§ Rivoluzioni musicali

Da Wagner a Umberto Giordano (4)




Sergio Bello



Si è parlato di tre vie percorse dal Teatro in Musica, una tracciata da Verdi, l'altra da Wagner, tra i due Bizet.
Si è trattato di quest'ultimo a proposito della Francia, come si è parlato del peso che ha avuto Verdi, nell'ambito della cultura non solo musicale italiana.
Non si è parlato ancora, invece, della Germania e dunque di Wagner; eppure, a ben guardare, Wagner è stato spesso chiamato in causa; a proposito di Bizet, anche se per contrapposizione; a proposito della 'Giovane Scuola' verista, dal compositore tedesco influenzata come pure lo è stata da simbolismo ed impressionismo; e, a proposito di influenza, non sarebbe stato fuori luogo citarlo anche per Giuseppe Verdi, che si dimostrò tutt'altro che insensibile all'ascolto dei lavori del tedesco.
Ed in effetti la tendenza a parlare di Wagner a proposito di..., piuttosto che di Wagner a proposito di Wagner, dà forse la misura di quanto peso abbia avuto la ricerca compositiva del musicista di Lipsia sul lavoro creativo dei contemporanei e delle generazioni a seguire, di quanto dirompente sia stato l'effetto sull'ascoltatore dell'ascolto delle opere wagneriane dal Tannbäuser in avanti. Infatti, se ad esempio i mezzi compositivi adoperati da Verdi si potevano senz'altro definire attuali in quanto questi piegava con naturalezza estrema strutture formali oramai perfettamente consolidate dalla tradizione a tutto vantaggio delle proprie esigenze espressive, i mezzi compositivi adoperati da Wagner si diranno innovativi, piuttosto, ma saranno anche espressione di uno 'stadio terminale' dell'arte musicale basata sui materiali armonici e strutturali forniti dalla tradizione classica.
Tecniche quali la modulazione continua, la melodia infinita, il contrappunto timbrico, altro non sono se non l'estrema esasperazione di quei mezzi.
Sarà infatti a partire da Wagner che prenderanno le mosse nuove forme e nuove tecniche compositive, forme e tecniche che caratterizzeranno la ricerca creativa del Novecento al suo nascere: Wagner, insomma, come linea di demarcazione, vero e proprio confine tra il ben noto continente dell'armonia tonale e i territori sconosciuti del politonalismo, dell'atonalismo e oltre.
Parallelamente, in Russia, il gruppo dei cinque, composto da Dargomyski, Balakiroff, Cui, Rimski-Korsakoff e Mussorgski, lavorava alla riforma dell'opera russa sulla scia del lascito culturale di Glinka, fondatore e guida spirituale del movimento nazionalistico russo.
Franco Abbiati, nella sua Storia della Musica riassume in tre punti - o meglio, in tre tesi - i risultati delle speculazioni dei cinque:
1) la scuola neorussa esige dal melodramma, oltre che dalla sinfonia, che sia assolutamente "musicale";
2) la musica vocale, sulla scena, deve corrispondere esattamente al significato del testo;
3) le forme del melodramma non devono mai dipendere dalle forme create dalla routine, ma devono generarsi liberamente dalla situazione drammatica e dalle esigenze del testo.
Lo stesso Abbiati, una volta esposte le tre tesi, fa puntualmente notare come i compositori russi non siano giunti né più né meno alle conclusioni di Wagner; ed a queste conclusioni sono giunti senza conoscere Wagner e senza essere entrati in contatto con l'opera wagneriana: in perfetta indipendenza dunque e, aggiungeremo noi, anche con un certo tempismo.
Questi, dunque, i tragitti, le strade maestre tracciate dal teatro in musica: fino al chiudersi del diciannovesimo secolo con, a ben guardare, l'eccezione tutta italiana del verismo, e non a caso.
Aver insinuato, un po' piratescamente, un lembo di teatro musicale italiano del primo Novecento ci consente di chiudere questo ciclo di articoli con una concisa, embrionale monografia relativa al sempre citato e mai trattato Umberto Giordano: monografia un poco controcorrente, vista la tendenza attuale -sempre latente e quasi sempre emergente nell'ambito operistico - di dare ampio spazio ad agiografie sugli interpreti piuttosto che a studi sui compositori che non siano i soliti noti.
Impresa non di poco conto è documentarsi oltre una certa misura su Giordano: pubblicazioni di scarsa utilità - oltre che datate - risalgono a celebrazioni tenute a Foggia dedicate al compositore, ma non contengono molto più delle date e dei voti degli esami sostenuti al Conservatorio, oltre ad un minimo carteggio epistolare. Del 1968 è una monografia curata da M. Morini: dopodiché il silenzio, o quasi. Quanto esposto ci dà una idea abbastanza fedele della fortuna goduta da Giordano in qualità di autore; ed infatti, nelle storie della musica, sebbene d'obbligo, la citazione pura e semplice nell'ambito della 'Scuola verista', raramente è condita di notizie più specifiche sulla attività del compositore, e quando lo è, spetta all'Andrea Chénier, opera composta nel 1896, il compito di sintetizzare la produzione musicale di Giordano, a dispetto di un - se non vasto - quanto meno vario catalogo.
Sorge a questo punto spontaneo il dubbio circa le sorti dell'autore foggiano se non avesse composto l'Andrea Chénier.
