La stabilità
della moneta è un bene di cui si avvantaggia tutta la collettività:
agevola gli scambi, riduce l'alea delle scelte d'investimento, sostiene
il risparmio, pone una delle condizioni d'equità nell'imposizione
fiscale. Alla sua difesa è preposta la Banca Centrale. La riflessione
sugli strumenti idonei a garantire la stabilità monetaria si
è svolta, sin dall'avvio di un gran dibattito che non è
spento, su due fronti: quello dei meccanismi istituzionali coerenti
con l'obiettivo, quello delle regole a cui far riferimento nella creazione
di moneta.
Oggi come ieri, vi è chi sostiene che una soluzione congiunta
dei due problemi può trovarsi in procedure automatiche, capaci
di sottrarre la creazione della moneta alla competenza dell'Esecutivo.
I regimi nei quali la moneta era convertibile in una merce dotata
di valore intrinseco vengono elevati a ideale di riferimento. Ma neppure
in quei regimi la creazione di moneta era mai interamente affidata
ad automatismi; soprattutto, chi la governava non si privava della
facoltà di modificarne il valore o di sospendere la convertibilità.
La pratica della "moneta manovrata" e l'affermazione analitica
della sua utilità trovarono decisivo sostegno nella formulazione
keynesiana dell'equilibrio di sottocupazione. La necessità
e la possibilità per la politica economica di contenere le
fluttuazioni cicliche e di assecondare lo sviluppo sfociarono negli
anni Cinquanta e Sessanta negli ottimismi del fine tuning. Le vicende
inflazionistiche e recessive degli anni Settanta hanno riacceso la
discussione sull'alternativa fra regole e discrezionalità.
Nell'analisi però è stata scossa la convinzione che
indirizzo antinflazionistico e sviluppo economico siano antinomici.
L'accento è stato posto sulle distorsioni che l'inflazione
produce nell'allocazione delle risorse, sull'incertezza che determina
negli operatori circa le scelte di risparmio e d'investimento. Nella
posizione dei fautori della regola rigida di espansione monetaria
va colta l'istanza prioritaria di una chiara linea di tendenza nel
comportamento della Banca Centrale, che rappresenti l'elemento di
certezza. Nella posizione dei fautori della politica attiva e discrezionale
è da rinvenirsi il richiamo alla Banca Centrale di essere pronta
a fronteggiare emergenze che possano insorgere. La flessibilità
temporanea offerta da una Banca Centrale credibile non deve andare
a scapito del rigore di fondo nel governo della moneta: il richiamo
ad essa significa rifiuto di automatismi, valorizzazione della qualità
che Guicciardini chiamava "discrezione".
Per l'ordinato svolgersi dell'attività economica è fondamentale
che le aspettative degli operatori possano far perno sulla coerenza
di comportamento di una Banca Centrale credibile. Condizione di credibilità
è che la Banca Centrale sia autonoma, dagli operatori finanziari
e non finanziari, e dall'Esecutivo.
Il problema diviene allora come salvaguardare l'autonomia delle Banche
Centrali. Sul piano delle guarentigie istituzionali, vi è una
varietà di soluzioni possibili, molte delle quali già
sperimentate. Legittimazione sostanziale e legittimazione formale
sono complementi, talvolta sostituti, l'una dell'altra. Tuttavia,
le pur diverse soluzioni previste dagli ordinamenti dei vari Paesi
hanno in comune l'intento di fare della Banca centrale un argine all'uso
improprio della moneta. Nel contempo, la coerenza d'azione della politica
economica e gli stessi principii di una società fondata sulla
libertà e sulla democrazia verrebbero messi in forse da una
Banca Centrale la cui necessaria, irrinunciabile autonomia degenerasse
nell'arbitrio.
La soluzione più equilibrata sta nel riconoscere alla Banca
centrale un'indipendenza che le permetta di rendere manifesto il conflitto
eventuale tra politica monetaria e politica di bilancio, e nel prevedere
procedure che ne assicurino, nel Parlamento, la composizione.
I criteri che ho richiamato circa le funzioni e il ruolo istituzionale
della Banca Centrale sono al centro del dibattito sulla progettazione
dell'Unione economica e monetaria europea, nel disegno del "Sistema
europeo di Banche Centrali". Al Sebc, superata la fase di transizione
affidata all'Istituto monetario europeo, verranno attribuiti il governo
della moneta comune, l'Ecu e l'attuazione, con strumenti orientati
al mercato, della politica monetaria e del cambio della Comunità.
