§ Stati in frantumi / La societą del domino

I barbari della steppa




Eduard Shevardnadze



I corflitti etnici e nazionali costituiscono oggi il problema più scottante nell'ex Unione Sovietica. Cresce, purtroppo, il numero dei focolai di tensione. Per ora non si è riusciti a regolare stabilmente nemmeno un solo conflitto, né ad eliminare la tensione che esiste in molte aree.
Il passato ci ha lasciato una eredità gravosa. La crisi dei rapporti inter-etnici si è unita all'avvitarsi della crisi socio-economica. In questa situazione il prezzo di ogni errore commesso è diventato altissimo. Errore oggi significa non soltanto un passo sbagliato, ma anche la mancanza di azione, l'assenza di un dialogo continuo fra le parti in conflitto o fra i loro potenziali attori.
Credo che stiamo commettendo un grave errore nel modo stesso di affrontare i conflitti inter-etnici: cerchiamo di agire come se questi avessero un carattere simile ai litigi di famiglia.
Bisogna modificare questa impostazione. E' tempo di rendere i conflitti inter-etnici oggetto della diplomazia professionale di cercare di risolverli sulla base delle norme M diritto internazionale di ricorrere alla mediazione delle organizzazioni e dei meccanismi multilaterali già esistenti, anche per compiere missioni di buona volontà.
Tale approccio incontra un favore crescente sia all'interno dell'Onu sia all'interno delle strutture europee. Nel mondo contemporaneo, così interdipendente, la comunità internazionale tende giustamente a recepire ogni focolaio di tensione - e tanto più lo scontro armato come un problema comune.
Si trasforma anche il concetto stesso di "conflitto interno". Se un problema sorge fra due Stati sovrani, anche se membri della nostra nuova Comunità, non si tratta più di un "conflitto interno", ma è materia di regolamento inter-statale.
Anche in questa sfera si deve passare a un nuovo modo di pensare, occorre rinunciare alle idee legate ad una realtà diversa, quella "imperiale" poiché i suoi strumenti per risolvere i conflitti inter-etnici non possono essere utilizzati nelle nuove condizioni.
C'è un elemento di interdipendenza fra i cosiddetti conflitti interni e la politica estera, sul quale vorrei attirare l'attenzione. Molti fili legavano le ex Repubbliche sovietiche, le univano in uno Stato unico. Hanno una storia comune, un'economia integrata e una stessa mentalità che si è formata in settant'anni di vita comune. Fra questi fili ce n'era tuttavia un altro: la preoccupazione per la sicurezza comune. Ora, nel momento in cui la minaccia esterna sostanzialmente non c'è più, questo filo si è spezzato.
Ci si può solo rallegrare del fatto che il mondo si liberi dalla paura, che i popoli dell'ex Unione Sovietica abbiano avuto la possibilità di vivere in condizioni di libertà, ma mi sembra che, nelle Repubbliche della Comunità, alcuni uomini politici, forzando i processi verso l'isolamento dei loro Stati, sottovalutino Ie possibili conseguenze nel campo della politica estera. Fra l'altro, gli Stati ora indipendenti avranno altri rapporti con i loro vicini rispetto a quelli del passato, quando facevano parte di uno Stato unitario. E non sempre questi cambiamenti possono portare al meglio.


La prospettiva della formazione di nuove unioni regionali che includano una serie di Repubbliche dell'ex Urss e i Paesi loro vicini appare oggi abbastanza probabile. E c'è da sperare che queste formazioni regionali restino soltanto economiche e politiche, senza trasformarsi in blocchi militari, generatori di nuove linee di contrapposizione.
Posso purtroppo anche constatare che alcuni politici ignorano l'esperienza internazionale: questa dimostra che le pretese territoriali, provocando reazioni a catena di revisioni delle frontiere, portano non solo a conflitti, ma anche a scontri armati.
Mi accusano spesso di fare prognosi pessimistiche, credendo che la mia preoccupazione sui possibili sconvolgimenti sociali e inter-etnici nella CSI sia esagerata. Oggi, tuttavia, una sana preoccupazione non sarebbe affatto eccessiva né per i politici della CSI né per, quelli occidentali.
Alcuni di loro tengono conto soltanto delle azioni delle forze politiche ufficiali, che sono effettivamente più o meno prevedibili. Da noi, però, esistono anche nell'ombra strutture politiche di tipo autoritario e perfino oltranzista che, sull'onda del malcontento sociale, raccolgono forze. Nei sottopassaggi della metropolitana di Mosca si possono vedere gli stand dell'organizzazione nazionalista estremista "Pamiat" , accanto ai quali vengono diffusi apertamente volantini antisemiti; alle manifestazioni risuonano appelli all'esercito di prendere il potere.
Il dittatore con le armi atomiche in mano è una figura assai reale in molte aree del mondo, e la guerra del Golfo Persico lo ha dimostrato. Oggi da noi, in condizioni di sfacelo dell'economia e di catastrofica discesa del tenore di vita della popolazione, appaiono anche politici che tirano fuori dai vecchi arsenali le armi in disuso della "guerra fredda". Al posto della grande 'guerra fredda" ne nascono di piccole, e l'immagine del nemico prende di nuovo forza. Si è riflettuto abbastanza, per esempio, sulla crisi iugoslava le cui ondate possono propagarsi nelle regioni dell'Europa Sud-Orientale, se non per tutto il continente?
Ho detto più di una volta che la comunità internazionale non si è rivelata pronta ad eliminare i pericoli di conflitti interni agli Stati.
Ci consola, tuttavia, il fatto che il principio di "non ingerenza" non viene più considerato assoluto. Si sta affermando un'accezione dell'inseparabilità di interessi nazionali e di valori universali, della necessità di difenderli simultaneamente. Non si tratta di unificare gli approcci, ma di tener conto in modo fermo e realistico dei fattori che assicurano l'armonia della parte con l'insieme.
Per concludere, vorrei tornare alla nostra situazione interna. A mio parere questa è caratterizzata dal fatto che, assieme alla formazione degli Stati indipendenti sul territorio dell'ex Unione Sovietica, è finito il processo di l'rivoluzione" dall'alto che fin dall'inizio avevamo battezzato perestrojka.
I processi politici nei Paesi della Comunità assumono oggi sia un nuovo contenuto sia una nuova dinamica. Sulla scena compaiono forze nuove, una nuova generazione. Il passaggio ai rapporti di mercato detta le proprie condizioni di comportamento e di azione per tutti, sia per i leaders politici sia per i singoli, che diventano oggi la principale forza motrice dello sviluppo della società.
Qualcuno ha detto che il concetto di cultura comprende anche un'attitudine al progresso tecnologico. Il progresso tecnologico, a sua volta, ha la tendenza a interagire con le formazioni sociali, spingendole verso la razionalizzazione e l'ntegrazione: porta, perciò, all'integrazione delle Nazioni e degli Stati.
In che cosa speriamo noi? E' indispensabile impegnarsi per elevare il livello della cultura, compresa quella politica. Con lo sviluppo della cultura, anche i conflitti inter-etnici si attenueranno e si presteranno ad essere risolti.
Questo processo, tuttavia, non può essere rapido: per qualche tempo dovremo riuscire a vivere e a resistere senza cadere nel caos e nella barbarie. Al di fuori della civilizzazione mondiale ci aspetta soltanto la morte. Non dobbiamo dimenticarlo.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000