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L'itinerario pittorico di Cosimo Sponziello
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La strada del timo e del pettirosso |
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Antonio
Lucio Giannone
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Cosimo
Sponziello appartiene a quella generazione di pittori e scultori salentini
che si sono imposti all'attenzione di critica e pubblico nell'immediato
dopoguerra e hanno continuato validamente ad operare, in taluni casi,
fino ai nostri giorni. Ma, a differenza di altri esponenti di quella
generazione, Sponziello ha svolto solo una parte della sua attività
nel Salento, essendo vissuto per un lungo periodo, assai intenso e produttivo
dal lato artistico, a Milano. Tuttavia egli fece in tempo a partecipare
a quel fervido moto di rinnovamento che caratterizzò le arti
e le lettere pugliesi tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni
Cinquanta (1). Di quell'esaltante stagione fu anzi uno dei protagonisti
accanto a Nino Della Notte, Aldo Calò, Lino Paolo Suppressa.,
Luigi Gabrieli e agli scrittori Vittorio Bodini, Vittorio Pagano, Luciano
De Rosa, con i quali quegli artisti sono stati legati spesso da intensi
sodalizi.
Nato a Tuglie (Lecce) nel 1915 da padre salentino e madre lombarda, Sponziello, dopo essersi dedicato per un certo periodo all'attività di fotografo, nel 1941 si iscrive alla Scuola degli Artefici di Milano, dove viene ammesso direttamente al terzo anno. Qui ha come insegnante Gino Moro, esponente di spicco del postimpressionismo lombardo, il cui studio frequenterà assiduamente anche in seguito. Tornato in Puglia nel '43, l'anno seguente consegue, presentandosi da privatista, il diploma di licenza della Scuola d'Arte "G. Pellegrino" di Lecce. In questo periodo ha la ventura di conoscere Vincenzo Ciardo, che insegnava all'Accademia di Belle Arti di Napoli e che aveva l'abitudine di trascorrere le vacanze estive a Gagliano, suo paese natio. Ciardo, che diventa subito un punto di riferimento indispensabile per Sponziello, gli fa scoprire "la vera poesia" del Salento, "terra di incanti che trasuda ovunque memorie elleniche, con le sue rocce, le sue pietre, i suoi ulivi d'argento" (2). D'ora in avanti il paesaggio salentino diventa il soggetto preferito delle tele di Sponziello, che ancora oggi, a più di quarant'anni di distanza, non si stanca di ritornare sullo stesso motivo, attratto forse dal suo mistero, dalla sua segreta verità. Sul pittore di Tuglie influiscono dunque, da un lato, la lezione di Moro, di Arturo Tosi, dei postimpressionismo e del tonalismo lombardo, dall'altro quella di Ciardo, del suo espressionismo, del "suo modo di dipingere a pennellate vigorose e piene, a virgola, quasi di tipo vangoghiano"(3). Il rapporto con Ciardo, sempre "improntato a viva cordalità" e "non solo produttivo sul piano artistico ma anche su quello dell'esperienza umana" (4) è stato accuratamente ricostruito di recente da Luigi Scorrano, anche attraverso le lettere che il maestro inviò al suo discepolo. Fu proprio Ciardo, in occasione della mostra personale di Sponziello, tenutasi al Circolo Cittadino di Lecce dal 6 al 21 marzo del 1947, a presentarlo in catalogo con uno scritto nel quale, dopo aver rievocato il momento in cui lo aveva conosciuto, metteva in rilievo la capacità del giovane artista di cogliere nelle sue opere "l'essenziale" del paesaggio pugliese, "sia nel senso formale, che in quello poetico". Non sempre - continuava Ciardo - si avverte nelle sue opere la saldatura dei due obiettivi, anzi spesso il sentimento va più lontano di quanto non lo consenta il mezzo tecnico. Ma è notevole in ogni lavoro - e questa esposizione ne è buona testimonianza - l'impegno di realizzare con chiarezza discorsiva il proprio mondo, un po' trasognato e malinconico (5). Pubblicò una recensione di quella mostra, sul settimanale leccese "Libera Voce", il pittore Lino Paolo Suppressa, il quale, dimostrando anche in questa occasione il suo notevole acume critico, collocava giustamente la produzione artistica di Sponziello "nell'ambito di una esperienza impressionistica lombarda quasi perfettamente individualizzata". Resta ad ogni modo - precisava Suppressa - all'indagine critica un che di primitivo, di semplice ed intima disposizione creativa che conserva pur attraverso quegli elementi che gli si offrono apertamente. Ciardo [ ... ] crediamo sia quello che abbia potuto suggerirgli il sentimento poetico, dolce, soffuso di malinconia che ha il nostro paesaggio nel suo aspetto esteriore6. E concludeva la
nota sostenendo che "Sponziello ècertamente un pittore
di talento", anche se "ancora allo stato di ricerca, di
individuazione del proprio mondo".