Si è già detto di quanto in realtà sia una soluzione di comodo accomunare sotto il vessillo del verismo gli autori che operarono all'inizio del secolo, per l'eterogeneità di suggestioni e tendenze che in realtà contraddistingue il percorso artistico dei singoli autori, per sovrammercato afflitti dall'ingombrante figura di Puccini, figura tanto più ingombrante proprio in quanto assimilata all'idea di caposcuola di una scuola - appunto - in larga misura fittizia.
Giordano non sfugge alla regola, ma anzi si propone come esempio di compositore di per sé stesso proteso verso suggestioni e tendenze le più varie, stagliandosi nettamente - per contrasto - con la ben più radicata propensione all'affinamento per gradi successivi di strutture e modi compositivi adottati a monte dell'itinerario artistico.
Su questo peculiare aspetto del fare compositivo di Umberto Giordano sono in pochi a soffermarsi, forse per una spontanea insofferenza verso i voli pindarici, ai quali spesso si preferisce la perfetta curva balistica tracciata dal percorso compositivo di altri autori.
in genere, infatti, oltre ai dati biografici di rito, il discorso relativo alla figura di Giordano si incentra sul Meccanismo compositivo di cui si avvale l'autore; tale Meccanismo è presto spiegato: marcata separazione tra azione scenica - palco - ed azione musicale - orchestra -, con quest'ultima in funzione di commento alla prima; solitamente - a questo punto - viene fatto scomodare Giuseppe Verdi, chiamato in causa nella veste di autorevole esempio opposto, essendo propenso questo al contrario di quello addirittura a proporre modifiche a testo ed azione scenica a tutto vantaggio della riuscita musicale.
E nell'ottica del Meccanismo trovano giustificazione anche gli insuccessi di Giordano: se è vero - infatti - che il compositore modella la propria musica nel senso del puro commento al testo, quando il libretto è fragile o col venire meno dell'invenzione musicale, questo famoso Meccanismo mostra il fianco e si inceppa inesorabilmente.
Questo ed altri elementi tipici della scrittura di Giordano - quali la costante seppur sempre cangiante tensione musicale, fonte di interesse senza assuefazione, l'uso strategico dell'invenzione musicale, sfoderata regolarmente nel momento culminante dell'azione drammatica, una passionalità ai limiti del trasporto fisico - hanno dato vita a giudizi decisamente ridicoli: proprio a proposito del largamente lodato Andrea Chénier, ad esempio, si parla frequentemente in termini di 'cinica conoscenza dei gusti del pubblico', senza tuttavia ricordare che con quest'opera Giordano si giocava l'ultima possibilità di riscuotere successo di pubblico - non essendo il successo di critica mai venuto meno - e quindi l'ultima possibilità di restare sotto contratto con la casa editrice Sonzogno, e che malgrado ciò il compositore stese su pentagramma un'opera definita dal consigliere musicale di Sonzogno 'irrappresentabile', tanto che fu necessario l'intervento presso l'editore di Mascagni in persona per consentirne la rappresentazione.
Tuttavia, a scanso di facili apologie, piuttosto che tentare di ridimensionare tali radicati giudizi sul pugliese, mi preme mettere in più viva luce ed in un'ottica più favorevole all'autore quel 'pindaricismo' cui accennavo sopra.
Ripercorriamo la produzione operistica di Giordano per sommi capi: con Mala Vita si guadagna l'ingresso nell'entourage verista, per mezzo di una scrittura musicale aperta a grida di pescatori e canti di Piedigrotta e di un libretto fin troppo crudo nel dipingere un aspetto della vita a Napoli; dell'Andrea Chénier si è già detto; Fedora è un isolato - e dunque tanto più interessante - caso di giallo in musica; Siberia trova un Giordano tanto raffinato nel ricreare l'ambientazione russa quanto attento a non tradire i caratteri peculiari dell'opera italiana; in aggiunta, troviamo una concessione all'operetta, con Giove a Pompei, il cui soggetto - steso da Luigi Illica ed Ettore Romagnoli - appare a tutt'oggi - e dunque figuriamoci all'epoca - dirompente, denso com'è di elementi inconsueti (aerostati, lettere fermo posta, imperatrici d'Egitto, telefoni, addirittura una 'dissacrante' e pirotecnica eruzione del Vesuvio).
Come si vede, tale e tanta è la verità costantemente supportata da un livello qualitativo elevato - di situazioni compositive, che appare ben strano il fatto che non se ne tenga conto nell'affrontare l'opera del compositore per un giudizio critico equilibrato.
L'impressione, sempre più viva, è che finché questo autore come pure altri rimarrà legato alla concezione di gregariato che si è sviluppata attorno alla figura di Puccini, difficilmente si potrà delineare un profilo artistico del compositore svincolato da schemi di giudizio critico oramai decisamente datati e dunque, in mancanza di un sostanziale approfondimento dell'analisi dell'opera di Giordano, preconcetti. Il fatto stesso che il grosso dell'opera di Giordano venga regolarmente tagliato fuori dai programmi di teatri a favore dell'Andrea Chénier, la cui fama è oramai - in ragione di tali giudizi - consolidata a discapito del resto della produzione dell'autore foggiano è di per sé motivo sufficiente per riaprire, e riscoprire, questo capitolo della storia della musica.

(4 - Fine)


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