Ai principii sopra enunciati abbiamo ispirato l'azione della Banca
d'Italia nel decennio trascorso, tenendo conto di fattori molteplici:
le condizioni in cui la nostra economia versava, le particolari difficoltà
ereditate dagli anni Settanta; le opportunità e i vincoli derivanti
dal Sistema monetario europeo in cui siamo inseriti; lo sfavorevole
contesto economico internazionale, caratterizzato da alti tassi d'interesse
reali. L'obiettivo primo, doveroso, è stato quello di ridurre
l'inflazione, che nel 1980 superava il 10 per cento, con tendenza
ad aumentare.

La politica monetaria
ha seguito un orientamento restrittivo. I tassi d'interesse reali,
negativi per diversi punti percentuali nel 1979, in un triennio salivano
a livelli positivi, del 4-5 per cento; rimanevano poi su questi livelli,
tendenzialmente in linea con i tassi europei. A questo indirizzo monetario
si raccordava un attivo governo del cambio. Volgendo nella direzione
del rigore le sinergie offerte dallo Sme, si è agito per rimuovere
negli operatori l'aspettativa di un cambio della lira accomodante.
Un'aspettativa siffatta si era radicata attraverso le crisi degli
anni Settanta: insieme con i tassi d'interesse reali bassi, se non
negativi, essa aveva contribuito a far sì che le imprese procrastinassero
il contenimento dei costi e la ristrutturazione imposta dai mutamenti
dei prezzi relativi dei prodotti e dei fattori, nel convincimento
che la competitività sarebbe stata comunque e pienamente fatta
salva dal deprezzamento della moneta.
All'effetto di disciplina e allo stimolo sui prodotti, esercitati
da un cambio nominale ex ante non cedevole, si è accompagnato
fino al 1985 un cambio reale ex post tendenzialmente costante, tale
da non pregiudicare ulteriormente la competitività di prezzo
e la bilancia di parte corrente, minate da un'inflazione interna che,
sebbene in calo, restava ben più alta di quella delle economie
concorrenti. Questa politica, a un tempo della moneta e del cambio,
moderando la domanda interna e i costi, ha contribuito ai progressi
che l'economia italiana è riuscita a compiere sino allo scorcio
del decennio. Quei progressi si sono realizzati nonostante le difficoltà
incontrate nel risanare i conti pubblici e nel riportare stabilmente
sotto controllo la dinamica dei redditi nominali, prima e dopo il
momento, pur importante del freno posto agli scatti della scala mobile
nel 1984. L'inflazione scendeva al di sotto delle due cifre nell'ottobre
del 1984; scendeva sino al 4,2 per cento, anche col favore delle ragioni
di scambio, nel dicembre del 1986. La ristrutturazione produttiva,
attesa per anni, si realizzava; le imprese recuperavano produttività
e capacità competitiva, tornavano al profitto, abbattevano
debiti, ricostruivano la base di capitale proprio. L'economia italiana
poté unirsi alla ripresa ciclica internazionale del 1983 e
alla lunga espansione del prodotto, degli investimenti, dell'occupazione
dispiegatesi sino al 1990. Il disavanzo di parte corrente e i conti
con l'estero, che era giunto al 2,2 per cento del prodotto interno
lordo nel 1980-'81, si annullava nel 1986-'87.

Nel modus operandi della politica monetaria veniva completato il passaggio
dagli strumenti diretti di controllo amministrativo del credito, agli
strumenti indiretti, di intervento nei mercati della base monetaria
e dei titoli di Stato. In un nesso di interazione, è stato
dato impulso al miglioramento dei mercati monetari e finanziari e
del sistema dei pagamenti, all'efficienza e all'imprenditorialità
delle banche. In alcuni casi, come quello del mercato secondario telematico
dei titoli pubblici, si son dovute creare, con il concorso degli operatori,
strutture prima inesistenti. Per queste vie, è stato possibile
gestire a tassi d'interesse decrescenti in termini nominali un debito
pubblico in forte aumento anche rispetto al prodotto interno lordo
(dal 60 a oltre il 100 per cento), alimentato da disavanzi di bilancio
che hanno sfiorato il 14 per cento del prodotto interno lordo nel
1983, e sono stati nel decennio sempre al di sopra del 10 per cento.
Negli ultimi anni Ottanta l'economia italiana è entrata in
una fase nuova, apertasi all'insegna dell'adesione al processo di
unificazione economica e monetaria in Cui l'Europa è impegnata.
