§ Mercati finanziari

Un mondo di lucciole




Paul A. Samuelson
Premio Nobel per I Economia



Prima della seconda guerra mondiale, il ciclo economico internazionale era pressoché uniforme. Dopo il 1929, tutti i Paesi, ricchi e poveri, entrarono in una congiuntura negativa e tutti, alla fine degli anni Trenta, avviarono la ripresa.
Dopo il 1945, e per ben tre decenni, il sincronismo globale, in termini di crescita del Prodotto interno lordo, doveva diventare una realtà superata. L'America, infatti, avrebbe registrato un andamento economico negativo nel 1949, nel 1954 e nel 1958, mentre per l'Europa i problemi si sarebbero presentati in tempi diversi. Quanto al Giappone, non è mai entrato in una recessione vera e propria, limitandosi nei peggiori dei casi a registrare un tasso positivo più basso.
Nella mia veste di economista, non posso non giudicare la scomparsa del ciclo economico globale alla stregua di un grosso vantaggio. Ovunque, la virulenza dei cieli economici ha mostrato una tendenza al l'attenuazione: quando, all'epoca della presidenza Eisenhower, l'America entrò in una serie di recessioni, Italia, Germania e Francia si rafforzavano reciprocamente grazie alla nascita del Mercato Comune. Il che, a sua volta, contribuì a smorzare l'entità del declino americano. Morale del discorso: la diversificazione favorisce la stabilità.
Tuttavia, a partire dall'esplosione dei prezzi energetici provocata dall'Opec nel 1973, abbiamo dovuto prendere atto, nostro malgrado, di un parziale ritorno al modello anteguerra di cicli economici nazionali talmente intercollegati da intensificare le perdite secche in termini di benessere economico.
Questo, per quanto riguarda i problemi dell'economia reale, vale a dire produzione, occupazione e profitti, che sono poi quelli che interessano l'uomo della strada. Per quanto riguarda invece i mercati speculativi dei titoli mobiliari, il dopoguerra è stato caratterizzato da fasi alterne strettamente concatenate.
Basti fare un confronto tra il Crollo del 1929 e quello del 1987. A New York, l'entità del tracollo fu più o meno la stessa. Nel giro di ventiquattr'ore, oltre il 25 per cento di ricchezza si dissolse nell'aria. Per le banche, le società e gli investitori che si erano esposti speculando con denaro preso a prestito, il tracollo sarebbe benissimo potuto essere del cento per cento e configurarsi in un vero e proprio fallimento. Voglio dire che in quel famigerato "lunedì nero" del 19 ottobre 1987 ovunque si verificò una valanga di vendite, che si diffuse con la rapidità del lampo da New York a Francoforte, a Singapore, a Tokyo, a Milano, a Londra e a Parigi. Le cose andarono ben diversamente nel 1929 e anche nel 1950.
A questo punto sorge spontanea la domanda: "Perché meravigliarsi? Sull'albero lungo il fiume, diecimila lucciole incominciano ad emettere sprazzi di luce a caso. Ma poi, a poco a poco, in numero sempre maggiore entrano in sintonia. Alla fine, al buio totale si alternano sprazzi di luce che illuminano il paesaggio. Non c'è né un direttore d'orchestra né un dittatore che impone il ritmo, ma più semplicemente la reazione di ogni singola parte nei confronti del tutto". E' esattamente ciò che penso.
Quando il petrolio registra una sovrapproduzione globale, Norvegia, Iran, Messico e Venezuela non hanno altra scelta se non diminuire la propria produzione, con conseguenze negative per il Giappone, la Svezia, l'Italia e la Germania. Come dire che alla base delle due fasi alterne che caratterizzano il mondo produttivo troviamo sempre cause reali, rafforzate -inutile precisarlo - dagli errori e dagli interventi delle varie Banche centrali.
Diverso è il discorso per quanto riguarda i prezzi dei titoli. Si può essere certi che il livello dell'indice Dow-Jones, basato sul prezzo di Borsa di trenta titoli primari, tenderà al ribasso per quarant'anni a partire da questo momento qualora il nostro settore produttivo dovesse sperimentare quattro decenni di stagnazione tecnica e formazione di capitale insufficiente. Ciò non esclude, tuttavia, un boom azionario della durata di due anni, che vedrà raddoppiarsi il prezzo delle obbligazioni grazie all'entusiasmo psicologico di quelle lucciole che gestiscono le nostre banche, i nostri fondi comuni e le nostre pensioni aziendali. Pecco forse di mancanza di realismo? Non direi proprio, considerato che negli ultimi mesi sono prevalsi ovunque mercati al rialzo. Il caso di otto mercati che registrano contemporaneamente un rialzo non è certo paragonabile a quello di otto monetine che, lanciate per aria, cadono tutte dalla parte della testa.
Non siamo in presenza di otto giocatori diversi: di un Giuseppe, di un Joseph, di un Beppe e via dicendo... Nossignori, ieri tutti, ma proprio tutti, hanno dato ordine di acquistare titoli americani, giapponesi, italiani e francesi. Domani in massa venderemo sottocosto il nostro portafoglio effetti, imparzialmente e indiscriminatamente.
Per quale motivo l'investitore moderno decide di essere presente sui diversi mercati nazionali? Per la buona ragione che la teoria delle probabilità insegna che il profitto medio al netto del rischio può essere aumentato dalla diversificazione.
Non è quindi da sorprendersi se tutti attraversiamo le stesse fasi maniaco-depressive. Gli investitori globali sono come sei esquimesi in un unico letto: la sola cosa di cui si può essere certi è che si rigireranno tutti nello stesso momento.
E veniamo all'ultimo interrogativo. Qualcuno non mancherà di chiedersi se il recente generale aumento dei prezzi dei titoli non si giustifichi meglio con la percezione corretta e diffusa che la fine della Guerra del Golfo sia destinata a dar vita ad una espansione economica a livello mondiale, i cui beneficiari saranno i cittadini di gran parte del mondo, esclusa per il momento l'ex Urss, ed escluse per il momento le aree irrequiete e quelle in conflitto interno.
Considerato che l'economia non è una scienza esatta, non sono in grado di affermare con certezza che l'interpretazione di cui sopra non è corretta. Mi limiterò, pertanto, ad attenermi ai fatti.
1) Fino al maggio 1991, i dati relativi alla produzione negli Stati Uniti hanno continuato a confermare una fase di ristagno, con successiva, ma faticosa, ripresina. Anche l'Europa e l'Area del Pacifico registrano a tutt'oggi una crescita rallentata.
2) A New York, il mercato al rialzo sembra stimolato dalle notizie negative e non il contrario. Quando i titoli dei quotidiani parlano di "aumento della disoccupazione e di crollo della produzione", quello è il momento in cui gli intermediari di Borsa dicono: "Per Giove, questo significa che la Federal Reserve si deciderà ad agevolare il credito e ad aumentare il prezzo dei Buoni del Tesoro. Vuoi vedere che dal rapporto utili/prezzi più alti ci scappano utili da capitale niente male?".
La mia, comunque, non è una diagnosi negativa. Nel più lungo periodo, sarà una produzione insoddisfacente ad agitare lo spauracchio del prezzo speculativo. Per cui, bando agli isterismi suscitati dal timore che lo spauracchio della speculazione possa stimolare la produzione reale per un lungo tempo a venire.

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