§ I rischi dell'integrazione

L'Europa? Costa ma è un affare




Siro lombardini



Il Presidente della Commissione europea ha chiesto ai Paesi membri di adeguare il bilancio della Comunità alle nuove esigenze finanziarie, quali si vanno profilando dopo le decisioni prese a Maastricht di accelerare il processo di unificazione economica.
Per facilitare l'ingresso dei Paesi relativamente poveri (Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda) nell'Unione economica e monetaria, per migliorare la competitività delle industrie e per aiutare i Paesi dell'Est europeo, dell'Africa e dell'America Latina che hanno più stretti legami con la Cee, occorre incrementare i fondi a disposizione della Comunità, e quindi i contributi dei vari Stati. Questi contributi dovrebbero risultare. nel 7997, di circa il 20 per cento più elevati di quanto non siano oggi.
Il contributo dell'Italia subirò un incremento particolarmente sensibile in seguito anche alla rivalutazione che è stata fatta del nostro Prodotto interno lordo per tenere conto dell'economia sommersa. Infatti, la base su cui il contributo si calcola (il nostro reddito) risulto aumentato.
Attraverso i contributi, i Paesi danno alla Comunità, ma da essa ricevono anche fondi. Quelli che il nostro Paese riceveva erano, e si prevede saranno ancora, maggiori di quelli che doveva e deve sborsare. Anche se dobbiamo ricordare che purtroppo la nostra amministrazione, per le sue inefficienze, non riesce a creare tempestivamente le condizioni necessarie per incassare tutte le somme che possiamo ottenere dalla Cee. Ma se passeranno le proposte di Delors, l'Italia rischia di pagare più di quanto ha diritto di avere dalla Cee. Nel suo complesso, infatti, il nostro Paese non è più tra quelli che, avendo un reddito inferiore all'80 per cento della media comunitaria, sono considerati poveri e hanno quindi diritto ai finanziamenti dal "fondo di coesione".
Avremo forse una nuova occasione per ripensare al problema dell'integrazione economica a livello comunitario. Governo e Parlamento sono in ritardo nell'adozione delle misure che si richiedono per realizzare pienamente ed efficacemente la nostra integrazione nella Comunità. Anche l'opinione pubblica non sembra rendersi conto della rilevanza del problema: l'Italia non ha alternative all'inserimento della sua economia nella grande Comunità europeo, che sarò ancorata alla grande Germania e che è destinata ad allargarsi od altri Paesi, segnatamente dell'Est. L'Italia potrà trarre grandi vantaggi da questa integrazione solo se riuscirà a risanare la sua pubblica amministrazione, a ristrutturare le sue industrie, ad accelerare l'innovazione tecnologica, ad intensificare le sue attività all'estero.
L'incremento dei contributo che il nostro Paese deve pagare per il funzionamento della Comunità non costituirà allora un problema. Se invece non riusciremo a cambiare politica, ad abbandonare le politiche assistenzialistiche e ad attuare quelle produttivistiche - le sole che possono consentire di risolvere il problema del Mezzogiorno che oggi rende più difficile la stessa integrazione dei nostro Paese nella Comunità -, allora il problema non sarà quello dei nostri rapporti fiscali con la Comunità, ma quello dell'emarginazione del nostro Paese, con gravi conseguenze sulla nostra economia. Il quadro della Comunità economica europea presenta incertezze per alcune resistenze dell'Inghilterra e per le diverse vedute in Germania tra Bundesbank e Governo. L'Italia però non può stare a guardare, nella speranza, più o meno consapevole, che il processo di unificazione si inceppi. Essa deve affrontare con decisione i problemi strutturali della sua economia, in particolare quelli della pubblica amministrazione, proprio per giocare un ruolo attivo nel nuovo sistema politico ed economico.
l'Europa potrò contare, e contare molto, nella nuova situazione dell'economia mondiale solo se sarà unita. E solo in un'Europa unita l'Italia potrà trovare motivazione ed energie per frenare i processi degenerativi che incidono sulle prospettive dell'economia e mettono in pericolo lo stesso sistema democratico.

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