La scelta per l'Europa che governo e Parlamento hanno fatto, interpretando
la volontà del Paese, è il punto di riferimento per
la Banca d'Italia. Coerenti con quella scelta sono la salvaguardia
della stabilità interna ed esterna della moneta, l'azione per
migliorare l'efficienza degli intermediari creditizi e delle strutture
finanziarie, per consolidare e rendere ancor più evidente e
irreversibile la stessa autonomia della Banca d'Italia, in conformità
con la costituzione di un Sistema europeo di Banche Centrali.
Sotto quest'ultimo profilo, il venir meno dell'obbligo della Banca
di assicurare il collocamento in asta dei Bot non sottoscritti da
altri operatori aveva rappresentato, nel 1981, il primo passo. Il
più recente è stato quello di affidare alla Banca d'Italia
la determinazione della maggiorazione del tasso d'interesse sulle
anticipazioni a scadenza fissa. I mutamenti istituzionali hanno trovato
seguito nel comportamento della Banca d'Italia. Impegnata a contenere
la crescita della quantità di moneta in linea con gli obiettivi
annualmente stabiliti, la Banca ha ridotto il suo finanziamento al
Tesoro.

Ulteriori progressi
sul piano istituzionale sono stati compiuti. Mi riferisco alla riforma
del conto corrente di tesoreria. L'inserimento che deriva nella banda
stretta dello Sme, deciso nel gennaio del 1990, si è realizzato
con successo.
In mancanza di un'adeguata azione di politica economica, la stabilità
del cambio produce solo parte dei beneficii attesi. implica costi
crescenti, che il Paese già paga, con il deterioramento della
competitività di prezzo del sistema produttivo, con la prospettiva
di una crescita del prodotto e dell'occupazione sempre più
stretta dal morso del vincolo esterno.
Il deterioramento avviene in un periodo di bassa congiuntura, che
incide sulla situazione finanziaria e di redditività delle
imprese; ne risultano aggravate le condizioni di debolezza anche strutturale
che alcune di esse, specie della fascia medio-grande, presentano per
difficoltà settoriali o per ritardi e lentezze nell'affrontare
problemi di ristrutturazione. Esiste il pericolo del concatenarsi
degli effetti negativi di fattori ciclici e strutturali. Per sventarlo,
occorrono un rinnovato lancio di imprenditorialità, la capacità
collettiva di riconoscere gli interessi comuni, la fiducia in se stessi
che non può mancare in un Paese che ha saputo compiere così
importanti progressi economici.
Dal 1988, sospinta dai costi interni, l'inflazione è risalita:
è stata del 6,5 per cento, in media d'anno, nel 1991, circa
tre punti più alta che in Francia e in Germania. Il disavanzo
corrente della bilancia dei pagamenti si è riportato al di
sopra dell'1 per cento del Pil, con conseguente accumulo di debito
netto del Paese verso l'estero. La disciplina del cambio non può,
da sola, erodere lo zoccolo duro dell'inflazione, portare a termine
il risanamento incompleto degli anni Ottanta. S'impone l'attuazione
della linea di risanamento della finanza pubblica e di regolazione
dei redditi che governo e Parlamento hanno approvato nel maggio dello
scorso anno. Alle parti sociali si chiede di uniformare i loro comportamenti
agli impegni internazionali dell'Italia, così da restituire
competitività alle merci e ai servizi e riaprire spazi di crescita
equilibrata. Va ad ogni costo ridotta l'incidenza rispetto al reddito
del fabbisogno e del debito pubblico, onorando l'impegno preso a Bruxelles
con l'inscrivere il programma di convergenza economica nella procedura
comunitaria. E' necessario rafforzare il peso degli interventi di
correzione nei settori più critici: sanità, finanza
locale, previdenza; deve trovare realizzazione il piano di dismissione
di cespiti patrimoniali pubblici. Appare sempre più urgente
una politica che accresca la concorrenza nel settore terziario, ricordando
che la concorrenza internazionale in un contesto integrato è
sempre più concorrenza fra sistemi economici.
Partecipare all'unificazione economica e monetaria dell'Europa è
l'impegno che il Paese ha assunto. Nella coerenza dei comportamenti
sta la possibilità di riuscire. A questa coerenza la Banca
d'Italia ha informato e continuerà a informare la propria azione.
L'accordo raggiunto a Maastricht investe non solo la costruzione europea,
ma anche il tema di fondo al quale dedico queste mie riflessioni.