a)
Per un approccio a Pagano.
"Enfer ou Ciel qu'importe? Au fond de l'Inconnu pour trouver du
nouveau". Se poeta dell'Otto/Novecento volle appropriarsi dell'odisseico
progetto baudelairiano di varcare le soglie della realtà per
trovare il nuovo fra i dèmoni o fra gli angeli dell'oltre, sui
fondali dell'Inconnu, dovette fare i conti con la vita e uscirne, dal
confronto, contumace. Ma se volle pareggiare il bilancio, conobbe la
condizione di ospite o di "prigioniero".
Vittorio Pagano (1) appartiene a quest'ultima tipologia perché,
pur attratto dalla forza numinosa della poesia che lo chiamava altrove,
rimase nella sua terra e fu subito estraneo e "maledetto".
Questa condizione, che Baudelaire canonizzò nella diadica conflittualità
fra ennui-ideal, non solo marcò di Pagano il costume di ogni
giorno ma fu anche la matrice psicologica della sua sterminata attività
di traduttore e di poeta, sicché egli fu tanto fedele e regolare
nella poesia, quanto "irregolare" nella vita (2).. In questa
contraddizione la sua scepsi, ovvero la radice del suo mauditisme, in
questo scarto fra norma e trasgressione, fra colpa e innocenza, le ragioni
della sua poesia nella quale irrompeva, facendosi
"Cielo", l'irregolare esistenziale, tumultuante e rapinoso
fino al momento della sua sublimazione. Questo processo metabolico avviene,
dunque, all'insegna di una apparente aporia: il disordine del vivere
traslato e composto nell'ordine del metro. Da qui le affinità
elettive fra questo superstite poeta maudit-ermetico-simbolista, anche
in tempi di neorealismo e di neoavanguardie, e i poeti "maledetti"
(tradusse e antologizzò (3) , per le comiane edizioni dell' "Albero",
Nerval, Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Corbière, Mallarmé,
Rollinat) nella cui vicenda poetica ed esistenziale egli coglieva il
rifrangersi di un destino al suo speculare, per cui l'impegno versorio
non fu, in Pagano, retorico esercizio stilistico né mero calligrafismo
tardorondesco, ma ebbe il senso di una Bildungsreise alla ricerca di
una giustificazione referenziale, di una suprema ratio cui ancorare
la sua poesia posseduta dal dèmone del metro eppure eversiva
della parola poetica classica (4), Per conoscere la galassia-Pagano
occorre partire dal traduttore (5) per giungere al poeta, ma qualunque
cammino non potrà non essere impervio, lungo e paziente.
L'Antologia (1957) e le traduzioni estravaganti che l'avevano receduta
possono assumersi come avantesto di Calligrafia astronautica (1958),
de I privilegi del povero, immensa silloge (quattro tomi - Mitologia
del Sud, in un astro crudele, Trobare concluso, Residui di album di
guerra - che racchiudono migliaia di versi in complessive 767 pagine)
pubblicata per le edizioni del "Critone" nel 1960, ma, in
realtà, costituita da liriche composte fra il 1939 e il 1959,
di Morte per mistero (1963), di Zoogrammi (1964). Vero è che
Pagano non consegnò alla sola Antologia la tentacolare attività
di traduttore-poeta, ma ne commise gli interessi, che spaziano dal Medioevo
all'Ottocento, anche ad alcune plaquettes come la scheiwilleriana edizione
di Assassinio nella Cattedrale di Canterbury (1965), versione metrica
di un brano dell'opera di Guernes De Pont-Sainte Maxence, La Vie de
Saint Thomas Le Martyr (1173) in strofe di cinque alessandrini monorimici,
o come il "critonico" quaderno Francese antico (1958) che
contiene traduzioni da Thomas d'Angleterre (Morte di Tristano e Isotta),
dalle Chansons de toile (6), da Rutebeuf, da François Villon
(Contrasto del cuore e del corpo - Messaggio agli amici - Ballata degli
impiccati) cui devono aggiungersi le straordinarie e tuttora inedite
traduzioni della Chanson de Roland (quattromila decasillabi in lasse
assonanzate) e dello stesso, ulteriore, Villon. Fra gli inediti anche
un cospicuo corpus di liriche sparse.
L'Avvertenza, preposta all'Antologia, tuttavia assume una valenza metapoetica
e un ruolo di malcelata contestualizzazione della scrittura di Pagano.
In questo spazio, egli, giustificando e motivando la sua versione, dà
conto a se stesso, oltreché al lettore, del logos interno a quel
processo dell'umsteigen, del "trasbordare" il magma della
vita nella forma poetica, il disordine nell'ordine, il deragliamento
nel ritmo, "il massimo della trasgressione logica nel massimo della
sottomissione alla regola" (7). Esigenza di raccordi analogici
e di accordi metrici, arte come dominio delle informi e torrentizie
pulsioni dell'Es, metro come argine contro le derive dell'ineffabile
orfico. Pagano traduce per ritrovare se stesso nel proprio "doppio"
(il poeta tradotto), per rivivere a latere, mediante un'operazione di
doppiaggio che non ètraslitterazione ma incontro a due voci,
il processo di trasvalutazione del soggettivo in assoluto poetico, della
realtà empirica in simbolo. Di questo assunto troviamo conferma
nella citata Avvertenza: "Esigenza di ordine, di costruzione, di
disciplina formale, se pure non in senso pedissequo di remissione automatica
agli schemi tradizionali [ ... ] ma nel senso più intimo di comporre
in architetture ritmiche e melodiche una materia che altrimenti sarebbe
rimasta a caoticizzarsi nel dominio del sangue. Curioso epperò
spiegabile fenomeno. Anime allo sbaraglio, ribelli a ogni regola della
vita e della convivenza, strutturate di dèrèglement, corrose
e corrosive, e tuttavia protese a moduli espressivi di rigorosa misura.
Come dire che per loro la poesia non era solo un effondersi [ ... ]
ma principalmente un atto [ ... ] di rivalsa dimensionale e canora contro
il rovinìo operatosi delle dimensioni umane" (8). Attraverso
la lezione sui poeti "maledetti", Pagano parla di sé,
mutato nomine normalizza il suo mauditisme.
Ma per Pagano l'atto poetico non è solo "trasvalutazione",
è anche Lied, assoluto melico, cui è connessa una funzione
gnostica, ("scavare, gioia di condanna, è questo / che impone
la parola modulata, / l'edificio d'abisso ov'è raccolto / tutto
il piangere, il ridere, il funesto /grido che raggelando ogni giornata
/ s'esilara in un mondo capovolto", A Giorgio Caproni, vv. 9-14,
in Calligrafia astronautica), soteriologica, catartica, quella stessa
che Oreste Macrí indica come la "quarta radice della poesia"
(9) e Gatto, nume di poesia e di vita per Pagano, come "la conoscenza
ultima e assoluta". Questa tendenza al melos, che mitizza i valori
fonici della parola, sull'esempio di Verlaine, se si configura come
seconda scaturigine dell'attività poetica di Pagano (ne influenzerà
altresì la copiosa attività di critico cui occorre riservare
una specifica ricognizione) si innesta essenzialmente sul tronco trobadorico
del Minnesang, il canto d'amore, in cui, come acutamente ha osservato
Michele Tondo, Marcella ("fanciulla d'ogni suo sfacelo [ ... ]
cirro che si sciolse in pioggia") (10) assume la funzione di archetipo
materno (Macrí) ché Pagano, solo pel tramite di lei, "potrebbe
trovare un rapporto attivo con la realtà" in quanto "ragione
del suo canto e della sua vita" (11). E questa donna, immune dalla
maladie del "maledetto", appare "come una paziente Penelope
che, abbandonata da lui per seguire la sua vocazione, aspetta da sempre
il suo veliero" (12). Ancora un conflitto esistenziale si reitera
nel canto poetico, anzi ne alimenta quel carattere. di petrarchismo
"in cui il contrasto tra lo spirito e la carne si è tramutato
in un contrasto tutto interiore tra vita e letteratura, tra la volontà
di non perdere i battiti del mondo [ ... ] e l'aspirazione a trascendere
la realtà nel canto" (13).
Pagano, in grazia dei contrappunti tematici, glissa gli effetti monotonici
del suo liederismo sicché, a ben guardare sotto la coltre del
melos, ci si accorge che la poesia è per lui conoscenza di sé
e dell'Assoluto, rivelazione ed annuncio del vero. A questa consegna
rimase sempre fedele, come il Wagner del goethiano Faust al verbo del
maestro, sordo alle sirene del neorealismo e delle neoavanguardie, tanto
da sembrare (ed essere, talvolta) un sopravvissuto "senza storia
interna" (14), un manierista, se si vuole, per quell'ossessiva
neobarocca manipolazione della forma da cui traeva immagini vorticose,
croscianti, a spirale: mise en abîme funzionale al misticismo
del segno. E a una radice di espressionismo neobarocco mi sembra che
rimandi il virtuosismo aedico-tragico di quella che è forse la
più intrigante e complessa delle opere di Pagano: Morte per mistero
(15), variazione di un tema eliotiano (Morte per acqua) le cui costanti
tematiche (effimero, morte, mistero) danno vita ad immagini spesso truculente
(come in T.S. Eliot) e voluttuose nelle quali vibra, però, una
sensibilità tutta barocca, retaggio di pietrificate effigi cittadine,
germogliata sul terreno-archetipo di un'ancestrale matrice greco-dionisiaca.
