§ Grande Europa / Conflitti e negoziati

Contro Maastricht




Silvana Di Febo



Una rivincita così clamorosa non se l'aspettavano. Spiazzati dalla voglia d'Europa rilanciata dal vertice di Maastricht del dicembre 1991, in crisi dopo la domanda di adesione alla Cee presentata da Paesi fidati (Svizzera, Austria, Svezia), accusati dai giornali di difendere privilegi di bottega poco conciliabili con l'interesse superiore di 320 milioni di europei, per i nemici dell'Europa unita gli ultimi mesi erano stati un inferno. Ma il referendum in Danimarca del 2 giugno e la crisi in cui è precipitata la Cee hanno ridato ossigeno.
Che a Bruxelles si fosse infiltrato un partito trasversale ostile sia al mercato unico, che entrerà in vigore il primo gennaio 1993, sia alla sua evoluzione (ossia l'Unione europea varata a Maastricht, con moneta, difesa e politica unificate), non era un mistero. Ma i 40 mila danesi che con il loro "no" hanno fatto fallire la ratifica del Trattato di Maastncht e ridotto quasi in gramaglie il suo artefice, il presidente della Commissione Cee Jacques Delors, hanno dato agli antieuropeisti una nuova legittimazione politica.
Chi è contro il '93? Il gruppo più cospicuo è costituito da chi vive di sussidi statali e di mercati monopolistici. (In esempio storico è quello delle aziende produttrici di energia elettrica (come l'italiana Enel) riunite in un'associazione di categoria, la Euroelectric. Con il pieno appoggio dei sindacati, i signori dell'energia elettrica stanno ostacolando la liberalizzazione del mercato europeo. Il loro incubo è che i grandi consumatori di energia elettrica, cioè le industrie, riescano in futuro a bypassare il monopolio dell'azienda di Stato del proprio Paese e approvvigionarsi all'estero, là dove l'energia elettrica costa meno (è un prodotto con prezzi molto differenziati tra Paese e Paese). Tutte le "Enel" d'Europa verrebbero messe in concorrenza fra di loro e ciascuna sarebbe obbligata dalla Cee a trasportare sulla propria rete di distribuzione il prodotto delle rivali. La Commissione Cee vorrebbe anche consentire a distributori indipendenti di vendere energia.
Lo stesso braccio di ferro è in corso sul mercato del gas, i cui produttori non a caso sono riuniti in una società, la Eurogas. Ma l'opposizione dei governi a queste due proposte è tale (eccezion fatta per la Gran Bretagna, che ha già privatizzato gas ed elettricità), che una loro approvazione è poco probabile.
Una vicenda analoga la sta vivendo il mercato della posta, che vale 75.000 miliardi di lire all'anno ed è già per il 43 per cento in mano a corrieri privati come Ups, Federal Express, Tnt e Dnl. La Cee vuole lasciare ai monopoli postali di ciascun Paese la distribuzione della posta ordinaria all'interno del territorio del Paese stesso, mentre vorrebbe liberalizzare la distribuzione di pacchi e la posta internazionale.
Anche in questo caso a favore delle aziende postali sono scesi i rispettivi governi, mentre i lobbisti della parte avversa stanno già martellando la Commissione per ottenere un verdetto favorevole sulla questione chiave del problema: fino a che peso o dimensione si può considerare una busta posta ordinaria, e dove diventa invece un pacco?
Noi non facciamo affari, facciamo politica, aveva detto il primo presidente della Commissione europea, Hallstein. La pensano diversamente molte industrie automobilistiche europee, che combattono a Bruxelles una duplice battaglia: quella sul contingentamento delle auto giapponesi o prodotte in Europa ma grazie a fabbriche "cacciavite" del Sol Levante, e la battaglia sulla trasparenza dei listini prezzi.
