§ Edoardo / 2

Lecce isola maledetta




Ennio Bonea



Fedele alla sua etica, cioè alla condotta che aveva delineato la sua esistenza nella condotta della sua vita e coerente nei suoi comportamenti abituali, Edoardo De Candia è scomparso, come sempre, senza dare notizia di sé, senza dire dove andava né quanto sarebbe mancato!
Ma questa volta, non lo rivedremo più.
Era una morte preannunciata, come quella del personaggio marquesiano a cui egli somigliava, nel suo disordinato ordine mentale, nel suo fatalismo senza resistenze e ribellioni, nel suo sopravvivere ogni giorno, vivendo, nelle privazioni e nell'indigenza, come un ricco scialacquatore.
Un personaggio romanzesco, di quelli che si ritrovano nei fermentati e colorati racconti di Jorge Amado, perseguitati dalla sorte ma felici di vivere, emarginati dal consesso civile conformista, ma incuranti del disprezzo classista, liberi di essere se stessi, inesauribili nel ritrovare ogni filo di sopravvivenza senza condizionamenti, mai disposti ad un compromesso di comodo, liberi nei pensieri e nella parola.
Avrebbe potuto essere un grande protagonista di films, bello e ben modellato com'era, da giovane, ma egli avrebbe dovuto anche essere il regista e lo sceneggiatore della pellicola; non concedeva a nessun altro la delega della guida a se stesso, come non consentiva a nessuno che programmasse o indirizzasse la sua vita.
Questo era l'uomo che, felicemente, consumava la sua forza vitale in una contesa continua con l'alcool, mai ritenuto suo nemico, né perfido consigliere, bensì generatore di sensazioni più coinvolgenti di quelle che le donne, pure amate da lui, potevano offrire.
Era una morte preannunciata la sua, a cinquantanove anni, se n'è andato eroso dalla cirrosi e rattristato, tuttavia, dal distacco dal mondo se, come mi diceva Antonio L. Verri, che sino alla fine gli è stato vicino, sembrava lottare con la "comare secca" che lo stava ghermendo.
Questo era l'uomo Edoardo, un anarchico sognatore di una esistenza senza vincoli e senza violenze che il perbenismo ipocrita della provincia si guardava bene dall'accettare, ma al tempo stesso, specie in questi ultimi tempi quando girava, non inquieto né assillante, con un rotolo di disegni scarabocchiati in fretta, pronto a comprare i suoi disegni, per decine di migliaia di lire, con la speranza di una speculazione presto futura a morte avvenuta. E' ben triste dovere ammettere questa verità, e non paia cinismo il dichiararlo in un momento in cui egli non è più l'uomo consumato e annientato dal male.
Ma resta il pittore sul quale si dovrà tornare a parlare per liberarlo di tante contraffazioni che egli stesso ha operato contro di sé.
Si dovrà ripercorrere tutto il suo viaggio d'artista, prescindendo dall'uomo; non si vuole giungere a sproporzioni comparative di cattivo gusto, ma soltanto rendere evidente la storia tormentata dell'artista, parlando di una sorte smagliante oggi quanto fu oscura alla sua scomparsa, quella di Amedeo Modigliani.
Certo, oltre alla diversità di stile, di contatti, di risonanza, c'è la distanza geografica di questa città provinciale dai centri di dibattito e di analisi, che già hanno patito tanti nostri artisti, poeti, pittori: il primo invalicabile "handicap'' per chi riesca ad essere creativo in questa latitudine. Ma è indubbio che dovrà farsi anche una radicale pulizia di tanta produzione funzionale al "campari soda" che seguiva, quasi subito, la cessione del foglio "imbrattato".
Si dovrà riandare indietro di venti, trent'anni, quando Edoardo dopo la temporanea migrazione in Gran Bretagna, in Francia, tornato nella sua "maledetta" Lecce, stentò a vivere la sua amata "bohème", quando sembrò essere imbrigliato dal mecenatismo generoso e affettuoso di Fernando Guglielmi.
Credo sia stato quello il momento più regolare, meglio, meno irregolare, della sua produzione su tela, che dovrà essere ritrovata, catalogata, studiata e valutata. E' il momento delle marine, un fantastico viaggio di colori e d'inventiva tratta dalla trasfigurazione di una realtà che più tardi venne soppiantata, quando Guglielmi non riuscì nel suo intento, dalla figurazione femminile e dai nudi prosperosi e dal disegno fulmineo alla Matisse. Seguì il periodo del S. Cataldo surreale, con le cabine senza pareti ed il mare debordava nel vuoto che delimitava i grandi fogli di disegno su cui Edoardo spandeva i suoi acquerelli.
Sarà il suo temperamento a spiegare, forse con partecipazione dei medici che lo avevano in cura, il momento del suo erotismo surreale, con i colori sgargianti di solarità interiore, che sottendeva al geometrismo fallo-vaginico delle composizioni che definirei "ospedaliere".
E dovranno anche ricercarsi, perché più dispersi, i suoi disegni erotici che potrebbero essere messi a fianco, senza sfigurare e senza pretesa di "grandismo", di quelli di Picasso, non sul piano dello stile, non comparabile, ma della efficacia in resa artistica. Ora, la strada di Edoardo non è più quella di sua scelta, ma quella che tracceranno i suoi estimatori. Se ci saranno.

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