Eccone un esempio tratto da Dramatis personae, seconda sezione del poema,
in cui si potranno osservare le ampie, inesauste volute dei periodi
speculari, per la loro struttura prevalentemente paratattica, alle incalzanti
fughe e alle vertigini delle forme (16):
[ ... ]Ora
gli agnelli
dei morti a un'acre voluttà belando
s'avviano e di saggezze
vellose trucidati
suggelleranno i pascoli: immortali
tratteggi ribadiscono il latrato
di Cerbero alle coppe di lordura
scampanate nel brindisi e da gole
convulse non semana
che il fiato osceno della verità.
Grazie composte nella fluida mimica
divoratrice, agnelli
agnelli un elisir venale, un giusto
ricatto agli stregoni
che sbattono le verghe - ed al segnale,
la tenebra è la ressa
dei volti ciminiere
si sfasciano le sponde
della patria s'adergono
a itifalliche scene nei ricoveri
della viltà s'acquatta
la musa siderurgica, ma chini
su filigrane lucide di vomiti
s'indusiriano i boschivi
genii a ragguagli d'alberi e di forche,
il cibo triturato
in un discorso fitto di proteste
concimerà la flora ornamentale
che ci redime in calligrammi. Agnelli
agnelli fermentato
lo scannatoio allaga
i porti d'evenienza sulles pade
scintilla Ia perennità un mordace
Socrate fa le bolle di sapone
con la cicuta untuosa dei sofismi.
Le oracolari movenze
orfico-ermetiche, che espungono il contingente storico, e la bergsoniana
l'intuizione" del vero affidata alla poesia chiamano in causa
l'ermetismo e la predilezione del Salentino per gli esponenti della
"terza generazione" (Betocchi, Macrì, Gatto, Luzi
su tutti) ai quali riservò ampio spazio sulla pagina letteraria
del "Critone" e sui Quaderni, ormai rarissimi, della stessa
rivista (17), roccaforte ermetica, al cui indirizzo Luciano De Rosa
rivolgeva la "lamentazione" alla quale si è fatto
cenno ne Il sodalizio Betocchi-Comi (18) di cui questo intervento
vuole essere integrazione ed epilogo.
In ordine all'ermetismo di Vittorio, ho ritrovato, per felice e inopinabile
caso, in esergo alla copia de I privilegi del povero donatami da Marcella
Romano, un'inedita riflessione di Pagano sulla sua scelta ermetica
che qui sembra opportuno pubblicare. E' nella veste discinta di un'estemporanea
dedica a un non identificato Nicola (Carducci?) ed è manoscritta
dal poeta:
Si mitizza anche
la demitizzazione: è tanto ovvio che ne scaturisce un ulteriore
mito. Per questa strada precipitai nell'ermetismo (e niente più
ironia, o sornioneria, quando oggi pronunzio una tale parola: ma un'aperta
risata gratificante). Te ne regalo i risultati sul piano formale.
Nella sostanza, debbo tuttora analizzarli bene: continuo a scrivere
versi, magari del tipo che vedrai sul ritaglio aggiunto. E non dico
più che èuna "malattia", ma una terapia contro
le illusioni e le speranze e le mistificazioni che rendono i malati
assolutamente incompassionevoli. L'augurio che ti rivolgo, il solo
in nome di ciò che fummo, è che il tuo sistematizzato
luciferismo mentale capisca poco (o, per lo meno, poco biblicamente)
i frutti che maturano sul mio "albero della sapienza". E
grazie per la serata così criticamente amicale che abbiamo
tentato di sceneggiare insieme. Mi sei caro, Nicola, come uno dei
miei vizi più cari.
Tuo Vittorio
chez Marcel, 19/11/75
Sfuggono le ragioni
per le quali l'amico, cui è dedicata la copia in parola, non
ne venne mai in possesso, né il conoscerle giova all'economia
del discorso. Tuttavia il testo prodotto offre una chiave di lettura
della storia interiore di Vittorio Pagano (la poesia da "malattia''
a "terapia"). All'ermetismo egli era approdato sull'onda
della demitizzazione del movimento e, paradossalmente, ne divenne,
invece, l'ultimo Rodomonte.
La gnomicità dell'esordio ("Si mitizza anche la demitizzazione:
è tanto ovvio che ne scaturisce un ulteriore mito") chiama
in causa, verosimilmente, una precedente polemica nei confronti dell'ermetismo
o del neorealismo, ma senz'altro una querelle con l'amico, della quale
la dedica vuole essere lo sfogo terminale. A dare la misura di quanto
fosse espunta dal canto di Pagano ogni traccia di cronachistico realismo,
nella fattispecie nei confronti di una realtà geografica, circoscritta
nel tempo (il secondo dopoguerra) e nello spazio (la "profondità"
del Sud), quale appariva il Salento nelle tematiche del neorealismo,
mi sembra opportuno assumere come specimen il sonetto che Pagano dedicò
a Betocchi (19), sia per i riferimenti ai luoghi (l'Ospizio dei vecchi,
la chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo) che si coglieranno nell'inedito
epistolario betocchiano che qui si pubblica, sia soprattutto per l'evidente
"trasvalutazione" del Salento dalla realtà in categoria,
dalla storia nel mito-segno di una condizione esistenziale che si
universalizza in metafora della "deriva", grazie a una griglia
di simboli, di correlativi oggettivi Ci vecchi", "i morti",
"l'alcova di cipressi","il sole ambiguo", "il
rosone adorno / di visceri soavi, di contorti / mugli di fede, di
giocondi aborti", "immarcescibile squallore") nei quali
si materializza, con sapiente dialettica di endecasillabi a minore
ed a maiore, il senso tattile, olfattivo, poi acustico, in virtù
degli enjambements dei vv. 3,4,5 in particolare, della fatica del
vivere (si osservi l'ipallage "gemeva la penitenza"), del
mistero eterno del morire e, soprattutto, vi si specchia la coscienza
("noi come risorti / ci guardavamo") del destino di degrado,
di putrefazione, che dal dato empirico, concreto (un leccese monumento
barocco (20) ) è indotta espressionisticamente ("la bocca
/ acre, tentata dal sapore caldo / di quell'immarcescibile squallore")
nel canto poetico:
Le suore, i
vecchi dell'ospizio, i morti,
l'alcova di cipressi, il mezzogiorno
di sole ambiguo - ed il rosone adorno
di visceri soavi, di contorti
mugli di fede,
di giocondi aborti
d'angeli... Oh quale addio, quale ritorno
nella pietra vibrò! Gemeva intorno
la penitenza - e noi come risorti,
ci guardavamo,
attenti allo stupore
di vederci stupiti, con la bocca
acre, tentata dal sapore caldo
di quell'immarcescibile
squallore
traente a pace eterna la barocca
ressa dei santi Niccolò e Cataldo.
b) Lettere
inedite di Betocchi a Pagano.
Del rapporto che Betocchi istituì con la cultura salentina
e dei contributi che egli recò alle riviste di Terra d'Otranto
nel secondo dopoguerra si è detto nel citato Il sodalizio Betocchi-Comi.
Quel rapporto era stato propiziato da Girolamo Corni (aveva invitato
l'antico compagno di viaggio nell'area frontespiziana a far parte
dell'"Accademia salentina" e a collaborare all'"Albero"),
ma a rafforzarlo e a renderlo più fecondo e durevole fu l'amicizia
che legò, mentore Macrí, il poeta torinese-fiorentino
a Vittorio Pagano. Questi ne ospitò sul "Critone",
fra il 1956 e il 1966, liriche e prose che abbiamo precedentemente
censito (21), sicché si consolidò l'asse Lecce-Firenze
di cui Betocchi fu uno dei vettori ("introdusse" Mario Luzi
e altri) più rappresentativi sul piano storico-referenziale.