Il portavoce del cartello automobilistico antieuropeo è il presidente della Peugeot-Citroën, Calvet. Per lui l'Europa di stampo federalista è un mostro economico e politico che va fermato prima che diventi adulto. E prima che i giapponesi riescano ad addomesticarlo. Oggi Tokyo ha l'undici per cento del mercato europeo e la sua ulteriore penetrazione è bloccata da contingentamenti in alcuni Paesi, Italia compresa. Tra Cee e Giappone è in corso una trattativa sulla progressiva liberalizzazione. Ma intanto l'apertura delle frontiere nel gennaio del prossimo anno ha già suscitato un interrogativo: le auto giapponesi assemblate in Gran Bretagna e in Spagna potranno essere vendute liberamente entro i confini dei Dodici o saranno considerate, appunto, giapponesi, e in quanto tali soggette ai contingentamenti?
Per di più, il Commissario alla concorrenza, Brittan, ha aggiunto preoccupazioni alle case automobilistiche, scoprendo che i prezzi della stessa vettura possono variare anche del 40 per cento tra un Paese e l'altro e chiedendo una riforma del sistema dei concessionari esclusivi, che danneggia i consumatori. Renault e Peugeot-Citroën stanno facendo una dura campagna di lobby per bloccare una legislazione europea che consentirebbe di comprare l'auto nel Paese dove èpiù conveniente, perché - sostengono - la liberalizzazione metterà in crisi il sistema di quote nazionali di auto giapponesi. Una Honda o una Mazda non disponi~ bili sul mercato italiano, per esempio, potrebbero essere acquistate in Paesi dove i giapponesi subiscono meno restrizioni (come Germania e Gran Bretagna) e importate in Italia vanificando gli sforzi protezionistici.
Al partito anti-'93 appartengono anche alcune compagnie aeree europee, la cui associazione di categoria è presieduta da Bisignani. Avviata la liberalizzazione (almeno parziale) di prezzi e rotte, le compagnie europee sono ai ferri corti con la Cee per la questione dei rapporti con le compagnie americane. I vettori Usa, infatti, hanno una facilità d'accesso sui mercati europei che si guardano bene dal consentire agli europei in casa propria. Le compagnie di bandiera, quindi, chiedono regole uguali per tutti.
Ancora più risentita è la posizione di doganieri e spedizionieri, che verranno colpiti duramente dalla scomparsa delle frontiere. Molti, fra poco, resteranno senza lavoro.
E chi è contro Maastricht? Anche l'unificazione della politica estera (uno L'degli obiettivi di Maastricht) rischia di ledere interessi economici. Ne sa qualcosa la Grecia, che dopo l'embargo commerciale proclamato dai Dodici nei confronti della Serbia ha calcolato che alla sua già debole economia questo causerà un danno di un miliardo e mezzo di dollari. La ragione principale è l'aumento dei costi di trasporto delle merci greche, che prima passavano per Belgrado per raggiungere il resto dell'Europa, mentre ora devono allungare la strada passando per la Bulgaria o per l'Italia.
Ma le sanzioni a Belgrado hanno dato fastidio anche agli esportatori italiani. E inoltre, quando la Cee ha votato il blocco alla Libia, a Bruxelles sono corse le industrie tecnologiche che temevano di vedere i propri prodotti nella lista nera. Alla fine, è stata vietata soltanto l'esportazione di materiale bellico vero e proprio.
Politica estera significa potere politico centralizzato. E' proprio quello che combattono i Länder tedeschi, considerati tra i lobbisti più efficaci a Bruxelles. I governi regionali tedeschi non vogliono rinunciare ai loro privilegi, che finirebbero per annacquarsi nella grande Europa. E minacciano di comportarsi come tante Danimarche: impedendo al Bunderat la ratifica del Trattato di Maastricht. Il club dei dissidenti in Germania include anche la Bundesbank, che con l'avvento della moneta unica teme di perdere potere su quella sono di piccolo impero costituito dai Paesi legati al marco: Olanda, Belgio, Svezia e persino Turchia.

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