, 1963 (fuori collana); MARIO LUZI, Trame, 1963; ERCOLE UGO D'ANDREA, Rosario di stagioni, 1964; GIOVANNI BERNARDINI, La neve, 1965; TRISTAN CORBIERE, Il poeta contumace, versione di V. Pagano, s.d. (1966); NICOLANGELO BARLETTI, I colori del bianco, 1967. Quasi tutti i "Quaderni" furono pubblicati in edizione numerata. Il formato era di cm. 10,5x15 e la collana era diretta da Pagano. Copertine di Lino Paolo Suppressa. Di Tonino Caputo quella de Il poeta contumace di T. Corbière.
18) Cfr. GINO PISANO', Il sodalizio Betocchi - Corni, in "Sudpuglia", dicembre 1991, 4, pp. 91-109.
19) A Carlo Betocchi, in Privilegi, II, p. 69.
20) Si tratta dell'antico convento degli Olivetani sito nelle adiacenze del Cimitero di Lecce e della normanna, poi barocchizzata, chiesa dei SS. Nicolò e Cataldo. Il convento fu adibito ad ospizio in tempi recenti. Sul monastero, già normanno, per la parte storica cfr. PIETRO DE LECCE (cura e traduzione di), Le carte del Monastero dei Santi Niccolò e Cataldo in Lecce (secc. XI-XIX), Lecce, Centro di studi salentini, 1978; per la parte artistica cfr. CONSIGLIA DE VENERE, Chiesa dei SS. Niccolò e Cataldo e monastero degli Olivetani (già dei Benedettini neri) di Lecce, in AA.VV., Insediamenti benedettini in Puglia. Per una storia dell'arte dall'XI al XIII secolo, Catalogo della mostra a cura di MARIA STELLA CALO' MARIANI, vol. II, 2, Galatina, Congedo, 1985, pp. 447-472. Per i riferimenti letterari si veda il bel contributo di VITTORIO BODINI, Il sei-dita (racconto), in "L'Albero", n. 23-25, luglio 1955.
21) Cfr. Il sodalizio ecc., cit. nel paragrafo Fra "L'Albero" e "Il Critone" con Vittorio Pagano.
22) Questa espressione fonosimbolica fu usata, nel secondo Ottocento, dai cultori della musica di Wagner nella polemica antiverdiana. Si rimproverava a Verdi, con tale onomatopea, certa tendenza all'orecchiabile e al patetico-popolare ritmo del valzer.
23) Nel senso di partecipe.
24) Cfr. PAUL VALERY, Il Cimitero Marino (versione metrica di V. Pagano), in "L'Albero", gennaio-dicembre 1956, n. 26-29, pp. 23-27.
25) Mio il corsivo. Si notino gli ossimori: lirico-macabro, candido-funebre.
26) Alberta Bigagli, segnalata da Betocchi a Pagano, è nata a Sesto Fiorentino nel 1928. Vive e opera a Firenze. Fra le sue pubblicazioni: L'amore e altro - Poesia in prosa (con prefazione di C. Betocchi), 1975; L'arca di Noè, 1986; In mezzo al cerchio -sonetti in prosa, 1989; Tre voci e una mano - dialoghi in poesia, 1990; Armando e Marcella - dialoghi, confidenze e riflessioni, 1991.
27) E' un calembour. Come il "saraceno" che segue, è assunto a sinonimo di pagano, quindi qualificativo di Vittorio.
28) E' del 13 novembre 1958.
29) Il riferimento è ai citati Quaderni del "Critone".
30) L'articolo di Betocchi apparve sul "Popolo" del 27 novembre 1958, quindi con due anni di ritardo rispetto all'annuncio contenuto in questa lettera, col titolo Incontro con il poeta Comi.
31) Ne I privilegi del povero (Mitologia del Sud, II), Lecce, Ed. del "Critone", pp. 87-88.
32) Betocchi pubblicò, poi, sul "Critone" quel discorso col titolo Per la benedizione della lapide sulla casa di Domenico Giuliotti (CR, II, 1-2, gennaio-febbraio 1957, pp. 6-7).
33) Cfr. C. BETOCCHI, Lamento per Ottone Rosai nella sera della sua morte, "Il Critone", II, n. 4, aprile 1957, p. 5, poi in C.B. Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1984, pp. 280-282.
34) Cfr. nota 24.
35) Cfr. lettera precedente.
36) Cfr. LIBERO DELIBERO, Elpenore poeta, in "Il Critone" del novembre-dicembre 1957, n. 10-11, pp. 6-7.
37) Cfr. CLAUDE LEORANS, Petit Air 1957 à mes amis de CRITONE, ibidem (Cinque strofe di ottonari in rima alternata).
38) Cfr. RENZO LAURANO, Le lepri, ibidem (componimento polimetro con libere assonanze).
39) Cfr. nota 20.
40) Cfr. C. BETOCCHI, Un grido, "Il Critone", ibidem, vv. 10-13: [ ... ] Un grido... o un'allegria / da ciarpame di nido / che i piovaschi han conciato / eppure è qui, rinato [ ... ].
41) V. PAGANO, Calligrafia astronautica, Lecce, 1958.
42) C. BETOCCHI, Il Vetturale di Cosenza ovvero Viaggio meridionale, Lecce, Quaderni del "Critone", 1959, poi in L 'Estate di S. Mattino, Mondadori, 1961.
43) Il riferimento è alla gattiana plaquette La madre e la morte pubblicata nei "Quaderni" lo stesso anno 1959. Cfr. nota 17.
44) SERGIO SALVI, Versi fattuali, 1962.
45) E' tuttora inedita.
46) Gergo, linguaggio inintelligibile, esoterico.
47) Cfr. V. PAGANO, A Libero De Libero, in Privilegi (Trobar concluso, 11) p. 173.
48) Cfr. GRAZIANA PENTICH, Cinque racconti (Fiori di carta - Incontri natalizi -Memoria all'alba - Il cavaliere dalla triste figura - Il bagno alla "Lanterna"), in 'Il Critone" del nov.-dic. 1959, n. 9-10, pp. 6-7.
49) E' Leone Traverso. Cfr. Altri "vecchi versi" di L. TRAVERSO, ibidem (due sonetti: Angoscia (Oh sapeste di me voi quanto celo) e Mirabile monstrum (Non un fuoco per l'etere, né traccia), e tre composizioni in quarta rima (Ricordo - Labilità - Congedo), ibidem.
50) Cfr. nota 26.
51) Bigagli fu, poi, ospitata sulle pagine del "Critone".
52) Cfr. lettera del 27 gennaio 1960, nota 47.
53) E' Giovanni Bernardini, narratore e poeta salentino. Vive e opera a Monteroni di Lecce.
54) A. MANZONI, La Resurrezione ("Via lo squallor della viola" v. 72). "Pallor" è un lapsus di Betocchi.


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