Pertanto, compementari e funzionali alla betocchiana presenza sulle
pagine delle riviste salentine ("L'Albero" e "Il Critone")
risultano queste lettere dalle quali emerge un microcosmo d'affetti
e di idee che meglio chiariscono la storia e la natura del legame
culturale che unì Betocchi al Salento, ma soprattutto ci introducono,
come documenteremo, nel laboratorio dei due poeti, dietro le quinte
dell'ufficialità, consentendoci di cogliere estemporanei moti
del cuore, umane debolezze, affinità ideali, valutazioni critico-letterarie,
istanze amicali, crucci e impennate umorali che, tuttavia, giammai
aduggiarono un'amicizia via via crescente e fraterna. Inoltre, al
di là del loro valore documentale, alcuni luoghi, in esse contenuti,
ci soccorrono nell'approccio alla difficile poesia di Pagano, fondando,
in alcuni casi, i presupposti di un discorso critico testuale, in
altri confermando il carattere paratestuale del loro tessuto, fino
a proporsi sorprendentemente (cfr. lettera del 24 dicembre 1958) come
avantesto di una delle più famose liriche di Betocchi, L'estate
di S. Martino, eponima della raccolta che comprese componimenti databili
fra il 1943 e il 1961, con prevalenza di quelli prossimi o a ridosso
della data seriore. Riguardo a questa lirica, infatti, così
scriveva il poeta "della grazia sensibile" al sodale leccese
ermetico-maudit:
[ ... ] non m'aspettavo
una risposta così pronta e gradita e poi dal versante d'una
poesia che muove da tutt'altre sorgenti, a quella mia Estate di S.
Martino venutami un po' sul serio e un po' per scherzo, tornando soletto
dall'accompagnare la mia bambina a scuola: con quel ron ron [ ...
] di alcune quartine centrali, simile a certi facili e patetici zum
te te, zum te te (22) verdiani [ ... ]
A documentare
la cantabilità della lirica in parola ne produciamo il testo,
utile, peraltro, alla comprensione di quanto Betocchi confesserà
nello sviluppo epistolare. Il testo, che ci ricorda certe movenze
arcadiche e ludiche del secondo Caproni, si struttura di quaranta
versi in terzine di settenari piani, sdruccioli (vv. 5-8 -14-17-31),
tronchi (vv. 16-24-25), legati in rima baciata l'ultimo e il primo
nelle quattro strofe iniziali e in ottava e nona (poi liberamente
rimanti e assonanti), ipermetro il v. 28. Sul piano tematico, la lirica
riprende, con novità e originalità d'accenti, un motivo
già pascoliano ("[ ... ] l'estate / fredda dei morti",
Novembre) e lo sviluppa con lo stesso nitore d'immagini ("Gemmea
l'arca, il sole così chiaro [ ... ] ", Pascoli, [ ...
] l'aria fresca pungente", Betocchi) ma affida all'umile agone
fra lo spazzino e le foglie, osservato nello spazio quotidiano, le
allusioni al misterioso senso del vivere, ai fugaci trapassi delle
forme Ce... senti, / senti sì come odora / di ciò che
fu e sarà"), alla solitaria, fraterna condizione esistenziale
di tutti gli esseri, contenuta nei vv. 28-30 ("[ ... ] e niuna
è sola / e tutte sono sole") che illumina, non meno che
in Cardarelli (Autunno), un sole "smarrito", allusivo, simbolico.
Temi che hanno del topico (autunno - tristezza -caducità -
ambiguità) ma che, scremati da indugi retorici, sono reinventati
e sottratti alle paturnie in grazia delle modulazioni autoironiche
Ce con l'occhio strapazzo / tal quale un giovinastro / le fuggiasche
ragazze") e del verso breve, brioso e leggero, che conferisce
all'insieme un carattere di andante con moto:
Questi che
scopa,
scopa le sue foglie d'autunno
nel sol di San Martino,
questo buffo
becchino
in tuta, malinconico,
che i pensieri di casa
nella scopa
travasa,
mentre la fa pei lastrici
puliti andar per nulla
tra il vento
che li frulla
le crepitanti foglie,
via! povero gnomo...
E soltanto
gli giova,
di quel lavoro inutile,
quel che ripensa e cova
dell'umil vita
in sé:
lì presso intanto, un cumulo
di tali foglie brucia,
e quieto par
che dica:
- Ad altro mi indirizzo
col mio bel ghiribizzo
di fumo al
vento; e... senti,
senti sì come odora
di ciò che fu e sarà! -
Di quante libertà
fatto è il mattino: ognuno
ha la sua propria, e tutte
ne fann'una:
e niuna è sola,
e tutte sono sole:
e c'è il sole per tutti.
Anche per me,
simpatico (23)
passeggiator che Passo
e sbocconcello un pane
con l'uva e
il ramerino,
e con l'occhio strapazzo
(tal quale un giovinastro
le fuggiasche
ragazze),
l'aria fresca, Pungente
le frasche d'un giardino,
il mio caro
spazzino.
Si potrà
cogliere il momento gestativo e avantestuale della lirica confrontandola
con quanto Betocchi confessava nella citata lettera all'amico Pagano:
[ ... ] Ma quella
mattina, assai sul serio mi pungeva un pensiero: ed era che il "simpatico
passeggiator", tra un mese inciampa nei sessanta. Sicché
chi volesse spiegare quella poesia con le reazioni naturali di quella
mia passeggiatina mattutina dovrebbe rifarsi a questi appunti, che
riferiscono sui miei spontanei pensieri del momento:
- Viste le foglie ruzzolare per i marciapiedi, al vento e al solicello.
-Ahi, proprio come me!
- Visto lo spazzino che non ne raccattava niente: e che cosa abbiamo
fatto di meglio, per tutta la vita? Probabilmente nulla.
- Seguì un pericoloso compatimento di me stesso: zum te te,
zum te te.
- E, grazie a Dio, poiché mi trovavo sulla stessa via (Via
Micheli), che seguivo da giovinetto per andare all'Istituto Tecnico,
all'allegria del ricordo e al malumore creatomi dagli importuni confronti
fa eco (o voleva far eco) uno sfottò di me stesso ed un allegro
invito a seguitare a vivere finché lo spirito regge (ancora
alla Verdi, ma in ispirito falstaffiano ... ).
Ed ecco la tua Calligrafia astronautica capitarmi, dai cieli bianchi
violetti e blu del simbolismo e del mauditismo -a me tanto cari -
a portarmi il tuo ricchissimo saluto di poesia [ ... ].
Quanto ai giudizi
e ai suggerimenti di Betocchi in ordine alla poesia di Pagano, sarà
opportuno evidenziarne alcuni: [ ... ]. Mi rallegro tanto e poi tanto
per la bellissima Canzone sua per la festa del Patrono L'occhio dell'uragano
[ ... ] e quanto gliela invidio! Libera e musicale, legata ai passi
'aerei', alla danza della verità e dell'invenzione, è
una poesia secondo il cuor mio e come da tanto tempo non ne leggevo
[ ... ]. La ritaglio e la pongo tra le cose da conservare: presto
il giornale potrebbe perdersi, ma la sua poesia non voglio che si
perda" (lett. del 7 dicembre 1956); "[ ... ] mi sembra che
il suo Cimitero marino apparso su questo bello, ultimo numero (24)
de 'L'Albero' sia una delle più belle traduzioni che si siano
lette di questo famoso poema. lo, se mi permette, la esorterei soltanto
a cercar di migliorare i versi di apertura" (lett. del 18 aprile
1957). Intanto il legame tra i due poeti si faceva più forte
e familiare a partire dal maggio del 1957 e all'uso del "lei"
succedeva quello del "tu". Ed ecco quanto Betocchi scriveva
nella citata lettera del 24 dicembre 1958: [ ... ] Caro Pagano, sei
un poeta di una maledetta intelligenza, e a caval di un Pégaso
che ha ben altro assillo che il destriero di Bellerofonte! Col vantaggio
che tu ci resti in sella, e, tra un subisso di pirulette, ci mostri
la più straordinaria immagine di furor salentino: specie a
chi, come me, ricordi - e non possa dimenticare, come immagine di
cultura - il liricomacabro e candido funebre barocchismo leccese (25).
Ché se tu a meraviglia ci ridai, dalla più alta scuola
il mauditismo e il simbolismo, [ ... ] quella straordinaria capacità
di trapezista che gioca dall'una all'altra delle due più perigliose
esperienze liriche europee, non fa che pungolare la tua follia pugliese:
ed è quella che alla fine salta fuori, col bel risultato di
questa Calligrafia astronautica 1 libretto di capacità e inventive
rarissime"
Al simbolismo e all'universo barocco, cui ho fatto cenno nella parte
iniziale di questo lavoro, rimanda la lettura betocchiana della penultima
opera che Pagano pubblicò: [ ... ] in questi giorni, mi son
letto Morte per mistero. Un diavolo di poeta sei [ ... ]. Messo su
benissimo, con quei tre titoli stupendi [Espediente di pace - Dramatis
personae - Espediente d'esequie ] che sarebbero l'architettura maestra
del poema, tu pretendi poi che ti si insegua attraverso quelle selve
di simboli che, naturalmente, sono l'equivalente di quell'universo
barocco che mi facesti ammirare a Lecce [ ... ]. Nel resto mi travolgevi
e mi stordivi. Danze macabre e mistero" (lett. del 14 giugno
1965).