Se ringhiasse il cane tieni ben stretta la catena: non lasciartelo sfuggire. Se poi ti porterai scalzo ai piedi dell'ulivo, sacro quanto quello di Getsemani, abbraccialo da parte mia, quasi fosse creatura umana; volgiti poi all'orizzonte e grida forte la nostra fede nella pittura. Nelle lettere degli anni successivi i due amici si scambiano informazioni relative a mostre e a manifestazioni alle quali partecipare o da seguire. In quella del 16 aprile 1952, ad esempio, Suppressa chiede a Sponziello, che s'era recato a Milano, ragguagli su un'importante mostra di Van Gogh: Bene! t'invidio, invidio i tuoi periodici viaggi nel nord. Hai visto la mostra di Vincent? il grande Vincent; credo che dovesse contenere pezzi importanti, mi sarebbe proprio piaciuto ammirare il "caffè di notte" e i paesaggi. E più avanti, quasi confessandosi: Sto lavorando; lavoro; e come possiamo farne a meno? Magari! si vivrebbe più tranquilli. Ma sono sempre tanto scontento e sempre incerto: non so nemmeno io che cosa m'accade per stabilire l'equilibrio. Quando nel 1953 Sponziello si trasferisce definitivamente nel capoluogo lombardo, il pittore leccese rievoca con un certo rimpianto il periodo passato insieme: Tanto mi ha fatto piacere sentirti a Monza a insegnare: tu sei tanto buono e anche bravo che avrai sempre fortuna! E' per me un dispiacere saperti lontano ... irraggiungibile; perché la schiera dei miei veri amici si è tanto assottigliata da non vederne più? [lettera del 4 dicembre 1953]. In una lettera del 27 maggio '56 Suppressa informa invece l'amico di una mostra di Ciardo tenutasi a Lecce, rivelando ancora apertamente certi aspetti del suo lavoro, di notevole interesse anche ai fini della ricostruzione della sua vicenda artistica (7): Come sai il Maestro tenne una mostra personale a Lecce (andò tutto, ti dico tutto a ruba) e io potetti informarmi e confermarmi compiutamente sulla sua elevata opera. Non mi è stato difficile quindi (certo le mie doti critiche sono modeste) vedere dentro la sua opera e scriverne come ho potuto. Sono stato compensato dal fatto che il Maestro l'ha gradito e l'ha trovato azzeccato. Sono contento che il tuo lavoro proceda bene e felice di sentire che la tua opera viene apprezzata. lo pure in questi ultimi tempi credo di aver fatto un lavoro conclusivo (ho disegnato moltissimo; il disegno per me è tutto; ho disegnato tanto e ti dico anche bene, ora mi resta di realizzare con il colore quello che so fare con il disegno) e mi auguro che mi convinca: che il mio lavoro convinca me. Solo poche volte ho potuto credere di avere raggiunto qualcosa ma poi l'inquietudine mi ha ripreso e sono tornato più scontento e indeciso di prima. Forse, accidenti! non avrei dovuto leggere troppo, informarmi troppo. E' per questo che la lezione di Ciardo intesa come coerenza, serenità, tenacia, volontà creativa mi sta giovando. Chissà che non capisca pure io che bisogna aver fiducia e credere nel miglioramento del proprio lavoro. Ho quindi tanto da lavorare, ma se riesco a trovare la chiave di quello che ho chiuso dentro, allora... Per questo anno limito la mia partecipazione a mostre solo a quelle di Bari e Francavilla; ma se il lavoro va bene e riuscirò a dipingere con la disinvoltura e persuasione con la quale disegno mi muoverò lesto e come se avessi le ali. In un'altra ancora, risalente al giugno 1958, descrive a Sponziello, un po' polemicamente, l'ambiente artistico leccese, esprimendo giudizi piuttosto severi sui pittori più giovani: Tu adesso vorresti sapere notizie artistiche di quaggiù, di Lecce. Ahimé! non posso dartene di buone. A Lecce non c'è un gruppo di artisti, un circolo culturale, una équipe di individui aventi interessi comuni. Sono rimasto solo a battermi. C'è una pletora di giovincelli unicamente smaniosi di mostrarsi e di farsi aprire le mostre da Eccellenze, Prefetti, Senatori e onorevoli. Ma, a mio modesto parere, neppure uno che dia affidamento. Noi oramai (non siamo più tanto giovani) possiamo pure esprimere qualche giudizio: oltreché la passione per la pittura, c'è l'esperienza dell'età.
Negli anni successivi
i due pittori continuano a restare in contatto, anche se diminuiscono
sempre più le occasioni di incontro, limitate di solito ai
mesi estivi.
