§ Europa in vista

L'Italia che resiste




Innocenzo Cipolletta



L'Italia non si arrende. La protesta che si è levata alta in molti settori, compreso quello dell'industria, per una modifica dei comportamenti e delle regole istituzionali sta a sottolineare al tempo stesso l'urgenza dei cambiamenti necessari, ma anche la fiducia nelle strutture di fondo del nostro Paese e, quindi, nella sua capacità di invertire la tendenza al degrado e alla deindustrializzazione degli ultimi tre anni. L'Italia ha una struttura industriale diffusa su larga parte del suo territorio, ben inserita in un contesto urbano e agricolo ove secoli di storia e di modernità successive hanno costruito un impasto di cultura e di vita civile unico al mondo; la forza di lavoro è di livello elevato; abbiamo imprese conosciute in tutto il mondo e siamo fra i maggiori esportatori.
Soffriamo, oggi, di una perdita di competitività, ove crisi settoriali, comuni a tutto il mondo industriale, si sovrappongono a una dinamica inflazionistica unica tra i grandi Paesi industrializzati. Questa anomalia può essere corretta. L'inflazione può essere domata se si spezzano quei due meccanismi perversi che isolano il nostro Paese dal mercato europeo, rendendo possibili comportamenti inflazionistici. Tali meccanismi sono: le indicizzazioni che proteggono molti sul piano individuale, ma non proteggono il Paese nel suo insieme da una progressiva e inesorabile deindustrializzazione e, quindi, pubblicizzazione.
Nei mesi scorsi sono stati fatti alcuni passi importanti verso il superamento di questi due meccanismi perversi. A Maastricht il nostro Paese ha contribuito a definire regole di riequilibrio capaci di costruire entro questo decennio l'Unione monetaria e politica europea. E' significativo che sia spettato proprio a una persona come Guido Carli il compito di mettere gli ultimi mattoni a quest'opera.
Carli partecipò sin dagli inizi all'avventura europea: un'avventura unica nella storia del mondo, perché essa rappresenta la costruzione di Un grande Paese "dal basso", ossia dalle nazioni che lo compongono, e non "dall'alto", come troppo spesso è stato nel passato, quando guerre tragiche e sanguinose rivoluzioni avevano finito per dar luogo a Paesi ed imperi ove vincitori e vinti fossero costretti a vivere assieme, con le conseguenze che ancor oggi vediamo in termini di risorgenti nazionalismi.
Un'Europa costruita dal basso è certamente un'operazione più lenta e più confusa di un'Europa autoritariamente imposta da un vincitore. Ma è anche un'Europa senza vinti, ove ogni Paese e ogni cittadino accettano di partecipare perché ne condividono gli obiettivi e le regole. In questa Europa sono state indicate regole di comportamento per la finanza pubblica che non costituiranno più obiettivi nazionali di fantomatici piani di rientro, bensì condizioni necessarie per partecipare all'Unione monetaria. Gli statuti europei elaborati a Maastricht nella notte tra il 10 e l'11 dicembre 1991 costituiscono la base per un risanamento della finanza pubblica italiana e, quindi, per una rottura del primo dei meccanismi perversi che generano l'anomalia italiana.
Intanto, le parti sociali e il governo hanno convenuto il 10 dicembre 1991 di affrontare il secondo dei meccanismi perversi che paralizzano il nostro Paese: l'indicizzazione. Il protocollo d'intesa firmato dai sindacati, dal governo e dalla Confindustria non è un semplice rinvio di un difficile confronto. Esso rappresenta una scommessa di alto valore che, al tempo stesso, è un atto di fiducia reciproco sul quale occorre basare nuove relazioni industriali.
Confermando la scadenza al 31 dicembre '91 della scala mobile e l'impegno a non presentare impegni legislativi, si è convenuto di superare questo meccanismo di indicizzazione e di affidare alle parti il ruolo della contrattazione della formazione dei redditi. Per un Paese che ha vissuto di garanzie predefinite questa è una vera rivoluzione: significa passare da un sistema ove la tutela dei salari contro l'inflazione era affidata a meccanismi espliciti o impliciti di indicizzazione, a un sistema ove tale tutela è affidata ai comportamenti non inflazionistici delle parti: in altre parole, a un sistema ove i salari reali sono garantiti da comportamenti che conducono a una bassa inflazione e non già da meccanismi che garantiscono la crescita di redditi nominali.
Riusciremo a vincere questa scommessa? Le premesse ci sono tutte. Il cambio stabile della lira costringe l'industria a praticare prezzi europei, con una dinamica che ormai da due anni non eccede il tre per cento. Il governo ha preso l'impegno di contenere la crescita delle tariffe e dei prezzi amministrati al di sotto dell'inflazione programmata (4,5% nel 1992 e 4% nel 1993). La parziale fiscalizzazione degli oneri sanitari, l'eliminazione dell'aumento dei contributi sui lavoratori e la loro trasformazione in addizionale Irpef rappresentano il segno di un passaggio da una tassazione sui costi di produzione a una tassazione sui redditi, con minori ripercussioni inflazionistiche. L'assenza della scala mobile assicurerà l'isolamento di eventuali residui comportamenti inflazionistici da parte di settori protetti, evitando di precipitare il Paese in una rincorsa prezzi-salari dai riflessi destabilizzanti.
Una prova della possibilità di riuscita di questa scommessa la fornisce la previsione del Centro Studi Confindustria. Senza scala mobile, l'economia italiana conoscerà nel 1992 e nel 1993 un deciso abbassamento dell'inflazione e i salari reali saranno difesi proprio grazie a tale riduzione dell'inflazione. Che probabilità ci sono che questa previsione si avveri? In primo luogo, occorre sottolineare che non si tratta di una previsione stravagante, posto che altri esercizi previsionali confermano la possibilità di un tale scenario, come ad esempio la recente previsione di Prometeia sta a dimostrare. In secondo luogo, occorre dare atto che in tema di previsione il Centro Studi Confindustria è l'unico ad aver dato i "numeri giusti" sin dalla fine dell'anno scorso, quando annunciò una crescita nel '91 di circa l'1%, attirando su se stesso (e sulla mia persona) non pochi risentimenti, oggi rientrati per l'evidenza della ragione.
Certo, non basta una sola condizione, pur importante, come il blocco della scala mobile, per assicurare tutti i risultati. Occorrono anche comportamenti coerenti nelle varie sedi contrattuali e politiche accorte di spesa pubblica, ciò che significa dar veramente luogo al contenimento della crescita dei salari pubblici.

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