A fronte dei trasporti affettuosi, non meno affettuosi e ludici risentimenti
("dicevi che la mia Bigagli (26) era 'davvero pregevole', che
l'avresti pubblicata, e che le avresti scritto e non l'hai pubblicata.
E allora? Credi anche tu alla fregnaccia dei nomi che contano? contano
le pagine scritte bene, conta la poesia anche se non ha nome, o ha
un nome ignoto [ ... ]. Su, datti da fare, non tradirmi! Abbi un abbraccio
senza perdono [ ... ]", lett. del 26 aprile 1960) o improperi
all'indirizzo del carattere umorale, permaloso, di Pagano: "Benedetto
Sud! irreparabile Sud! [ ... ] Possibile che non sappiate immaginare
un affetto che tace? [ ... ]. Ti viene in mente: Betocchi è
un montato, un orgoglioso, un disamorato, un birbante; Betocchi mi
fa la guerra del silenzio. Bell'ambasciatore che sei, del tuo buono,
semplice e onesto Bernardini! [ ... ] Scrivo a quella cara donna che
è tua moglie, alla quale tu hai detto persino, (hai osato pensarlo,
turco (27) della malora) che io non ti avrei risposto.
Impara da lei, saraceno, a pulire l'animo e gli occhi dai molesti
pensieri, e a vivere nella fiducia, non nella sfiducia [ ... ]"
(lett. del 28 maggio 1965). Qua e là si colgono, inoltre, utili
riferimenti alla vicenda storico-culturale del "Critone"
(es. lett. del 22 settembre 1959) oppure rintoccano nomi consueti
alla cultura italiana (Luzi, Macrí, De Libero, Traverso, Bilenchi,
Bodini, Spagnoletti ed altri) o irrompono notizie di consanguinei
lutti ("Mia madre è morta"; "Il giorno 13 dic.
perdetti a Bordighera un mio caro fratello").
Infine segnalo una giocosa lettera (28) in quarta rima a schema separato
di endecasillabi e settenari (dieresi e dialefe al v. 13, ipermetro
il v. 14) che si chiude con il saluto a Tommaso Santoro il quale,
al pari di Pagano, di Comi, di Bernardini, di Macrí, di Pierri,
fu tra gli amici salentini più cari a Betocchi
Caro Pagano,
tutti hanno il Critone,
e a me non tocca niente;
mi pigli un accidente
se tu non sei un birbone.
Che dunque
aspetti, meraviglian tutti,
a spedire a Betocchi
quel Critone coi fiocchi,
e il fiore e i dolci frutti
di Traverso
e Bilenchi? (29) e il precedente
numero anche mi devi.
Orsù , dunque, ricevi,
Pagano, e sii paziente
questo mio
motto. E fa tesoro
degli amici: com'io di te, che ver'Iddio,
non meriti -Salutami Santoro.
APPENDICE
Le lettere
di Betocchi e una lirica di Pagano.
a) Il piccolo
epistolario (è custodito dalla signora Marcella Romano, moglie
di Vittorio, che vivamente ringrazio per avermi dato facoltà
di pubblicarlo; ringrazio anche Silvia Betocchi e Oreste Macrí)
si compone di ventisei testi, diciannove dei quali diamo in questa
appendice, escludendo, per evitare un'inutile ripetizione, la lettera
manoscritta del 13 novembre 1958, che contiene soltanto la quarta
rima testé prodotta, e sei telegrafiche (e ininfluenti ai fini
della ricerca) espresioni augurali o di saluto estese su cartolina
in prossimità delle feste pasquali o natalizie. Si avverte,
infine, che i luoghi omessi e segnalati con puntini di sospensione,
racchiusi in parentesi quadra, sono due e non riguardano argomenti
che non siano strettamente privati, sicché si è preferito
non darli.
[lettera manoscritta] Bordighera 14 Ag. 56
Caro Pagano
Ebbi la sua cortese del 15 luglio, ma in mezzo a tante faccende e
in vista dello spostamento estivo che mi ha portato qui scusi se Le
rispondo tardi. Riprendendo il suo discorso sulla possibilità
di una pubblicazione Papiniana, mi trovo qui queste pagine che Le
mando, e che Le affido per la stampa, sempre che Le vadano bene.
Tanto a prova della simpatia che ho per le vostre belle iniziative
pugliesi, sulle quali, specie su L'Albero, ho scritto un pezzo sul
Popolo (30) che dovrebbe uscire in questo mese.
Abbia i più cordiali saluti dal Suo
Carlo Betocchi
sempre Borgo Pinti 61 Firenze.
[cartolina postale manoscritta] Firenze 7 Dic. 56
Caro Pagano
mi rallegro tanto e poi tanto per la bellissima Canzone sua per la
festa del Patrono "L'occhio dell'l'uragano" (31). Mi rallegro
tanto e poi tanto e quanto gliela invidio! Libera e musicale, legata
ai passi "aerei", alla danza della verità e dell'invenzione,
è una poesia secondo il cuor mio e come da tanto tempo non
ne leggevo. Evviva, caro Pagano! La ritaglio e la pongo tra le cose
da conservare: presto il giornale potrebbe perdersi, ma la poesia
non voglio che si perda. Evviva, caro Pagano! [Ho] scritto, questa
cartolina, di sera, dopo cena, tornando da prendere la posta giù,
nella cassetta delle lettere.
E scansando dal tavolo la macchina da scrivere sulla quale batto un
discorsetto da leggere il 9 corr. a Greve scoprendosi una lapide alla
memoria di Giuliotti (32).
Abbia un abbraccio dal Suo
C. Betocchi
[foglio manoscritto] Firenze 29 Dic. 56 Borgo Pinti 61
Caro Pagano
grazie delle affettuose parole.
Mia madre è morta il 26 corrente a Milano e il 28 l'abbiamo
tumulata qui, nella sua Firenze.
Abbia un abbraccio dal Suo
Betocchi
(lettera dattiloscritta) Firenze, 18 Maggio 1957 Borgo Pinti 61
Mio caro Pagano,
grazie di avermi spedito la bella variante alla Sua traduzione di
Valery: molto, secondo me, preferibile al testo stampato; e da tenerne
conto, quindi, per una edizione in volume. L'altra sera abbiamo parlato
di questo, e di Lei, anche con Macrì che Le vuole molto bene,
come Lei sa certamente. il quale Macrì, avendo visto questo
che Le allego, Lamento per Ottone Rosai (33), mi pregò di mandarlo
al Critone. L'avverto però che lo avevo già mandato
alla Fiera. Penso che non faccia nulla. Il vostro Critone va in un
ambiente che spesso non legge la Fiera: [ ... ].
Quanto alle altre varianti del Valery di cui mi parla, le vedrò
molto volentieri, me le mandi, dunque, e ne parleremo in breve, secondo
il mio gusto. Libero Lei, sempre, come sa, di orientarsi. Creda che
ho molto ammirato quella traduzione. E Macrì anche.
Ho ricevuto il precedente compenso. Grazie.
Abbia gli affettuosi saluti del Suo
C. Betocchi
[cartolina postale manoscritta] Firenze 18 Aprile 57 Borgo Pinti 61
Caro Pagano
mi sembra che il sito "Cimitero marino" apparso su questo
bello, ultimo numero de "L'Albero" (34) sia una delle più
belle traduzioni che si siano lette di questo famoso poema. lo, se
mi permette, la esorterei soltanto a cercar di migliorare i versi
di apertura: la strofa di apertura, che mi sembra meno felice delle
altre. Ma è una traduzione assai più che persuasiva,
è una traduzione che conquista. Me ne rallegro tanto con lei.
Questa, d'altronde, vuole appunto aggiungere la letizia di un consenso
amichevole agli auguri di Pasqua che le faccio di tutto cuore, mi
creda il Suo
Carlo Betocchi
[lettera manoscritta] Firenze 19 Ap. 57
Caro Pagano
senza dubbio io sono molto distratto. Ieri, colpito dalla sua traduzione
di Valery (35), Le scrissi una cartolina per rallegrarmi, ma indirizzata
in Via Marconi 7.
Stamattina, "a bruzzico" (come si dice nelle nostre campagne
delle ore antilucane, ed io infatti faccio delle levate così
per pareggiare la posta e per lavorare), mi accorgo che avevo qui
un suo biglietto del 27 marzo con l'indirizzo preciso; e altre cose
sue gentili. Forse non l'avevo nemmeno ringraziato di avermi spedito
"Il Critone" nel bel numero ultimo: lo faccio ora.
E tenga presente, La prego, per pochi che siamo, ma il bisogno è
molto, che non ho ancora avuto il "compensaccio". E grazie
per la promessa che Lei mi ha fatto, del suo studio sulla mia poesia:
se supererà quei suoi scogli di indagini. Ma, come vede, anche
a rischio di parere scortese, possono anche sfuggirmi le cose che
mi sono più care, come una Sua recensione alle "poesie".
