§ Germania / Politiche industriali

Supermarco nasce in fabbrica




Romano Prodi



L'analisi dell'economia tedesca si è limitata in questi ultimi tempi ai soli aspetti monetari e finanziari. Il perché di questo è facilmente spiegato dagli avvenimenti che si susseguono giorno dopo giorno, Il rischio che si corre confinando l'analisi ai soli tassi di interesse e più in generale alla politica monetaria è quello di perdere di vista il quadro generale dell'economia tedesca.
Analizzare l'economia reale della Germania non è importante solo ai fini della completezza dell'analisi, lo è perché è proprio nel campo della produzione industriale che partono a nostro avviso le più consistenti e significative sfide all'economia europea.
E' innegabile che attraverso la sua politica monetaria la Germania voglia oggi dimostrare la propria leadership in campo economico. Essa tuttavia non potrebbe essere in alcun modo esercitata se non fosse sostenuta da un apparato produttivo consistente ed efficiente. Per questo motivo è utile abbandonare le ansie e le preoccupazioni a riguardo della politica monetaria tedesca e concentrarci su ciò che sta alla base della forza economica della Germania. La forza del marco non è infatti altro che il controvalore di una leadership industriale. L'industria tedesca, come dimostrano i dati sulle importazioni della Cee, vanta posizioni preminenti in molti comparti. Sul totale delle importazioni comunitarie, il 17 per cento proviene dalla Germania: si tratta di una quota di gran lunga superiore a quella di qualsiasi altro Paese industrializzato (il 7,5 per cento proviene dagli Stati Uniti, il 5 per cento dal Giappone, che naturalmente risente dei molti contingentamenti tuttora esistenti, il 6,5 per cento dal Regno Unito, il 9,9 per cento dalla Francia, il 7,7 per cento dall'Italia).
L'industria tedesca dispone oggi della più ampia gamma produttiva del mondo e di un gran numero di imprese che dominano singoli, specifici mercati.
Al conseguimento di queste performances contribuiscono fattori istituzionali e oculate politiche di impresa che in questi ultimi anni hanno consentito rapidi ed efficienti processi di ristrutturazione aziendale in quasi tutti i settori industriali.
Il quadro istituzionale e normativo su cui si basa il modello di capitalismo renano è stato più volte analizzato. Ci sembra comunque opportuno ricordare alcuni suoi importanti e peculiari aspetti perché solo attraverso la loro analisi si possono comprendere la struttura dell'industria tedesca e i comportamenti delle imprese.
Il tratto sicuramente più rilevante del sistema economico tedesco è rappresentato dalla particolare natura degli assetti proprietari delle imprese industriali. L'intreccio nel capitale dei grandi gruppi, di banche, di compagnie di assicurazione, di fondi pensione, di autorità locali, fa delle imprese qualcosa che si identifica con il Paese stesso.
Gli azionisti che hanno maggiore peso, al di là della consistenza del pacchetto azionario detenuto, sono indubbiamente le banche. Ad esse è affidato il ruolo di garante della stabilità del sistema, ruolo che assume ancor più importanza in alcuni momenti particolari della vita delle imprese, quali quelli connessi alle ristrutturazioni, ai riassetti strategici e ai passaggi di proprietà. Per citare solo alcuni esempi, basta ricordare il ruolo esercitato dalla Deutsche Bank, in accordo con gli altri principali stakeholder, nella ristrutturazione dei gruppi Aeg, Man, Daimler-Benz, nella realizzazione del polo aerospaziale tedesco e nella difesa della Continental dal tentativo di acquisizione da parte della Pirelli.
Sul versante delle strategie industriali è importante evidenziare la costanza e la tempestività delle azioni di posizionamento sul mercato effettuate dalle imprese tedesche. In questi ultimi anni i gruppi Basf, Bayer, Hoechst, Daimler, Siemens, Volkswagen, ecc., hanno avviato processi di ristrutturazione e riposizionamento strategico basati su massicci investimenti in nuovi impianti e su tagli occupazionali che fanno seriamente pensare che l'unico reale problema dell'economia tedesca in futuro sarà l'inevitabile crescita del tasso di disoccupazione e le conseguenti tensioni sul mercato del lavoro.
Attualmente in Germania ogni operaio lavora solo 1.500 ore l'anno e il tasso di assenteismo è il più elevato del mondo. In aggiunta, il periodo di vacanze dei lavoratori tedeschi è il più lungo, con 42 giorni di ferie l'anno.
Fino al 1990, a compensare questa situazione è stata la produttività del fattore lavoro, molto specializzato e abbastanza flessibile. Nel 1991 però la produttività è cresciuta solo dell'1,9 per cento, mentre nei due anni precedenti era cresciuta mediamente del 5 per cento.
Questa situazione sta seriamente preoccupando le imprese tedesche, che stanno quindi cercando soluzioni al problema sia attraverso il trasferimento di parte delle attività produttive nei Paesi a basso costo del lavoro, in particolar modo quelli Est-europei, sia, come ha fatto di recente la Mercedes, con la realizzazione di nuovi impianti che dovrebbero assicurare notevoli incrementi di produttività.
Il decentramento produttivo nei Paesi dell'Est non è un fenomeno che riguarda solo ed esclusivamente i grandi gruppi industriali. Temendo la sempre più agguerrita concorrenza dei produttori asiatici, molte piccole e medie imprese, le cosiddette Mittelstand, stanno già cominciando a spostare molte attività in Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia, dove si conseguono riduzioni di costo dell'ordine del 35-40 per cento. Si stima che, nell'arco di tre-quattro anni, circa il 20-30 per cento della capacità produttiva tedesca sarà trasferita all'estero.
Al di là degli aspetti connessi alla riorganizzazione della produzione e al miglioramento della produttività, è importante analizzare i mutamenti strategici operati dai grandi gruppi tedeschi. Le strategie delle singole imprese sono state tutte finalizzate a un più consistente controllo del mercato, e ciò è avvenuto non solo attraverso il costante miglioramento del prodotto, ma soprattutto per la continua espansione internazionale. Abbandonando il tradizionale approccio basato solo sulla crescita interna, le imprese tedesche hanno basato le nuove strategie di crescita su un numero sempre più alto di operazioni di acquisizione e di accordi internazionali.
Alcuni attenti analisti si chiedono però se tutto ciò sarà sufficiente a garantire sia la crescita dell'industria tedesca nel lungo periodo sia il benessere della società. L'interrogativo si pone sulla base della considerazione che la forza dell'industria tedesca si fonda su settori tradizionali: meccanica, metalli, chimica. In molti dei cosiddetti settori innovativi (elettronica, biotecnologie, ecc.) l'industria tedesca non vanta punte di particolare eccellenza. Non è detto che la presenza in questi settori sia però necessaria quando si è dominanti in quasi tutti gli altri comparti di attività produttive.
Questi sono i termini dell'attuale dibattito in Germania: potrà l'industria tedesca mantenere la sua forza attraverso la specializzazione nei settori tradizionali, o piuttosto sarà essa sensibilmente ridotta dalla crescente importanza che assumeranno i settori innovativi?

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