§ Deficit e crisi politica

Sono altri tempi




Flavio Albini



C'è un dibattito a lunga distanza fra due dei più eminenti studiosi francesi, Alexis de Tocqueville e Fernand Braudel, che può recare qualche luce nell'interpretare la presente situazione italiana. Tocqueville, alla Camera francese, pronunciò nel gennaio 1848 un memorabile discorso, in cui prevedeva il moto rivoluzionario che di lì a pochi giorni avrebbe spazzato via la monarchia di Luigi Filippo. Egli si domandava, in particolare, quale fosse "la causa reale, la causa efficiente che fa perdere agli uomini il potere". E rispondeva seccamente: "E' il fatto che essi sono diventati indegni di tenerlo". Perché dopo la rivoluzione dell'89 - domandava - è caduta l'antica monarchia? "Credete che sia stato per qualche accidente particolare? No, signori, la ragione è un'altra: la classe che governava era diventata, per la suo indifferenza, per il suo egoismo, per i suoi vizi, incapace e indegna di governare. Ecco la vera ragione".
Fu un discorso accolto, ricorda Tocqueville, do riso di scherno. Pure, meno di un mese dopo. la monarchia era già caduta. E ognuno vede, mutate le cose da mutare, come si posso essere tentati di adattare questo schema interpretativo alla condizione odierna del nostro Paese, in cui per tanti versi la nostra classe politica pecca di mali anche più gravi di quelli denunciati dal grande francese. Alcuni autorevoli commentatori politici, anzi, si fanno tentare con entusiasmo.
Tuttavia, a distanza di oltre un secolo. Braudel, ripubblicando i "Ricordi" di Tocqueville, correggeva largamente la sua analisi ("non
fosse che perché oggi siamo più esigenti per quanto riguarda la spiegazione economica e sociologica"). E ripercorreva sommariamente la crisi" economica francese del 1846-'47 il raccolta dei cereali cattivo; i prezzi saliti del 100 e del 150 per cento, la crisi della produzione tessile, delle miniere, della siderurgia; i salari operai caduti e la disoccupazione più grave. "L'ondata degli alti prezzi si è abbattuta sul paese come un'inondazione e si è lasciata alle spalle una popolazione di sinistrati, priva di risparmi ( ... ). La crisi investe violentemente il credito; il programma delle ferrovie viene sospeso; si aggiornano i lavori pubblici. Questa crisi multiforme, e al tempo stesso vecchia e nuova, è stata evidentemente la premesso della rivoluzione".
E' facile intendere, anche in questo caso. quante siano le assonanze con la nostra situazione; e vedere come, mutate anche qui le cose da mutare, l'Italia corra il rischio di andare verso uno stato di crisi che integra il fenomeno economico e sociologico sottolineato da Braudel.
In altri termini, noi constatiamo oggi una crisi profonda della sovrastruttura politica, del tipo di quella denunciata dall'anatema di Tacqueville. E se molti inclinano a ritenere che ciò porterà a un grande sconvolgimento dei nostro sistema, anzi alla sua caduto, si può osservare che trasformazioni sono, sì, ben prevedibili; ma che la reazione generata dal malgoverno e dalla crisi morale ha tuttavia dimensioni ancora limitate.
La reazione si manifesta infatti, geograficamente, in un'area ben definita del Paese (le regioni ricche dei Nord); e muove, socialmente, una classe limitata (la borghesia produttiva di livello medio e medio-basso di quell'area). Non è ancora attaccato, invece, il "corpo" della nazione: perché la crisi economica e sociale serpeggia, si profila, genera momenti di difficoltà, ma non si è manifestato (ancora) né in dimensione ampia né in termini univoci. Non c'è, in altre parole, un Paese intero colpito da Fenomeni massicci di inflazione, disoccupazione, caduta di reddito, crisi sociale. Non c'è Weimar e non c'è l'Algeria. E dunque sembra difficile sostenere che si sono già oggi create le condizioni complessive per il rovesciamento radicale del sistema polifico e istituzionale.
Si possono creare queste condizioni complessive attraverso l'esplosione della crisi finanziaria ed economica, in sovraccarico alla crisi istituzionale e morale? Certamente. Si possono creare presto? E' questa l'ansiosa domanda cui risponderò, in definitiva, la soluzione della crisi italiana; che non è, evidentemente, una crisi di tipo normale, ma è un vero e proprio tornante di svolta della situazione. Al fondo dell'intervento del Governatore, a leggerlo in controluce, si poteva intravedere sotto il manto tecnico quasi un'angoscia: il tempo dell'inazione è scaduto. Sentimenti analoghi esprimono, in altro modo, ambienti sociali e intellettuali assai rilevanti: incidere urgentemente sui fattori di carattere istituzionale e morale. E' di per sé evidente che le riforme istituzionali non sono più rinviabili. Ciampi ha aggiunto: non sono più rinviabili neppure gli interventi economico-finanziari.
Questo sembra il retroterra delle decisioni che il presidente della Repubblica assumerà nella sua autonomia. E si profila intera la responsabilità di quel che rimane della classe politica e dei partiti. Soprattutto perché - nella temperie che si è creato in Europa, e nella specifica condizione psicologica, economica, di criminalità, di vuoto, che in Italia si è consolidata - al termine di un processo esplosivo complesso non starebbe più soltanto la caduto di un sistema politico e la nascita di un altro, ma qualcosa di molto, molto più grave. Starebbe, cioè, la rottura dell'unità nazionale: inevitabile conclusione dei processo di dissoluzione morale, politica, economica e sociale in cui il Paese potrebbe precipitare. Questa è ormai la vera posta in gioco della crisi italiana, ed è sperabile che gli uomini e i partiti non siano tanto prigionieri dei loro interessi e delle loro visioni da non accorgersene, e da non trame le conseguenze con nuovo senso di responsabilità.

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000