Ed ora, quando il sole sarà cresciuto, telefonerò a
Luzi per sentirlo per la sua collaborazione a "il Critone",
di cui Lei anche mi parlava: e aggiungerò qui sotto. E vedrò
di aggiungerLe una poesia.
Abbia ancora i carissimi auguri del suo
C. Betocchi
Luzi da me interpellato assicura che entro 10 giorni spedirà
il pezzo.
[cartolina postale manoscritta] Firenze 30 giugno 57
Caro Pagano
Grazie del sonettizzan affettuoso e lusinghiero. Ma ho paura che tu
l'abbia visto un po' troppo pitagorico il povero poeta toscano; amore,
tuttavia, del pitagorico ce l'ho. Ma un tantino di fine sbaglio mi
ci piace. Nel gran sole di giugno un po' di raglio! Vedo, se non ismetto,
che mi metto a rimare. Che caldo fa! Doman l'altro parto per Bordighera
e ci starò fino al 31 Agosto. Via Vittorio Veneto 2 (Imperia).
Di laggiù, o lassù, penserò alla poesia. A ben
rivederci, caro Pagano, con un affettuoso saluto dal tuo
Carlo Betocchi
[cartolina postale manoscritta] Firenze 5 Febb. 58 Borgo Pinti 61
Eh! mio caro Pagano,
approdo, approdo finalmente a casa tua con questa cartolina di ringraziamento.
Da quanto tempo è giunto il bel Critone ultimo? Ma il 27 ero
a San Remo a parlare di Papini (dove mi ha seguito Spagnoletti, il
lunedì successivo). E passai 15 giorni a scrivere quella conferenza
che mi era venuta spasimosamente a noia. Qui libri e libretti, posta;
e la solita necessità di collaborare per mangiare. Stamattina
alle sei mi decido a scriverti questa cartolina. Scusami. E' un bel
numero, bravo Pagano. E bravo Bodini per i leccesi e le Muse (sai,
io credo poco agli Erebi letterari di Laurano, e agli Erebi in generale,
visto che a un povero cristiano come me toccherebbe, semmai, un infernaccio
sul tipo di quello dell'Orcagna). E bravo il mio De Libero per l'elegante
Elpenore (36).
Eppoi, se si devono fare dell'eleganze, preferisco quelle francesi,
schiette, verlainiane, di Leorans (37) a quelle di [Le]Lepri (38).
Ho un rammarico: non ho mai fatto un bel pezzo su Lecce, sugli amici,
sulla bellissima Puglia, su Maglie, su Lucugnano, su Corni, sull'ospizio
dei vecchi (39) di Lecce ecc. ecc. Ricordami a Santoro, alla cara
famiglia Santoro, a tua moglie, al piccolo, alla terra rossa e agli
ulivi.
Peccato che quel "ciarpame di nido" in Grido (40) tocchi
del pascoliano: bisognerebbe qui una cosa rugginosa come una gronda
fiorentina o l'ombra in un canto di vicolo maleodorante, anche di
Firenze. T'abbraccia
il tuo Betocchi
[lettera dattiloscritta, firma e post scriptum manoscritti] Firenze,
Vigilia di Natale del 58
Caro Pagano
Non m'aspettavo una risposta così pronta e gradita, e poi dal
versante d'una poesia che muove da tutt'altre sorgenti, a quella mia
Estate di San Martino venutami un po' sul serio e un po' per scherzo,
tornando soletto dall'accompagnare la mia bambina a scuola: con quel
ron ron (la suddetta mia Estate), di alcune quartine centrali, simile
a certi facili e patetici zum te te, zum te te verdiani, pur dove
il meglio dell'opera rivela tutt'altre e più vive passioni.
Ma quella mattina, assai sul serio mi pungeva un pensiero: ed era
che il "simpatico passeggiator" tra un mese inciampa nei
sessanta. Sicché, chi volesse spiegare quella poesia con le
reazioni naturali di quella mia passeggiatina mattutina dovrebbe rifarsi
a questi appunti, che riferiscono sui miei spontanei penseri del momento:
- Viste le foglie ruzzolare per i marciapiedi, al vento e al solicello.
- Ahi, proprio come me!
- Visto lo spazzino che non ne raccattava niente: - E che cosa abbiamo
fatto di meglio, per tutta la vita? Probabilmente nulla.
- Seguì un pericoloso compatimento di me stesso: - zum te te,
zum te te...
- E, grazie a Dio, poiché mi trovavo sulla stessa via (Via
Micheli), che seguivo da giovinetto per andare all'Istituto Tecnico,
all'allegria del ricordo e al malumore creatomi dagli importuni confronti
fa eco (o voleva far eco), uno sfottò di me stesso ed un allegro
invito a seguitare a vivere fin che lo spirito regge (ancora alla
Verdi, ma in ispirito falstaffiano ... ).
Ed ecco la tua CALLIGRAFIA ASTRONAUTICA (41) capitarmi, dai cieli
bianchi violetti e blu del simbolismo e del mauditismo - a me tanto
cari - a portarmi il tuo ricchissimo saluto di poesia.
A vedere poi che questo tuo QUADERNO DEL CRITONE porta il n. 7 non
ho potuto fare a meno di pensare: -Dunque, di sei che ne sono già
usciti, non ne ho veduto nemmeno uno!
Ma questo tuo mi ha consolato dei sei non ricevuti, comunque si fossero:
e qui, del resto, non ce n'è nemmeno l'elenco. Caro Pagano
sei tiri poeta di una maledetta intelligenza, e a caval di un Pègaso
che ha ben altro assillo che il destriero di Bellerofonte! Col vantaggio
che tu ci resti in sella, e tra un subisso di pirulette ci mostri
la più straordinaria immagine di furor salentino: specie a
chi, come me, ricordi - e non possa dimenticare, come immagine di
cultura - il lirico macabro e candido funebre barocchismo leccese.
Che, se tu a meraviglia ci ridai, dalla più alta scuola, il
mauditismo e il simbolismo, sempre e sopratutto anche tu resti italiano:
quella straordinaria capacità di trapezista che gioca dall'una
all'altra delle due più perigliose esperienze liriche europee,
non fa che pungolare la tua follia pugliese: ed è quella che
alla fine salta fuori, col bel risultato di questa CALLIGRAFIA ASTRONAUTICA
della quale ti ringrazio, libretto di capacità e di inventiva
rarissime.
Abbine dunque, con i rinnovati auguri ormai per il capodanno, i rallegramenti
vivissimi del tuo
aff.mo Carlo Betocchi
Dubito sempre che il tuo indirizzo sia buono: dunque spedisco al Critone.
Ricordami, ti prego, anche ai cari amici Santoro: Tommaso e Signora!
[cartolina postale manoscritta] Firenze 22 sett. 59
Mio caro Pagano
ho dovuto spedire a tiri amico che me la chiedeva l'unica copia rimastami
del Viaggio meridionale (42). Senza che tu debba far complimenti,
e senza che ne faccia io, ti prego di spedirmi contro assegno due
copie ancora del libretto. Potrei rimanerne senza? E poi ci sarà
qualche altra richiesta. Dunque, ti prego, contentami al più
presto. Mi stupisco molto di non aver ancora visto gli altri libretti
che dovranno uscire. Il Gatto(43), ad esempio? e il Sergio Salvi (44)?
La copia che io ho spedito è andata a Vittore Branca, alla
fondazione Cini. Le tue deliziose edizioncine prendono nome, ne sussurrano
i ghiotti: e Scheiwiller mi scrisse che gli avevo fatto un gran torto.
Ma volentieri fatto per il mio caro Pagano.
Un abbraccio dal tuo aff.mo Carlo Betocchi
[lettera manoscritta] Firenze 8 dic. 59 Borgo Pinti 61
Mio caro Pagano
grazie per la risposta, per l'indirizzo (che finalmente è stabile!)
e per l'affettuoso dono, che attendo, delle 10 copie del
Vetturale. Col quale, avendo risposto tanto tardi, ti sei fatto perdonare!
E ora ti prego molto di darmi alla svelta, se credi, queste notizie.
Il giorno 16 io devo parlare di un libro su Villon, edito da Feltrinelli,
ma non ancora uscito, che avrò fra due o tre giorni, e che
non so nemmeno se sia uno studio su Villon, o una traduzione dei suoi
versi, o che altra diavoleria. Volevo cogliere l'occasione per rammentare,
ad ogni modo, che in questi ultimi tempi si era impegnato a tradurlo
in Italia e la sorte subita dalle loro fatiche. Vuoi dirmi, prima
del 16, che fine ha fatto la tua traduzione(45), e dove si trova,
e quale beneplacito attende? Ricordami a tua moglie e abbi un abbraccio
dal tuo
C. Betocchi
[lettera manoscritta] Firenze 19 Dic. 59
Caro Pagano
grazie delle 10 copie ricevute oggi. Il Villon di Feltrinelli consiste
in un'edizione relegata del tipo Strenna, con 22 disegni illustrativi
di Ranchetti: 320 pagine di testo francese e traduzioni in italiano
a fronte, 30 pagine con poche note, bibliografia sommarissima, 2 pagine
di biografia, spiegazione dei nomi.