Paesaggi d'aperta campagna, laghi, costruzioni, case viste attraverso una trama sottile di verdi e di impareggiabili grigi, prati e boschi, ove il modulo costruttivo che sta alla base dell'opera è ripetuto ed esaltato in serie di fondi e di finestre scure che hanno il ruolo di suscitare idee, sentori d'ombra ... (20). Ancora un'altra personale, nel 1966, alla "Galleria della Torre" di Bergamo con una quarantina di dipinti, tra cui paesaggi, che ritraevano angoli delle Cinque Terre, marine, fiori, oltre a due autoritratti di diverse epoche. Due recensori della mostra, in quell'occasione, mettevano in relazione, molto acutamente, le opere di Sponziello con l'arte musicale. Angelo Geddo così scriveva, ad esempio, sul "Giornale di Bergamo": In termini poetici, Sponziello raccomanda le forme aperte, e vi intercala cesure di piacevole effetto; in termini musicali, le stesse cesure corrispondono a sospensioni della linea melodica, suggerite dalla natura della melodia. Ha, insomma, il pregio di non stancare, quantunque non tema di ripetersi, e di correre sul binario di una quasi monocromia. Verrebbe voglia di cercare dei rossi cupi, dei gialli intensi, forse anche dei neri pesanti. Nessuna concessione alla veemenza: tutto accordato ed equilibrato in una eccezionale unità di stile (21). Anche Umberto Ronchi su ''L'ECO di Bergamo" notava che
la pittura di Cosimo Sponziello, osservata e pensata nei suoi valori musicali e poetici, tende più alla sinfonia per l'armonizzazione degli accordi, che non alla trascinatrice esplosione lirica. E' una pittura fatta di delicatezze raffinate, in cui si avverte una poetica fatta di sogni, di visioni appena intraviste attraverso velature e trasparenze che danno alla realtà di una figura, di una marina, di un paesaggio, di un fiore una misticità ed una lievità squisitamente musicali e tutto ciò nell'insistere di un tono e di una nota cromatica elegantemente giuocata sui grigi, ora perlacei, ora plumbei, ora serici, ora appena appena rotti da folgorazioni di sole o da bagliori temporaleschi (22). Negli anni seguenti
Sponziello ha proseguito la sua attività, conseguendo importanti
premi e riconoscimenti. Ne ricordiamo soltanto qualcuno: premio Comune
di Castelleone (1960), 1° premio "Valli Bergamasche"
(Milano 1962), medaglia d'oro "Colori della Lunigiana" (Sarzana
1964), 1° premio al "Premio Menaggio" di pittura (1965),
medaglia d'oro del Comune di Milano alla Mostra nazionale "Il
nostro Po" (1969). Numerose sono state anche le sue partecipazioni
a collettive e manifestazioni artistiche di rilievo, quali i Premi
Suzzara (1960, '61) e Campione d'Italia (1961, '64), la Mostra d'arte
sacra "Angelicum" di Milano e la Biennale di Verona (1963),
i Premi di pittura "Il nostro Po" (1969, '71, '73). Sono
proseguite anche le personali: a Legnano, Galleria "La Cornice"
(1974), a Milano, Galleria Borromeo (1976), e a Tuglie, presso l'Aula
Consiliare (1983), una mostra organizzata in suo onore dal Comune
di nascita, dove presentò una piccola antologica, con opere
dal 1951 all'82.
Per mio conto io vedo i paesaggi e le nature morte di Sponziello come un nostalgico ripensamento della stagione felice del postimpressionismo, un'idea del passato, quando le spiagge erano libere, dilatate in profonde lontananze, inserita in una dolce ma rassegnata coscienza del presente, sempre ispirato dalle sue fonti primarie del Salento. Io mi ricordo di quando la faccia chiara e bonaria di Vincenzo Ciardo si animava nella descrizione degli uliveti, dei muretti bassi, delle pietre raccolte in cippi, del celeste degli ulivi e del rossiccio delle terre del suo Salento. Ebbene, quando vedo i dipinti di Sponziello ho l'impressione che egli abbia concentrato la lezione del suo Maestro adornandola di un velo, il velo che il tempo distende dilatando nella memoria le cose viste e godute verso un avvenire di pace e di ascolto. Vorrei definire Sponziello come un romantico del postimpressionismo vibrante di Ciardo, del fauvismo delicato, signorile di Gino Moro, il terzo in cotanto senno (23). L'ultima apparizione del pittore salentino risale all'estate del 1991, allorché nei locali della Biblioteca comunale di Tuglie, dall'8 al 23 agosto, ha tenuto una limitata, ma preziosa esposizione di opere recenti: una ventina tra paesaggi, fiori e ritratti, riproposti spesso con lievissime 'variazioni', che seguono la linea di ritmi sempre più interiorizzati, sganciati quasi completamente dalla realtà esterna. Il soggetto, infatti, è ormai poco più di un pretesto per una raffinata ricerca del colore, del colore-luce, che scaturisce dall'interno dei dipinti, i quali, sotto un'apparente monocromia, rivelano invece una sorprendente ricchezza di toni, di impasti, di materia. Anche i paesaggi salentini, privati del tutto degli elementi accessori, decorativi, descrittivi, si sono come smaterializzati e sono diventati ormai puri luoghi mentali, paesaggi dell'anima, evocati da Sponziello ogni volta con intensa, irripetibile emozione.
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