Il testo è completo, secondo quello classico del Forelet, o
del nostro Neri. Lais, Testament, Poèsies diverses. Mancano
quelle in Jargon (46). La traduzione è corrente, in endecasillabi,
come che traducesse una narrazione, più che una poesia.
Io ne ho detto piuttosto male ma ho pubblicamente rammentato il tuo
lavoro e la poca sollecitudine dei tuoi editori! Non si curano del
Critone.
Abbi, per te, e i tuoi cari gli auguri del tuo (e i ringraziamenti)
Carlo Betocchi
[lettera manoscritta] Firenze 27 gennaio 1960
Mio caro Pagano
mi rallegro per la bella poesia che hai scritto per De Libero(47)
(che insegna storia dell'arte ai ciechi) una poesia che mi è
piaciuta tanto, e non posso non dirtelo. E poi mi fa piacere che tu
l'abbia scritta per De Libero, vero e autentico poeta che i critici
stupidi non sanno capire e al quale io voglio molto bene. Benissimo
anche la Pentich (48) ed ottime le poesie del nostro Leone (49) (anzi
commoventi, per me, perché hanno il timbro della estrema sincerità
di un'epoca). Abbi un abbraccio dal tuo
Carlo Betocchi
[lettera manoscritta]
Firenze 3 marzo 60 Borgo Pinti 61
Caro Pagano
credo di fare onore a Firenze e alla Puglia mandandoti per il Critone
queste pagine di una scrittrice giovane e ignota, della quale farò
pubblicare altrove altre cose. Alberta Bigagli (50), autodidatta,
quando si è presentata con qualche suo fascicolo, era già
evidentemente nata alla poesia. Non ho fatto che invitarla a proseguire
il suo lavoro, consigliandole qualche lettura.
Questo "Puglia" fa parte dei primi fascicoli con i quali
mi si è presentata. Il lettore avvertito potrà risentirvi,
penso, la presenza di una suggestione campaniana. lo sono certo che
la Bigagli mi ha detto la verità informandomi di conoscere
di Campana soltanto il poco che ha trovato in "Poeti d'oggi"
di Papini e Pancrazi. Ma non è questo che conta, secondo me:
perché in ogni caso a me pare che la Bigagli affronta il suo
mondo con un'autorità di poesia personalissima.
Abbi un abbraccio dal tuo Betocchi
[lettera manoscritta] Firenze 26 Apr. 60 Borgo Pinti 61
Caro Pagano
dicevi che la mia Bigagli era "davvero pregevole", che l'avresti
pubblicata, e che le avresti scritto. Non Le hai scritto e non l'hai
pubblicata. E allora? Credi anche tu alla fregnaccia dei nomi che
contano? contano le pagine scritte bene, conta la poesia anche se
non ha nome, o ha un nome ignoto.
Pagano, Pagano, tu che mi piaci perché in terra cristiana sei
un pagano, quindi sperabilmente un galantuomo che non fa il cristiano
- come i cristiani per ipocrisia, su, datti da fare, non tra dirmi!
Abbi un abbraccio, senza perdono se non pubblichi (51) la prossima
volta, dal tuo
Betocchi
[lettera manoscritta] Firenze 6 mag. 60
Caro Pagano
la Sig.ra Bigagli non ha inteso a sordo (il modo di dire è
fiorentino). Ma prima di spedire a te, passa di qui e lascia il plichetto
perché io ci aggiunga un mio foglio.
Pagano mio, tu sei un angelo con la lettera che hai scritto alla nostra
poetessa. Sii dunque severo, ora, in queste letture, come ti consente
la tua sapienza di poeta e il tuo scritto di redattore del Critone,
e come, del resto, merita il valore della nostra poetessa, che per
essere una poetessa autentica, né tu né io possiamo
trattare a contentini: ma anzi dobbiamo esigerne di più ed
il meglio, sempre.
E dunque sei perdonato per tutta la vita, tanto più che, come
mi hai scritto, hai l'ingenuità di credere che l'essere antologizzati
nelle antologie scolastiche, e quindi lette qua e là per le
scuole, voglia dir qualcosa.
Io ne ringrazio quella cara donna di tua moglie, ma non essere geloso,
Vittorio mio! (Sai che De Libero si rallegrò tanto, poi, con
me, per quella tua bella poesia a lui dedicata? (52).
Se tu credi di farlo ti annuncio che Francesco Leonetti (ex Officina
ecc.), ora incaricato della direzione della Biblioteca malatestiana
di Cesena (Forlì) (tale dunque l'indirizzo), mi ha chiesto
di pregarti, se puoi, di fargli avere 1 copia de "Il Vetturale
di Cosenza". Fai pure come credi. Ed abbi l'abbraccio affettuoso,
e la promessa della prima poesia degna del Tritone", da parte
del tuo aff.mo
Betocchi
[lettera manoscritta] Firenze 4 gen. 64
Mio caro Pagano
Il giorno 13 Dic. perdetti a Bordighera un mio caro fratello: poi
il mese è ruzzolato via con la tristezza che puoi immaginare
(dopo le ansie precedenti), ed è finito tra i malanni che hanno
colpito un po' tutti in casa. Ancora non posso uscire, ma mi sforzo
di rispondere almeno agli auguri, dopo che l'ho fatto per le condoglianze.
E leggo sempre con affetto "Il Critone" che ti ringrazio
di mandarmi con tanta precisione. E ti auguro insieme ogni bene.
Il tuo aff.mo
Carlo Betocchi
[lettera manoscritta] Firenze 28 maggio 65 Borgo Pinti 61
Caro Pagano,
Benedetto Sud! Irreparabile Sud! mi costringi a dirlo, dal momento
che tu cominci la tua lettera con un "ma la guerra del silenzio
l'hai cominciata tu". Possibile che non sappiate immaginare un
affetto che tace? ma intanto: dai per certo che io abbia ricevuto
il tuo "Morte per mistero". Ed io vado a cercare, tra i
miei libri, nel settore Vittorio Pagano, questo libretto. Non c'è.
Sud! perché vivi sempre di sospetto? E, prima di tutto, è
intelligenza quella passionale? Direi di no. Vittorio mio, sei un
poeta, o sei soltanto un letterato?
Ma ammettiamo che l'avessi ricevuto. Ho passato tempi neri, con guai
in casa, 1, che mi hanno fatto trascorrere mesi neri. Non ti viene
in mente quello che è certo, cioè: Betocchi mi ha sempre
amato e mi ama, dunque starà male: informiamoci. Il libro posso
anche averlo ricevuto e in quei giorni buttato là. Poi dimenticato.
Ebbene? No, Sud del diavolo. Ti viene in mente: Betocchi è
un montato, un orgoglioso, un disamorato, un birbante: Betocchi mi
fa la guerra del silenzio.
Bell'ambasciatore che sei, del tuo buono, semplice e onesto, Bernardini
(53)! Civile Bernardini! E ora prenditela a male, bolli di rabbia,
indispettisci. Scrivo a quella cara donna che è tua moglie,
alla quale tu hai detto persino (hai osato pensarlo, turco della malora
che non sei altro!) che io non ti avrei risposto. Impara da lei, saraceno,
a pulire l'animo e gli occhi dai molesti pensieri, e a vivere nella
fiducia, non nella sfiducia! Scrivo a Lei quello che penso di Bernardini,
e a te niente. Lei è degnissima di 30 lettere di risposta,
tu no! Sei un bambino rinvoltolato nelle cieche passioni! e Amen!
Amen! Un abbraccio, va là, dal
tuo Betocchi
P.S. lo però il libro non lo trovo, né ricordo di averlo
mai avuto. Ma invecchio, e ho la memoria scarsa. Può anche
darsi che l'abbia avuto. Ho [un] monte di libri da rivedere, in casa!
Ti scrivo col francobollo viola, che significa mestizia (Via il pallor
della viola (54) / Manzoni): a tua moglie un bel francobollo giallo,
solare!
(lettera manoscritta) Firenze 14 giugno 1965 Borgo Pinti 61
Mio caro Pagano,
fui lieto di vederti a Teramo, e lieto per la passeggiata che facemmo
insieme fino a Rieti: peccato che non pranzammo insieme, da Checco
"Al calice d'oro". Vi stemmo benissimo, ma tu già
tornavi verso il Sud.
E intanto, in questi giorni, mi son letto "Morte per mistero".
Un diavolo di poeta sei, se ti diverti a far confondere la gente.
Messo su benissimo, con quei tre titoli stupendi, che sarebbero l'architettura
maestra del poema, tu pretendi poi che ti si insegua attraverso quelle
selve di simboli che, naturalmente, sono l'equivalente di quell'universo
barocco che mi facesti ammirare a Lecce. Solo che lì non avevo
bisogno di spiegarmelo: qui invece avrei dovuto farlo e non ci sono
riuscito. Eppure non hai avuto un lettore distratto; e nemmeno impaziente.
Sì, era affar mio: e "M'offrì il luttuoso Sören
un'epigrafe": e "Un paese distrutto abbandonava" con
qualche altra parte "Alla rupe si sposa il piede amaro".
Nel resto mi travolgevi e mi stordivi. Danze macabre e mistero. Morte
per mistero. Tal qual dici è: quanto è birbante il diavolo
lo sapete bene solamente voi. Il nostro, toscano, al confronto è
un diavolo minchione. Scusa i miei lamenti, per ora. Ci tornerò
su. E abbi un abbraccio affettuoso dal tuo, che sempre meravigli,
aff. Carlo Betocchi
b) La lirica di Pagano che qui si pubblica è quella cui Betocchi
fa riferimento (Per la festa del Patrono) nella lettera del 7 dicembre
1956. E' una canzone di cinque stanze, delle quali l'ultima è
il congedo. Le prime quattro stanze sono così strutturate:
in ciascuna la fronte ha i due piedi costituiti da un settenario seguito
da due endecasillabi, il primo, da due endecasillabi seguiti da un
settenario, il secondo. Endecasillabo in diesi legato in rima alla
fronte. La sirima è divisa in dite volte chiastiche (due endecasillabi
+ settenario; tiri settenario + due endecasillabi) chiuse da un endecasillabo.
Così la rima: ABBACDACDEFEF. Nel congedo, invece, struttura
pentastica in rima alternata. Frequenti sinestesie (alberi sereni
- gialli afrori - scroscio d'inni ecc.) ed enjambements.
L'OCCHIO DELL'URAGANO
(FESTA DEL
PATRONO) (*)
Per alberi
sereni
dove il fiume danza e in gialli afrori
s'attrùcciola - per quanti alberi sfiori
la raffica (e tu solo ne scateni
lo scroscio d'inni), o inutile poeta
di ginocchi piagati,
a un lido che t'espatria, ai terrapieni
dell'amore compresso - al tuo pianeta
freddo, ai cinerei prati
del tuo pascolo d'acque
vergini - riconduci l'ombra antica
d'una testa troncata, ove ti piacque
scorgere questo sogno che t'intrica.
Sogno di luci
appese
per le vie sollevate da una fronte
contemplativa (oli tinnulo orizzonte
dei cembali!) - e ne sgorgano contese
d'armi schiarite, roridi tornei
di fiaccole e d'aloni
per l'abisso d'avorio in cui discese
la lunga onda d'addio dei giorni miei:
sogno di combustioni
troppo fluide per dare
qualche fermezza d'olocausto... E' morto
l'uomo di Dio? -Mi sporgo al limitare
del suo silenzio, e brucio di sconforto.
Ave Orontii...
Si sfiata
solitaria una tromba - ed un ginocchio
può convertirne il cupo ansito all'occhio
dell'uragano: umanità prostrata,
vena trafitta, oh la tua festa! Siamo
come un nastro disciolto
nella chioma di sangue scompigliata
per diffondere ancora il tuo richiamo
di pietà... (nel tuo volto
sillabato, o cantore
dissapiente, si trina la paura
di tre dita incombenti - e in un fulgore
di lampi ogni tuo modulo s'oscura...).
Quale piovosa
festa?
Ci soccorre la pietra, la muraglia
di càpperi e licheni (s'abbarbaglia
lo sperone ineroico, si ridesta
per un attimo a un rullo di grancasse)
- e abbiamo un senso, un vano
senso di fame e di sospiri in questa
sarabanda struggente - Oh ci guardasse
l'occhio dell'uragano
per un'epoca intera!
Oh la corona delle nubi fosse
la benda sacra della mia preghiera
rantolo e pace d'anime percosse!...
Canzone, hanno
sparato
per tutta la mia pena:
il sonno aveva un ago conficcato
nel cuore - un ago appena
visibile, un miracolo, un agguato...
(*) Cfr., lett.
del 7 dicembre 1956, nota 31.
NOTE
Avvertenza
- Questo contributo costituisce la seconda sezione di un unico studio
dal titolo Betocchi e il Salento: il rapporto con Comi e con Pagano.
La prima sezione, Il sodalizio Betocchi-Comi, è apparsa sul
numero precedente di questa stessa rivista ("Sudpuglia",
Dicembre 1991, 4, pp. 91-109). A tale scelta ci hanno indotto ragioni
di spazio tipografico. Per le citazioni in
nota si è adottato il criterio esposto nell'avvertenza a il
Sodalizio ecc. citato.
- Il testo dell'Estate di San Martino è tratto dall'edizione:
CARLO BETOCCHI, Tutte le poesie, introduzione di L. Baldacci, note
ai testi di L. Stefani, Milano, Mondadori, 1984, pp. 248-249.
- Quando ormai questo lavoro veniva chiuso in tipografia è
apparso il saggio di Michele Tondo citato in nota 2 e da me consultato,
per gentile concessione dell'Autore, quando ancora era in corso di
stampa. Il lettore potrà dunque consultare M. TONDO, Proposta
di lettura dei 'Privilegi del povero" di V. Pagano, in "Misure
critiche", X, n. 76-77, pp. 55-77.
1) Lecce 1919-1979.
2) Su questo carattere della poesia e della vita di Pagano, cfr. DONATO
VALLI, Cento anni di vita letteraria nel Salento (1860-1960), Lecce,
Milella, 1985, ("La traduzione, insomma, gli consentiva [ ...
] di vivere nella periferica Lecce come a Parigi, di riscattare la
mediocrità della provincia, [ ... ] la condanna di una emarginazione
non alleviata da una vorace e disordinata "quotidianità"),
p. 214; ID., Poeta esiliato in patria, in Quotidiano" del 29
gennaio 198 ; ENNIO BONEA, La seconda stagione di Pagano: il traduttore,
in AA.VV., Per Vittorio Pagano d'ora in poi con la sigla PVP), "Pensionante
de' Saraceni", Maglie, Erreci, 1985, pp. 15-29; RINA DURANTE,
L'irregolare, in "Quotidiano di Lecce' del 14 gennaio 1990, pp.
12-13; MICHELE TONDO, Proposta di lettura del "Privilegi del
Povero" di V. Pagano, in corso di stampa su "Misure critiche",
(ringrazio M. Tondo che mi ha consentito di leggere il suo saggio
quando era ancora in veste di dattiloscritto). Utili riferimenti anche
in FRANCO LATINO, Fra perdizione e privilegio, in PVP, p. 48.
3) Antologia dei poeti maledetti, versioni metriche di Vittorio Pagano,
Edizioni dell'"Albero", Lucugnano, 1957.
4) Cfr. M. TONDO ("Se dunque sul piano formale questa condizione
'ossimorica' della poesia di Pagano è uno degli aspetti più
vistosi [ ... ] dobbiamo anche aggiungere che in un certo senso essa
formalizza un conflitto interiore"), ibidem.
5) Sull'attività versoria di Pagano, cfr. D. VALLI, Inimitabile
traduttore, in "La Tribuna del Salento" del 9 febbraio 1979;
ANTONIO PRETE, Il ritmo dell'eccesso - Sulle tradizioni baudelairiane
di Vittorio Pagano, in PVP, pp. 12-14; E. BONEA, La seconda stagione
ecc., cit., p. 18 e ss.
6) Les chansons de toile (canzoni di tela, così dette perché
cantate dalle donne intente a lavorare al telaio) erano antichi canti
popolari romanzi che si svilupparono nella Francia del XII sec.. Avevano
come tema centrale l'amore, di solito infelice, ed erano sincrone
e parallele alle esperienze della lirica popolare italiana del Duecento.
Fra i generi in comune: l'alba, la malmaritata, il contrasto (pastorella
nelle chansons), il lamento.
7) LUCIANO DE ROSA, Pagano, prova di lettura, in PVP, p. 60.
8) Cfr. ANTOLOGIA ecc. cit., p. XIII e s.
9) Cfr. ORESTE MACRI', Lo "spazio domestico" di Ercole Ugo
D'Andrea, in "L'Albero", n.48, 1972, pp. 99-114; cfr. G.
CHIAPPINI, Un mistero tutto da scoprire, PVP, p. 54.
10) Cfr. V. PAGANO, Croce d'infanzia, nei Privilegi, I, pp. 75-76.
11) M. TONDO, ibidem.
12) Ibidem. La metafora di Penelope e del veliero è in V. P.,
Privilegi, II, Ulisse, p. 163: Il nucleo d'oro onde cresci regina,
/lo scarno lauro mio che ti desola, / l'aria stagnata e un sole che
s'incrina / Penelope ti fanno senza spola. / Così tu salvi
un'anima latina I da elleniche pazienze - tu la sola / vittima d'una
legge clandestina / che impone la virtù della parola... / E
infondi al lauro scarno e al nucleo d'oro / un fremito di Proci obliterati,
/ aspettando da sempre il mio veliero: /ti conosco così - così
t'ignoro, / e la mia rima, giglio di peccati, / s'empie di morte come
un cimitero. Nella sinestesia giglio di peccati l'allusione all'ossimorica
condizione di letteratura e vita di cui si è detto alla nota
4.
13) M. TONDO, ibidem.
14) Ibidem.
15) V. PAGANO, Morte per mistero, Lecce, Ed. del Critone, 1963. Sull'opera
in parola cfr. NICOLA CARDUCCI, Morte per mistero, in PVP, pp. 101-103
e ID., Morte per mistero, in "La Gazzetta del Mezzogiorno"
del 13 gennaio 1965, p. 3.
16) Ibidem, pp. 68-69.
17) I quaderni del "Critone" furono 18: ALESSANDRO PARRONCHI,
La noia della natura, 1958; ORESTE MACRI', Riepilogo del 'Cimitero
marino, 1958; ROMANO BILENCHI, Una città, 1958; TRISTAN CORBIERE,
Da "Gli amori gialli" versione di Vittorio Pagano, 1958;
VITTORIO PAGANO, Francese antico, 1958; ID., Calligrafia astronautica,
1958; ALFONSO GATTO, La madre e la morte, 1959; LAMBERTO PIGNOTTI,
Come stanno le cose, 1959; CARLO BETOCCHI, Il vetturale di Cosenza
ovvero Viaggio meridionale, 1959; PIERO BIGONGIARI, Il caso e il caos,
s.d. (1960); GRAZIANA PENTICH, Una patria da ritrovare (racconti),
s.d. (1961); LUIGI FALLACARA, Il di più della vita, 1961; RUTEBEUF,
Il mestiere di sempre, con prefazione di Luigi Fallacara (fuori collana),
1962; SERGIO SALVI, Versi fattuali, 1962; VITTORIO PAGANO, Morte per
mistero, 1963 (fuori collana); MARIO LUZI, Trame, 1963; ERCOLE UGO
D'ANDREA, Rosario di stagioni, 1964; GIOVANNI BERNARDINI, La neve,
1965; TRISTAN CORBIERE, Il poeta contumace, versione di V. Pagano,
s.d. (1966); NICOLANGELO BARLETTI, I colori del bianco, 1967. Quasi
tutti i "Quaderni" furono pubblicati in edizione numerata.
Il formato era di cm. 10,5x15 e la collana era diretta da Pagano.
Copertine di Lino Paolo Suppressa. Di Tonino Caputo quella de Il poeta
contumace di T. Corbière.
18) Cfr. GINO PISANO', Il sodalizio Betocchi - Corni, in "Sudpuglia",
dicembre 1991, 4, pp. 91-109.
19) A Carlo Betocchi, in Privilegi, II, p. 69.
20) Si tratta dell'antico convento degli Olivetani sito nelle adiacenze
del Cimitero di Lecce e della normanna, poi barocchizzata, chiesa
dei SS. Nicolò e Cataldo. Il convento fu adibito ad ospizio
in tempi recenti. Sul monastero, già normanno, per la parte
storica cfr. PIETRO DE LECCE (cura e traduzione di), Le carte del
Monastero dei Santi Niccolò e Cataldo in Lecce (secc. XI-XIX),
Lecce, Centro di studi salentini, 1978; per la parte artistica cfr.
CONSIGLIA DE VENERE, Chiesa dei SS. Niccolò e Cataldo e monastero
degli Olivetani (già dei Benedettini neri) di Lecce, in AA.VV.,
Insediamenti benedettini in Puglia. Per una storia dell'arte dall'XI
al XIII secolo, Catalogo della mostra a cura di MARIA STELLA CALO'
MARIANI, vol. II, 2, Galatina, Congedo, 1985, pp. 447-472. Per i riferimenti
letterari si veda il bel contributo di VITTORIO BODINI, Il sei-dita
(racconto), in "L'Albero", n. 23-25, luglio 1955.
21) Cfr. Il sodalizio ecc., cit. nel paragrafo Fra "L'Albero"
e "Il Critone" con Vittorio Pagano.
22) Questa espressione fonosimbolica fu usata, nel secondo Ottocento,
dai cultori della musica di Wagner nella polemica antiverdiana. Si
rimproverava a Verdi, con tale onomatopea, certa tendenza all'orecchiabile
e al patetico-popolare ritmo del valzer.
23) Nel senso di partecipe.
24) Cfr. PAUL VALERY, Il Cimitero Marino (versione metrica di V. Pagano),
in "L'Albero", gennaio-dicembre 1956, n. 26-29, pp. 23-27.
25) Mio il corsivo. Si notino gli ossimori: lirico-macabro, candido-funebre.
26) Alberta Bigagli, segnalata da Betocchi a Pagano, è nata
a Sesto Fiorentino nel 1928. Vive e opera a Firenze. Fra le sue pubblicazioni:
L'amore e altro - Poesia in prosa (con prefazione di C. Betocchi),
1975; L'arca di Noè, 1986; In mezzo al cerchio -sonetti in
prosa, 1989; Tre voci e una mano - dialoghi in poesia, 1990; Armando
e Marcella - dialoghi, confidenze e riflessioni, 1991.
27) E' un calembour. Come il "saraceno" che segue, è
assunto a sinonimo di pagano, quindi qualificativo di Vittorio.
28) E' del 13 novembre 1958.
29) Il riferimento è ai citati Quaderni del "Critone".
30) L'articolo di Betocchi apparve sul "Popolo" del 27 novembre
1958, quindi con due anni di ritardo rispetto all'annuncio contenuto
in questa lettera, col titolo Incontro con il poeta Comi.
31) Ne I privilegi del povero (Mitologia del Sud, II), Lecce, Ed.
del "Critone", pp. 87-88.
32) Betocchi pubblicò, poi, sul "Critone" quel discorso
col titolo Per la benedizione della lapide sulla casa di Domenico
Giuliotti (CR, II, 1-2, gennaio-febbraio 1957, pp. 6-7).
33) Cfr. C. BETOCCHI, Lamento per Ottone Rosai nella sera della sua
morte, "Il Critone", II, n. 4, aprile 1957, p. 5, poi in
C.B. Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1984, pp. 280-282.
34) Cfr. nota 24.
35) Cfr. lettera precedente.
36) Cfr. LIBERO DELIBERO, Elpenore poeta, in "Il Critone"
del novembre-dicembre 1957, n. 10-11, pp. 6-7.
37) Cfr. CLAUDE LEORANS, Petit Air 1957 à mes amis de CRITONE,
ibidem (Cinque strofe di ottonari in rima alternata).
38) Cfr. RENZO LAURANO, Le lepri, ibidem (componimento polimetro con
libere assonanze).
39) Cfr. nota 20.
40) Cfr. C. BETOCCHI, Un grido, "Il Critone", ibidem, vv.
10-13: [ ... ] Un grido... o un'allegria / da ciarpame di nido / che
i piovaschi han conciato / eppure è qui, rinato [ ... ].
41) V. PAGANO, Calligrafia astronautica, Lecce, 1958.
42) C. BETOCCHI, Il Vetturale di Cosenza ovvero Viaggio meridionale,
Lecce, Quaderni del "Critone", 1959, poi in L 'Estate di
S. Mattino, Mondadori, 1961.
43) Il riferimento è alla gattiana plaquette La madre e la
morte pubblicata nei "Quaderni" lo stesso anno 1959. Cfr.
nota 17.
44) SERGIO SALVI, Versi fattuali, 1962.
45) E' tuttora inedita.
46) Gergo, linguaggio inintelligibile, esoterico.
47) Cfr. V. PAGANO, A Libero De Libero, in Privilegi (Trobar concluso,
11) p. 173.
48) Cfr. GRAZIANA PENTICH, Cinque racconti (Fiori di carta - Incontri
natalizi -Memoria all'alba - Il cavaliere dalla triste figura - Il
bagno alla "Lanterna"), in 'Il Critone" del nov.-dic.
1959, n. 9-10, pp. 6-7.
49) E' Leone Traverso. Cfr. Altri "vecchi versi" di L. TRAVERSO,
ibidem (due sonetti: Angoscia (Oh sapeste di me voi quanto celo) e
Mirabile monstrum (Non un fuoco per l'etere, né traccia), e
tre composizioni in quarta rima (Ricordo - Labilità - Congedo),
ibidem.
50) Cfr. nota 26.
51) Bigagli fu, poi, ospitata sulle pagine del "Critone".
52) Cfr. lettera del 27 gennaio 1960, nota 47.
53) E' Giovanni Bernardini, narratore e poeta salentino. Vive e opera
a Monteroni di Lecce.
54) A. MANZONI, La Resurrezione ("Via lo squallor della viola"
v. 72). "Pallor" è un lapsus di Betocchi.